venerdì 31 agosto 2018

1 Corinzi 1,17-25 e Matteo Matteo 25,1-13
La stoltezza della croce ...

Ci sono momenti, o fasi della vita, in cui ho cercato di dare un senso alla Croce, intesa come sofferenza e fatica. Ma questo non mi ha mai portato molto lontano dal luogo in cui sono inciampato nella croce. La stoltezza della croce la misuro con la mia inadeguatezza al mistero. La croce ha di sogno di essere portata, accolta, voluta e anche amata ... Tutto questo rischia di essere una aberrazione per troppi ... Allora occorre partire dalla adorazione e dal desiderare ciò che la croce può dare: amore fino al sangue, un amore totale. La croce è la condizione in cui tutto diventa dono e attraverso cui si diviene una esistenza donata ... Questa sapienza per il mondo è stoltezza, perché il dono è inconcepibile se non è motivato da un ritorno, o da un amore che non sia un contraccambio.

giovedì 30 agosto 2018

1 Corinzi 1,1-9 e Matteo 24.42-51
Irreprensibili per il giorno del Signore ...


A partire dalla realtà, dalla vita che viviamo, dalla precarietà delle cose, dal limite delle conoscenze, anche solo parlare di Dio, e di salvezza, sembra tutto inadeguato. La creazione non necessita da sé un Dio e tantomeno una salvezza; così neanche il senso spirituale dell'uomo significa di conseguenza la trascendenza del mistero divino. Forse la progressiva e attuale indifferenza rispetto alla fede nasce proprio da questi presupposti. Allora, come millenni di anni fa, è Dio che si fa strada nella realtà creata, che noi non conosciamo e comprendiamo se non ne l'orizzonte particolare della nostra vita e del nostro tempo. Non può essere che Lui a fare breccia, a fare incursione nella nostra fragile incapacità di dare un senso che sia diverso dal caso. È il mistero di Dio che provoca la fede attraverso la vocazione cioè: chiamare l'uomo a prendere parte a una intima comunione con lui, che traduciamo con amicizia. È proprio Lui a rinnovare quella nostalgia sentimentale che assume i toni di una escatologia rispetto alla quale sempre ci sentiamo non preparati, non pronti ... Come il servo, custode che si lascia "trascinare" dalle stesse cose affidategli. Il vegliare assume la sfumatura della perseveranza e del discernimento del reale.

mercoledì 29 agosto 2018

Geremia 1,17-19 e Marco 6,17-29
Martirio di San Giovanni Battista
Il vortice del peccato

Giovanni è stato precursore della luce, della verità e della vita. Essere precursore non significa semplicemente che è venuto prima o che abbia preparato la venuta ... significa che ha lottato per la salvezza, si è opposto al peccato, cercando di anticipare le conseguenze della salvezza, cioè dell'amore del Padre. Quando ci soffermiamo a considerare cosa sia il peccato, spesso, anche noi cattolici ci limitiamo a una considerazione moralistica, per cui il peccato è una infrazione di una norma, di un precetto, di un comandamento, e quindi tutto lo riduciamo a una questione soggettiva. Ma il Vangelo di oggi apre a una comprensione devastante della realtà a causa del peccato. Il peccato è una deriva in modo alternativo di tutta la realtà: la vita di Erode, le sue scelte, la sua corte, Erodiade, sua figlia; tutto danza e si muove nella conseguenza di un esistere secondo il peccato: rifiuto di Dio come amore; è una struttura di peccato ...
Giovanni Battista, nel sacrificio della sua vita, pone tutto se stesso come argine al peccato e invito ai suoi discepoli a proseguire in quella opposizione al male. Essi infatti, i suoi discepoli, vennero, presero il corpo e lo posero in un sepolcro, poi riferirono il tutto a Gesù ... La salvezza continua nella lotta contro il male è il peccato ... Forse non è così anche oggi? Non è nella lotta al male e nell'opporsi al peccato che riconosciamo l'agire di Dio per realizzare la redenzione di ciò che esiste? Non può essere solo l'amarezza per ciò che viviamo oggi a declinare la quotidianità ... ma il sostegno a chi della lotta al male e al peccato ha fatto un programma di vita.

martedì 28 agosto 2018

2 Tessalonicesi 2,1-17 e Matteo 23,23-26
Non lasciatevi confondere ... State saldi ... C'é tanta la confusione ...

Chissà cosa stava accadendo nelle comunità paoline, forse nulla di diverso da quello che vediamo oggi nelle nostre chiese; se infatti allora qualcuno scriveva lettere ed esprimeva dottrine personali che mettevano in confusione circa la predicazione dell'Apostolo, non da meno oggi, memoriali, lettere e annunci sui social network creano divisione, confusione e scandalo per la fede di tanti. Di fronte a questa situazione, risuonano pesantemente le parole di Gesù "guai a voi scribi e farisei ipocriti ..."; esiste una ipocrita che maschera e distorce la verità, una ipocrisia che come inganno perverso ferisce e lacera il corpo mistico di Cristo, la Chiesa al pari degli scandali e dei peccati degli uomini di Chiesa.
Non lasciamoci troppo presto confondere la mente e allarmare, ma con fermezza restiamo saldi rispetto a quella "tradizione" ricevuta attraverso la parola del Vangelo e continuando a fare nostre la giustizia, la misericordia e la fedeltà; perseveriamo nella vita e camminiamo incontro al Signore.
La giustizia ha un intimo legame con la salvezza, per cui non c'è giustizia se non c'è manifestazione della misericordia; ma sia l'una che l'altra esistono come virtù che provengono dal cielo se ci portano a vivere la consolazione derivante dalla fedeltà di Dio alle sue promesse: "sono con voi sempre fino alla fine del mondo".

lunedì 27 agosto 2018

2 Tessalonicesi 1,1-12 e Matteo 23,13-22
Degni della sua chiamata ...

A volte ci facciamo strane idee circa la "chiamata", quasi che sia una consegna di un incarico per la vita ... Nelle parole di Paolo, la chiamata, ovvero la nostra vita diviene espressione dell'intima amicizia con Dio. La "chiamata" corrisponde allo spazio della fede, dell'amore reciproco, della sofferenza per il nome di Cristo, delle persecuzioni, della realizzazione del regno ... tutto è espressione della potenza di Dio, cioè della sua amicizia che è una offerta di gratuità e dono di amore.
San Paolo fa presente come la vocazione è prima di tutto attenzione del cuore alla presenza di Dio. Compiere la sua volontà non è eseguire una serie di precetti o dei doveri, ma è una esperienza di vicinanza e di condivisione di un tesoro: una esistenza felice nonostante a volte la durezza della quotidianità. È nella risposta alla vocazione che sorge la gratitudine a Dio per il dono della vita e della fede. La vita e la fede esprimono la risposta alla chiamata di Dio. Rispondere alla chiamata è l'esistenza cristiana.

domenica 26 agosto 2018

Giosuè 24,1-18 / Salmo 33 / Efesini 5,21-32 / Giovanni 6,60-69
Parole scandalose!

Tutto il capitolo sesto a partire dal segno del pane fino ad arrivare al pane del cielo, al mangiare il suo corpo e bere il suo sangue, tutto è sintetizzato in questa espressione: le mie parole sono Spirito ... sono vita!
Eppure i discepoli e le folle iniziano ad allontanarsi ad andarsene, perché quelle parole sono "dure".
Sono parole dure perché non ci appartengono; con difficoltà infatti impariamo a condividere il pane, a porre la vita a servizio degli altri, a diventare come il pane che si mette nelle mani di chi ha fame.
Ma nonostante tutte le nostre resistenze, le parole di Gesù, ciò che ci ha detto e che danno forma e sostanza al Pane, sono Spirito e Vita.
Di fronte a questo molti discepoli, anche oggi, reagiscono negandole: queste parole sono dure ...
No, non è vero, non sono le parole di Gesù ad essere dure, ma è duro il nostro cuore, è resistente alla fede la nostra vita, ed è indurito il nostro spirito!
Una durezza che tende all'auto giustificazione, che si esprime come indifferenza, come egoismo, come incoerenza della vita cristiana ...
Una durezza così insidiosa che è capace di rendere le liturgie che noi viviamo e facciamo delle vere menzogne, perché anche noi, da questo celebrare usciamo dicendo con il nostro modo di vivere che la "parola del Vangelo è 'dura' ... Chi può comprenderla?" E inevitabilmente esprimiamo la nostra durezza, la nostra disumanità e passo dopo passo ci si allontanerà dalla Chiesa, dal Vangelo, dal Signore, da Dio.
Di fronte a questo Vangelo, anche noi restiamo scandalizzati, cioè inciampiamo a causa di Gesù. Cadiamo di fronte ad un pane che ci presenta un Dio che si condivide; che si mette a servizio della vita; che si fa mangiare per diventare nostra vita; che non domina nessuno, ma serve tutti; che scompare, perché il pane scompare se vuole essere cibo, nutrimento ... Vita eterna ...
Quando mi allontano dell'eucaristia, mi allontano inevitabilmente dalla Chiesa; il segno evidente di questa lontananza è proprio il non vivere la Messa. Quanti oggi sono quelli che sono convinti della non necessità della Messa Domenicale? Quanti sono coloro che battezzati la percepiscono solo come noia; quanti sono coloro che preferiscono altro al cercare Dio.
È proprio in questa enorme fatica, in questa voragine tra fede e vita, tra mistero di Dio e realtà dell'uomo che Gesù ripete anche per noi oggi: "volete andarvene anche voi?"
Vogliamo andarcene pure noi? Vogliamo abbracciare una esistenza che rispecchia il pensiero di questo nostro mondo?
Quando avremo vissuto come il mondo ci insegna, secondo la logica dell'individualismo, della ricerca del benessere, del piacere fine a se stesso, del profitto e dello scarto, a quel punto ci saremo allontanati pure noi ... E in noi non avremo più il cuore in cui dimora lo Spirito della vita ... Ma avremo solo la durezza di una pietra.
A quel punto non saremo più in grado di desiderare il pane del cielo che è il corpo del Signore da mangiare.
Ora invece, quel cibo ci da la forza per non sottrarci all'esperienza di amare e di donarci.
Quel pane, il corpo e il sangue di Gesù, riporta nella quotidianità la Risurrezione, la vittoria sulla menzogna diabolica della morte compresa come parola definitiva per la nostra umanità. La parola di Gesù, diventa Il pane del cielo, che mette in noi la forza di rispondere come Pietro: "Signore da chi andremo ... Tu solo hai parole di vita eterna!"

sabato 25 agosto 2018

Ezechiele 43,1-7 e Matteo 23,1-12
Dove abita Dio?

L'uomo può perde la propria anima? Sembra di sì! Un uomo svuotato di infinito, dentro di sé, fa supporre che ha perso la propria anima. Un uomo i cui pensieri, affetti avvenimenti non gli appartengono più, suggerisce che ha perso la propria anima. Un uomo che riesce ad amare solo come effetto di un contatto virtuale, o gioire solo nella distanza e senza il contatto della carne, ha perso la propria anima. Un uomo che non ha più il bisogno di Dio, ha per forza perso la propria anima. Perdere l'anima è come ridursi a una esuvia, a un contenitore esterno. Come essere forma di umanità senza sostanza umana. Un uomo senza anima è come l'universo senza Dio ... È, per certi versi inconcepibile! La visione di Ezechiele ci introduce nella pienezza della realtà, dell'esistenza se riempita dalla gloria (presenza/potenza) della divinità. Una esistenza senza Dio, non è più esistenza ... essa è solo una formalità esistenziale. La percezione della presenza di Dio, si traduce, ora, nella qualità della vita secondo il Vangelo. Il Vangelo non ha proprio nulla a che fare con la formalità dell'esistenza, il Vangelo inaugura la rivelazione della presenza/azione di Dio a partire dall'esistenza umana animata dallo Spirito di Dio. Dove c'è l'anima umana, Dio, dimora nel Suo Tempio Santo.