lunedì 7 ottobre 2019

Giona 1,1-2,1.11 e Luca 10,25-37
Non è poi così facile amare l'altro!

Un sacerdote, un levita ... pure io, percorrendo la stessa strada spesso guardo e passo oltre. Quel sacerdote, anche lui scendeva verso Gerico, dopo aver svolto il suo servizio nella città Santa, dopo essere stato alla presenza del Signore; eppure nulla è trasfigurato in lui. L'amore a Dio è stato un gesto formale, legale, dovuto ... nulla ha generato l'amore e la compassione per i fratelli, per il prossimo. Un levita, anche lui scendeva verso Gerico, con tutta la preoccupazione del suo bel servizio, un vero servo di Dio, zelante delle "cose" della casa del Signore ... Certo che quella casa così perfetta come può accogliere un uomo ferito, un impuro, ... uno sconosciuto? Ecco che la casa di Dio è presidiata dal legalismo e non accoglie proprio nessuno, nessun pellegrino, nessun esule, nessun forestiero, nessun ... "Prossimo".
Ecco che Dio, ora pone di fronte all'uomo ferito, picchiato e abbandonato un Samaritano ... Questo non ha obblighi sacri che lo trattengono, non deve preoccuparsi di custodire la casa di Dio ... Egli avrebbe anche potuto disinteressarsene, senza tropi scrupoli di coscienza. Allora perché si è fermato, cosa lo ha spinto a soccorrere, a curare a prendersi cura di quell'uomo?
Dice Immanuel Kant nella "Critica della Ragion pratica": "il cielo stellato sopra di me e la legge morale in me". È la compassione che permette al Samaritano di avvicinarsi all'uomo caduto nelle mani dei briganti, è la conseguenza della legge morale scritta nel cuore, e non il legalismo imposto dalle convenzioni che sviscera il mistero di amore. Questa Legge riflette il cielo stellato che ci precede per orientarci, ci sovrasta con leggerezza e ci circonda per custodirci dalla durezza dell'indifferenza. Questo riflesso di cielo sono proprio quelle parole che Gesù con dolcezza richiama alla memoria del dottore della Legge, allo studioso del mistero di Dio: "Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso"; ... E il prossimo tuo come te stesso ...

domenica 6 ottobre 2019

Ab 1,2-3;2,2-4; Sal 94; 2Tm 1,6-8.13-14; Lc 17,5-10
Una fede grande ... come?

Signore ti chiedo di aumentare la mia fede!
Che cosa devi aumentare, Signore, per dare compimento alla richiesta degli apostoli,  richiesta che ora diviene anche la mia?
La prima costatazione può essere quella di chi riconosce di non fidarsi pienamente di Gesù, di stare con lui ma solo di "passaggio", di essere meravigliati delle sue parole, partecipe anche dei suoi segni, ma da questo a fidarsi di lui per affidargli la vita presente in vista di quella eterna ... "ne passa ..."!
In questa tiepidezza ci è tolto il mistero di noi stessi, il senso della nostra creaturalità. La nostra figliolanza da Dio Padre non rappresenta una dimensione esistenziale ma una schiavitù, un giogo di cui liberarsi ... Ma liberandoci da quel giogo, da quel "legame buono", neghiamo anche la possibilità dell'esperienza della fede.
Ecco che se chiediamo a Gesù di rendere grande, di aumentare la nostra fede, significa che vorremmo che la fede occupasse - come dire - gli spazi della nostra vita.
Ma ora occorre mettere attenzione alla risposta di Gesù. Egli offre almeno due indicazioni esplicite:
1) Prendi coscienza reale della tua Fede. Forse la nostra fede ci sembra piccola, incapace del mistero e della relazione con il Signore. Non importa essa è come un granello di senapa. Se ci accorgessimo di questo, accadrebbe un evento straordinario ... cioè l'immediata crescita dell'atto di fede. Ecco allora che nella dimenticanza mi rendo conto che sono io che non curo sufficientemente il seme di senape ... Non me ne prendo adeguata cura! (Preghiera, vangelo, Chiesa, eucaristia, riconciliazione, carità, misericordia, compassione ... Tutte robe, tutti piccoli semi di senapa buttate lì senza vero utilizzo)
2) La fede si genera quando sono un servo del Signore. Quando la mia libertà diviene lo spazio in cui accolgo Gesù e offro a lui lo spazio della mia esistenza; ecco che in quello "stato di vita" mi pongo nella condizione del servo inutile ... ma che in realtà è il servo che si affida totalmente al suo padrone. Finalmente gli appartengo.
È questa la fatica maggiore, scegliere liberamente di appartenergli.
"Signore, aumenta la nostra fede ..." -Figliolo non posso aumentare nulla se tu non te ne prendi cura per te stesso e se mi relighi al margine della tua vita -.

sabato 5 ottobre 2019

Baruc 4,5-29 e Luca 10,17-24
La nostra vera gioia!

Il brano di Luca, propone una suggestiva inserzione: non semplicemente il racconto della "missione dei settantadue - che cosa hanno fatto - ma la descrizione della reazione di Gesù: sembra che la gioia di Gesù corrisponda all'esperienza della nostra soddisfazione per la missione compiuta.
Che cosa è stata l'esperienza dei discepoli? Che cosa ha voluto rappresentare? Quali conseguenze ha generato?
Tutte domande lecite che si condensano in una esperienza necessaria e basilare: essi hanno agito non tanto nel fare missione e annuncio, ma nell'essere mandati ad annunciare.
Essi hanno vissuto con la gente le stesse esperienze fatte con Gesù! La fraternità; la fiducia e la fedeltà al maestro; la comunione e la condivisione; l'accoglienza e la carità; la responsabilità come cura di ciò che mi è affidato.
Tutto ciò che hanno vissuto non era funzionale al loro essere mandati ad annunciare il regno di Dio; prima, e ancor prima, quella esperienza di missione ha rappresentato il luogo in cui essi hanno fatto esperienza della loro fede, della loro scelta di amore, del loro appartenere a Cristo. La gioia di Gesù è la gioia di chi si sente corrisposto dalla scelta di vita del discepolo. Non è una gioia derivante dall'aver "prodotto" il regno dei cieli, non è una gioia funzionale, ma dall'essere stato colmato di amore attraverso la corrispondenza delle scelte di vita. Credo sia questo il senso vero e profondo del fatto che i dei nomi dei discepoli sono scritti nel cielo: la nostra vita è nel cuore del Padre.

venerdì 4 ottobre 2019

Galati 6,14-18 e Matteo 11,25-30
Festa di San Francesco d'Assisi, patrono d'Italia
Portiamo le stigmate di Cristo nel corpo 

È una forma di misticismo l'esperienza che Paolo racconta: nel suo corpo non riconosce più i segni della circoncisione, quale garanzia di appartenere al popolo di Israele, ma il segno della "nuova creatura" (conformata a Cristo) in forza dell'amore di Gesù.
Sperimentare l'amore di Gesù per ciascuno di noi risulta una esperienza particolare, perché amare per Gesù significa morire per donarci la sua vita; significa spezzarsi come pane per essere condiviso; significa essere versato per essere offerto! Sono queste le stigmate di cui Paolo fa esperienza, e che a volte trovano riflesso anche nella nostra carne. Ma lo stesso Vangelo, non pensiamo che sia una dolce compensazione alle fragilità e fatiche della vita. Saremo degli ingenui se pensassimo questo!
La consolazione che Gesù ci dona, è parte del mistero della sua passione; una passione che rappresenta il limite, la fatica, l'ingiustizia del mondo, realtà tutte che trovano nella immersione nella vita di Gesù lo spazio della loro piena e travagliante manifestazione; come pure l'urgenza della loro redenzione o risoluzione ("salvezza": mistero rivelato ai piccoli), cioè lo spazio dove incontrare l'amore del Padre che è riversato nella vita del suo figlio ("Tutto è stato dato a me dal Padre mio ...", tutto il suo amore di Padre).
Non scandalizziamoci dunque della fatica; non scartiamo la fragilità nostra e degli altri; non sottraiamoci ad accompagnare (compatire) il cammino dei fratelli; è quello il "giogo" che ci conforma a Cristo mite ed umile! Non sono forse umiltà e mitezza la piccola via della santità di Francesco e di altri con Lui? Ecco che amare è soprattutto compatire!

giovedì 3 ottobre 2019

Neemia 8,1-12 e Luca 10,1-12
L'ascolto genera l'identità di popolo.

L'autorevolezza di Esdra garantisce la relazione del popolo rispetto al Libro. Il "popolo" si riconosce tale perché Esdra lo convoca per ascoltare la proclamazione del Libro. Ecco che uomini e donne, e quanti erano capaci di intendere, tutto il popolo tendeva l'orecchi al libro della legge: "popolo in ascolto". La legge diviene in forza dell'ascolto fonte della conoscenza, della moralità e da commozione del popolo stesso: "Neemia, che era il governatore, Esdra, sacerdote e scriba, e i leviti che ammaestravano il popolo dissero a tutto il popolo: «Questo giorno è consacrato al Signore, vostro Dio; non fate lutto e non piangete!». Infatti tutto il popolo piangeva, mentre ascoltava le parole della legge."
Da questo momento di Ascolto, il popolo acquista identità, cessa di essere un aggregato per divenire un corpo unico; cessa di essere esiliato perché trova una stabile dimora nel Signore: "il popolo aveva compreso le parole che erano state loro proclamate".
Ascoltare la parola, meditare la parola, pregare la parola ... È da questa nostra e personale disponibilità che si genera l'identità, si genera il popolo di Dio. Ed è dell'identità dell'ascolto che ci manifestiamo come missione di annuncio della Misericordia di Dio Padre: se siamo popolo di Dio, siamo infatti un popolo salvato da Cristo; segno di salvezza per tutti i figli di Dio. Il popolo di Dio, la Chiesa di Cristo, non è quindi la multinazionale della fede, ma la condizione di possibilità per l'uomo di riscoprirsi figlio di Dio, amato è chiamato alla vita eterna: sua piena felicità.

mercoledì 2 ottobre 2019

Esodo 23,20-23 e Matteo 18,1-5.10
Santi angeli custodi
Il mio messaggero è davanti a te ...

Quando Gesù utilizza il bambino come immagine per proporre l'appartenenza al regno dei cieli, introduce ed utilizza anche una categoria ben nota a tutta la "Scrittura", quella dell'angelo. Se non ci convertiamo cioè se non torniamo a pensarci come i bambini che tendono la mano e si lasciano condurre, non entreremo nel Regno dei Cieli. L'angelo rappresenta, biblicamente, una figura di mediazione, di protezione, di vicinanza ... Il messaggero della volontà di Yhwh; esso riconduce alla relazione con Dio Padre. Credo che occorre, allora, andare ben oltre l'idea dell'angelo come reminiscenza astrale propria della cultura Mesopotamia. Gesù presenta l'angolo come un vero protettore, quasi un vendicatore di quei bambini che essendo i piccoli, essendo i fragili, gli umiliati; essendo coloro che sono normalmente non apprezzati e considerati, essi sono i prediletti di Dio, per cui eredi del Regno dei Cieli.
Abbiamo bisogno degli angeli per tornare ad essere come bambini. Abbiamo bisogno degli angeli per essere condotti, come il popolo di Israele, alla libertà della terra promessa. La figura dell'angelo al di là di ogni infantilismo e preconcetto ha un enorme significato teologico, per richiamarci alla presenza di Dio che non si discosta dalla nostra esistenza, anzi l'angolo testimonia come la nostra esistenza appartiene a Dio, e a Lui appartiene tutta la nostra vita in conversione; cioè in quel processo di umanizzazione che ci matura fino ad essere volontà di Dio.

martedì 1 ottobre 2019

Zaccaria 8,20-23 e Luca 9,51-56
Di te si dicono cose stupende città di Dio ...

L'ultimo pellegrino "fai da te" che è andato a Gerusalemme, tornato mi ha chiesto: "ma come facciamo ad essere certi che Elena - madre di Costantino - abbia trovato realmente i luoghi della crocifissione, morte, sepoltura e risurrezione di Gesù, e non se li sia inventati? Innanzi tutto bisogna predisporre il nostro cuore e la nostra mente a capire che Gerusalemme è ben più di una città, più di una città Santa. Gerusalemme è segno e sacramento della dimora di Dio, un "briciolo di Dio" nel marasma del mondo. Un lampo di luce nelle tenebre della notte; il porto sospirato di chiunque viaggia in cerca del dimorare in Dio. È in questa prospettiva che Gerusalemme diviene "la città del nostro Dio, Dio l'ha fondata ore sempre!"
Nel l'orizzonte della città di Dio si condensano le speranze e la storia del popolo di Israele, ma anche di tutti i popoli: "Così popoli numerosi e nazioni potenti verranno a Gerusalemme a cercare il Signore degli eserciti e a supplicare il Signore".
In un intreccio stupendi di vita, leggende e storia, si drive il passato, il presente e il futuro della città di Dio, e l'eco delle narrazioni apre alla comprensione dei segni della presenza di Dio. Per cui la testimonianza della prima comunità cristiana, le tradizioni orali dei racconti della tomba di Adamo nel giardino della grotta, servirono ad Elena per individuare i luoghi della passione e risurrezione. Ma lo stesso Vangelo ci testimonia come il sale a Gerusalemme di Gesù è salita al calvario, e insieme la trasfigurazione del volto che traduce tutta la conformazione di Cristo al mistero di amore del Padre, per poter generare la redenzione dell'uomo a partire dalla sua stessa vita. Non c'è più alcun tentennamento, a Gerusalemme appartiene il mistero della redenzione. Elena, quindi, si è lasciata condurre dalla stessa ferma decisione di Gesù di dimorare pure Lui, "nella città del grande Re", e ne ha trovato le tracce di un passaggio umile, umiliante e glorioso.