venerdì 7 ottobre 2016

Galati 3,7-14 e Luca 11,15-26
Il dito di Dio ... La fede ...


La fede, dono e grazia! La fede segna in modo straordinario l'esistenza del discepolo, e lo caratterizza con una condizione di libertà straordinaria. "Il giusto vivrà per la fede"' queste parole riprese da Paolo, garantiscono al discepolo l'originalità della sua fede, la salvezza donata da Cristo. Salvati, significa essere liberati dalla corruzione di Satana, del male. Questa nuova condizione rappresenta la "libertà" in cui la vita, l'esistenza prende forma. La fede rappresenta l'unica arma vincente, quella che ci permette di essere forti nella lotta con il male. Il Vangelo, in un modo originale, descrive questa lotta, ma l'uomo di fede non indietreggia e ben comprende il costo dello scontro. La nostra fede è già il segno del cielo.

giovedì 6 ottobre 2016

Galati 3,1-5 e Luca 11,5-13
Il paradigma dell'amicizia!


Lo spazio dell'amicizia è per Gesù un ambito privilegiato per manifestare la relazione che si genera tra Dio e l'uomo. Lui stesso descrive l'amicizia come realtà che non si infrange nemmeno nella "insofferenza" ... e insistenza molesta. L'amicizia non ha subordinazione se non nel corrispondere al cuore (desiderio) dell'amico. Questo è vero fino ad affermare che la preghiera è spazio amicale tra Dio e l'uomo; uno spazio in cui riconoscere quel corrispondersi a vicenda che diviene certezza del "chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto".  Il vertice più elevato dell'amicizia risiede nel chiedere e donare lo Spirito Santo.

mercoledì 5 ottobre 2016

Galati 2,1-14 e Luca 11,1-4
La preghiera del Signore ...

Non è un pregare per pregare, neppure un pregare rituale ... La risposta di Gesù occorre scomporla nei minimi termini.
Pregare è un "dire": il nostro "dire" rappresenta l'espressione di ciò che risuona dentro; significa dare voce alle esperienze, alle suggestioni, ai sentimenti, alla coscienza a tutta la persona. È la persona che dice ... che racconta sé stessa ...
Si potrebbe obiettare che siamo di fronte a una preghiera soggettiva, un soggettivismo esasperato! Sì! Occorre partire dal nostro soggettivismo per accorgerci che non bastiamo a noi stessi e che tutto il "guazzebuglio" resta irrisolto. Da questa coscienza nasce la preghiera come "dire" indirizzato al Padre. È a questo punto che Gesù insegna, sottolineo: insegna come pregare; fino ad affermare: come Lui pregava. La preghiera insegnata, non è un soggettivismo esasperato, ma un percorso di umanizzazione, cioè per migliorare la nostra natura umana.

martedì 4 ottobre 2016

Galati 6,14-18 e Matteo 11,25-30
Come Francesco ...


Innamorato di Gesù ...
Francesco ha imparato a essere Francesco, proprio da Gesù; ha voluto essere come lui, imparando da lui, dal Signore a essere "Francesco"
Dall'intima frequentazione della scrittura, Francesco ha imparato a lasciare trasparire dietro il suo volto e il suo agire, l’umanità di Gesù.
Come diceva Paolo nella lettera ai Galati, cosa conta, cosa è veramente importante: "essere nuova creatura", il resto è superfluo.
Nell'aprile del 1208, durante la celebrazione della Messa alla Porziuncola, ascoltando dal celebrante la lettura del Vangelo sulla missione degli Apostoli, Francesco comprese che le parole di Gesù riportate da Matteo (10, 9-10) si riferivano a lui.
Era la risposta alle sue preghiere e domande che da tempo attendeva; comprese allora che le parole del Crocifisso a San Damiano non si riferivano alla ricostruzione di quel piccolo tempio, ma al rinnovamento della Chiesa nei suoi membri. Iniziò così la vita e missione apostolica, sposando “madonna Povertà”. Dalle parole del Vangelo di oggi diventiamo, come Francesco partendo da: "Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero". Con queste parole, Gesù condivide con noi il suo carico di amore per l'umanità; un carico di  compassione e tenerezza. Oggi innamorati di Gesù, noi siamo invitati a fare nostro il Vangelo della gioia, per convertirci a Lui e riformare il cuore della Chiesa; oggi mandati dal Signore, impariamo che la missione si chiama rispetto e accoglienza.

lunedì 3 ottobre 2016

Galati 1,6-12 e Luca 10,25-37
Vangelo: rivelazione di Gesù ...


Tutto il Vangelo (portando all'estremo) è contenuto nel precetto dell'amore e nella parabola del "buon samaritano", per cui: "... tu fa lo stesso!"
Fare ciò che compie il samaritano, significa agire e attuare ciò che il Signore vuole fare e agire. Il Vangelo infatti non è una dottrina di precetti, ma una Parola che fa ciò che dice. Così come la Parola nella creazione, la parola di Gesù si propone come potenza che è capace di determinare quella novità che è narrata. San Francesco quando comprende questo, all'ascolto del Vangelo, fa seguire sempre la sua personale attualizzazione. Se noi agissimo come il samaritano, come Gesù, la nostra vita sarebbe veramente un'altra "cosa".

domenica 2 ottobre 2016

Abacuc 1,2-3; 2,2-4 / Salmo 94 / 2 Timoteo 1,6-8.13-14 / Luca 17,5-10
Relazione di fede


Ma che cosa è la fede?
Alla luce del Vangelo, forse, ne comprendo il metro di misura: una piccolezza inaudita capace di cose folli. Ma non senza senso. La fede è capace di motivare e sostenere scelte che umanamente sembrano inaudite: scelte che sono generate dall'amore gratuito e dalla misericordia.
La fede per il cristiano, non si limita a una adesione alla divinità. 
Quando chiediamo il battesimo per un bambino, noi non "seminiamo" il germe della fede, ma disponiamo noi stessi a dare testimonianza attraverso la nostra vita dell'esperienza della fede.
Che cosa è la fede?
E' una risposta di un uomo che impara che Dio ha per lui un amore appassionato e particolare, per cui la scarsa disponibilità circa la "fede" - ciò che chiamiamo aridità - è una conseguenza della poca esperienza di amore.
Torniamo all'origine, alla fede di Abramo, forse siamo troppo teologico, e non notiamo il travaglio umano di un uomo, nomade, che vorrebbe amare una moglie e dei figli, ma questa possibilità gli è preclusa.,
Quando Abramo riconosce che essere amato da Dio, si scatena la fede; significa che quell'amore è cosi dilagante e folle da poter ribaltare un destino di tristezza.
Isacco, per Abramo sarà la concretezza esistenziale della sua fede. Una fede che non si costruisce su dei dogmi teologici, ma sull'esperienza dell'amore: amare ed essere amato.
L'amore è il granello di senape, capace di sradicare gelsi e di trapiantargli nel mare. Cosa più assurda non c'è. Ma da questo amore nasce una relazione fedele per sempre.
La fatica nella fede, non è una questione di ragionevolezza, ma di amore. Dove è carente l'amore a Dio è carente anche l'esperienza della fede.
Questo ci permette di intuire come la fede generata nell'amore si coltiva attraverso l'esperienza dell'amore.
Possiamo dare concretezza alla fede attraverso l'amore a Dio. Ma come faccio ad per imparare ad amare Dio?
Facendomi servo! Ogni volta che la mia relazione con Dio e con i fratelli è da servo la cui utilità si realizza in relazione a loro, in realtà esprimo amore e riconosco la loro necessità per la mia vita. Questa necessità dice la fede.

sabato 1 ottobre 2016

Giobbe 42,1-17 e Luca 10,17-24
Potenzialità inespresse ...


Con la parola provvidenza, si scarica, a volte, sul l'intervento di Dio ogni possibilità di cambiare la realtà è intervenire in modo nuovo circa a situazioni complicate.
Ma in realtà la provvidenza, cioè l'agire di Dio si inserisce, come rivela la vicenda di Giobbe, in una fedeltà  nella prova, dove sembra che la benevolenza di Dio sia una "giusta" ricompensa. Ma non è proprio così; la provvidenza è l'agire libero di Dio che si coinvolge, e sollecita, l'agire fedele dell'uomo. Nel Vangelo Gesù non è passivo rispetto all'agire umano: lui opera nell'operare dei 72 inviati nel suo nome. La provvidenza la si può invocare, ma in realtà la si deve lasciare agire, a partiture dalla libertà personale e dell'agire per il regno dei cieli. Quando "facciamo le cose" del regno dei cieli, la provvidenza mostra tutte le sue potenzialità, anche quelle inespresse: quelle cose che noi possiamo vedere e che altri non videro pur desiderandolo.