domenica 2 giugno 2019

Atti 1,1-11 / Salmo 46 / Ebrei 9,24-28; 10,19-23 / Luca 24,46-53
Ascensione del Signore
Rivestimento kerigmatico ... Non travestimento dell'umano

I cristiani si rivestono e non si travestono ... Il problema è quando i battezzati si riducono a essere dei travestiti ...
Il Vangelo di Luca utilizza l'immagine del vestito per esprimere le conseguenze dell'Ascensione del Signore. Immagine che trova eco nella Lettera ai Filippesi dove dice: "Ma voi non così avete imparato a conoscere Cristo, se proprio gli avete dato ascolto e in lui siete stati istruiti, secondo la verità che è in Gesù, per la quale dovete deporre l’uomo vecchio con la condotta di prima, l’uomo che si corrompe dietro le passioni ingannatrici. Dovete rinnovarvi nello spirito della vostra mente e rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera".
Questo rivestirsi non dipende dalla nostra volontà, dalla nostra moralità ma dipende ed è prima di tutto, essere rivestiti di potenza dall'alto.
Quando siamo spogli del rivestimento che viene dall'alto, diventiamo incapaci di annunciare che Gesù ha vissuto e vive con noi; che ha patito; che è stato crocifisso; che è morto ed è anche risorto ... Diventiamo incapaci di annunciare e trasmettere il Kerigma; ci priviamo del Kerigma e di conseguenza non lo annunciamo a nessuno. Ecco... Ci siamo svestiti del Kerigma e abbiamo indossato una sorta di rivestimento che è un nostro modo di essere cristiani.
È palese che  una Chiesa, una comunità,  un discepolo, che non riveste la potenza del Kerigma, non serve a nulla, certo non porta il segno che Gesù affida: "ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra". Il Kerigma, ovviamente, non sono solo parole, è la nostra identità di fede, è la nostra appartenenza al Signore ... Traduce Ed esprime la nostra vocazione e missione.
Dall'alto al discepolo di Gesù non viene dato un travestimento, un costume, ma il vero abito nuziale quello del Risorto con Cristo  ... Esso è cucito dal Padre; con la stessa stoffa del vestito di Gesù (che è Gesù stesso) e portato a noi dal corriere, lo Spirito Santo ... Questa immagine, un poco ironica, nulla vuole esprimere di irriverenza ... 
Il vero problema di "questi vestiti" che vengono dall'alto, è che ne abbiamo la Chiesa piena - un po' come quelle vestine bianche  della Prima Comunione - appena usate le restituiamo per cui diventano vesti inutilizzate. Sono vesti della potenza a cui manca un umano da rivestire ...
Vestire un abito bianco come segno della fede e condizione e immagine esteriore per ricevere l'Eucaristia è cosa ben diversa dal vestire un indumento ritenuto sacro e funzionale alla rito di un sacramento per poi dismetterlo appena la cerimonia si è conclusa.
Vestirsi, ovvero rivestirsi della potenza che viene dall'alto, è rivestirsi di Cristo! Questo vestirsi non rappresenta uno strato che copre il vestito precedente o quello che sotto sotto rimane; esso è la realtà nuova quella vita nuova che abbiamo imparato da lui, una vita fatta di amore al maestro, di ascolto del maestro di azioni come il maestro.
Cristo ascende ... È nel seno del padre, ma il suo abito ... Il suo vestirci ciò di cui siamo rivestiti con potenza dall'alto, è dato alla Chiesa, è dato a ciascuno di in noi. È questa la prima condizione esplicita del suo ascendere al Padre, ma anche quindi del suo rimanere con noi e noi con Lui.

sabato 1 giugno 2019

Atti 18,23-28 e Giovanni 16,23-28
Chiedere per ottenere!

Voi mi amate, e credete che sono venuto da Dio, che sono venuto nel mondo e che ora vado al Padre. Questa successione di informazioni che Gesù da ai discepoli, non rappresentano una sintesi teologica tra l'Incarnazione e l'Ascensione. Esse rappresentano il tracciato inciso profondamente nella vicenda umana di Gesù del compiersi della volontà del Padre, cioè della grazia che ci salva. Tutto nasce da una esperienza di amore. Cosi come l'amore di Gesù per il Padre, rappresenta l'icona dell'amore del Padre per noi, allo stesso modo l'amore di Gesù è amore che si esprime pure nel limite, e nella fragilità della natura, la nostra, segnata dalla fame della grazia. La fame della grazia è quel desiderio di amore per colmare la nostra inconsistenza e inadeguatezza. Pregare per ottenere, non è certo una pretesa, un atteggiamento scambista. Pregare per ottenere significa collocarsi nella esperienza di amare il Padre, così come Gesù a cercato di insegnarci; di amare Lui, il figlio, perché in lui impariamo a dare forma al vero amore umano. Pregare per ottenere ... ottenere cosa? Quello che desideriamo? Si! Ma nel senso più vero del desiderio, cioè ciò che ci manca veramente: partecipar fino in fondo alla volontà del Padre. Gesù ai suoi, amati, chiede proprio questo: "Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena".
Solo in questa preghiera (richiesta) che ci coinvolge pienamente - grazie alla vicinanza di Gesù -, è possibile chiedere e ottenere ciò che è la nostra gioia piena. Io non chiedo gioie di un momento, ma la gioia di amare Gesù ... e di imparare ad amare la sua Chiesa e anche i miei fratelli. 

venerdì 31 maggio 2019

Atti 18,23-28 e Giovanni 16,23-28
Chiedere per ottenere!

Voi mi amate, e credete che sono venuto da Dio, che sono venuto nel mondo e che ora vado al Padre. Questa successione di informazioni che Gesù da ai discepoli, non rappresentano una sintesi teologica tra l'Incarnazione e l'Ascensione. Esse rappresentano il tracciato inciso profondamente nella vicenda umana di Gesù del compiersi della volontà del Padre, cioè della grazia che ci salva. Tutto nasce da una esperienza di amore. Cosi come l'amore di Gesù per il Padre, rappresenta l'icona dell'amore del Padre per noi, allo stesso modo l'amore di Gesù è amore che si esprime pure nel limite, e nella fragilità della natura, la nostra, segnata dalla fame della grazia. La fame della grazia è quel desiderio di amore per colmare la nostra inconsistenza e inadeguatezza. Pregare per ottenere, non è certo una pretesa, un atteggiamento scambista. Pregare per ottenere significa collocarsi nella esperienza di amare il Padre, così come Gesù a cercato di insegnarci; di amare Lui, il figlio, perché in lui impariamo a dare forma al vero amore umano. Pregare per ottenere ... ottenere cosa? Quello che desideriamo? Si! Ma nel senso più vero del desiderio, cioè ciò che ci manca veramente: partecipar fino in fondo alla volontà del Padre. Gesù ai suoi, amati, chiede proprio questo: "Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena".
Solo in questa preghiera (richiesta) che ci coinvolge pienamente - grazie alla vicinanza di Gesù -, è possibile chiedere e ottenere ciò che è la nostra gioia piena. Io non chiedo gioie di un momento, ma la gioia di amare Gesù ... e di imparare ad amare la sua Chiesa e anche i miei fratelli. 

Sofonia 3,14-18 (oppure Romani 12,9-16b) e Luca 1,39-56
Visitazione ...

Dall'esperienza dell'incontro di Maria con Elisabetta, assaporiamo anche noi, l'essere visitati dalla grazia di Dio.
"Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ...", essere riempiti a misura di Spirito Santo, si traduce per Elisabetta nello sguardo affettuoso verso Maria, ma anche, e giustamente, nel vedere l'opera di Dio, la salvezza realizzarsi attraverso e nella storia stessa della cugina. La pienezza dello Spirito anticipa per Elisabetta "la conoscenza della verità tutta intera". La visita di Maria ad Elisabetta è lo spazio umano, morale, affettivo della inabitazione dello Spirito. Quante volte abbiamo sentito questa espressione delle Scritture: "il Signore ha visitato il suo popolo" ... Ebbene ecco come avviene questa visita. È commozione: si è attratti non solo gli uni verso gli altri, ma la grazia di Dio attrae a sé in quella esperienza straordinaria, che è il riconoscersi parte di un mistero: "A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo".
È gioia, vera, che si esprime nel magnificare, nella commozione: "L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, ..."
Ecco allora che il contenuto più bello della visitazione è sentirsi parte di un mistero che ci ha anticipato nel passato, ci accompagna nel presente e senza imporsi ci precede nel futuro. Non è forse questo un modo di intendere l'illuminante espressione della Lettera ai Rimani, circa la relazione con la grazia?: "Siate lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera".

giovedì 30 maggio 2019

Atti 18,1-18 e Giovanni 16,16-20
Che cos’è questo “un poco”, di cui parla?

Dice Silvano Fausti: "Siamo chiamati a vivere nella storia il passaggio pasquale dalla croce ala gloria, dall'afflizione alla gioia. Le nostre tribolazioni, come quelle di Gesù, sono le doglie del parto per la nascita dell'uomo nuovo".
Ed è proprio la novità della vita che deriva dall'essere parte di Cristo; che muove la gioia; che smuove la tristezza, che incammina nella quotidiana perseveranza; che introduce nella comprensione della volontà di Dio attraverso le vicende a volte intricate delle nostre piccole storie personali.
C'è un mistero che in Gesù si compie, ma anche in noi - la sua morte e risurrezione -, mistero di gloria e di amore. Questo rappresenta il centro di irradiamento dell'universo, ma non solo. La morte e risurrezione del Signore è il "cuore" dell'eternità, è spazio della divinità eccelsa e al tempo stesso della vita e dell'esistenza. Questo mistero è nascosto e velato nelle pieghe della vicenda umana, e della storia personale di ciascun uomo. Ciascuno di noi non può che accostarsi a questo mistero, sentirne la presenza e vicinanza se non in quel poco di tempo e di vita che gli appartiene. La fugacità della nostra esperienza disorienta e ci provoca inquietudine; ma il mistero non viene meno e non si sottrae alla nostra esperienza. Questo mistero, quando ci sei dentro, tutto oscura; è il grande silenzio di Dio, comune indistintamente a tutti gli uomini, ma è il mistero di un Dio che si rivela nel proprio silenzio, nella propria "assenza": "un poco"che per chi lo vive dura un'eternità. Gesù paragona questo "un poco" alle doglie di un parto ... dal quale nasce l'uomo nuovo ... e la gioia, quella vera. Gesù garantisce di essere fedele sempre anche nel "un poco" di noi stessi.

mercoledì 29 maggio 2019

Atti 17,15.22-18.1 e Giovanni 16,12-15
Il peso dello Spirito ...

Si potrebbe obiettare: "... perché peso delle parole? Lo Spirito è la leggerezza!"
Se non fosse proprio per queste parole esplicite del Signore: "Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso". Non credo che dobbiamo intenderle nella dimensione della "gravosità" ma nella enormità della novità che le parole del Signore rappresentano. Una novità umanamente e intellettualmente non sempre comprensibile, se non come novità di una vita nello Spirito. Forse è proprio questa la fatica dei nostri giorni, come pure la fatica legata ai cambiamenti e alle trasformazioni nella vita della Chiesa. Quando infatti la "tradizione" viene assunta a termine di difesa e di opposizione rispetto al suo rinnovarsi - al rinascere dallo spirito - tutto nella esistenza umana diviene difficile e pesante. Eppure Gesù non ci ha affidato a una realtà, a un mondo cristallizzato, immobile e impassibile, ma Lui stesso è "venuto" in un mondo che ha esultato e che lo ha rifiutato; è stato donato a un mondo che per di più era indifferente ... Eppure lo Spirito ha sempre rappresentato quella pienezza di vita nuova che ha guidato il cammino della fede di chi crede in Cristo. È lo Spirito che apre il cuore e la mente alla comprensione delle scritture (ciò che è anticamente rivelazione di Yhwh); come pure alla comprensione, ovvero la partecipazione alle volontà di Dio, cioè le cose future, che si realizzano nel tempo presente fino al loro pieno compimento. Oggi la Chiesa vive questo travaglio, quasi come i dolori di un parto da cui deve nascere una vita nuova ... A San Paolo VI - papa - che oggi ricordiamo, chiediamo di intercedere per noi è per tutta la Chiesa, perché ci custodisca nella speranza certezza che la sofferenza Spirituale (il peso da portare) è pegno delle realtà nuove, è condizione del cammino di rinnovamento della tradizione.

martedì 28 maggio 2019

Atti 16,22-34 e Giovanni 16,5-11
È bene per voi che io me ne vada ...

Brutta espressione, perché per noi ha solo il sapore difficile della separazione. Per Gesù invece rappresenta quel tornare al Padre che forse possiamo tradurre nei termini dell'abbraccio di chi ritorna dopo tempo alla casa del Padre. Gesù desidera questo abbraccio; Gesù per tutta la sua vita nel tempo ha contemplato il Padre mediante la sua umanità ... ora c'è lo rivela (fa vedere) nella sua divinità; Gesù vuole tornare da colui che lo ha mandato, perché questo ritorno si traduce in un dono ulteriore, si traduce nel "mandare lo Spirito". Ecco che andare al Padre non è sottrarsi e separarsi da noi, ma è un venire a noi nello Spirito.
Non credo sia stato facile per i discepoli accettare questa condizione nella loro relazione con il maestro. Non è forse per questo che Giovanni ci riporta, quasi con tenerezza le parole del Signore: "Ma io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Paràclito; se invece me ne vado, lo manderò a voi." Sono parole di dolcezza, sono espressioni di tenerezza, sono la sua consolazione per tutta la nostra tristezza, per tutta la nostra paura, per ogni nostro domandare ...
Lo stesso Giovanni rilegge e medita queste parole per poterle giustificare a sé stesso e ne trova un senso profondissimo quando quelle parole sono "pronunciate" dalla croce; nel momento in cui Gesù muore in croce ed è innalzato, Gesù - glorioso e nella pienezza, risorto -, "emise lo Spirito": ci dona, manda lo Spirito.
Ora la relazione che vivono i discepoli si trasforma da reale a Spirituale. Non conoscono più Gesù nella carne, ma lo conoscono glorioso e risorto, lo conoscono nello Spirito che è dato. Ed è quindi lo spirito del risorto che dona la coscienza del peccato; ci apre alla conoscenza della verità che è da Dio; ci accompagna nel compimento del tempo che è pienezza di giudizio e salvezza.