domenica 7 aprile 2019

Is 43,16-21 / Sal 125 / Fil 3,8-14/ Gv 8,1-8
Il coraggio di ciò che è nuovo contro la durezza della pietra!

Al tempo di Gesù ... "Maestro, questa donna è stata sorpresa in fragrante adulterio. Ora Mosè, nella legge ci ha comandato di lapidare donne come queste ..."
Nel nostro tempo (3 aprile 2019) in Brunei la lapidazione è stata introdotta per omosessuali e adulteri ...
Come mai ancora una voglia quasi preistorica di voler lapidare il proprio fratello, colui che odio visceralmente?
Il Vangelo di Giovanni ci riporta a una situazione in cui ci è chiesto di indagare profondamente il cuore, sentimenti e le intenzioni di coloro che accusano, della donna adultera e di Gesù.
Una donna, ormai in preda solo alla sua paura, è trascinata dalla rabbia dei suoi accusatori: con profonda ostilità, accanimento la vogliono morta! È adultera, merita la morte. Per chi è scriba e fariseo, non esiste altro che l'obbedienza a questa legge ... Senza alcun appello alla misericordia e all'assoluto della sacralità della vita.
Abbiamo con noi le Petra per scagliarti contro tutto il nostro odio, per ucciderti e seppellire sotto il tumulo della mostra rabbia ipocrita, il tuo corpo spudorato!
Questa donna merita la morte! Chissà al sentire queste parole, quella donna che cosa ha provato: sentirsi respinta, scartata, condannata ... Ti vogliamo vedere morire! Paura, angoscia, disperazione ... non saprei ... Spero che a nessuno di noi debba mai capitare di dover provare tali sentimenti, tali emozioni.
Poi c'è Gesù, lì nel tempio, era lì dopo la preghiera fatta all'alba nel monte degli ulivi, era lì per narrare il Regno dei Cieli, per raccontare e descrivere il volto di Dio ... Era lì nel tempio con chi voleva ascoltarlo per meravigliarsi e trovare nelle sue parole, quella verità che illumina il nuovo e rinnova la vita.
Gesù non si piega alla durezza delle pietre, durezza dei cuori umani, durezza delle leggi. Con sottile ironia Gesù reagisce con mitezza ... E pone il suo macigno lì in mezzo, lì accanto alla donna (la sua parola è per noi un macigno), pone il suo masso a difesa della vita di quella donna ... È in questi termini che possiamo comprendere le parole di Isaia della prima lettura: "Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?" Non ce ne accorgiamo, ecco infatti il nostro limite è proprio la possibilità di non accorgerci di nulla.
Un non accorgersi colpevole, da scribi e farisei ...
Non è forse ugualmente lapidazione ignorare il grido degli oppressi colpevoli di essere poveri del mondo, rifugiati irregolari, profughi ... "Dovete morire nella indifferenza dei politici, ma anche dei normali cittadini"
Non è forse ugualmente lapidazione l'urlo disumano di chi grida a rom e zingari (socialmente non molto simpatici) "dovete morire bruciati ... ladri".
Dalle pietre emerge la dirompente forza della barbarie che si sprigiona dalle ingiustizie e dallo scontento sociale della gente comune (quante inadempienze ...).
Non è forse lapidazione il linciaggio mediatico che a turno viene inflitto a seconda delle opportunità alle idee degli uni o degli altri, pur di fare polemica e infiammare la società rispetto al matrimonio, alla famiglia, all'aborto. Compresi più sul lato della rivendicazione di un diritto personale che sul riconoscimento di un valore etico sovra-umano.
Lapidiamo la realtà, gli avvenimenti, i principi, perché solo così il tumulo della nostra ipocrisia si ergerà a legge dell'uomo.
Di fronte alla violenza della "Lapidazione", Gesù oppone la novità della sua proposta di vita. Anche lui alla fine volevano lapidare; ma poi opteranno per la crocifissione, metodo più elegante ...
Il cristiano non lapida proprio nessuno, la tentazione di lapidare è diabolica ...
Il cristiano diventa scudo alla lapidazione, diventa scudo di difesa del fratello, della sua vita, del suo esserci, perché tutto di lui è sacro, anche moralmente riprovevole.
Gesù propone una novità di scelte, che radicalmente non tengono in conto il passato ma a partire dall'oggi, danno vita e prospettiva futura: "Chi ti condanna? Nessuno! Neanche io ti condanno ... Non peccare più!"
Chissà come si è sentita quella donna: passare dalla paura della morte per lapidazione alla tenerezza dello sguardo di Gesù!
Da un estremo all'altro ... Questo è stato sperimentare la "cosa nuova. Ecco germoglia in lei come grazia!

sabato 6 aprile 2019

Geremia 11,18-20 e Giovanni 7,40-53
... mi ha fatto vedere i loro intrighi ...

È una luce particolare quella che la Scrittura riflette attraverso queste pagine di oggi, è la luce che mette in evidenza, la paura, lo sconcerto l'angoscia di Gesù che "come agnello mansueto viene portato la macello".
Una immagine che getta luce su come il Cristo continua a patire nel tempo, attraverso i tradimenti di chi "trama contro di lui". Le ferite inferte alla comunione ecclesiale; il dramma della pedofilia; lo scandalo del compromesso con gli interessi del mondo; la vanità di chi vuole fare carriera; la superbia dei cuori induriti e incapaci di accogliere il grido di chi soffre... Tutto questo è complotto, è intrigo contro Gesù per farlo morire, per fare di lui un morto della storia e non il risorto.
Nel Vangelo di Giovanni al capitolo primo, subito dopo il prologo (tolto il prologo, questo inizio da un indizio importantissimo), a Giovanni Battista fu inviata una delegazione per investigare sulla sua identità e su quella di Gesù. Nel capitolo secondo, Nicodemo va da Gesù di notte, per rendersi conto di persona circa quell'uomo ormai così vociferato.
La narrazione degli eventi; le domande circa il Cristo che trovano ancora eco in questo capitolo, sono un segnale evidente di quanto Gesù abbia segnato profondamente il suo tempo, e fosse oggetto della considerazione dei capi e responsabili del popolo di Israele. Una situazione che non si esaurisce con la sua morte, ma che dilata nel tempo futuro la domanda innescata: "Chi sei Gesù, da dove viene, perché sei qui ..."
La sua persona, la sua parola, risuonano ancora oggi, come allora al punto che, anche noi possiamo associarci nel dire: "Mai un uomo ha parlato così".
È la sua persona, è la sua parola che anche oggi nella Chiesa sono via, verità, è vita; sono nuova coscienza di fronte alla fragilità e allo scandalo; sono occasione di nascere dall'alto/di nuovo, come Nicodemo ha potuto ascoltare direttamente con le sue orecchie, dalle sue labbra. Il sacrificio dell'agnello mansueto, è lavacro attuale per generare ancora la sua Chiesa Bella e Santa ... 

venerdì 5 aprile 2019

Sapienza 2,1.12-22 e Giovanni 7,1-2.10.25-30
Cercavano Gesù ... Il "mandato" del padre?

La lettura quotidiana del Vangelo, dà ragione alla continuità testuale che vede nel capitolo sesto una inserzione redazionale rispetto alla narrazione del Vangelo. Ecco allora che il capitolo settimo riparte da una comune consapevolezza, quella che i capi avevano deciso di eliminarlo, per cui Gesù aveva lasciato Gerusalemme (ultimo avvenimento accaduto è stata la guarigione dello storpio alla Porta detta delle pecore), ed era ritornato in Galilea. È un momento buio della vita del Signore, è il momento nel quale deve restare nascosto, nel quale il suo agire, il suo parlare è oggetto delle speculazioni e delle supposizioni. È il momento in cui il Signore sembra ripetere anche a se stesso di essere stato mandato dal Padre. In un progressivo crescendo, tutto sembra, prepari gli avvenimenti futuri della passione. L'evangelista concentra in questo testo alcune certezze:
- "Non è costui quello che cercano di uccidere?" (Mistero di morte e di gloria)
- "I capi hanno forse riconosciuto davvero che egli è il Cristo?" (L'identità negata del Cristo)
- " ... il Cristo invece, quando verrà, nessuno saprà di dove sia." (Il "mandato" del Padre)
Non è stato certamente facile per Gesù convivere con questa percezione della realtà, che già presagiva la sua morte; lo vogliono morto; i capi hanno già diffuso un verdetto irrevocabile. La folla inconsapevole, diviene già partecipe di questo itinerario di passione. È in questo orizzonte mortale che ironicamente Giovanni annuncia che chi vogliono uccidere è il Cristo! È la tipica ironia giovannea che mette a nudo l'assurdo umano, attraverso il quale, comunque, si dispiega la potenza della glorificazione. Ed è in questa dinamica estrema tra destino di morte e glorificazione del Cristo che Giovanni riprende il contenuto della finale del capitolo quinto, per richiamare l'attenzione sulla rivelazione dell'identità di Gesù. Non basta chiedersi se Gesù è il Cristo, e neppure se è il Messia, occorre ascoltare cosa Gesù stesso dice di sé: "Eppure non sono venuto da me stesso, ma chi mi ha mandato è veritiero, e voi non lo conoscete. Io lo conosco, perché vengo da lui ed egli mi ha mandato". Gesù viene dal Padre! Gesù è presenza e amore del Padre nella nostra intricata vicenda umana. Siamo come sempre in un gran "guazzebuglio" di difficile soluzione, unica certezza è che ogni nostro tentativo di conoscere e sapere la verità si insabbia. Unica certezza sono le parole del Signore: "... egli (il Padre) mi ha mandato!"

giovedì 4 aprile 2019

Esodo 32,7-14 e Giovanni 5,31-47
"Ma voi non volete venire a me per avere vita".

Nemmeno negli annunci della sua passione riusciamo a cogliere l'amarezza più profonda che il Vangelo di Giovanni è stato capace di raccogliere in questa finale del capitolo 
Al capitolo quinto, chi ascolta, quelli a cui facciamo riferimento sono i "giudei" ... Essi sono scribi, farisei, capi del popolo, uomini che non hanno bisogno della "gloria di Dio" (cioè della sua presenza/amore) in quanto è sufficiente la loro idea di sé per dare senso ai propri progetti e alla propria vita. Ma non voglio soffermarmi su queste disquisizioni esegetiche, ma sui sentimenti di Gesù, su cosa lui prova, cosa lui vive in questo momento della sua esistenza come verbo incarnato.
Giovanni riporta il disagio/amarezza del Signore in queste parole:
- "Ma voi non avete mai ascoltato la sua voce né avete mai visto il suo volto, e la sua parola non rimane in voi; infatti non credete a colui che egli ha mandato."
- "Ma voi non volete venire a me per avere vita."
- "Ma se non credete ai suoi scritti, come potrete credere alle mie parole?"
Espressioni di grande amarezza e solitudine, ma anche espressione della gratuità, della libertà, della tenerezza dell'amore del Padre che si comunica e condivide attraverso, e nell'esperienza umana di Gesù. L'amore non è una astrazione dei sentimenti, amare è esperienza di vita, di esistenza attraverso la totalità della persona. Dio non può che amarci attraverso una umanità come ma nostra, attraverso l'uomo Gesù Cristo. Quando l'amore è rifiutato, rinnegato, umiliato e offeso, diventa amarezza, diventa sofferenza, è una ferita aperta ... "non ascoltate ... non credete ... non volete venire a me ..."
Oggi attraverso queste Parole del Vangelo, dobbiamo entrare in noi stessi nel tentativo di riconoscere i segni, le opere, le esperienze, che testimoniano l'amore del Signore per ciascuno di noi. Un amore forse fragile e anche a volte velato dalla dura scorza della nostra umanità ... Ma comunque un amore che ci mostra la tenerezza del Padre. Un amore che chiede concretezza e verità. Se il nostro cuore è arido, chiuso ed egoista, rigetta i segni e le opere dell'amore. Quando ci affidiamo alle parole di Gesù, solo allora l'amore del Padre dimora in noi, anzi l'amore del Padre si muove verso di noi attraverso le parole di Gesù. C'è conversione attraverso l'amore, quando appunto c'è ascolto della sua parola. Ecco allora come nasce la vera vita: l'ascolto di Gesù, genera in noi un amore così diverso dal solito, un amore così affascinante che ci pervade totalmente, questo amore è la vita del Padre in noi. La gioia del Signore è dimorare oggi in questo amare.

mercoledì 3 aprile 2019

Isaia 49,8-15 e Giovanni 5,17-30
Amen, amen ...

Dopo la guarigione del paralitico, l'evangelista Giovanni ci rivela il motivo dell'avversione dei giudei, dei sacerdoti, di coloro che detenevano il potere; non può tacerlo, perché Gesù ha agito lì, nel luogo che rappresenta il centro del potere politico e religioso di Israele: il Tempio della città Santa, di Gerusalemme. L'agire di Gesù è - anche se non volutamente cercato - un attacco diretto alle istituzioni, e un giudizio pesante sulla "religione" di sacerdoti, scribi e farisei.
Ecco allora che i giudei, da quella che per loro è una provocazione, portata al "cuore" di un sistemare, cercavano ancor più di ucciderlo (ciò significa che già in altre occasioni si era meditato sulla sua eliminazione), perché violava il sabato (il precetto più sacro in assoluto per Israele) e perché bestemmiava Dio chiamandolo Padre.
Da questo momento il vangelo di Giovanni non ha più nessuna remora a riportarci quelle introspezioni circa la consapevolezza di Gesù circa il suo essere figlio di Dio.
Forse le possiamo considerare riletture di una comunità - quella giovannea - che si comprende come conseguenza della fede in Gesù Messia, e quindi ricerca i contenuti teologici della messianicità, ma certamente tutto parte da parole che si riferiscono alla autocoscienza di Gesù.
"Amen, amen ..." Introduzione che tradisce un evidente "semitismo", e si rifà quindi alla solidità delle parole del Signore, per tre volte, in questi pochi versetti, ci pone di fronte a tre manifestazioni del mistero di Dio:
- l'agire di Gesù come agire di colui che è figlio di Dio (Yhwh);
- l'ascolto della Parola e la vita di Dio;
- il giudizio di Dio, su Israele, sul mondo, su ogni carne.
Siamo di fronte a tre contenuti della fede di Israele che passano interamente nella fede in Gesù Messia di Yhwh: il riposo di Dio inteso come il compimento dell'opera, dell'agire del Padre; lo shemà Israel (ascolto) inteso come cuore della professione di fede; il giudizio di Dio su ciò che esiste e la promessa profetica della salvezza.
Ma la preoccupazione dell'evangelista sembra sia altra, sembra essere quella di condurci a una chiave di lettura di straordinaria novità: "il Padre infatti ama il figlio". È l'amore di Dio per Gesù che viene rifiutato, e diviene scandalo e inciampo per Israele. È l'amore del Padre per il Figlio che fa problema, alla religiosità, alla politica, al potere. Si perchè se Dio Padre, ama Gesù suo figlio, tutta l'opera di Dio, tutto è il come si  realizza il suo amare. Ma di quell'amore anche ciascuno di noi è partecipe; ed è ciò che è origine del nostro esserci.

martedì 2 aprile 2019

Ezechiele 47,1-9.12 e Giovanni 5,1-16
La porta delle pecore: il ritorno della simbologia.

Gesù raccontato da Giovanni è un uomo libero, pur immerso nella complessa realtà giudaica, con tutte le possibili interazioni sociali, culturali e religiose, egli non smette di essere pienamente libero e di compiere gesti che rivelano l'amore per Dio e per l'uomo, gesti privi di ogni condizionamento. Ciò che emerge dall'agire di Gesù è la sua vicinanza a chi malato, paralitico, peccatore, come possibilità di salvezza. Non semplicemente come possibilità di superamento di una fragilità, di un limite, ma come salvezza "Non peccare più, perché non ti accada qualcosa di peggio". 
Le parole del Signore, non sono una minaccia, ma l'invito a guardare nel profondo della propria condizione: se la paralisi è stata vissuta come condizione limitante della vita al punto che nessuno avrebbe mai potuto liberarlo da quel vincolo mortifero, similmente il peccato conduce all'impossibilità di lasciarsi immergere nella grazia ed essere sanato dalle acque dell'amore di Dio. Vedere, percepire l'amore è non poterne godere l'esperienza ..., questo è "qualcosa di peggio".
La libertà di Gesù corrisponde alla salvezza, la malattia (il legame/prigionia) corrisponde al precetto (la Legge) del sabato. Se trasformiamo il riposo del Signore, nel giorno in cui subiamo la nostra infermità, siamo dei maledetti! Ma quel giorno è lo spazio dell'amore più grande, della libertà di Gesù di darci la sua vita di figlio: “Prendi la tua barella e cammina”.
Occorre una vera rivoluzione, occorre guardarsi dentro per riconoscerci paralitici, ma soprattutto infelici: ciascuno di noi, bloccato nel proprio cammino, spento nel desiderio di salvezza è un infelice. La nostra esistenza non può realizzarsi nell'essere una pecora feria, malata, destinata dalle Leggi della  religiosità al sacrificio. Dove sta la possibilità di trovare pienezza?
Giovanni ci porta il Signore che ci dice "vuoi guarire?" Vuoi essere felice, ecco io mi fermo accanto a te per "fasciare la pecora ferita, per curare la pecora malata e ricondurre quella dispersa". Alla Porta delle Pecore, la libertà di Gesù trasforma un luogo di macello, nello spazio di salvezza! È la libertà di Gesù che fa la differenza!

lunedì 1 aprile 2019

Isaia 65,17-21 e Giovanni 4,43-54
Il secondo segno: tu vivi ... io vivo!

A Cana di Galilea, Gesù aveva trasformato l'acqua delle anfore in ottimo vino per la gioia della festa di nozze a cui era stato invitato con sua madre Maria, insieme ai discepoli. Il primo segno rappresenta l'inizio dei segni ... è il principio della fede dei discepoli che "credettero in lui". Il Vangelo di Giovanni si snoda attraverso "i segni", anzi potremmo quasi dire che la narrazione, si addensa attorno a ciò che chiamiamo "i segni". Questo è evidente per i sette segni che caratterizzano i primi didici capitoli, come è vero per il segno della risurrezione di Gesù che catalizza tutto il libro della Gloria; ovvero, la glorificazione di Gesù è l'ottavo segno, il segno che raccoglie i sette precedenti e introduce i discepoli nella pienezza della vita, quella che è di Dio Padre, quella che solo lui può garantirci.
Avere la vita, possederla, abitarla ... a patire dalla fede, dal credere. Gesù ci dona la vita, ce la offre nel suo morire, perché nella morte risorge glorioso...
Ecco che questa sua vita ha le radici nella sua esistenza, nelle relazioni, nelle amicizie, nella famiglia, nel suo essere generato nella carne. Non esiste neppure per Gesù una vita gloriosa a sé stante, separata dalla vita e dall'esistenza nella carne. Il secondo segno compiuto da Gesù ci mette di fronte all'esperienza della fede nella vita gloriosa come realtà che appartiene alla vita come esistenza. La fede non è mai una aggiunta intellettuale, un fine ragionamento, una comprensione di significato. La fede possiamo intenderla come la risposta di ciascuno di noi di fronte alla rassicurante parola di Dio "tuo figlio vive!"; a me piace risuonarla come: "tu figlio mio, vivi!".