martedì 7 settembre 2021

Una radicalità non istituzionale

Colossesi 2,6-15 e Luca 6,12-19


Accogliere Cristo Gesù, il Signore. È questo l'invito che Paolo rivolge alla comunità di Colosse; così come avete accolto Cristo, così camminate in Lui.Paolo vuole fare comprendere che accogliere Gesù non è una semplice scelta o adesione formale. Accoglierlo significa fare propria tutta la testimonianza di vita di coloro che ne sono annunciatori. Si accoglie Gesù, perché c'è chi mi porta Gesù come esperienza della sua vita e del suo incontro con lui. La nostra fatica e aridità, oggi, è proprio aver privilegiato una appartenenza frutto dell'istruzione catechistica e della sacramentalizzazione, come pure della tradizione nella quale siamo cresciuti. Ma se tutto questo non è parte di una testimonianza viva di chi ci racconta Gesù, allo stesso modo della lettera ai Colossessi, tutto si riduce a unafilosofia e a vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana.
Cerchiamo anche noi vivendo la nostra esperienza di fede, come dice Paolo di "camminare, radicati e costruiti su di lui", di appropriarci di una originaria esperienza viva che riveli a noi stessi la bellezza di un incontro esistenziale con il Signore. Ciò significa dare alla nostra fede una radicalità legata alle esperienze e non a una apparteneva Istituzionale. Ormai l'Istituzione ha mostrato tutta la sua mondana criticità e la sua inadeguatezza a testimoniare la fede nel Signore.

lunedì 6 settembre 2021

Che senso ha soffrire?

Colossesi 1,24-2,3 e Luca 6,6-11


Ciò che sperimenta Paolo,  e che racconta nella lettera ai Colossesi, è qualcosa di particolare, egli congiunge la sofferenza alla letizia. La partecipazione alle sofferenze di Gesù per amore di ciascun uomo e donna, con la letizia che deriva dall'essere uniti nell'amore. La sofferenza è il frutto della partecipazione alla passione del Signore: “Do compimento a ciò che dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa”. Si tratta di una sofferenza dovuta al ministero di annunciare il Vangelo. In questo possiamo comprendere tutta la sofferenza pastorale, quella che si vive nella Chiesa e nelle nostre comunità quando la fedeltà al Vangelo, quando il percorso della vita e della nostra maturazione umana, ci conduce in quelle strettoie nelle quali siamo provati dal soffrire per amore di Gesù e dei fratelli. Ma questa, è quella sofferenza, che riconosciamo come capace di generare un bene più grande, una grazia necessaria che ci manca. Credo sia questa la letizia che Paolo vede oltre è nella sua sofferenza. 
Dunque, oggi noi siamo invitati a cogliere anche la nostra personale vocazione e partecipazione al ministero di Paolo! A farci carico di una sofferenza capace di portare frutto, perché ci unisce intimamente al mistero della passione del Signore.

domenica 5 settembre 2021

Apriti, ascolta, parla

Is 35,4-7; Sal 145; Gc2,1-5; Mc 7,31-37


Dopo aver percorso la Galilea e aver fissato il proprio "quartier generale" in Cafarnao, Gesù inizia a predicare il regno dei cieli, a condividere il Vangelo in un territorio completamente diverso: la Decapoli.

Un territorio diverso geograficamente e anche culturalmente perché sottoposto ai forti influssi dei greci e dei romani; religiosamente diverso perché era un groviglio di esperienze politeiste e altre tra le quali anche l'eccezione dell'ebraismo.

Gesù non teme il confronto con una realtà profondamente diversa dalla sua, ed è in quella terra straniera che Gesù pronuncia la parola: Effathà! In aramaico, nel dialetto di casa, significa apriti, come si apre una porta all’ospite, una finestra al sole, le braccia alla 

persona a amata.

Una parola che in ogni battesimo, mentalmente esprimiamo compiendo il gesto di toccare le orecchie e le labbra del bambino. Apriti, apriti ad ascoltare ... Apriti a proclamare ... Ma cosa significa quell'apriti se non apriti agli altri e a Dio, anche se la vita ti ha ferito, anche se la realtà ti pone nel timore e nello smarrimento.

Apri la vita agli altri, non chiuderla in te stesso; apri i tuoi orecchi all'ascolto di Dio, alla sua parola ma anche delle sofferte parole di chi hai accanto a te; apri le tue labbra e lascia uscire la parola che in te, essa sarà eco delle parole del Signore, parole che sanno consolare, parole che sanno accogliere, parole che sanno voler bene, parole che sanno tessere legami e relazioni.

Gesù ha fatto proprio così, ha parlato al sordomuto e gli ha detto apriti, ora ascoltami (effatha): "e subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente". Prima gli orecchi, perché prima si accoglie ascoltando; se non sai ascoltare, le parole sono inutili e tu divieni sordo e muto, perché non ti lasci toccare il cuore da nessuno e diventi incapace di toccare il cuore altrui.

Forse la mancanza di parole della Chiesa, che in molti sentiamo come un vuoto incolmabile, dipende dal fatto che non sappiamo più ascoltare, Dio e l’uomo.

Di fronte alla pandemia e a tutto ciò che ne è venuto, di sofferenza, di fatica e di morte, cosa significa per noi credenti: apriti, ascolta, parla?

Di fronte al dramma della guerra e del subbuglio di tante parti del mondo come anche l'Afganistan, cosa significa per noi Chiesa: apriti, ascolta, parla?

Di fronte alle migrazioni che stanno cambiando le distribuzioni delle etnie e delle culture, cosa significa apriti, ascolta e parla?

Di fronte a creato che sempre più si ribella, offeso e ferito dell'inquinamento e dalla civilizzazione, cosa significa per noi: apriti,ascolta e parla?

Di fronte ai miei fratelli uomini e donne per i quali siamo chiamati a garantire la loro dignità, cosa significa apriti, ascolta e parla?

Credo che ciascuno di noi oggi debba aprirsi alla realtà, a comprenderla, a farla sua e a non scandalizzarsi della diversità rispetto al passato.

Oggi, apriti significa capire che anche la Chiesa è fatta non solo di ricchi, non solo di poveri, ma di persone che hanno sperimentato separazioni e divorzi; uomini e donne fragili con dipendenze psicologiche e da sostanze; c'è una umanità che non è malata ma che vive una condizione di diversità, che fino a pochi decenni fa era rifiutata. Ci sono persone vittime del sistema e della globalità che non hanno la forza di lottare in questo mondo.

Apriti significa prima di tutto non chiudere mai la tua porta, anche perché chi ti chiede di aprire è il Signore Gesù: alla Chiesa Gesù chiede di essere sempre aperta.

Dall'apriti, nasce l'ascolto. Ascoltare è dare una possibilità, è fare spazio, è dare valore e senso a ciò che mi stai dando di te. Non essere ascoltati, quanta rabbia, quanto male ci fa!

Ma ora, parla, non lasciare che il silenzio raffreddi e blocchi quanto il Signore ha fatto, per primo a te.

Ora basterebbero solo due parole, per dare senso a tutta l'apertura della nostra vita e a tutto l'ascolto del nostro cuore; le due parole sono: ti amo.

Bastano queste due parole per cambiare tutto!

Effathà , apriti ! ... Oggi per ciascuno di noi, quella parola del Signore è un invito a superare il limite delle nostre chiusure ed il limite delle nostre parole.

Lo stile della Chiesa oggi, l'agire del credente, non può che essere quello di Gesù, attento alla realtà, pur con tutta la complessità, per coinvolgerci in un incontro di vera fratellanza.

Le tre parole di questa settimana sono: apriti, ascolta e parla.


sabato 4 settembre 2021

La riconciliazione non è la "cancellina"

Colossesi 1,21-23 e Luca 6,1-5


Per Paolo, l'uomo non riesce a collocarsi di fronte a Dio in una condizione di "purezza"; concepire la misericordia di Dio, come conseguenza della nostra volontà e del nostro sforzo morale di vincere fragilità e i peccati, finirebbe solo per renderci immuni rispetto all'amore gratuito di Dio e a sterilizzarci circa la fede il lui. Il rapporto trascendente con Dio, infatti, o tocca l'autenticità della vita, nella sua interezza, oppure è una inutile paccottiglia devota. Ora la riconciliazione come misericordia, vicinanza e amore, si manifesta nell'agire di Dio padre nella carne di Gesù. È lui, Cristo, che in forza della sua morte e risurrezione ci realizza, in un modo trasfigurante, santi, immacolati e irreprensibili.
Tutto questo si realizza "in Cristo", come dice Paolo, è questa la condizione che nella fede rende visibile la nostra trasfigurazione (santi, immacolati, irreprensibili), come anche non rende  nulla, in chi resta lontano e nel rifiuto del Vangelo, la stessa riconciliazione che è per tutti. La riconciliazione non è mistero di "cancellina", per i nostri peccati, ma è condizione di amore di Dio che non li lascerà mai andare perso uno dei suoi figli. Che Dio ci conceda la grazia di camminare e di crescere sempre di più in Cristo e di abbondare nel ringraziamento per questa grazia che vi è data di conoscere.


venerdì 3 settembre 2021

La nostra "originalità".

Colossesi  1,15-20 e Luca 5,33-39


Oggi, non si comprende bene quale sia il concetto di primato o di principio originario, oggi all'idea di origine si sostituisce una realtà sotto certe forme astratta, per altre no, di una "nuvola" senza chiara definizione che racchiude in se stessa tutto l'universo virtuale e digitale, connessioni e relazioni social. In definitiva il concetto di origine ne risulta opinabile e indeterminato. Ma è proprio questa indeterminazione che va a sostituirsi e a contrapporsi a una immagine che per duemila anni a caratterizzato l'universo della fede e la vita spirituale dei credenti. La persona di Cristo, per quanto anche molto contrastata era comunque il riferimento concreto, stabile ed originario. 
L'inno si Colossesi, fornisce al credente la chiave di lettura della persona di Gesù Cristo come "prototipo originario".
Egli è il prototipo dell'immagine del Dio invisibile, come uguale al padre "Filppo, chi vede me vede il padre". È il prototipo rispetto a ciò che è creato: "Gesù è il primogenito di ogni creatura poiché in lui sono state create tutte le cose che sono nei cieli e sulla terra…. Egli è prima di ogni cosa." È prototipo nel riconciliare: "Al Padre piacque (...) di riconciliare con sé tutte le cose per mezzo di lui, avendo fatto la pace mediante il sangue della sua croce". Che cosa è dunque originario anche per noi credenti oggi? 

La relazione in Cristo con il Padre; la nostra esistenza a partire da quella di Gesù e la salvezza come dono del risorto.

giovedì 2 settembre 2021

La preghiera dei santi ...

Colossesi 1,9-14 e Luca 5,1-11


Da più parti si legge la "transizione e crisi" attuale, come processo inconvertibile di fine del Cattolicesimo in occidente, e svuotamento del senso religioso. Certamente la disgregazione del tessuto comunitario nelle nostre chiese, l'allontanamento progressivo non lasciano dubbi circa una crisi epocale e di svolta riletto al cristianesimo. Ma forse ci eravamo abituati a una immagine standard di Chiesa Cattolica, ereditata dal passato, ma che già era separata e lontana dai percorsi esistenziali della gente normale, quella di tutti i giorni. Una Chiesa lontana dai problemi e dalle situazioni esistenziali, per giunta nuove, per molti. A titolo di esempio, proviamo a pensare anche solo le questioni legate alla famiglia ...
Ma quale è la condizione del discepolo di Gesù, in ogni tempo?
Rileggere le lettere di Paolo può aprirci lo sguardo sulla nostra identità cristiana. Ci può permettere di recuperare una originalità, ed una essenzialità alla quale non facevamo più riferimento. 
La vita di preghiera fa parte della esperienza di fede. Senza la preghiera personale e comunitaria il vincolo di comunione si estingue. Non occorre pregare per qualsiasi cosa, ma secondo la volontà di Dio. Ecco che nella preghiera dobbiamo saper chiedere le cose giuste. Che cosa chiede Paolo nella preghiera? Ciò per cui egli pregava al tempo della comunità di Colosse, serve anche oggi per noi: "... che abbiate piena conoscenza della sua volontà, con ogni sapienza e intelligenza spirituale, perché possiate comportarvi in maniera degna del Signore, per piacergli in tutto, portando frutto in ogni opera buona e crescendo nella conoscenza di Dio". 
Se questa è la nostra preghiera, non esiste sconforto o crisi che possa mettere in discussione la nostra appartenenza a Cristo.

mercoledì 1 settembre 2021

Le risorse nascoste ...

1 Colossesi 1,1-8 e Luca 4,38-44

Paolo in un momento di grave difficoltà personale, scrive alla comunità di Colosse, e anche oggi ci stupisce il tono della lettura, che già nel saluto esulta di una grandissima gioia. Paolo riconosce nella comunità tutte quelle situazioni e doni di grazia di cui occorre dare lode a Dio, piuttosto che lasciarsi andare alla enumerazione delle difficoltà, che genera quella lamentela che nulla costruisce nella relazione umana tra fratelli.
Il primo atteggiamento che anche oggi Paolo ci insegna è la preghiera per la comunità. La nostra preghiera è spesso distratta e scarsa. Immersi nella frenesia del quotidiano il pregare è ormai una esperienza episodica è relegata a particolari momenti.
Ma è proprio la preghiera, e la fedeltà a quel momento di intimità con Dio, che dispone il nostro cuore e ma nostra vita ad accogliere il dono di ciò che ci accade, delle persone, della comunità, della famiglia ecc ... Nella preghiera permettiamo alla nostra umanità di farsi sensibile e attenta, dotiamo noi stessi di uno sguardo aperto e benevolo.
Nella preghiera gratuita e disinteressata, Paolo, impara a riconoscere quante "cose" belle possiede la comunità di Colosse: "la fede in Cristo; la carità verso i fratelli; la speranza che abita i desideri e progetti di vita".
In questi primi versetti della lettera, anche noi siamo invitati a riconoscere dove si radica ma fede della nostra comunità; quali segni di amore e carità siamo capaci di generare e quale speranza, cioè quale spinta positiva l'annuncio del Vangelo ci suggerisce di attivare. Di fronte a ogni smarrimento e scoraggiamento delle nostre comunità, nella preghiera, è questo lo sguardo che dobbiamo ricercare.