domenica 7 novembre 2021

Due monete di fragilità ...

1 Re 17, 10-16; Sal 145; Eb 9,24-28; Mc 12,38-44


Gesù è un grande osservatore, degli atteggiamenti, degli stili di vita, e attraverso il suo guardare, arriva fin dentro al nostro cuore e ci svela le nostre piccole e grandi ipocrisie, ci porta a conoscere le nostre fragilità e inconsistenze.
Gesù tocca il nostro umano e ci svela come riuscire a dare pienezza alla nostra vita, come dargli più senso.
I primi a essere guardati sono gli Scribi. Ma chi sono gli Scribi?
Sono coloro che insegnano, o dovrebbero insegnare la parola di Dio, insegnare ad amare come ama Dio. Ma cosa insegnano con il loro stile di vita?
Dice Gesù che "amano passeggiare in lunghe vesti" cioè non lavorano, la lunga veste non è adatta al lavoro pratico (certi preti con sempre con la lunga veste non ci farebbero una bella figura); amano ricevere saluti nelle piazze, desiderano il consenso e l'applauso sociale; amano avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti, cioè si pavoneggiano e si gonfiano nel ricevere onori. Sono dei veri e propri narcisisti; ma sono anche coloro che per avidità non guardano in faccia a nessuno nemmeno alle vedove, anzi a queste "divorerebbero la casa". Quando poi si tratta di mostrare il senso religioso sono veri attori capaci di sceneggiare per ore solo per farsi vedere.
Che dire se non ... "Proprio della brutta gente" ... 
Eppure anche questi Scribi, non si sono estinti, ma per una parte rappresentano stili di vita ancora presenti nelle nostre comunità e nella Chiesa. 
Come gli Scribi sono i cristiano ambizioso, clericali e manipolatori. Essi fanno della religione e del "tempio" un guadagno, un prosciugare, divorare la vita dei fratelli ... Anche dalla vedova vogliono tutta la sua vita.
Poi lo sguardo di Gesù seduto davanti al tesoro del Tempio, si fa attento alla folla che vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo (poco più di 10 centesimi attuali). Ciò che Gesù sottolinea è proprio come la diversità di esperienze, di condizione sociale e di vita, condiziona anche il gesto di gettare l'offerta nel tesoro del Tempio.
C'è chi getta del proprio superfluo, cioè dona solo ciò che non serve a soddisfare i priori bisogni e quindi in quel donare non rinuncia a nulla, quasi non se ne accorge ... Un gesto soprappensiero. Questo atteggiamento è frutto di narcisismo, egocentrismo, avidità e indifferenza rispetto agli altri e al mondo. Questi ricchi sono i cristiani indifferenti che mettono nel tesoro (cioè a disposizione dei fratelli) il loro superfluo ... Ma non hanno a cuore né il Tempio come luogo di preghiera e di onore a Dio; ma neppure il tesoro come esperienza di una carità capace di vera solidarietà.
Ma c'è anche chi è disposto a rinunciare a ciò che gli è necessario ed essenziale pur di offrire qualcosa (tutto) per il tesoro del Tempio. Il tesoro non è solo una ricchezza che veniva continuamente alimentata e accresciuta per il mantenimento della struttura, essa serviva anche per esprimere la carità verso il poveri, le vedove e gli orfani.
Ecco che la vita cristiana è segno dell'esperienza della vedova che solo donando tutto di sé, sovviene con amorevolezza alle necessità dei poveri e di chi è nel bisogno. 
Quel tesoro rappresentava infatti il segno della provvidenza di Dio verso il suo popolo. Una provvidenza che si rigenerava con il coinvolgimento responsabile di ciascuno.
Quel tesoro rappresenta una esperienza di carità. Ecco, di fronte a quel Tesoro, noi come ci collochiamo?
Come possiamo anche noi mettere due monetine che sono tutto noi stessi, tutta la nostra fragilità; ciò che ci rappresenta veramente.
Cosa significa allora donare tutto di sé? Vi suggerisco tre parole per iniziare a donare i nostri due spiccioli di fragilità ... l'essenzialità, il servizio e la fratellanza.
Si dona tutto attraverso l'esperienza dell'essenziale, perché ti libera dai condizionamenti e dalla bramosia del possedere ... La vera essenzialità è sobria e ti esercita nella gratuità ...
Si dona tutto attraverso il servizio, perché chi serve non fa volontariato, in cui mettiamo a disposizione una parte di tempo, di energie. Il servizio implica essere disposti a mettersi a servire senza compromessi, senza se ... e senza ma ...
Si dona tutto quando il dono ha come orizzonte i miei fratelli, i fratelli tutti che Dio mi ha donato per il mio bene e la mia felicità.
Gesù ci dice come i nostri atteggiamenti, i nostri stili di vita possono essere esperienze in cui fioriscono la gratuità e la generosità, e come anche occorre essere attenti a non divorare la vita degli altri e i doni di carità.












sabato 6 novembre 2021

Un bacio santo

Romani 16,3-27 e Luca 16,9-15


In questo ultimo capito della lettera ai Romani, Paolo si lancia nei saluti ai membri della comunità, sotto ogni nome c’è una persona amata e profondamente legata a Paolo e il tono dei suoi saluti lo mostra con evidenza. La comunità è composta di uomini e donne, giudei e gentili, schiavi e liberi, con ruoli e storie diverse tra loro: sono i “santi” di Roma. Uomini donne chiamati per nome che rappresentano il volto della Chiesa di Roma che si riunisce in una casa, essa è una casa/comunità, cioè una realtà ricca e composita, unita dalla fede e dallo Spirito, dove ognuno ha il suo nome particolare, ma tutti da Paolo sono chiamati “santi”. Un capitolo che mette in evidenza anche la ricchezza molteplice di un ministero al femminile ... Paolo non disdegna di citare abbondantemente il ruolo che le donne hanno nella vita della comunità.
Ma tutto questo cosa esprime se non il vero volto della Chiesa? L'annuncio del Vangelo cosa porta?
In molti collaborano con Paolo in questo annuncio e alla edificazione della comunità cristiana, in molti mettono in gioco le proprie relazioni per generare dei vincoli di vera fratellanza. È così che la Chiesa nasce e cresce, non per proselitismo, ma per amore a Cristo che opera nel cuore e nella vita di chi accoglie la Parola e per forza dell'amore tra i figli di Dio, che non si scoraggiano di fronte alle umane fragilità ma investono energie e forze nell'amore vicendevole.

venerdì 5 novembre 2021

"Ministri" di Gesù

Romani 15,14-21 e Luca 16,1-8

È una sorta di stupore che possiamo riconoscere nelle parole di Paolo. Lo stupore circa ciò di cui lui stesso è testimone: "Non oserei infatti dire nulla se non di quello che Cristo ha operato per mezzo mio ..."
Paolo non considera se stesso superiore agli altri, pur se consapevole di una vocazione unica che vive con orgoglio: "Così da Gerusalemme e in tutte le direzioni fino all’Illiria, ho portato a termine la predicazione del vangelo di Cristo."
Paolo è prima di tutto un uomo convertito che riconosce - con stupore - l'opera di Dio attraverso la sua persona e il suo agire. I successi nell'evangelizzazione - infatti - li attribuisce e riferisce come ciò che Cristo ha operato.
È questo il modo giusto di rileggere anche oggi, le nostre azioni relative all'evangelizzazione. Non saranno i nostri progetti pastorali a dare forza all'annuncio del Vangelo, ma sarà Cristo nella mitezza e dolcezza di un annuncio che tocchi la vita dei nostri fratelli; questo anche solo in quelle particolari circostanza di fragilità e fatica che però sono aperture alla grazia e alla vicinanza di Dio. Il nostro agire pastorale al pari di quello di Paolo non può non essere segno della stessa "mitezza" e vicinanza.

giovedì 4 novembre 2021

Gesù centrati!

Romani 14,7-12 e Luca 15,1-10


Oggi vivere per sé stessi significa dedicare tempo alla cura di sé; significa recuperare modi ed esperienze in cui amare se stessi; forse significa anche dilatare in modo esistenziale una forma innata di narcisismo. Credo di poter dire che vivere per se stessi oggi significa mettere al centro, mettere prima, i nostri interessi, desideri e aspettative; più semplicemente noi stessi, è il nostro io; vivere per se stessi potrebbe diventare una espressione di egocentrismo che preclude alla relazione con gli altri.
Ma, sinceramente, a noi basterebbe vivere in questa prospettiva? Ci basterebbe vivere per noi stessi?
Un cristiano ha imparato da Gesù che non è poi così bello vivere per se stessi, che pur se con fatica e sofferenza, vivere per un altro è meglio, perché significa amarlo, significa affidare ad un altro il dono della propria vita e nello stesso tempo riceverla, in una comunione che annulla la solitudine e sprigiona le enormi bellezze esistenziali della gratuità e della gratitudine. 
Le parole di Paolo fanno eco in noi alla esperienza che Gesù ha fatto, donando la propria vita, vivendola con noi e per noi, non solo la passione e morte, ma tutto il suo cercare relazione, dialogare, amare, insegnare, annunciare è stato espressione del vivere per noi. Ma se tutto questo è vero, cosa rappresenta il nostro vivere per il Signore... Il nostro morire per il Signore ... Condizione straordinaria in cui ci troviamo:"Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore".

mercoledì 3 novembre 2021

Debitori dell'amore

Romani 13,8-10 e Luca 14,25-33 

Cosa si intende per debito di amore?
Credo che ciascuno debba riconoscere che l'amore è espressione gratuita di un'insieme di sentimento, relazioni, esperienze, che si traducono nel dono gratuito di sé stessi. È la forza di questo abbandono/affidamento gratuito che ci spinge a ricambiare, quasi che l'amore ricevuto, non guadagnato e meritato in realtà corrisponde a un debito. Un tale debito che mai, proprio per la natura dell'amore riuscirò a ripagare. È un Paolo straordinario quello che si rivela in questi versetti di Romani, non solo che vuole mettere nel cuore dei credenti in Gesù e della loro comunità il gioco vivo dell'amore, ma in queste sue parole rivela quanto egli stesso si sente debitore all'amore di Gesù per lui. Non è un comandamento da obbedire, ma come compimento di tutta la legge,  riconoscere l'amore come debito di cui anche io ho beneficio, mi spinge a corrispondere pur sapendo che mai potrò ripagare all'amore che Gesù ha per me e per tutti gli uomini e donne amati dal Padre.
Quando cresce il nostro debito di amore, non preoccupiamoci di come ripagarlo, ma facciamo anche noi maggior credito di amore verso coloro che ci chiedono di essere amati, con la loro prossimità, con i loro problemi, con la loro amicizia, con la loro vita. In questo modo l'economia dell'amore dilagherà oltre ogni più rosea previsione.


martedì 2 novembre 2021

Commemorazione dei fedeli defunti

Giobbe 19,1.23-27 e Giovanni 6,37-40


Ho un ricordo del 2 novembre ... di una giornata di sole, neppure troppo fredda, e si andava, in famiglia, al cimitero a fare visita ai nostri morti. Era un giro che impegnava tutto il pomeriggio; una preghiera e via ... Ma la cosa più interessante era l'occasione per incontrare amici, parenti e conoscenti! Tanta gente! Si faticava anche a parcheggiare nei dintorni del cimitero. Questo ricordo di un bambino, lo rileggo nella radicata traduzione cristiana che poneva il culto dei morti in una grande attenzione e priorità. Forse non c'era una piena consapevolezza della risurrezione, ma il legame di affetto e amore con chi ci aveva preceduto nella vita garantiva il mistero e la speranza della vita oltre la morte. Oggi non è più così, l'evolversi rapido e tumultuoso della nostra società, ha portato anche una mutata consapevolezza culturale. Il senso religioso se non si è estinto, si è molto trasformato, e come conseguenza i cimiteri sono diventati solo depositi dei corpi dei morti. In questa giornata, non scorre più l'affetto dei vivi in quel pellegrinaggio che era un evento di popolo. Un popolo anche ridotto di numero, ma che ugualmente non smarrisce la speranza: la risurrezione di Gesù. Ciò che è accaduto nel tempo passato con la risurrezione del Signore apre uno spiraglio nella terribile consapevolezza umana della fine. Il mistero della risurrezione ci immerge nella eternità di Dio, suggerendo che nulla di noi è adeguato e nella possibilità di poterlo contenere e decifrare. Le parole di Giobbe ci immergono in una immagine in cui la vita nel suo concludersi è strappata violentemente via da noi, e in uno stato di privazione cioè di mancanza della mia carne ... Vedrò Dio! Una suggestione straordinaria per mettere in noi, ben di più di una speranza nella vita eterna, ma la certezza che non siamo solo incamminati verso l'ignoro, ma che lo stesso mistero di eternità colmerà ciò che viene strappato e ci colmerà, per sempre, della visione di Dio, cioè vivremo il Dio con noi.

lunedì 1 novembre 2021

Occorrono ancora le ricette per essere Santi?

Ap 7,2-4.9-14; Sal 23; 1 Gv 3,1-3; Mt 5,1-12


Sembrano veramente lontani anni luce i tempi in cui a Don Bosco, il giovane Domenico Savio scriveva in un bigliettino: "Mi aiuti a farmi santo”? 
Don Bosco chiamò il ragazzo e gli disse: "Quando tua mamma fa una torta, usa una ricetta che indica i vari ingredienti da mescolare: lo zucchero, la farina, le uova, il lievito.
Anche per farsi santi ci vuole una ricetta, e io te la voglio regalare. È formata da tre ingredienti che bisogna mescolare insieme.
Il primo è allegria; il secondo sono i tuoi doveri di studio e di preghiera e il terzo è far del bene agli altri. La ricetta della santità è tutta qui!"
Domenico ci pensò un poco ... i primi due “ingredienti”, gli pareva di averli; per far del bene agli altri, invece, qualcosa di più poteva fare, pensare, inventare. E da quel giorno ci provò. Erano i tempi in cui le ricette fornivano ottime torte di santità!
Ma questa nostra Solennità non può e non deve essere occasione di una sterile nostalgia del passato.
Lo spirito di Dio infatti continua a percorrere le strade della storia e della nostra vita, continuando la sua opera di santificazione, cioè rendere attuale il regno di Dio.
Papa Francesco, in questi tempi di crisi e transizione, con molta determinazione sgombera il campo dalle false immagini che possiamo avere circa la santità, e soprattutto da certe nostalgie del passato e da quelle forme di falsa spiritualità che nulla hanno a che vedere con l'incontro con Dio nella vita.
La santità è frutto - cioè conseguenza bella - della grazia - ovvero del dono di amore - di Dio.
Gesù ha spiegato con tutta semplicità - dice papa Francesco - che cos’è essere santi, e lo ha fatto quando ci ha lasciato le Beatitudini. Esse sono come la nostra cristiana carta d’identità.
Così, se qualcuno di noi si pone la domanda: "Come si fa per arrivare ad essere un buon cristiano?", la risposta è semplice: è necessario fare, ognuno a suo modo, quello che dice Gesù nel discorso delle Beatitudini. In esse si delinea il volto del Maestro, che siamo chiamati a far trasparire nella quotidianità della nostra vita".
La santità è un cammino non a partire da una osservanza morale fatta di leggi, norme e precetti, come quella del giovane che alla fine osservava tutto della legge di Dio, ma si ritrova ad essere solo e triste, e non ha il coraggio di stare con il Signore.  Ma è un cammino a partire dall'ascolto, a partire dal Vangelo, (come abbiamo visto ieri), un ascolto che coinvolge il cuore, la mente, le forze e tutta l'anima. Una Parola che ha il potere di illuminare la vita, mettendo in luce l’amore non separabile per Dio e per il prossimo. Le beatitudini ci permettono di fare quelle esperienze di vita che ci introducono in una vita Santa: piccoli tratti di strada, ma tutti significativi e capaci di testimoniare la grazia, il dono di Dio.
È ovvio che il dono di grazia da solo non basta, occorre sempre accoglierlo nella libertà e con desiderio. Il nostro desiderio di felicità e di amore.
La santità è come quel piccolo seme di senape che se vogliamo, gettato nella nostra vita, non sappiamo come, ma diventa un albero di stupore e meraviglie. Libertà e desiderio di felicità.
Ecco che Gesù ci vuole felici, cioè santi e non si aspetta che ci accontentiamo di un’esistenza mediocre, annacquata, inconsistente. Dice ancora Francesco: "Mi piace vedere la santità nel popolo di Dio, nei genitori che crescono con tanto amore i loro figli, negli uomini e nelle donne che lavorano per portare il pane a casa, nei malati, nelle religiose anziane che continuano a sorridere... Questa è tante volte la santità “della porta accanto”, di quelli che vivono vicino a noi e sono un riflesso della presenza di Dio".
Ecco oggi più del passato, in questo tempo di crisi e di transizione, dove tutto sembra travolto e sconvolto, dove anche la Chiesa fa esperienza di peccato; risuona ancora più forte la parola di Dio che come voce infrange la nostra sordità e come luce che si insinua nella tenebra della nostra cecità; una parola che chiede alla nostra vita di corrispondere alla grazia, non chiede cose straordinarie, ma solo di vivere amando, offrendo ciascuno la propria testimonianza nelle occupazioni di ogni giorno.
La proposta ad essere santi, il Signore la rivolge personalmente a tutti: lascia dunque che la grazia del tuo Battesimo fruttifichi in un cammino di santità; non avere paura a lasciarti guidare dallo Spirito Santo - dice papa Francesco -: "Voglia il Cielo che tu possa riconoscere qual è quella parola, quel messaggio di Gesù che Dio desidera dire al mondo con la tua vita. Lasciati trasformare, lasciati rinnovare dallo Spirito, affinché ciò sia possibile, e così la tua preziosa missione non andrà perduta". La santità non ti rende meno umano, perché è l’incontro della tua debolezza con la forza della grazia".
Chiediamo al Signore che oggi ci preceda e metta in noi quella sana inquietudine che è il desiderio di Santità, che non sia solo il ricordo di una schiera innumerevole di Santi, ma che accenda in noi il desiderio di vivere una "normale" vita felice, cioè santa.