Rom 10,9-18 e Matteo 4,18-22
Festa di Sant'Andrea apostolo
Rom 10,9-18 e Matteo 4,18-22
Festa di Sant'Andrea apostolo
Isaia 63,16-17.19; 64,2-7; Sal 79; 1 Cor 1,3-9; Mc 13,33-37
Tempo di Avvento! Un momento liturgico della vita della Chiesa. Detta così, interesserebbe anche ben pochi credenti.
Quale è il senso dell'Avvento, oggi, in questi mesi in cui viviamo l'esperienza di una epidemia virale a livello mondiale.
Attendere cosa ... attendere come ... Siamo stanchi di attendere ...
La liturgia per la Chiesa non sono I riti, non sono le candeline accese, non sono le celebrazioni di Messe. Nella liturgia, nello strano incontro tra Parola, segni, musica e teatralità, l'uomo interpreta e riproduce il mistero di ciò che percepisce e riconosce come divino, cioè di Dio. La liturgia è in questo senso una esperienza sacra, che ci inserisce nel mistero, nella quale noi ci accostiamo a Dio ... Non viceversa ... Questo è un nostro modo di accostarci a Lui.
La liturgia dell'Avvento, allora, diventa l'occasione per prendere in mano la nostra vita e riprender un cammino di conversione e di appartenenza.
Nella fatica, nella fragilità e nella paura questi tempi, essere cristiani impegna non solo nei comportamenti morali, ma soprattutto ci chiede di testimoniare la nostra fede in colui che viene anche oggi a salvarci.
Vivere l'Avvento dentro il nostro quotidiano, è scoprire il senso dell'attesa a partire dalle esperienze anche difficili della quarantena, delle limitazioni, della norme anti-covid.
Stiamo imparando l'arte dell'attesa come speranza, come desiderio di un futuro di pienezza; stiamo imparando che l'attesa può diventare anche una reclusione in noi stessi, una chiusura sterile e mortale; stiamo anche scoprendo che l'attesa è un invito a riscoprire la vita interiore, il silenzio e la nostra esperienza di fede, cioè la vicinanza di Dio.
Per molti la sensazione è: "Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore, cosi che non ti si tema?"
Per tanti, questo tempo di epidemia virale, con tutte le restrizioni che si porta dietro, è diventato il tempo della tua lontananza, dell'indifferenza, dell'incredulità, come anche della durezza di cuore.
Di fronte a questo noi credenti dobbiamo fare nostra la profezia di Isaia, e farla risuonare nel quotidiano che viviamo; dobbiamo dire con Isaia: "Ritorna per amore dei tuoi servi, (...) Se tu squarciassi i cieli e scendessi!"
Eco che il tuo ritorno ritma la liturgia dell'Avvento, che sempre rappresenta lo spazio per la preparazione al Tuo Natale; ormai una festa in un mondo che non ti ricorda più, ma che per consuetudine e per colmare il desiderio di felicità ha riempito il tuo Natale di Shopping, di regali, di brindisi e di cose da mangiare, il tutto a norma di legge.
In questo strano - perché originario - Avvento è altrettanto strano Natale, tu ancora squarci i cieli e scendi accanto alla nostra fatica di vivere il presente, ti accompagni con la nostra fragilità e ancora una volta ci insegni a dare senso all'attesa della tua venuta, non come un tempo che deve venire ma come una realtà che è presente.
Il nostro tempo di Avvento si unisce all'attesa di Israele, è un cammino lungo, e che sotto certi aspetti non finisce mai, ma è il tempo necessario per trasformare il presente nell'attesa di Te solo: "Nel pieno della notte, all'alba, al canto del gallo, ..."
Ecco che Dio scende dentro la fragilità di questo nostro tempo, come due millenni fa, quando dando nella pienezza al tempo diventasti uomo nella grotta di Betlemme.
Ma questo suo venire, non è un avvenimento, un fatto di cronaca, esso rivela come la fragilità si apre all'attesa del mistero di un amore incredibile, inspiegabile; l'unico amore che sana le ferite del peccato e che ha rotto la nostra fratellanza e offuscato la paternità di Dio. Un amore inaspettato e inatteso come abbiamo ascoltato nel Vangelo: "... Voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà: se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all'improvviso, non vi trovi addormentati". Le parole del Vangelo, quelle del profeta Isaia, allora, trovano oggi un eco che rinnova la profezia, del segno efficace (sacramentarietà) dell'evento del "Dio con noi": perché "Dio ha squarciato i cieli ed è con noi!"
Apocalisse 22,1-7 e Luca 21,34-36
Apocalisse 20,1-4.11-21,2 e Luca 21,29-33
Apocalisse 18,1-2.21-23;19,1-3.9 e Luca 21,20-28
Apocalisse 14,15-19 e Luca 21,5-11
Apocalisse 14,1-3.4-5 e Luca 21,1-4
Ez 34,11-12.15-17; Sal 22; 1 Cor 15,20-26.28; Mt 25,31-46
Solennità di Cristo Re dell'uniuverso
Solennità conclusiva dell'anno liturgico: Cristo re dell'universo.
Ed ecco che questo re si identifica come colui che raduna le sue pecore disperse, come il pastore ...
Le conduce, le fa riposare, cerca la dispersa, fascia la ferita e cura la malata ... e tutto poi, si concluderà con un giudizio. Un giudizio che separa le pecore dai capri. Ma la separazione cosa significa?
Significa che siamo giunti alla conclusione! Quando finalmente tutto sarà convocato nella valle di Giosafat, ai piedi di Gerusalemme e verrà raccolta la zizzania che sarà bruciata nel fuoco della Geenna. Questa "lettura/immagine" che unisce parabole e tradizione giudaica mette in evidenza tutto il pensiero del Signore circa il giudizio finale.
Se la realtà è un insieme di bene e male e del giudizio il Re/Pastore, finalmente egli farà giustizia di ogni iniquità e metterà in evidenza, cioè farà la differenza, tra il bene e il male; ciò che è l'opera di Dio e dell'amore ciò che è conseguenza dell'invidia del demonio, cioè l'odio la divisione, la morte.
Quale sarà il criterio del giudizio secondo giustizia? Sarà il modo in cui avrò riconosciuto al piccolo, all'escluso e al povero, quell'amore che non è semplicemente un gesto di misericordia, ma è il segno della conversione della mia vita; ciò avviene quando la mia vita reale è secondo i sentimenti e i pensieri di Dio.
Noi siamo maestri nella dissociazione della realtà dall'eternità ... Cioè spezziamo il legame tra la nostra vita e il giudizio di Dio, come se fossero due cose separate. Ma non è così! Il Pastore accompagna le sue incorre al pascolo; il contadino semina il buon seme, e tutto avviene pure nello smarrimento delle pecore e nella crescita della zizzania, del male.
Così convinti che la realtà vada per conto suo e che alla fine, Dio è buono e salva tutti. Ma questa dissociazione toglie alla realtà la sua pienezza. È nella realtà concreta che si realizza il capovolgimento - conversione più radicale che sarà pienezza del giudizio finale. Quindi in sintesi, il giudizio finale non lo pronuncia Dio alla fine, ma lo tracciamo noi, ora, nel presente, con ciò che facciamo verso l'ultimo.
Dio giudica attraverso ciò che legge adesso nella nostra vita. Dio ci accoglie e porta a compimento la sua accoglienza nella misura in cui noi accogliamo lui nell'ultimo.
Ma tutto questo non significa forse che la nostra vita è divina e che quindi parte dell'eternità? Si è vita eterna in quanto oggetto dell’amore di Dio.