mercoledì 31 ottobre 2018

Efesini 6,1-9 e Luca 13,22-30
Il nuovo che avanza ...

La profezia di Paolo, nelle sue lettere ci tocca in modo diretto - superando la contingenza del tempo - sollecitando la nostra piena maturazione spirituale e umana.
Come figli, in cammino per la propria autonomia e identità (realizzazione) viviamo l'obbedienza come dono e occasione, non come spazio in cui ribellarci alla Parola del Padre che è la nostra "vera disciplina" per crescere attraverso gli insegnamenti del Signore. Come schiavi, viviamo in quella appartenenza che ci fa realmente liberi, nulla ci può imprigionare, se non l'amore per il Signore che si rivela proprio nell'amore di coloro che ci sono affidati, fossero anche i nostri "padroni", superiori o governanti.
Attraverso la conversione dei sentimenti e dello Spirito, entriamo nella logica nuova ed inclusiva del a Regno dei cieli. Il Vangelo di Luca rivela come Gesù insegnando mette i discepoli di fonte alla loro tentazione di ridurre il Regno per una cerchia limitata di salvati. Una porzione di eletti (salvati) rispetto a tutto il resto (che resta fuori).
E se la porta stretta è comprendere che tutto è in funzione della salvezza universale in cui sperarono Abramo, Isacco, Giacobbe? È una logica che non ci appartiene, è veramente un travaglio culturale nel quale dobbiamo immergerci ...
Ma così, come Gesù cammina verso Gerusalemme, come il nuovo che avanza, anche noi i discepoli di oggi, siamo parte di questo attuale salire a Gerusalemme.

martedì 30 ottobre 2018

Efesini 5,21-33 e Luca 13,18-21
Ma è la Chiesa ...

Il granello si senso, il lievito ... cresce e fermenta, non solo nell'idea della dimensione e della quantità ma della sua pienezza ... Ed ecco che quell'immagine del "Regno dei Cieli" è la Chiesa nel suo compiersi nel tempo. C'è chi afferma la Chiesa non è il Regno dei Cieli, forse è vero solo in parte. Essa è ben di più, non solo infatti è "segno e sacramento universale di salvezza", e in questo è "Regno dei Cieli", ed esprime e realizza la presenza di amore che regge e governa l'universo creato, ma è anche mistica sposa di Cristo, la donna perfetta, la sposa dell'agnello, la vergine che attende con la lampada accesa "l'arrivo" dello Sposo.
Nelle parole di Paolo agli Efesini, è descritta una inedita visione della Chiesa, una piena rivelazione di come Gesù ha raccontato a Paolo che cosa è la Chiesa. Cristo è capo del corpo: una immagine cara a Paolo per esprimere la solidarietà e comunione tra le membra, ma anche la centralità di relazione con il capo, il quale da' coesione al corpo e ne determina l'esperienza della salvezza. Ebbene quel corpo è Chiesa! E Cristo la percepisce e riconosce come carne della sua carne, ossa delle sue ossa, suo corpo mistico e reale insieme ...
La chiesa sottomessa come la sposa, non è serva della potenza, ma come colei che si offre all'abbraccio dello Sposo! Si consegna per essere amata e resa viva dalla vita dello Sposo; perché di questo si tratta, nella relazione tra Cristo e il suo corpo che è la Chiesa: "... anche Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola con il lavacro dell’acqua mediante la parola, e per presentare a se stesso la Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata".
Si! Questo mistero è grande! Sì, e lo è ancora di più quando lo realizzo nel mio sentirmi parte di quella Chiesa che è amata da Cristo e che ama il suo Signore corrispondendogli pienamente. Per questo ogni peccato della Chiesa è una così grande sofferenza ...

lunedì 29 ottobre 2018

Efesini 4,32-5,8 e Luca 13,10-17
Eredi del regno di Cristo

Paolo moralista? Molti lo potrebbero leggere e interpretare nel segno di una moralità estrema, rigorosa; per certi aspetti rigida e bigotta. Oppure non è forse il coraggioso difensore della nostra vera natura. Un Paolo, soldato di Cristo, che difende la nostra umanità dalle insidie di quel peccato, che diversamente ci priva della legittima eredità: "eredi del regno di Cristo e di Dio". Non è certo il peccato di "fornicazione ... di impurità o di cupidigia ... né di volgarità, insulsaggini, trivialità ...", che ci priva del a Regno, quanto ciò che anche attraverso quel peccato determiniamo in noi: l'idolatria. Che cosa è infatti il peccato? Non è forse idolatria! Cioè amore di una realtà finita; di una compensazione effimera; di una gratificazione corrotta; di una frenesia non gestita. Infatti, se il limite occupa lo spazio della nostra umanità, del nostro cuore, tutto di noi rischia di essere orientato e coinvolto in quel limite. Paolo vuole portare ciascun discepolo del Signore in quella lotta che è difesa dell'interiorità attraverso un combattimento continuo e progressivo che conquista e difende il cuore, istaurando in esso il Regno di Cristo. È in questo modo che la moralità non è rigido moralismo, ma espressione della forza dell'amore del Signore. È la nostra volontà che si riveste della grazia del Signore ... e vince la lotta con l'idolatria, istaurando il regno di Cristo in noi! L'eredità è bella perché porta in sé il gusto della conquista! Conquistati al Signore!

domenica 28 ottobre 2018

Geremia 31,7-9 / Salmo 125 / Ebrei 5,1-6 / Marco 10,46-52
Ti vedo e ti seguo!

Un cieco che vuole vedere ... Che chiede di vedere. In realtà non è tutto qua! Ciò che è straordinario è che il vederci non si riduce al miracolo della vista, ma alla conseguenza di ciò che si vede. Bartimeo miracolato, vede Gesù!
È questa la chiave di lettura del brano e di tutto il Vangelo. Bartimeo, ora immagine del discepolo, vede Gesù e si mette alla sequela, lo segue in quella strada che conduce a Gerusalemme. Lo segue perché lo vede, non più come "rabbuni", ma come messia; come il Figlio dell'uomo atteso è rifiutato; come uomo dei dolori; come colui che viene trafitto; come colui che è appeso alla croce e muore; come colui che glorioso risorge.
Bartimeo uomo di questa città di Gerico, carico di tutta la fragilità che questo luogo rappresenta, non si limita ad ascoltare ciò che accade attorno a lui, ma desidera che Gesù si accorga di Lui. Quando averte che Gesù è vicino, il suo grido rompe ogni barriera di convenienza e di peccato. "Gesù figlio di Davide abbi pietà di me"! Questo grido chiede attenzione, esprime il desiderio di essere toccato, di non essere ignorato e abbandonato alla tenebra. Bartimeo ha desiderato l'incontro con Gesù, ancor prima di vederlo, ancor prima di mettersi a seguirlo per la strada. Quel desiderio nasce dall'ascolto di quanto gli altri attorno a lui gli raccontavano del maestro. La città di Gerico (1) era in fermento quando Gesù arrivava, la città di scuoteva dalle tenebre del proprio peccato, delle proprie fragilità. Bartimeo, ceco (2), desidera che Gesù scuota la sua cecità ... Squarci la tenebra e gli permetta di contemplare la luce: colui che crocifisso, morto e risorto illumina il mondo è ogni uomo.
Bartimeo, non chiede un miracolo, per vedere di nuovo, per confrontarsi con il degrado, con il peccato intorno ... Meglio restare cechi che vedere il male.
No, per Bartimeo il vedere ha un fine: seguire Gesù in quella strada che da Gerico sale a Gerusalemme, la medesima strada che percorre Gesù, diretto nella Città Santa per dare compimento alla sua missione. Vedere è per camminare accanto a Gesù per guardarlo crocifisso, morto e risorto.

(1) Siamo a Gerico, la città maledetta, la città degli uomini. Questa città antichissima, cuore del cuore dell'umanità, porta in sé la memoria della libertà e della scelta di male che portò alla distruzione di Sodoma e Gomorra; siamo nella città dell'oasi delle palme, per quanto la natura ancora offre l'immagine di una remota e paradisiaca bellezza; è la città della luna ...  dell'idolatria, dove regna l'adulterio rispetto alla fedeltà all'amore di Dio. Un luogo dove si intrecciano il desiderio di infinito e la miseria del peccato.
È in questo spazio che la tenebra ha offuscato e privato l'uomo della possibilità di vedere ... 
(2) La tremenda condizione della cecità: non dare una forma, non percepire il colore, non scrutare nella luce lo spazio infinito. La cecità è uno spazio di amara derelizione. Il grido di Bartimeo, non semplicemente un grido di disperazione o di invocazione, è il grido di chi desidera attenzione, come dire: Gesù, ci sono pure io in questo luogo, in questa enorme città di Gerico.

sabato 27 ottobre 2018

Efesini 4,7-16 e Luca 13,1-9
Raggiungere la pienezza di Cristo

L'intimo legame con il Signore, custodito, alimentato e coltivato nella quotidianità garantisce quel dimorare in noi del Signore, non come estasi o una qualche sorta di misticismo, ma come concreta manifestazione della fede che rende presente ed efficace quella grazia data a ciascuno, secondo la misura del dono di Cristo.
Cosa significa questo concetto Paolino, a volte così intricato?
Significa che è la mia preghiera quotidiana che esprime la mia unità con il Signore: Cristo dimora in me nell'atto stesso in cui io mi pongo nella preghiera alla sua presenza; per cui è l'atto in sé che esprime, genera e alimenta l'intimo dimorare.
Significa che è la celebrazione dell'eucaristia, domenicale o quotidiana, che pone oggi di fronte a me l'offrirsi di Cristo per la mia salvezza. Realizza e attualizza il suo corpo donato per me è il suo sangue versato per me; è così vero memoriale: "fate questo in memoria di me!" Ora!
Significa che ogni atto di amore, ben lungi dalla gratificazione personale e dalla propria autostima di sentirsi buoni e utili, apre alla dimensione del dono e della gratuità, condizione di elevazione e maturazione della nostra natura umana, per crescere così ben compaginati come corpo mistico e reale insieme del Signore risorto: "si cresce in modo da edificare noi stessi nella carità".

venerdì 26 ottobre 2018

Efesini 4,1-6 e Luca 12,54-59
Fino all'ultimo spicciolo ...

Dalle altezze (vocazione) del nostro mistero, alla profondità (ultimo spicciolo) della nostra responsabilità. Non diamo nulla di scontato, quasi che il nostro vivere sia senza ripercussioni e responsabilità. Il nostro agire umano è parte del mistero di gloria che nella vocazione personale trova la propria realizzazione e santità. Infatti che cosa è la Santità personale se non "comportarsi in maniera degna della chiamata ricevuta, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace".
Questo modo di vivere corrisponde al discernimento alla luce della chiamata del Signore. Quale bellezza racchiude in sé la "chiamata": altezza del nostro umano mistero; certezza della fede in Cristo e della comunione coll'unico Padre della grazia?
È questa pienezza, racchiusa in noi, che è destinata alla quotidiana ripetitività del tempo, affinché la nostra vita riveli il tempo opportuno, il tempo della crisi, del conflitto, della fatica, il tempo in cui riconoscere l'urgenza del bene che vincere il male. Il tempo in cui le nostre conflittualità sono portate alla luce del discernimento e della responsabilità: il male si vince con il bene; il bene è parte, mediazione, proprio della nostra chiamata.

giovedì 25 ottobre 2018

Efesini 3,14-21 e Luca 12,49-53
Siamo di Cristo!

Paolo, nella lettera agli Efesini, in preghiera chiede che la comunità e ciascuno sua rafforzato nell'uomo interiore. Chi è questo uomo interiore? L'uomo interiore, così come emerge dalla lettera agli Efesini, è ciascun discepolo di Gesù, dal momento in cui si rende disponibile ad accogliere la Parola e il mistero di Cristo che vuole prendere dimora in lui. L'uomo interiore nasce nell'atto stesso della fede (Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori); l'uomo interiore cresce in noi attraverso la quotidiana esperienza di rendere il Vangelo credibile (e così, radicati e fondati nella carità); l'uomo interiore giunge alla pienezza in forza dello Spirito che rende intima la presenza del Signore (conoscere l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza).
La condizione nuova in cui la nostra umanità viene rigenerata, non è quindi opera delle nostre forze intellettuale, dell'impegno morale e della perseveranza nelle virtù; essa è prima di tutto e nella sua origine "pienezza di Dio".
Questa pienezza, è nella nostra possibilità custodirla e alimentarla con la carità, preghiera, la contemplazione e mediante il superamento di ogni divisioni in noi e fuori di noi. Quando Cristo abbatte il muro di separazione, dilaga la pienezza di Dio, sta a noi utilizzare quelle pietre per edificare una strada invece usarle per restaurare il muro.