1 Re 17,7-16 e Mt 5,13-16
Quale sapore sono capace di donare al mondo in cui vivo?
Quale luce rappresento per illuminare la tenebra che ci avvolge? Con quale luce e con quale sguardo tocco la vita di vive accanto a me?
Una lettura personale di questo passo del capitolo quinto di Matteo, ci porta inevitabilmente a farci carico della responsabilità che come discepoli di Gesú abbiamo di fronte al mondo che Dio Padre ci affida, e di fronte ai fratelli, di cui siamo custodi e non come Caino.
In realtà l'esperienza della fede ci dice che il Signore ci ha scelti per mandarci nel mondo, per incontrare i nostri fratelli; siamo come dei volti che portano tra la gente i segni della sua presenza, testimoni pur limitati e dubbiosi, della parola e della vita di Gesú.
Gesù con la sua vita e la sua Parola, ci rende capaci d'avere lo stesso sguardo di Dio sull’umanità: uno sguardo pieno d’amore. Uno sguardo che riveste della dignità dei figli: che ci rende preziosi e bellissimi. Ecco cosa significa essere sale, ed essere luce, significa essere segni espliciti e inequivocabili dell’amore che abbiamo ricevuto.
martedì 7 giugno 2022
lunedì 6 giugno 2022
Maria Madre della Chiesa
Gen 3,9-15.20/Atti 1,12-14 e Giovanni 19,25-34
L'immagine del racconto di Atti, va guardata con una attenzione particolare, fin dai primi momenti della vita di questa comunità post-pasquale Maria la madre di Gesù sembra essere da subito un fulcro di riferimento di memoria e consapevolezza, un legame irrisolto tra noi e il Signore. Colei che ha generato Gesù nel suo grembo ora sembra proprio generare dal suo utero la Chiesa di Dio. La maternità di Maria assume il carattere di maternità universale e di maternità della Chiesa.
Quale maternità oggi, può, insegnare Maria alla Chiesa?
Maria rappresenta nel cenacolo il fulcro di attrazione, di unità, lei garantisce quella comunione tra di noi che è indispensabile per vivere l'ascolto e l'accoglienza della e nella Chiesa. Ascolto e accoglienza sono le esperienze fondamentali di una Chiesa che si sente madre e che vive con responsabilità la comunione.
Fare comunione non è scontato neppure nelle nostre più vive comunità. La comunione non è esperienza massificazione o peggio omologazione, la comunione si genera nel dialogare e nell'ascoltare. Dialogare e ascoltare tutti i fratelli nella fede e anche i lontani, per gustare e manifestare la fecondità materna della Chiesa, chiamata ad essere in ogni tempo «madre gioiosa» di molti figli, molti ...
domenica 5 giugno 2022
Lo Spirito nella Pentecoste
At 2,1-11; Sal 103; Rm 8,8-17; Gv 14,15-16.23-26
Un Dio Padre creatore, un Figlio creativo e come conseguenza uno Spirito libero e imprevedibile nel suo agire e operare.
A questa originalità contrapponiamo la nostra prassi un poco ripetitiva a causa della consuetudine liturgia, dove i tempi ‘forti’ sono l'Avvento e la Quaresima, e poi perché ci sono le festività più quotate quali il Natale e Pasqua.
Ecco che tutto il mistero dello Spirito rischia di essere inglobato in una prassi sterile in cui celebriamo dei sacramenti ma non la vita, e neppure la nostra fede.
Quando la preoccupazione per la macchina pastorale delle nostre parrocchie, diviene la motivazione del nostro, pensare la comunità, la Chiesa e forse anche il nostro essere cristiani, allora tutto il nostro sguardo si fissa su ciò che appare, che non è essenziale: ci accontentiamo di un mese di maggio frettoloso e tradizionale; facciamo di tutto per celebrare i sacramenti, giustificando ogni possibile contrarietà; oggi poi tutto diviene attesa del tempo di vacanza in questa estate che incombe; emergono le iscrizioni all’oratorio estivo … ai campi e quant’altro riempie la nostra quotidianità.
Ma ecco che oggi, in tutto questo, quasi da un angolo dimenticato, nel frastuono di chi viaggia e del ponte del due giugno, spunta la Pentecoste, un evento di calendario, che ormai per tanti è senza contenuto, una festa senza dolce: né panettone e neppure colomba.
A cosa ‘serve’ dunque lo Spirito Santo. A forza di dire che è il consolatore, il paraclito, ci siamo adeguati all'idea di una ennesima divinità che dopo qualche effetto speciale (tuoni e filmi, lingue di fuoco e lingue molteplici ...) – ci lascia con la patata bollente dell’annuncio del vangelo in questo nostro mondo, consegnandoci a un'esperienza in cui la fede è più frutto, se va bene, di un vangelo trasformato dai sensi di colpa e dell'incapacità di viverlo, o in un prontuario di massime edificanti, non aggiornato, e a cui facciamo fatica a dare volto e sostanza.
Per vivere questa festa, questa solennità, occorre rimettere al centro di tutto l'amore, la nostra esperienza di amare.
Amare non come conseguenza della nostra bravura e nemmeno della nostra docilità, ma come conseguenza di una scoperta straordinaria: L'amore è ciò che tiene insieme ogni cosa, non sarebbe possibile separare l’amore di Dio e l’amore del prossimo, se questo amore non fosse parte del nostro esistere e della nostra struttura umana. Ecco amare è parte di noi stessi, è inseparabile da ciò che siamo.
Un Dio Padre creatore, un Figlio creativo e come conseguenza uno Spirito libero e imprevedibile nel suo agire e operare.
A questa originalità contrapponiamo la nostra prassi un poco ripetitiva a causa della consuetudine liturgia, dove i tempi ‘forti’ sono l'Avvento e la Quaresima, e poi perché ci sono le festività più quotate quali il Natale e Pasqua.
Ecco che tutto il mistero dello Spirito rischia di essere inglobato in una prassi sterile in cui celebriamo dei sacramenti ma non la vita, e neppure la nostra fede.
Quando la preoccupazione per la macchina pastorale delle nostre parrocchie, diviene la motivazione del nostro, pensare la comunità, la Chiesa e forse anche il nostro essere cristiani, allora tutto il nostro sguardo si fissa su ciò che appare, che non è essenziale: ci accontentiamo di un mese di maggio frettoloso e tradizionale; facciamo di tutto per celebrare i sacramenti, giustificando ogni possibile contrarietà; oggi poi tutto diviene attesa del tempo di vacanza in questa estate che incombe; emergono le iscrizioni all’oratorio estivo … ai campi e quant’altro riempie la nostra quotidianità.
Ma ecco che oggi, in tutto questo, quasi da un angolo dimenticato, nel frastuono di chi viaggia e del ponte del due giugno, spunta la Pentecoste, un evento di calendario, che ormai per tanti è senza contenuto, una festa senza dolce: né panettone e neppure colomba.
A cosa ‘serve’ dunque lo Spirito Santo. A forza di dire che è il consolatore, il paraclito, ci siamo adeguati all'idea di una ennesima divinità che dopo qualche effetto speciale (tuoni e filmi, lingue di fuoco e lingue molteplici ...) – ci lascia con la patata bollente dell’annuncio del vangelo in questo nostro mondo, consegnandoci a un'esperienza in cui la fede è più frutto, se va bene, di un vangelo trasformato dai sensi di colpa e dell'incapacità di viverlo, o in un prontuario di massime edificanti, non aggiornato, e a cui facciamo fatica a dare volto e sostanza.
Per vivere questa festa, questa solennità, occorre rimettere al centro di tutto l'amore, la nostra esperienza di amare.
Amare non come conseguenza della nostra bravura e nemmeno della nostra docilità, ma come conseguenza di una scoperta straordinaria: L'amore è ciò che tiene insieme ogni cosa, non sarebbe possibile separare l’amore di Dio e l’amore del prossimo, se questo amore non fosse parte del nostro esistere e della nostra struttura umana. Ecco amare è parte di noi stessi, è inseparabile da ciò che siamo.
Ma allora in cosa consiste l’amore che è lo Spirito Santo?
Consiste nell'esperienza dell’amore di Dio che è la vita stessa Gesù, il modo in cui lui ama, e ci ama: in modo unico, straordinario e sublime; e senza mai nulla pretendere...
A cosa ‘serve’ dunque lo Spirito Santo? A farci restare nell’amore che Gesù ci ha donato senza misura.
Lo Spirito ci insegna, ci suggerisce e ispira uno stile; offre un incoraggiamento; è memoria creativa della vicenda umana di Cristo.
A cosa serve lo Spirito?
Serve a misurare nella nostra umanità il fermento di quell'amore capace di renderci felici, di renderci immagine di Gesù, che tutto di sé ha dato per amore nostro. Lo Spirito ci introduce nella strada che già molti uomini e donne hanno percorso, amando con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze. E con tutta la gioia che solo l'imprevedibilità dello Spirito sa tirar fuori da ciascuno.
Consiste nell'esperienza dell’amore di Dio che è la vita stessa Gesù, il modo in cui lui ama, e ci ama: in modo unico, straordinario e sublime; e senza mai nulla pretendere...
A cosa ‘serve’ dunque lo Spirito Santo? A farci restare nell’amore che Gesù ci ha donato senza misura.
Lo Spirito ci insegna, ci suggerisce e ispira uno stile; offre un incoraggiamento; è memoria creativa della vicenda umana di Cristo.
A cosa serve lo Spirito?
Serve a misurare nella nostra umanità il fermento di quell'amore capace di renderci felici, di renderci immagine di Gesù, che tutto di sé ha dato per amore nostro. Lo Spirito ci introduce nella strada che già molti uomini e donne hanno percorso, amando con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze. E con tutta la gioia che solo l'imprevedibilità dello Spirito sa tirar fuori da ciascuno.
sabato 4 giugno 2022
Ultime parole, quelle che pesano …
Atti 28,16-20.30-31 e Giovanni 21,20-25
Nella risposta di Gesù emerge un tratto molto umano della vita delle comunità delle origini: il rapporto tra Pietro, colui che Gesù ha definito la pietra su cui fondare la sua Chiesa e Giovanni, il discepolo amato, quello che in un gesto di estrema intimità ha posato il capo sul suo cuore. È un confronto, non uno scontro. È un confronto nella diversità e nell'amore. Ciascuno infatti ha una "bellezza" particolare, ma non per questo l'uno è migliore dell'altro. Ognuno porta in sé, anzi rappresenta ed esprime una particolare impronta di Dio; grazie e capacità diverse caratterizzano la loro vita; ciò permette a ciascuno di seguire la propria strada, realizzando in Cristo la propria vita.
In realtà sia Pietro che Giovanni rappresentato ciò che ogni discepolo può e deve realizzare; seguire il Signore amando.
Seguire il Signore significa porre in nostro sguardo su Gesù e lasciarci attratre dalla sua persona al punto da sperimentare quanto il Signore ci è vicino, e ci ami più di tutti ...
Amare Gesù, invece, è un abbandonarsi alla possibilità di essre amati dal figlio di Dio, non per i nostri meriti, non per passione, ma come frutto di una tenera e amorevole intimità, capace di rassicurare e consolare. Come Giovanni, anche noi possiamo scoprire le conseguenze di essere amati da Gesù e del corrispondere al suo amarci; scoprire un amore che si è spinto fino alla fine, fino al dono totale di sé.
Nella risposta di Gesù emerge un tratto molto umano della vita delle comunità delle origini: il rapporto tra Pietro, colui che Gesù ha definito la pietra su cui fondare la sua Chiesa e Giovanni, il discepolo amato, quello che in un gesto di estrema intimità ha posato il capo sul suo cuore. È un confronto, non uno scontro. È un confronto nella diversità e nell'amore. Ciascuno infatti ha una "bellezza" particolare, ma non per questo l'uno è migliore dell'altro. Ognuno porta in sé, anzi rappresenta ed esprime una particolare impronta di Dio; grazie e capacità diverse caratterizzano la loro vita; ciò permette a ciascuno di seguire la propria strada, realizzando in Cristo la propria vita.
In realtà sia Pietro che Giovanni rappresentato ciò che ogni discepolo può e deve realizzare; seguire il Signore amando.
Seguire il Signore significa porre in nostro sguardo su Gesù e lasciarci attratre dalla sua persona al punto da sperimentare quanto il Signore ci è vicino, e ci ami più di tutti ...
Amare Gesù, invece, è un abbandonarsi alla possibilità di essre amati dal figlio di Dio, non per i nostri meriti, non per passione, ma come frutto di una tenera e amorevole intimità, capace di rassicurare e consolare. Come Giovanni, anche noi possiamo scoprire le conseguenze di essere amati da Gesù e del corrispondere al suo amarci; scoprire un amore che si è spinto fino alla fine, fino al dono totale di sé.
venerdì 3 giugno 2022
Detto questo, aggiunse: Seguimi!
Atti 25,13-21 e Giovanni 21,15-19
Seguirti dove? Come? In che cosa?
Gesù chiede in modo quasi spudorato, a un amico un poco rozzo e introverso, di essre amato; sarebbe una illusione aspettarsi una risposta corrispondente alle attese!
Ecco che Gesù chiede a Pietro di essere amato, ma non con la stessa immediateza e neppure con quell'amore che è da Dio; ma il Signore accetta che la risposta di Pietro sia un amore con tutte le sue prerogative umane, calato nella quotidianità, e frutto di una storia personale fatta di slanci e debolezze. Gesù chiede a Pietro di essere amato da Lui, ma accoglie quell'amore che Pietro riesce a corrispondere, senza pretesa alcuna.
È questa la strada in cui Gesù chiama Pietro a seguirlo; la strada dell'esperienza di amare; quella strada che ci rende più umani e sulla quale imparare ad amare come il maestro.
Pasci le mie Pecorelle …Sperimenta amando, cosa significa l'abbraccio, l’entusiasmo, la passione, la stessa compassione che Gesù ha avuto con Pietro quando lo ha rinnegato.
Ti amo, Pietro! Ti amo, con le tue fragilità, con le tue ferite, con le tue inconclusioni e con i tuoi possibili fallimenti!
Seguimi! Imitami, prendi esempio da me, e sii tenero con chi è più fragile, e non scandalizzati, non formalizzati, per le diverse possibilità di amare, ma anche tu ama!
Seguirti dove? Come? In che cosa?
Gesù chiede in modo quasi spudorato, a un amico un poco rozzo e introverso, di essre amato; sarebbe una illusione aspettarsi una risposta corrispondente alle attese!
Ecco che Gesù chiede a Pietro di essere amato, ma non con la stessa immediateza e neppure con quell'amore che è da Dio; ma il Signore accetta che la risposta di Pietro sia un amore con tutte le sue prerogative umane, calato nella quotidianità, e frutto di una storia personale fatta di slanci e debolezze. Gesù chiede a Pietro di essere amato da Lui, ma accoglie quell'amore che Pietro riesce a corrispondere, senza pretesa alcuna.
È questa la strada in cui Gesù chiama Pietro a seguirlo; la strada dell'esperienza di amare; quella strada che ci rende più umani e sulla quale imparare ad amare come il maestro.
Pasci le mie Pecorelle …Sperimenta amando, cosa significa l'abbraccio, l’entusiasmo, la passione, la stessa compassione che Gesù ha avuto con Pietro quando lo ha rinnegato.
Ti amo, Pietro! Ti amo, con le tue fragilità, con le tue ferite, con le tue inconclusioni e con i tuoi possibili fallimenti!
Seguimi! Imitami, prendi esempio da me, e sii tenero con chi è più fragile, e non scandalizzati, non formalizzati, per le diverse possibilità di amare, ma anche tu ama!
giovedì 2 giugno 2022
L'unità di chi ama
Atti 22,30;23,6-11 e Giovanni 17,20-26
La nostra fede non si concretizza nella osservanza di regole di religione, ma nell'amore che si genera nella relazione con Dio, con Gesù e con gli altri. È un amore che esprime comunione e unità. La fede è vivere di e in questa tensione esistenziale.
Gesù prega il Padre affinchè anche noi possiamo essere una cosa sola, come lui lo è con il Padre: uniti nell’amore. Solo l'esperienza di amare permette di scoprire e riconoscere Dio nella vita reale; solo l’esperienza di amare ci fa incontrare Gesù che non si stanca di amarci anche nei nostri limiti e tradimenti; solo l'esperienza di amare ci fa cresere e maturare umanamente aprendo lo sguardo sulla "necessaria bellezza" dell'altro. È questa conversione all'amore che ci permette di accecere al mistero della vita di Dio, la nostra vera e piena vita. L'unità allora non esprime una semplice aggregazione o un sodalizio, come anche non è una affiliazione di volontà, ma è l'appartenenza mediante la Parola ascoltata e accolta, alla vita di Gesù.
Ecco che l'unità, prima di essere una conseguenza, è un desiderio di Gesù, per coloro che credendo in lui e che hanno in lui il fondamento: l’amore; perché se l’amore è la natura e la sostanza del Padre e del Figlio nella loro relazione e se la loro relazione è feconda nello Spirito, così lo stesso amore unito e fecondo è in ogni relazione umana in cui Cristo è accolto.
Gesù prega il Padre affinchè anche noi possiamo essere una cosa sola, come lui lo è con il Padre: uniti nell’amore. Solo l'esperienza di amare permette di scoprire e riconoscere Dio nella vita reale; solo l’esperienza di amare ci fa incontrare Gesù che non si stanca di amarci anche nei nostri limiti e tradimenti; solo l'esperienza di amare ci fa cresere e maturare umanamente aprendo lo sguardo sulla "necessaria bellezza" dell'altro. È questa conversione all'amore che ci permette di accecere al mistero della vita di Dio, la nostra vera e piena vita. L'unità allora non esprime una semplice aggregazione o un sodalizio, come anche non è una affiliazione di volontà, ma è l'appartenenza mediante la Parola ascoltata e accolta, alla vita di Gesù.
Ecco che l'unità, prima di essere una conseguenza, è un desiderio di Gesù, per coloro che credendo in lui e che hanno in lui il fondamento: l’amore; perché se l’amore è la natura e la sostanza del Padre e del Figlio nella loro relazione e se la loro relazione è feconda nello Spirito, così lo stesso amore unito e fecondo è in ogni relazione umana in cui Cristo è accolto.
mercoledì 1 giugno 2022
Consacrati per la gioia
Atti 20,28-38 e Giovanni 17,11-19
Per tre volte Gesù utilizza la parola "custodire", cioè amare, proteggere, affinché siano uniti tra loro, con lui e con il Padre e perchè nessuno si perda. La preghiera assume un tono drammatico se vista come ultima richiesta prima di entrare nella glorificazione: passione, croce e risurrezione. Ma è proprio questa drammaticità che da il senso e l'intensità di ciò che Gesù chiede per coloro che restano nel mondo:
- è preghiera per chi è nel mondo, per chi vive la missione di essere verso il mondo;
- è preghiera per l'unità, per la comunione, come esperienza di vero amore e accoglienza;
- è preghiera per la gioia, che è la conseguenza finale di tutto (gioia è un amore realizzato).
Gesù non viene per toglierci dal mondo, anzi, ci invia nel mondo affinché ciò che del mondo è perduto si possa ritrovare; d'altronde la sua stessa missione è stata cercare chi era perduto, trovarlo, caricarselo sulle spalle e condurlo alla comunione, nell'unità del gregge, e a questo corrisponde la gioia del cielo per la conversione di un solo peccatore.
Fare nostra la preghiera di Gesù permette alla nostra vita di esprimere la sua più autentica vocazione: agire, operare nel mondo, nella verità e nella carità, ma questo genera quella consacrazione che altro non è che la vera gioia di Dio (un amore realizzato), in noi e con noi.
- è preghiera per chi è nel mondo, per chi vive la missione di essere verso il mondo;
- è preghiera per l'unità, per la comunione, come esperienza di vero amore e accoglienza;
- è preghiera per la gioia, che è la conseguenza finale di tutto (gioia è un amore realizzato).
Gesù non viene per toglierci dal mondo, anzi, ci invia nel mondo affinché ciò che del mondo è perduto si possa ritrovare; d'altronde la sua stessa missione è stata cercare chi era perduto, trovarlo, caricarselo sulle spalle e condurlo alla comunione, nell'unità del gregge, e a questo corrisponde la gioia del cielo per la conversione di un solo peccatore.
Fare nostra la preghiera di Gesù permette alla nostra vita di esprimere la sua più autentica vocazione: agire, operare nel mondo, nella verità e nella carità, ma questo genera quella consacrazione che altro non è che la vera gioia di Dio (un amore realizzato), in noi e con noi.
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