venerdì 7 febbraio 2020

Siracide 47,2-13 e Marco 6,14-29
Un racconto a margine ... 

Se saltassimo questa parte del Vangelo di Marco, la lettura sarebbe anche più snella e non vi sarebbero fratture narrative. Ma visto che il redattore e la tradizione ci riportano un testo con questa inserzione, significa che questo racconto ha un valore che da significato e compimento al Vangelo. È con questa consapevolezza che evitiamo di catalogarlo come una semplice inserzione narrativa. La vicenda di Giovanni Battista, non è marginale nello sviluppo del messianismo di Gesù. La sua personalità forte, il suo rapporto esplicito col cugino, la sua franchezza nell'annunciare l'imminenza del Regno di Dio; tutto questo entra in contatto con ciò che Gesù sta dicendo e vivendo; non in uno scontro, non in un accostamento, ma in una confluenza. Ecco questo brano testimonia il tentativo di confluenza, attraverso il Vangelo, dell'esperienze della comunità del Battista con la comunità del Nazzareno. È un brano che testimonia l'accoglienza dei discepoli di Giovanni nella comunità di colui che che lo stesso Battista indicava come "agnello di Dio". Da queste righe si raccoglie la narrazione di un evento che ha profondamente segnato quei giorni: la prigionia e l'uccisione del Battista nella fortezza di Macheronte; la spietatezza di coloro che sono attori di una storia, ma anche i principali responsabili politici di quel tempo; ci racconta il risvolto e l'interiorità di un Erode ("... Erode temeva Giovanni, sapendolo uomo giusto e santo, e vigilava su di lui; nell’ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri") che non è capace di impedire un complotto e una vendetta. Tutto questo si confronta con la novità che rappresenta Gesù: "Erode sentì parlare di Gesù, perché il suo nome era diventato famoso".
Così possiamo dire che tutto ciò che riguarda Giovanni il Battista, deve trovare in Gesù, compimento e realizzazione. E i primi che devono realizzare questa confluenza siamo noi, nulla va scartato, tutto trova nel Vangelo un senso compiuto.

giovedì 6 febbraio 2020

1 Re 2,1-4.10-12 e Marco 6,7-13
La missione a partire da "dentro"

Una recente riflessione di Enzo Bianchi richiama la dimensione esistenziale dell'essere della Chiesa: la Missione. Riporto alcune brevi frasi: "... ma la missione sarà sempre ineludibile perché fa parte dell'essere cristiani: non si è alla sequela del Signore senza essere da lui inviati. Siamo di fronte a un mutamento radicale, che riguarda tutta la vita cristiana, la vita della Chiesa, (...) dunque, alla Chiesa tutta è richiesta un'operazione di discernimento, per attuare il mandato di Gesù risorto, sempre attuale:«Andate, evangelizzate in tutto il mondo, portate la Buona notizia a ogni creatura» (cfMc 16,15).Dobbiamo confessare oggi un'astenia delle Chiese locali, (...) papa Francesco chiede con frequenza alle Chiese di porsi "in uscita", (...) dietro a  queste espressioni, che rischiano di essere ripetute semplicemente come slogan, c'è in realtà la richiesta di un cambiamento radicale del vivere la Chiesa, ben prima del vivere la missione che le è inerente".
Certamente nei secoli abbiamo sperimentato come la stabilità della vita è sfavorevole alla dimensione missionaria. La stabilità spesso si traduce in auto-conservazione, e svuota l'indole missionaria della capacità di annunciare; l'essere cristiani si trasforma in una prassi di vita. Lo stesso Battesimo non può essere semplicemente legato all'impegno della educazione cristiana da parte dei genitori; questo ha trasformato profondamente la consapevolezza di cosa sia l'annuncio del Vangelo. Forse, è anche per questo che di fronte alle spinte migratorie, l'occidente si è chiuso nel respingimento dei rifugiati e nella paura dei migranti, quando invece questo momento storico, per le Chiese locali, poteva essere lo spazio di un nuovo annuncio del Vangelo. Non abbiamo dato ascolto al Signore Risorto che ancora una volta ci inviava ai nostri fratelli, ma non lo abbiamo fatto perché non avremmo saputo cosa portare loro, ecco ancora una volta emerge l'irrilevanza di Cristo in noi.

mercoledì 5 febbraio 2020

2 Sam 24,2-17 e Marco 6,1-6
"Nessuno è profeta in patria"

La vita di un villaggio, nell'interno montuoso della Galilea, la possiamo immaginare semplice e ripetitiva. Nel lungo andare, anche gli abitanti del villaggio vivono della semplicità del loro quotidiano. Gesù dopo essersene andato, ritorna a casa, sull'eco della sua attività, dei gesti e delle parole che dal lago risalgono le valli. Certamente a Nazareth, c'è meraviglia e scandalo insieme. Meraviglia e stupore perché forse nessuno si aspettava qualcosa di simile: per tutti Gesù era un "buono", ma non certo un profeta o un rabbì; ma ora è - dopo il confronto sul lago tra Gesù e la sua famiglia - ora è anche visto come un po' "fuori" di senno. Scandalo, perché nessuno a Nazareth era disposto a dargli quel credito che corrisponde all'atto di fede (E si meravigliava della loro incredulità)Ci vorrà ancora tempo per convincere la sua famiglia, i suoi "fratelli e sorelle", che Gesù era il Messia sperato ed atteso; ci vorrà la risurrezione e il suo tornare in Galilea al seguito dello smarrimento dei discepoli, a generare anche a Nazareth quel ripensamento circa Gesù, ripensamento che riuscirà a mettere insieme quel suo essere così umano e uguale a noi, e il suo essere figlio di Dio, così diverso dagli uomini. Il cambiamento di prospettiva che si genera in Galilea è il primo frutto della risurrezione, ancor orina che della predicazione.
L'immagine del Vangelo è estremamente chiara: un sabato Gesù insegna, egli ripete a Nazareth quanto fatto a Cafarnao e altrove, ma l'esito è ben diverso. Nella tradizione, questo suo tornare a Nazareth si conclude col tentativo di un linciaggio ... Lo Scandalo è fortissimo. Non faccio fatica a immaginare come questa piccola comunità si sia chiusa in difesa dei propri costumi, delle proprie convinzione e, un poco "conservatrice", si sia trincerata e arroccata in difesa ... si sono difesi da Gesù, ormai un corpo estraneo e per la loro "abitudinarietà", alquanto pericoloso. La loro incredulità non ha lasciato indenne Gesù che ne esce ferito, nei suoi affetti e sentimenti, ma anche questo è il costo di quel Vangelo che avrà, alla fine, il prezzo della sua vita.

martedì 4 febbraio 2020

2 Samuele 18,9-19,4 e Marco 5.21-43
Ma chi è costui?

Chi è costui che comanda al mare? Questa domanda percorre in lungo e in largo il Lago di Galilea, ed è la domanda che sorge spontanea come conseguenza dell'agire di Gesù.
Chi è costui che aggrega a sé un gruppo di discepoli?
Chi è costui che ci parla in parabole?
Chi è costui che scaccia il demonio?
Chi è costui che guarisce dai nostri mali incurabili?
Chi è costui che ci ridona alla vita e alla "giovinezza"?
In molti modi, nella quotidianità, il confronto con Gesù ha rappresentato un vero sconvolgimento nella domanda, nell'idea che ci si è fatti di lui e nella risposta.
Quale è la risposta? L'unica risposta che tutti sospettano e che nessuno dice apertamente è: "Tu sei il figlio di Dio". Che non significa arrendersi rispetto allo stupore e alla meraviglia; ma significa comprender come Dio, entra nella nostra vita attraverso la vita di Gesù. Gesù nel suo esistere nel tempo non è un semplice accostamento al mistero, o una appendice della trascendenza di Dio. La sua vita è la vita di Dio in relazione con la nostra vita di uomini e donne. Allora anche nel Vangelo di oggi, il miracolo lascia lo spazio all'incontro con il Signore e soprattuto al desiderio di incontrarlo. Un desiderio che nasce dal nostro bisogno ferito che non si arrende; un desiderio che viene riempito è soddisfatto dalla sua compassione. Che cosa possono dire Giairo e sua moglie, l'emorroissa, i discepoli che accompagnano il maestro? Che cosa possono dire di Lui tutti quelli che lo hanno toccato, che gli hanno parlato, che hanno sperimentato il suo esserci? Che era un "grande"? Si, di forse anche questo, ma soprattutto che Lui era il "Figlio di Dio!" È questa la risposta, plausibile o no ... facile o difficile ... razionale o irrazionale ... Che il Vangelo ci trasmette come unica risposta che resta, quando tutte le altre risposte possibili decadono, è la risposta che corrisponde al nostro irriducibile desiderio di riscatto.

lunedì 3 febbraio 2020

2 Samuele 15,13-16,13 e Marco 5,1-20
Dall'altra riva del Lago

Quando pensiamo al "ministero" di Gesù, con difficoltà riusciamo a ripercorrerlo nei continui spostamenti, nella narrazione dei vangeli. Raggiungere l'altra sponda del Lago non era per nulla un fatto eccezionale. Quel Mare di Galilea era in realtà il luogo comune di vita, di scambi e di comunicazione.  Esagerando, spesso si è detto, Gesù va a Gesara, città della decapodi, città impura ... Esagerando, perché forse Gesù, va semplicemente dall'altra riva del Lago, e non sconfina, non oltrepassa una frontiera, non varca una separazione. Il "ministero di Gesù si dispiega in tutta l'area intorno al Lago, e non solo, esso raggiunge anche zone interne e montuose, ma il Lago con le sue città, e in particolare Cafarnao, rappresentano gli spazi preferenziali, rappresentano il suo ambiente vitale. Detto questo, nel suo arrivare a Gerasa, il Signore incontra un uomo posseduto da un demonio, ma con questo non possiamo e non vogliamo dire che dall'altra parte del lago regnasse la tenebra e il male; come pure non possiamo dire che essendoci una mandria di maiali, quei luoghi fossero pieni di impurità, se non rispetto alla comprensione e alla religiosità ebraica di chi era giudeo osservante.
Cosa rappresenta quesa narrazione? Credo che Marco voglia farci toccare come per ogni uomo incontrare Gesù rappresenta l'esperienza che salva. Rappresenta la possibilità di divenire parte della salvezza di Dio. È questo indipendentemente dai luoghi, dalle culture e dalle situazioni di vita. È l'incontro con Gesù che salva! Quell'incontro diviene rilevante, tutto il resto è il flusso delle situazioni che permane e continua come vicenda della storia. Ma ciò che conta è che quell'uomo indemoniato, ora è salvato: "Va’ nella tua casa, dai tuoi, annuncia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ha avuto per te".

domenica 2 febbraio 2020

Ml 3,1-4 ; Sal 23; Ebr 2,14-18; Lc 2,22-40
Una festa d'altri tempi?

Mi fa sorridere chi si ostina a pensare al cristianesimo come se Gesù fosse un "cristiano", anzi il primo di tutti i cristiani, reduci di una visione che vuole assicurare l'assoluta autonomia e inerranza della fede, frutto dell'iniziativa divina e di una novità che ha in Cristo l'inizio attraverso la scissione rispetto alla tradizione di Israele. Non è eccessivo dire che questa concezione è una forma di antisemitismo religioso, anacronistico rispetto al progresso delle scienze teologiche e dell'evoluzione del dogma nel tempo.
La festa della presentazione di Gesu al tempio, che chiamiamo anche festa delle luci ovvero "candelora", per Gesù resta la sua presentazione al Tempio, secondo la tradizione e la Legge ebraica. Che cosa rappresentava questa festa per Gesù se non la sua presentazione come primizia a Yhwh, come segno della predilezione di Dio per i figli primogeniti, che rappresentano il pegno per la elezione e che, offerti a Dio, sono anticamente il sacrificio gradito, al punto che proprio i figli primogeniti vengono nel rito riscattati. La presentazione di Gesù ci riconduce al sacrificio di Isacco, ci porta all'uscita dall'Egitto, ci pone di fronte alla morte dei primogeniti e al percorso della libertà come condizione esistenziale del popolo di Dio. Tutto questo accompagna Gesù nel suo essere offerto al Padre, questo legame con le promesse e con chi delle promesse era depositario, costituisce la gioia dei vegliardi Simeone ed Anna: la saggezza degli anni permette di gustare la gioia delle promesse realizzate: "i miei occhi hanno visto la tua salvezza", in quel bambino, primogenito di Maria e Giuseppe.
Gesù, anche se in più occasioni è entrato in disputa e in contrasto con scribi e farisei, con i sacerdoti e i capi del giudei, ma non ha mai rinnegato di essere un figlio di Israele, non ha mai reciso la sua radice in Abramo (il padre), nei patriarchi (l'alleanza) e nei profeti (la legge), ma tutto questo ha intimamente vissuto nella sua umanità e divinità.

sabato 1 febbraio 2020

2 Samuele 12,1-17 e Marco 4,35-41
Ed ebbero paura ...

Il Lago di Galilea, nelle giornate di sole e senza vento è uno specchio d'acqua incantevole, placido e rasserenante; ma quando le correnti d'aria portano nubi o semplicemente smuovono l'aria fredda e la fanno precipitare sul livello dell'acqua, il placido laghetto diviene un impetuoso mare agitato, in cui le palme sulla spiaggia arrivano, piegate, a lambire le onde mosse e agitate. Il Lago in tempesta fa veramente paura - e per chi lo ha visto - si può immaginare come una barca di pescatori possa trovarsi in estrema difficoltà. Non sono per nulla esagerate le affermazioni del Vangelo: "... e le onde si gettavano nella barca, così che già era piena, (...) non imporporata a te che muoriamo?"
I discepoli non hanno ancora compreso fino in fondo lo spazio di "possibilità di Gesù"; essi lo conoscono per ciò che dice; hanno visto le sue capacità traumaturgiche, ma dei segni/miracoli non ne hanno ancora fatto esperienza. È questo contesto che getta i discepoli nella paura, una paura grande! Paura per la violenza della tempesta; paura di morire; paura per l'inaspettato agire del Signore.
Non è certo la sollecitazione a fargli fare un miracolo che li porta a dire: "non importa a te che muoriamo?" Forse era solo la rabbia nel vedere come in una tale situazione, Gesù se ne stava a dormire ... Un atteggiamento che avrebbe fortemente irritato chiunque.
Questo è il contesto in cui per la prima volta Gesù provoca i discepoli/pescatori circa la fede personale. Tutto precipita nella paura, non più rispetto alla tempesta o alla morte, ma rispetto allo spazio della Sua possibilità. Ora i discepoli hanno paura di Lui!
La vita e la famigliarità con Gesù sarà lo spazio per trasformare la paura in amore! Il timore in una fratellanza! Lo stupore in consapevole fede. Anche noi dobbiamo imparare a conoscere Gesù, nessuno può avere la presunzione di conoscerlo di già!