giovedì 31 maggio 2018

Sofonia 3,14-18 / Romani 12,9-16b e Luca 1,39-56
Un inno alla gioia!

"Avvenga in me la tua Parola" ... Con questa disponibilità del cuore, Maria inizia una esperienza singolare, quella di riconoscere la gioia del Vangelo nella sua vita.
La buona notizia, il Vangelo, la Paola, il Logos che ha preso carne in lei, rappresenta anche il segno evidente della gioia: quale è la felicità piena se non quella di sentirsi amati e custoditi teneramente da Dio?
Dal momento in cui Maria accoglie la Parola, e ne diviene sua dimora, Ella si riconosce capace della gioia. Ed ecco che il brano del Vangelo di Luca testimonia una gioia non sentimentale, non psicologica, ma una gioia in atto, in azione. È la gioia di una relazione di spessore, vera come l'amicizia con la cugina Elisabetta. È la gioia come quella delle Beatitudini che si manifesta quando l'agire di Dio ribalta i nostri progetti e i nostri calcoli; è la gioia come conseguenza del fidarsi delle promesse fatte hai Padri. Ogni giorno con umiltà e mitezza diventiamo, come Maria: dimora e custodia dei doni belli del Signore.

mercoledì 30 maggio 2018

1 Pietro 1,18-25 e Marco 10,32b-45
Immergersi nel mistero dalla croce

Nell'annunciare la passione, l'evangelista ci descrive le fasi del supplizio del Signore. Questo per darci un aggancio concreto: Gesù fu realmente catturato, processato e condannato; subì il disprezzo (gli sputi), la tortura dei flagelli, l'uccisione ... Ma dopo tre giorni risuscitò. Questa premessa (una sorta di cronaca redazionale) non avrebbe alcun senso se non fosse in continuità con l'esperienza viva e vitale del Signore. Il servire e dare la vita, è sinonimo di sacrificio. Il sacrificio indica l'offerta totale di sé, quel "battesimo" che Giacomo e Giovanni, così imprudentemente, rivendicano anche per sé stessi.
Gesù rivela come la sua vita serve (è a servizio) alla vita di ogni uomo; il dono di sé stesso permette di fare comunione con la vita dell'uomo, altrimenti destinata all'obblio. La croce allora rappresenta un assurdo, un paradosso. Da una parte esprime il destino illogico del dolore e della sofferenza, che appartiene alla nostra esperienza di vita; dall'altra, la croce, rappresenta uno spazio di esistenza dove la vita di Gesù ne rappresenta lo scardinamentro delle regole: "... chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti ...", tutto questo fino a riconoscere la risurrezione come "alba" della notte della morte.

martedì 29 maggio 2018

1 Pietro 1,10-16 e Marco 10,28-31
E a noi?

L'eco della domanda del giovane ricco del Vangelo di ieri risuona ancora, dopo tanto tempo: "cosa devo fare per avere la vita eterna?"
La risposta di Gesù fu: "Una cosa sola ti manca: và, vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi".
La vita eterna, cioè la vera possibilità di felicità, nasce nel nostro oggi attraverso la povertà come stile di vita (condividi tutto ciò che sei e considera Dio l'unica tua ricchezza); ma anche questo da solo non basta; occorre fare gli stessi passi del maestro, seguirlo nel cammino della comunione/servizio ai fratelli e nell'amore al Padre.
Non è solo una scelta, è un modo di vita che ti si impone gradualmente per la vicinanza al Signore. Più starò con Gesù, accanto a Lui, e più desidererò seguirlo nella povertà cioè nel dono di me stesso.
Pietro e gli altri, a fatica comprendono queste parole ... al punto che rivendicano qualche privilegio in cambio del fatto che seguono il maestro; che hanno lasciato tutto!
La povertà evangelica, che apre la porta della piena felicita, non è puramente una scelta tra le altre ... Non possiamo includerla del segno della adesione morale, è ben di più, è un modo di vivere, è un modo di essere ... appunto è una beatitudine ... "Gesù non considerò un tesoro gelido ma sua uguaglianza con Dio, ma spoglia se stesso per condividerai con noi" ... La povertà non è una scelta di rinuncia della ricchezza fine a sè stessa, ma lo stile della condivisione.

lunedì 28 maggio 2018

1 Pietro 1,3-9 e Marco 10,17-27
Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli!

Questa prima beatitudine (felicità) del quinto capitolo di Matteo è indispensabile per comprendere questa pagina del Vangelo di Marco, per realizzare la dinamica degli sguardi ... Per vedere secondo Dio.
Al vedere complessivo di questo bravo giovane sulla realtà è sulla sua vita perfetta, corrisponde il fissare dello sguardo dia Gesù su di lui, e l'espressine "lo amò".
Ma è proprio dell'amore rivelare come contraccambiarlo: "vendi tutto, dallo ai poveri, poi vieni e seguimi". All'amore di Gesù deriva il seguirlo, senza attaccamenti ad altro e ad altri: uno stile di povertà. Lo sguardo di Gesù ricerca la disponibilità alla povertà evangelica: spogliarsi di ogni autoreferenza (tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza) per rivestirsi semplicemente di ciò che è possibile a Dio, la sua stessa volontà. Un modo originale di vivere la povertà evangelica, è fare della propria vita lo spazio della sequela, quella che cerca quotidianamente di intercettare la volontà del Padre, non quel seguire annacquato che caratterizza il discepolato di molti. In quella connessione, si entra nel regno dei cieli, la felicità durevole.

domenica 27 maggio 2018

Deuteronomio 4,32-40 / Salmo 32 / Romani 8,14-17 / Matteo 28, 16-20
Solennità della Santissima Trinità 

Monti della Galilea ... Non ce ne sono molti che possiamo indicare come tali ... piu che altro è una ambiente collinoso. A me piace allora indicare quel monte come lo stesso in cui il Signore si trasfigurò davanti a Pietro, Giacomo e Giovanni. Ora che Gesù è risorto, nei discepoli piu o meno increduli, cresce la speranza di poterlo rivedere in Galilea, dove Gesù stesso li ha invitati ad andare.
Tutti vanno all'appuntamento, nessuno si sottrae ... Tutti vanno con la loro titubanza, incredulità e anche col desiderio di tornare a vivere un momento di Gloria!
E perché no ... Pietro, Giacomo e Giovanni ritornano a quella giornata in cui Gesù li portò sul monte ed essi videro la sua gloria, videro il Figlio già risorto, sentirono la vice del Padre e sperimentarono la consolazione della nube dello Spirito che li avvolse.
Loro tre sono privilegiati ... Perché andare in Galilea sul monte richiama un evento che ancora oggi risuona come mistero e rivelazione di Dio, di Yhwh, così come nei tempi antichi.
Cosa ha di particolare questa rivelazione sul monte in Galilea?
È una grande apertura alla missione dei discepoli e della chiesa di e per sempre.

sabato 26 maggio 2018


Giacomo 5,13-20 e Marco 10,13-16
Lasciate che vengano a me!

È un gesto spontaneo quello dei bambini, provate a ricordare quando a quattro, cinque anni arrivavano i nonni o gli zii a trovarvi e con estrema gioia gli correvamo incontro! Io lo sperimento ogni volta, che vado in visita alla Scuola Materna Parrocchiale, e qualche bambino mi corre incontro e mi accoglie abbracciandomi ...
Che cosa muove questa accoglienza? Semplicemente la bontà, la tenerezza dei nonni o degli zii, oppure l'idea buona e simpatica che i piccoli hanno ancora di "don Fabio".
C'è da custodire, garantire e difendere (Gesù si indigna) il mistero del regno di Dio dalla rigidità dell'essere adulti auto-referenti, e soprattutto dalla religiosità che cerca di fare tacere il grido della gioia di chi desidera andare a Gesù. Per entrare nel regno occorre avere la gioia che hanno i bambini ... occorre almeno desiderarla con nostalgia ... altrimenti per forza, si resta fuori!


venerdì 25 maggio 2018

Giacomo 5,9-12 e Marco 10,1-12
La durezza del cuore e il pensiero di Dio

Cio che leggiamo e ascoltiamo oggi nel vangelo va ben oltre alla disquisizione circa le norme umane e divine circa la prassi del divorzio (ripudio) ma ci mette di fronte alla "durezza" del cuore umano.
La durezza si esprime in molti modi, uno è però esemplare, è la sfiducia per per il pensiero di Dio.
La durezza non esprime un rifiuto ma una lontananza che predilige una, alternativa puramente umana. Ma questa alternativa spesso la rivestiamo di autorevolezza e sacralità!
Questo percorso ha però delle conseguenze inaudite per gli effetti che provoca: indifferentismo, ateismo, secolarismo, il plagio della nostra natura umana a vantaggio delle sue fragilità.
All'origine non era così! Il pensiero di Dio era a servizio di un processo di umanizzazione in cui ogni uomo si determina e viene determinato all'interno di una relazione teologica. Lo stile credente, la vita cristiana, è questa esperienza che incarna il mistero nel quotidiano.