venerdì 30 settembre 2016

Giobbe 38,1.12; 40,3-5 e Luca 10,13-16
Tiro, Sidone ... Cafarnao, e ciascuno di noi

Queste parole di Giobbe: "Sei mai giunto alle sorgenti del mare e nel fondo dell’abisso hai tu passeggiato?" Ci introducono nella nostra relazione di fede, e nella memoria di oggi, San Girolamo. Questo grande santo ha dialogato con Dio Padre, attraverso le parole dei profeti; ha parlato di Cristo avendo posato il suo cuore nella Parola fattasi carne; ha dato sé stesso allo spirito, e attraverso lui, lo Spirito, ci ha aperto alla comprensione del mistero di Dio. Tutto questo rappresenta la Sacra Scrittura: introduce nel mistero rivelato dalla Parola. È Dio stesso che ci introduce nella conoscenza di sé stesso, in una relazione di amicizia che è vera conversione esistenziale. Più si è amici di Dio, più si conosce Cristo, più si lascia spazio allo Spirito, allora, si rinuncia alla propria solitudine e si cambia il cuore grazie all'amicizia, alla conoscenza e alla inabitazione.

giovedì 29 settembre 2016

Daniele 7,9-14 e Giovanni 1,47-51
I cieli aperti ...


Se dalla terra guardiamo i cieli, oltre al fascino e al desiderio di infinito, percepiamo la distanza e quasi l'impossibilità di accedervi. In questa logica nasce l'immagine dei cieli aperti, di una realtà infinita e divina che deve trovare una via di comunicazione con chi è sulla terra. In tutto questo, bisogna notare che ciò che sono i cieli viene narrato sulla terra. Come dire che la vita dell'uomo e del creato risuona delle realtà del cielo; un cielo senza la terra sarebbe privo della sua completezza. Nelle parole di Gesù a Natanaele, sono rivolti due chiari inviti: a vedere il re di Israele nella sua pienezza e verità; ma questo vedere si lega a quello del figlio dell'uomo e al vedere i cieli aperti. Gesù nella sua umanità porta il cielo aperto sulla terra, questo è ben più di una porta aperta; è una condizione che non si chiude. 

mercoledì 28 settembre 2016

Giobbe 9,1-16 e Luca 9,57-62
Volpi e aratri...


A una prima impressione sembrerebbero parole durissime, ma per chi ha messo mano all'aratro, risuonano come consolazione. Sì! La consolazione di sentirsi uniti al Signore per quel l'annuncio della parola; per quel operare al regno dei cieli che è stata la sua vita terrena, il suo agire in Galilea e Giudea fino alla croce. La proposta è di mettere mano all'aratro, ed operare per il regno. Fintanto che un discepolo non investe tutto il suo coraggio per il Signore, non avrà mai la gioia di pregustare la meta, gioia che invece appartiene a chi dell'aratro fa il suo indicatore di cammino. Chi mette le mai sull'aratro ha il coraggio di corrispondere al "seguimi/seguirò", ma solo questo coraggio permette di conoscere Gesù nel suo agire, e ci permette di superare una "sequela" da osservatori e accompagnatori "volponi".

martedì 27 settembre 2016

Giobbe 3,1-23 e Luca 9,51-56
La meta del cammino


Ci scoraggiamo per la fatica del camminare, e nelle situazioni di crisi smarriamo il perché del cammino e la visione della meta. L'amarezza e lo sconforto di Giobbe, fanno da sfondo a una vicenda umana che riconosciamo spesso condizione di molti; al punto che la morte, come condizione estrema sembra la soluzione liberante e complessiva. Ma per Gesù la morte non è la meta del cammino, la meta è Gerusalemme. La meta del suo camminare, dalla Galilea, dove le folle lo acclamano; attraverso la Samaria, dove sperimenta il rifiuto; è la città di Dio, la città del Signore degli eserciti; la sua dimora per sempre. Il cristiano attraverso Gesù impara a conoscere la meta e a non confonderla con un tratto del cammino, anche se un tratto impegnativo e che segna profondamente. L'indurimento del volto: "la ferma decisione", rappresenta la consapevolezza di una scelta già fatta fino in fondo, ma la scelta risoluta non esclude la prova e la fatica.

lunedì 26 settembre 2016

Giobbe 1,6-22 e Luca 9,46-50
Il Signore ha dato il Signore ha tolto


Sia benedetto il nome del Signore! Giobbe non attribuì a Dio nulla di ingiusto. Noi invece siamo a sindacare spesso gli accadimenti della storia imputando a Dio le sue responsabilità ... È un modo di porsi diametralmente opposto rispetto al suggerimento della scrittura. Come diametralmente opposto è l'atteggiamento di Gesù rispetto ai suoi discepoli verso coloro che operano autonomamente in nome del Signore stesso.
Sia benedetto il nome del Signore! Questa esclamazione si tinge di "gioiosità" e soprattutto di intimità, quasi quasi a suggerisce di iniziare ogni nostra giornata non con una domanda rivolta a Dio, ma con una esclamazione di lode. Prendiamo la "parte" di Dio e non di chi rivendica qualcosa da Dio.

domenica 25 settembre 2016

Amos 6,1.4-7 /  Salmo 145 / 1 Timoteo 6,11-16 / Luca 16,19-31
Quale valore ha il tempo e la vita ... 

Come ogni parabola, deve provocare, smuovere e introdurre un ragionamento nuovo. Ciò che in questa immagine ci provoca, è il confronto tra la ricchezza del ricco, descritta in tutta la sua ingiustizia: "indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti"; e la povertà descritta con una puntualità disarmante: "Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe". Il confronto si traduce nell'indifferenza della ricchezza verso la povertà. 
È la stessa indifferenza di un mondo che non vuole vedere la povertà che sovrabbonda. Ma questa indifferenza e cecità, possono anche trasformarsi in muri, ma non frenerà il disperato tentativo del povero di entrare nello spazio del ricco. Il povero cercherà sempre di toccare ciò che è del ricco, perché quella ricchezza ... In parte gli appartiene.
Ma la parabola rimbalza immediatamente dalla lettura della realtà ai valori che la determinano. Noi cristiani non possiamo porci nella logica mondana asservendoci alle ideologie dominanti. Noi discepoli del Signore dobbiamo pesare, con estrema cautela le orale rivolte a Timoteo da Paolo: "Tu, uomo di Dio ... tendi invece alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza. Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni".
Ora la parabola orienta il nostro sguardo non più sulle realtà del momento ma sul destino eterno. Mettendo in evidenza quella correlazione tra la nostra esistenza nel tempo e il nostro compiersi nell'eternità. Non due situazioni in contrapposizione e neppure in una semplice successione; ma due situazioni di vita in cui l'una e l'altra gettano luce sul reciproco senso. Ciò che hai vissuto nella realtà è come l'hai vissuta, da consistenza alla vita eterna. Una eternità beata, non è quindi il semplice frutto o la giusta ricompensa di una vita terrena buona; una eternità beata è il modo in cui una vita terrena beata si realizza fuori dal tempo. "Ogni uno si scalda alla legna che ha tagliato", questo impone al presente una dimensione valorale inaspettata... Ma comunque veritiera.

sabato 24 settembre 2016

Qoelet 11,9-12,8 e Luca 9,43b-45
Si è consegnato nelle nostre mani


Quando Gesù afferma che si consegna agli uomini, coro che ascolta restano meravigliati, ma non comprendono. Per loro, come anche per noi, sfugge il senso della consegna ... Perché la consegnare significa anche tradire ... La consegna rappresenta l'esperienza estrema di ogni atto di amore. Chi ama di consegna all'amato; ma chi ama si  consegna anche alla possibilità del sacrificio di se stesso, perché il sacrificio di sé diviene esperienza di vita donata. Nel tradimento, si cela nella iniquità del rifiuto dell'uomo, la passione dell'amore di Dio Padre che ci consegna il figlio come segno di amore.