lunedì 7 giugno 2021

La consolazione ...

2 Corinzi 1,1-7 e Matteo 5,1-12


Negli Esercizi Spirituali di Sant'ignazio di Loiola si parla della consolazione: "Terza regola: la consolazione spirituale. Si intende per consolazione quando si produce uno stimolo interiore, per cui l'anima si infiamma di amore per il suo Creatore e Signore, e quindi non può amare nessuna delle realtà di questo mondo per se stessa, ma solo per il Creatore di tutte; così pure quando uno versa lacrime che lo portano all'amore del Signore, sia per il dolore dei propri peccati, sia per la passione di Cristo nostro Signore, sia per altri motivi direttamente ordinati al suo servizio e alla sua lode. Infine si intende per consolazione ogni aumento di speranza, fede e carità, e ogni gioia interiore che stimola e attrae alle realtà celesti e alla salvezza dell'anima, dandole tranquillità e pace nel suo Creatore e Signore."
In 2 Corinzi, Paolo dopo aver augurato "grazia e pace da Dio" ai suoi destinatari, si effonde nella descrizione elle sue consolazioni. "Come abbondano le sofferenze di Cristo in noi - dice Paolo - così abbonda la nostra consolazione". Siamo consolati e approdiamo a una pace e una gioia che "nessuno potrà rapire". Non solo ma diventiamo capaci di consolare gli altri. Questo per Paolo è vero al punto che nella fede vive l'esperienza della prova come occasione, non solo come fatica. Lui stesso rivive le sue sofferenze: l'essere stato imprigionato, lapidato, picchiato; ma tutto diventa occasione di crescita, non solo personale, ma anche comunitaria, fraterna. L'intuizione di Paolo si manifesta ancora una volta: da una difficoltà riesce a trarre un insegnamento per far crescere la comunità nell'amore. 

domenica 6 giugno 2021

Desiderio di essere uno ... Un solo corpo ...

Es 24,3-8; Sal 115; Eb 9,11-15; Mc 14,12-26

Nella comunità cristiana dei discepoli di Gesù a partire dal quarto secolo, troviamo la memoria del luogo dell'ultima cena. Viene fissata e per secoli riconosciuta, e visitata, come luogo in cui Gesù spezzò il Pane e lo diede ai discepoli come suo corpo; dove prese del vino e lo diede ai discepoli come suo sangue. Il tutto come segno del dono della sua vita, del sacrificio che sarebbe stato consumato sulla croce.

Questa priorità della Chiesa delle origini esprime l'importanza e l'urgenza non certo di rintracciare i luoghi archeologici per i nostri pellegrinaggi, ma per esprimere nel tempo ben di più di una memoria, ma una continua attualizzazione di quel gesto fatto da Gesù.

Trovare quel luogo fu una necessità esistenziale, al punto che non ci si meraviglia scoprire che forse non era proprio quello il luogo del cenacolo, ma che in verità si trova in una parte di Gerusalemme (il seminario della Chiesa Armena) di cui si erano perse le tracce, in quanto dal 70 dC è fin oltre il secondo secolo, zona dell'accampamento Romano in città, e quindi interdetto a tutti.

Ma la comunità Cristiana non può fare a meno di un luogo dove riconoscere rendere attuale quel darsi di Gesù nel pane e nel vino.

Per noi oggi, quindi, a cosa serve un Pane, un Dio, chiuso nel tabernacolo, da esporre di tanto in tanto alla venerazione e all’incenso?

Gesù non è venuto nel mondo per creare nuove liturgie, ma figli liberi e amanti e vivi in forza della sua vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. Corpo e sangue indicano tutta la sua esistenza, la sua vicenda umana, è tutto il mistero della incarnazione.

Diceva il Vescovo Giovanni giovedì sera in Cattedrale: "Senza l'eucaristia non possiamo vivere"! E questa condizione quando ci è stata pesante in questi mesi di pandemia e in quelle settimane di divieti.

Una provocazione vera nel senso che non possiamo vivere cristianamente senza l'eucaristia; e che se ci priviamo dell'eucaristia, che vita è la nostra?

Fare la festa del Corpus Domini, ci riporta a una concretezza necessaria e rigenerante.

Raramente infatti, prendiamo coscienza che il mistero dell'incarnazione rivela ed esprime il dono della vita di Dio agli uomini. Gesù non è venuto solo per perdonarci i peccati ma per darci la sua vita: "... prese il pane, lo spezzò e lo diede loro e disse ... Mangiatene tutti ..."

Non è una consegna simbolica, ma un agire intenzionale; da quel darsi per noi cambia tutto ... Eppure siamo sempre così superficiali, indifferenti ... Così insipidi rispetto alla relazione/amicizia che Gesù ci offre...

Forse a volte non vogliamo ammetterlo, ma ci abituiamo a una vita priva del suo pane ... Una vita che diviene grigia e senza fragranza...

Oggi vogliamo recuperare quel corpo spezzato ... Il pane consacrato come il mio nutrimento per la vita eterna, a partire da questa vita che è già la premessa per quella vita che in me, supererà e vincerà la morte se unita al Signore.

Oggi voglio bere e quel sangue versato. Il vino donato, purifica il peccato del mondo e scorre nel sangue di tutti gli uomini distruggendo ogni barriera e divisione. Quel sangue versato da Cristo sulla croce, quel vivo dato come sangue ai discepoli impasta (unisce) la terra al cielo. Abbiamo lo stesso sangue, per cui ogni uomo è mio fratello ... E se da cristiano penso che qualcuno possa essere trattato diversamente da come io voglio essere trattato, considerato, conosciuto, allora disconosco e annullo il segno del Sangue di Cristo. E vanifico la fratellanza.

sabato 5 giugno 2021

Fare conoscere le opere di Dio.

Tobia 12,1.5-15.20 e Marco 12,38-44

A conclusione della narrazione, l'autore sacro introduce un tema che generalmente non viene preso in considerazione, il tema della ricompensa. Tobia e Tobì, ora si rendono conto di avere ricevuto tanto, molto più di quanto si aspettavano. L'incontro con Azaria-Raffaele, pone in essere una nuova prospettiva che non si limita alla retribuzione, ma dilata e ribalta il nostro modo umano di comprendere la categoria della gratuità, ovvero della grazia. Alla luce della quale, anche l'osservanza della Thorah (delle leggi di Dio) acquista un'altra risonanza. Se da una parte si vuole esprimere il giusto desiderio di contraccambiare i doni ricevuti, ciò che deve emergere è che Dio non "prende" nulla in cambio per i suoi doni. Il suo obiettivo è un altro: istaurare una relazione di amore e fiducia con lui. Raffaele testimonia che colui che opera il bene (Dio) e vuole la vita per le sue creature, dispone tutto in modo che si passa riconoscere e riconoscerlo in ogni gesto di amore.; ogni gesto di bene non va perso, anche quando le apparenze sembrano affermare il contrario.

Anche noi, facciamo esperienza della bontà di Dio, ma quando facciamo esperienza del riconoscere la sua piena gratuità? E cosa cambia in me questo gratuita di Dio?


venerdì 4 giugno 2021

Una storia a lieto fine

Tobia 11,5-17 e Marco 12,35-37


Con il ritorno del figlio, l'abbraccio della madre, la guarigione di Tobì, la vicenda narrata nel libro giunge al suo lieto compimento, tanto da suggerire a tutti un rendimento di grazia a Dio che salva e nella sua provvidenza consola.
Ma leggendo questo passaggio cruciale con più attenzione, si intuisce che la guarigione di Tobì non è tanto è solo fisica ma è spirituale. In effetti tutta questa sezione esprime la conversione e da uno stile di vita rassegnato e senza reale prospettiva a uno stile di vita in cui si inizia a pensare in modo differente, a guardare il mondo con occhi diversi. Possiamo infatti vedere che Tobì passa dalla deviazione alla legge, che lo rendeva un pio israelita - che per pietà seppelliva i morti - alla esperienza nuova della fede in Dio che salva e ama. Il ritorno del figlio Tobia insieme a Raffaele, cosa rappresenta se non l'irruzione inaspettata ma provvidenziale della vita di Dio in una esistenza, in una famiglia desolata e sconsolata, segnata profondamente dalla fatica di una fedeltà alla legge, che a lungo andare sfinisce. Ecco che il vero miracolo è dato nell'aprirsi degli occhi per scorgere nella propria storia la mano provvidenze di Dio. Quando nella vita riusciamo a esprimere la nostra benedizione, allora le quotidiane esperienze non sono solo occasioni di fatica, ma di trasformazione del nostro cuore. A volte il vero miracolo non si vede se non con gli occhi del cuore, cioè quando cadono quelle "scaglie" che non ci permettono di vedere nella realtà il dispiegarsi della provvidenza di Dio. E la provvidenza non è detto che sia solo la soddisfazione dei mostri desideri, o il superamento delle nostre fatiche, a volte è anche "solo" un vento fresco e nuovo, che porta con sé un poco di refrigerio.

giovedì 3 giugno 2021

Una "storia" - chiamata - narra la nostra esistenza!

Tobia 6,10-11; 7,1.9-17; 8,4-9 e Marco 12,28-34

Il libro di Tobia è narrazione di un cammino, anzi del cammino della vita. In questo cammino ciascuno è chiamato a percorrere eventi, situazioni, incontri attraverso i quali giungere a dare pienezza al proprio esserci, al proprio progetto-vocazione: cosa siamo chiamati a essere; da chi siamo stati chiamati a esserci; per chi siamo chiamati ...
In questo percorso Tobia, come anche Tobì e Sara, non sono abbandonati a se stessi, ma in ogni situazione e circostanza il Libro afferma la compagnia e vicinanza di Dio e dei suoi messaggeri. È un Dio che chiama all'esistenza ma che in quella chiamata è pienamente coinvolto, e ciò si riconosce nel confronto con la mia libertà e nella sua fedeltà; egli non può venire meno alla promessa di amore che è la mia stessa vocazione.
La stessa esperienza di Tobia altro non è che il cammino alla ricerca di quell'amore che può dare senso e pienezza alla sua esistenza. Ma non è un amore di pura sensualità, esso è un amore che prende consistenza attraverso la scoperta tra Tobia e Sarà della medesima vocazione. Ciò che i due giovani sperimentano, allora, è l'obbedienza alla medesima vocazione di vita, ad un "disegno" a cui si appartiene in due. Leggendo la storia narrata noi recepiamo, come per l'autore sacro, Sara fa parte della stessa vocazione di Tobia, essa entra in uno stesso disegno fin dall'eternità. Solo in una disponibilità ad obbedire al dono che derivata tale vocazione, che è anche iniziativa di Dio, Tobia può amare Sara, così da non distogliere più il suo cuore da Lei. La stessa prima notte di matrimonio, racconta questo primato del cuore che solo può accogliere la grazia dei sentimenti e della passione umana.


mercoledì 2 giugno 2021

La fatica della sofferenza

Tobia 3,1-11.16-17 e Marco 12,18-27

Sia Tobì che Sara esprimono nella loro vita il dramma di chi soffre e non trova alcuna consolazione né da chi si ama, né dagli amici e neppure da chi è più prossimo.
Entrambi sperimentano l'esclusione e il giudizio colpevolizzante degli altri che non tengono conto di nulla, circa la verità della loro vita, ma che si limitano a indicare nella malattia o nella maledizione il segno del giudizio di Dio. Per entrambi il giudizio è senza pietà, essi hanno sbagliato tutto nella vita e il loro peccato insieme al peccato di infedeltà del popolo li sovrasta. Nelle vicende personali si ripercorrono i limiti e le infedeltà di coloro che li hanno preceduti, del popolo e dei loro progenitori.
Ma è proprio di fronte a questa degenerazione e a questa straziante condizione di vita, che solo promette depressione, abbandono e un profondo desiderio di morte, che l'autore sacro pone in contrapposizione la presenza di Dio, così come dalla sua rivelazione ad Abramo, Israele ne ha riconosciuto i tratti consolatori. Si tratta dell'agire nascosto e provvidenziale di Dio; un Dio che non manca di soccorrere chi in lui si rifugia. È Raffaele, l'angelo, che diviene mediazione dell'agire di Dio. Dio si manifesta con delicatezza, con intermediari, che con  la loro umanità accompagnano e si accostano alle ferite della vita, fino ad accostare a ciascuno di noi lo stesso Signore, rolanciando così il desiderio di felicità e compimento, che neppure la più forte sofferenza potrà mai estinguere o stralciare dal nostro cuore. La storia di Tobì, Tobia e Sara, rappresentano una catechesi narrativa, ci viene chiesto di entrare attraverso le loro vicende personali, in quel raccontarci le nostre fatiche e sofferenze, per poter riconoscere anche l'agire discreto e delicato di Dio, che mai si sottrae rispetto all'essere consolazione è misericordia.

martedì 1 giugno 2021

Messo alla prova

Tobia 2,9-14 e Marco 12,13-17


Il libro di Tobia, è un testo deutero-canonico, cioè ritenuto ispirato e quindi parte del canone delle scritture dei Cattolici e degli Ortodossi, ma non dai Protestanti, esso non è parte della Bibbia Ebraica. Si presenta dunque come un racconto popolare, di natura storica e sapienziale insieme, si propone di sottolineare l’importanza dell’elemosina, della preghiera, della fede e di ogni opera di bene, nella fiducia in Dio e nella sua continua provvidenza. La Provvidenza divina, infatti, mette alla prova ma pone anche di fronte alla retribuzione terrena del bene. Inoltre, viene presentata la figura degli angeli, di Raffaele che oltre ad essere un custode degli uomini giusti, è anche un accompagnatore di viaggio, un guaritore, un mediatore di matrimonio e anche intercessore.
Tobia è un uomo giusto, pio, di una fede pura e capace di infiltrare tutta la vita. Ma anche questo non esclude la possibilità di vivere ed essere messo alla prova. Il racconto del libro infatti vuole mettere in evidenza come è possibile e necessario vivere quando nella vita siamo messi alla prova. Il libro racconta come la "messa alla prova" non è un capriccio di Dio, ma come una esordiente che ha la possibilità di trasfigurare tutta la propria esistenza a partire dalla stabilità della fede e dell'adorazione di Dio. Come dire: è possibile nella prova fissare lo sguardo al mistero di Dio amore? La "messa alla prova" apre a questa possibilità, una condizione disarmante che mette in evidenza le nostre virtù, come anche tutte le nostre fragilità e ferite, compresa la ribellione nel vivere la prova.