lunedì 30 settembre 2019

Zaccaria 8,1-1 e a Luca 9,46-50
Tu, inaspettabile, conosci i pensieri del nostro cuore ...

Un pensiero, due ..., tre ... E nella frenesia di affrontare la quotidiana realtà tutto si amplifica, al punto che tutto sembra un campo di battaglia dove ci si misura in modo impari: la nostra fragilità e l'ostilità del quotidiano. È questo il dramma di chi pur cercandoti, non ti trova; di chi desiderandoti, sperimenta solitudine. Ecco che ci plasmiamo con le nostre mani contraddizioni che annebbiano l'anima; il cuore si riempie di vanità e la presunzione e il sospetto prendono il posto della fiducia e della bontà.
È crisi ...! E tu Signore ... dove sei ...?
Gesù  "prese un bambino, se lo mise vicino e disse loro: Chi accoglierà questo bambino nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato. Chi infatti è il più piccolo fra tutti voi, questi è grande".
Tu sei vicino ... Forse vorrei vederti "grande", sentirti "potente" ... ma la tua presenza è vicinanza, tu sei sempre accanto, nel silenzio e nella libertà. Tu sei "inaspettabile"come un bambino. Mi sarei atteso un Gesù profeta, un Gesù risolutore, un Gesù che apre la strada alla riscossa della redenzione ... No, tu sei vicino come un bambino, che accanto ti tende la mano perché venga stretta fortemente. E in quella stretta, noi, rinunciamo a "condurre" la trama del cuore e a lasciare che quel bambino guidi il nostro cuore nella volontà del Padre. Riprendendo le parole di Zaccaria, il "bambino" prendendoci la mano ci riconduce: "Ecco, io salvo il mio popolo dall’Oriente e dall’Occidente: li ricondurrò ad abitare a Gerusalemme; saranno il mio popolo e io sarò il loro Dio, nella fedeltà e nella giustizia". Lasciamo che Gesù riconduca il nostro cuore a Gerusalemme! Il Signore non risolve la crisi, egli la attraversa, lui ci conduce nella presenza del Padre, nella dimora di Yhwh ... la vera Gerusalemme.

domenica 29 settembre 2019

Amos 6,1.4-7; Sal 145; 1Tm 6,11-16; Lc 16,19-31
Il Signore protegge lo straniero, l'orfano e la vedova ...

Mai Paolo ha parato in modo così perentorio, pur con tutta la conoscenza della sua intransigenza non ci saremo mai aspettati: "... ti ordino di conservare senza macchia e in modo irreprensibile il comandamento, fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo".
Ti ordino di conservare il comandamento ... Di quale comandamento sta parlando se non di amare il prossimo, di amare i nemici, di amare quelli che non vorremo amare ...
Come il Signore ci ha chiesto di fare.
La cosa interessante è che Gesù mai dice ti ordino di amare, ma Paolo invece lo dice!
Di fronte a Timoteo, suo figlio nella fede, da padre e guida si impone per tracciare una indicazione, da Paolo, riconosciuta come irrinunciabile.
Con altrettanta fermezza, l'evangelista Luca ci immerge in una parabola molto nota, che offre tantissimi spunti di rilettura, quella del povero Lazzaro e dell'uomo ricco.
Tante volte, fin da bambino Letta questa parabola, mi nasceva dentro un senso di profonda tristezza e una domanda "perché?".
Perché tanta indifferenza e freddezza verso Lazzaro; perché tanta immutabilità per un destino privo di salvezza?
Mi lascio aiutare dalle  parole del Papa: "... il ricco non era un uomo cattivo, ma era un uomo malato. Egli aveva una malattia in grado di trasformare l’anima delle persone: la mondanità (...) la mondanità anestetizza l’anima, ha detto il Santo Padre, e ci rende incapaci di vedere la realtà. La mondanità trasforma le anime, fa perdere la coscienza della realtà: esse vivono in un mondo artificiale, fatto da loro (...) La mondanità anestetizza l’anima. E per questo, quest’uomo mondano non era capace di vedere la realtà“.
Non era capace di amare Lazzaro, non era capace di comprendere come nella sua vita metteva in gioco tutta la vita, anche quella eterna.
Anche oggi gli uomini, i cristiani mondani, diventano ciechi, vedono solamente dentro la propria vita e così facendo si creano una realtà tutta loro. Una realtà in cui non c'è più spazio per nessuno, è questo il limite di avere il “cuore mondano“: l’essere centrati solo su se stessi, al punto da non riuscire più a “capire la necessità e il bisogno degli altri. Con il cuore mondano si può andare in chiesa, si può pregare, si possono fare tante cose” ma non si è in grado di provare compassione per gli altri ... e mentre si muore nella vita presente alla misericordia, si muore alla salvezza eterna.
La mondanità ci fa insensibili a chi profugo muore nel mare per cercare di raggiungere un porto separato, e non importa se uomo, donna e bambino.
La mondanità ci fa insensibili alle povertà, alle guerre, agli stermini che tuttora continuano ad accadere.
La mondanità ci chiude gli occhi sulla cura del creato e sulle responsabilità ambientali.
La mondanità vi rende superbi e intolleranti rispetto alle diversità, scartate e non comprese.
Vivere in Cristo, riecheggiando queste parole serve proprio per non mondanizzarci, serve come antidoto alla durezza di cuore.

sabato 28 settembre 2019

Zaccaria 2,5-9.14-15 e Luca 9,43-45
Consegnato nelle nostre mani ...

L'irrilevanza cristiana che percorre il nostro tempo, il nostro spazio occidentale, rappresenta una singolare grazia per sanare la presunzione di superiorità umana della rivelazione che si trasforma in una espressione di idolatria. Tutto sembra in declino, tutto sembra crollare; molti se ne vanno; la fede non è più riconosciuta come realtà positiva, ma è espressione di arretratezza e di debolezza; l'indifferenza religiosa ha il sopravvento mettendo in evidenza un umanesimo emancipato ed autoreferenziale. Ma sé questa è la lettura, pessimistica, non pensiamo che il momento storico che ha conosciuto l'incontro con Gesù, fosse poi così propizio alla Fede e al Vangelo. Che la gente fosse ammirata per tutto ciò che Gesù faceva, mette in ombra il rifiuto, incredulità e il sospetto, hanno accompagnato i tre anni di ministero del Signore. La testimonianza dei vangeli è concorde nel dirci che: "Essi però non capivano queste parole: restavano per loro così misteriose che non ne coglievano il senso, e avevano timore di interrogarlo ...".
Il tempo che viviamo è tempo di grazia, quella che incontra la nostra fatica e ripete a noi oggi: "Mettetevi bene in mente queste parole: il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini".
Questa espressione possiamo rileggerla come annuncio della passione e morte, oppure come condizione stabile/storica/esistenziale del mistero dell'incarnazione. È il modo in cui il "Dio con noi" si fa prossimo, e incontra l'uomo, assumendone l'umanità. Egli si consegna nell'uomo all'uomo, per esser la sua stessa vita e per condividerne la salvezza, cioè la risurrezione. Questa esperienza di Dio si fa piccola e accessibile in Gesù, al punto di consegnarsi liberamente nelle mani degli uomini, e questo per sempre e in ogni istante del tempo, che in questo senso, riempito di Dio, diviene kairos, ovvero il tempo propizio! Che il "Figlio dell'uomo" si consegni nelle nostre mani è bellissimo! Questa presenza di consolazione rende possibile percepire anche il nostro tempo affaticato come "Travaglio del parto" di una Storia che non è abbandonata a sé stessa ma che appartiene sempre al Padre. 

venerdì 27 settembre 2019

Aggeo 1,15-2,9 e Luca 9,18-22
La gloria del Tempio ... La gloria del Figlio ...

Se si pretende di trovare un compimento della profezia di Aggeo, forse si rimarrebbe delusi, perché, il Tempio fu riedificato, ma poi fu anche distrutto/profanato e restaurato nuovamente, fino al tempo di Erode il Grande che diede al Tempio il connotato della immensità e della meraviglia. Ma anche quel Tempio tanto decantato è stato distrutto e ora ne resta solo quel muro di sostegno (del pianto) della spianata che ospitava i cortili sacri e il Santo dei Santi. Ma la gloria del Tempio, non si identifica con la vanità dei decori e l'imponenza delle pietre, ma risiede nella presenza, nel dimorare di Yhwh. Ecco allora che quella gloria di cui il Vangelo di Giovanni ci parla in relazione a Gesù è il figlio stesso glorificato, dimora del Padre e presenza dello Spirito Santo.
Il Vangelo di oggi, lo rileggo in questa chiave, Gesù il "Cristo di Dio", l'unto dello Spirito, il consacrato del Padre. Gesù è dimora di Yhwh, in Lui, si manifesta la gloria come vicinanza di Dio Padre, ossia la misericordia come reazione storica al peccato e all'iniquità che si sprigiona dal creato e dalla storia dell'uomo. Gesù manifesta questo legame con la gloria-presenza a partire dalla sua autocoscienza di essere il "Figlio dell'uomo". Gloria che diviene esperienza e si manifesta nella sofferenza, nel rifiuto e nella morte. Essa è la potenza o gloria del Padre ed ha in sé una forza che è redenzione. Lo splendore della gloria è visibilità dell'amore che salva: cioè passione, morte e risurrezione di Cristo - "La gloria futura di questa casa sarà più grande di quella di una volta, dice il Signore degli eserciti; in questo luogo porrò la pace".-

giovedì 26 settembre 2019

Aggeo 1,1-8 e Luca 9,7-9
Continue inadeguatezze 

Ritornati dall'esilio, dopo lo slancio iniziale, tutto si insabbia, la casa del Signore, il Tempio della sua Gloria è accora in rovina; gli interessi personali e di parte hanno preso il sopravvento ... L'indifferenza della vita prevale sul dimorare di Dio in mezzo al suo popolo. È un popolo il cui cuore si allontana ... La gioia del ritorno di è convertita nel sistemare gli affetti, nel consolidare sicurezze, nell'accumulare profitti ...
E Dio? Yhwh, dimora nelle rovine di un tempio del Passato, distrutto e inagibile.
La profezia fa' eco alla volontà di Dio che reclama di manifestare la sua "Gloria".
L'immagine della prima lettura - frutto di una situazione storica - può diventare emblematica del "mistero del Dio con noi", di una incarnazione attraverso la piccola realtà che nasconde la "Gloria". Dio non rivendica la grandezza di un Tempio, ma il suo dimorare con l'uomo. Noi pensiamo al dimorare di Dio come soddisfazione del nostro senso religioso, che il più delle volte è solo una forma di "latria", di culto formale reso alla divinità. Ma il dimorare di Dio, e con l'incarnazione diviene evidente, è un esserci personale la cui relazionalità riempie il senso religioso, da soddisfazione al bisogno umano, compensa la solitudine esistenziale che accompagna il nostro esserci. Yhwh vuole dimorare in Israele prima ancora che nel Tempio, come ora il Dio di Gesù, vuole dimorare nell'esistenza (nell'esserci) di ogni discepolo del suo Figlio. È a partire da questo dimorare che mi converto e che formo alla mia risposta di fede.


mercoledì 25 settembre 2019

Esdra 6,7-20 e Luca 8,19-21
Il Tempio di Dio!

Per noi non è proprio la stessa cosa, per noi l'edificio sacro è generalmente un luogo abbastanza distante dalla nostra vita, un luogo funzionale alle celebrazioni rituali religiose. Quando però si costruivano le Cattedrali non era così! Quella esperienza di popolo somigliava molto a quella di Israele, alla riedificazione del tempio dopo la deportazione a Babilonia. La vergogna della distruzione del primo tempio, pesava ancora nella storia e nella memoria dei deportati; il loro ritorno e tutto ciò che viene messo in opera per la riedificazione del Tempio di Dio, non è un aspetto marginale della vita e della identità del popolo stesso. Tutti come un corpo solo realizzano la riedificazione al fine di espiare il peccato e, purificati, si possa nuovamente celebrare ma Pasqua. Ecco quella celebrazione è il "rito perenne", alleanza di generazione in generazione, nuova genealogia che si riaggancia alle benedizioni di Dio rivolte all'uomo e alla creazione, fino a quelle dei patriarchi. Cosa rappresenta quindi il Tempio per un Ebreo? È certamente il luogo Sacro, il luogo Santo, ma è propriamente dimora di Dio, casa dell'Ascolto e della sua presenza.
Venendo meno il senso della dimora e della presenza, anche l'ascolto della Parola diviene puro esercizio morale, ma non più stare alla presenza del Signore. Quando l'Ascolto è dimorare alla presenza, si genera in noi anche la vera e originaria esperienza del Tempio Santo in Gerusalemme. Anche Gesù vive la dimensione dell'Ascolto come dimorare nel Padre, ed è proprio questo che lo conduce più, e molte volte, al Tempio in Gerusalemme, ed è da questa esperienza di Ascolto che ci condivide la relazione di fraternità che ci costituisce in un vincolo di famiglia: "Mia madre e miei fratelli sono questi: coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica".

martedì 24 settembre 2019

Esedra 9,5-9 e Luca 9,1-6
... mai abbandonati!

"...  e così il nostro Dio ha fatto brillare i nostri occhi e ci ha dato un po’ di sollievo nella nostra schiavitù". Le vicende della storia di Israele non rappresentano mai dei fatti o delle situazioni sterili: anche la schiavitù, l'esilio, l'oppressione dei tiranni sono in realtà il cammino di un popolo insieme al suo Dio. Israele è il popolo che porta in se il "segno sacramentale" della vicinanza di Dio a ogni uomo; per questo Israele non è mai abbandonato dal suo Dio, e quando l'intima certezza di questa vicinanza si delinea con chiarezza, gli occhi di ogni israelita brillano per la tenerezza di un Dio accanto, per il sollievo di non sentirsi soli e abbandonati. La solitudine e il dramma umano esistenziale per eccellenza.
Che cosa rappresenta la missione oggi? Se la missione non è proselitismo, dovrebbe proprio esprimere lo sguardo di tenerezza di Dio Padre per ogni uomo; dovrebbe essere la vicinanza di Dio attraverso quella Chiesa di Cristo che con stupore, guardando le periferie umane ... può, e deve pure lei dire "... il nostro Dio ha fatto brillare i nostri occhi e ci ha dato un po’ di sollievo nella nostra schiavitù".
Quando Gesù invia i dodici ad "annunciare il Vangelo" da alcune idicazioni di meto, chiede di non portare bastone, né sacca, né pane, né denaro e neppure due tuniche, perché tutto l'agire missionario si il frutto dell'annuncio e dell'ascolto della Parola del Vangelo. Il brillare degli occhi, il sollievo dalle schiavitù, sono la conseguenza esplicita della missione come libertà dal male, dal peccato; come conseguenza della conversione che è prima di tutto l'accoglienza umana rispetto a Dio.