martedì 31 dicembre 2019

1 Giovanni 2,18-21 e Giovanni 1,1-18
Nessuna menzogna viene dalla verità 

Giunti all'ultimo giorno dell'anno è necessario riuscire a fare la "cernita" di quanto vissuto in questi mesi e in questi giorni. Occorre fermarsi e compiere un gesto che per molti non è semplice, quello di rievocare alla memoria il vissuto, buono e meno buono, i gesti, le decisioni, le persone incontrate, gli avvenimenti; occorre fare discernimento alla luce della verità, alla luce del mondo; occorre "vagliare" noi stessi attraverso il pensiero e i sentimenti di Gesù.
In questo la prima lettura di questa mattina è certamente di aiuto. Non è un giudizio che dobbiamo mettere in atto, ma un discernimento, andare oltre la distinzione del buono e del cattivo, del bene e del male, e renderci sensibili a riconoscere l'agire dello Spirito: "Ora voi avete ricevuto l’unzione dal Santo, e tutti avete la conoscenza".
Sentiamo la presenza di Dio in noi? Ovvero anche, ci mettiamo alla sua presenza? Questo metterci non è solo spirituale o della mente, ma è realmente stare alla Sua presenza, stare in sua compagnia ... Stare davanti al Tabernacolo, stare davanti alla sua Parola, stare davanti/accanto a un povero, stare davanti/accanto a un malato?
Ma non è forse questa l'unzione a cui fa riferimento la 1 Giovanni. Gesù è il Santo di Dio, è l'unto dallo Spirito, ed è il contatto con Lui che ci conferisce l'unzione, non solo il segno sacramentale della cresima. È questa vicinanza che ci permette un discernimento fruttuoso della volontà di Dio, specialmente nella fatica del quotidiano.

lunedì 30 dicembre 2019

1 Giovanni 2,12-17 e Luca 2,36-40
Non scontati ... Tempi di attesa!

Dopo la nascita di Gesù, tutto si immerge nella più assoluta dimenticanza. Alla lettura dei Vangeli, ci sembrava che quegli avvenimenti così densi di straordinario mistero, avessero il compito di spezzare la trama del tempo e dilagare come novità e pienezza. Ma all'opposto delle nostre aspettative, tutto sembra di punto in bianco eclissarsi dietro la vita dimessa è normale di un villaggio di montagna, della Galilea chiamato Nazareth. L'unica indicazione che ci rimane ieri questo "tempo" è: "Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui".È il tempo di una attesa densa di dinamismo, non è un tempo vuoto, ma è progressivamente riempito dal bambino che cresce, e con lui giunge a pienezza il dono per l'umanità della sapienza e di ogni grazia. Nazareth cessa di essere uno sconosciuto villaggio di pastori per assumere il ruolo di compimento delle profezie: "lo si chiamerà nazareno".
Questa attesa che siamo invitati a rivivere dopo i "fasti" splendenti del Natale, ci recupera alla distrazione del mondo, a quell'amore per il mondo e per le cose del mondo che ci preclude l'amore per Dio e l'amore di Dio. Anche noi siamo immersi in una Galilea, siamo nel tempo della piena manifestazione del Signore. Questa attesa non deve riempirsi di vanità, di concupiscenza e superbia, ma del cercare di essere noi stessi parte e artefici della volontà di Dio: "... ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno!"

domenica 29 dicembre 2019

Siracide 3,3-7.14-17; Salmo 127; Colossesi 3,12-21; Matteo 2,13-15.19-23
Sacra Famiglia di Nazareth


Sacra famiglia ... Ecco, partiamo da questo aggettivo, sacro: "ciò che è connesso, più o meno intimamente, con la divinità, con la religione e con i suoi misteri, e perciò impone un particolare atteggiamento di riverenza e di venerazione (contrapposto in genere a profano)"; è questa una delle definizioni più ricorrenti che possiamo trovare.
La sacralità della famiglia di Nazareth dipende certamente nella particolare condizione di vita e di scelte che si trova ad affrontare; ma per noi oggi, è solo contemplazione di una bella immagine o può essere anche veramente un modello o meglio ancora una sorta di identità?
Se mi soffermo a guardare la realtà della "famiglia" oggi, non ci vuole molto, a comprendere come anche in chi si professa cristiano, è crollato il senso della istituzione e della sua centralità e referenza sociale.
Oggi assistiamo al ritenersi famiglia, per i diritti che ne derivano, ogni sorta di aggregazione o convivenza; andando a ricercare nella famiglia più l'aspetto sentimentale affettivo, come anche di rifugio, ma in relazione alla contingenza delle necessità del momento.
Non è la famiglia il frutto maturo di una scelta di vita stabile; fedele; fondata sull'amore indissolubile; capace di generare nel tempo un vincolo così solido da essere il terreno della propria discendenza, cioè della vita che viene donata è generata attraverso il mettere al mondo i figli.
Non mi metto a fare una disanima delle varie situazioni - sarebbe importante - per capire cosa muove, oggi, anche un credente rispetto alla scelta di fare/essere famiglia.
Voglio invece spendere un pensiero per una idea quella della vocazione ad essere e fare famiglia. Credo infatti che non di tutti è questa condizione.
Credo inoltre che nel momento in cui riconosco al mio desiderio di fare/essere famiglia e alla mia condizione di vita in famiglia il connotato della vocazione come "pienezza della mia vita", cioè condizione di vera e piena felicità, per il raggiungimento della gioia eterna, allora comprendo che la sacralità non è un fatto puramente rituale, ma la sacralità deriva proprio dal dimorare di Dio in quella scelta, in quella condizione.
Dio c'entra con la mia scelta di famiglia, allora la condizione che genero nella fede può identificarsi con la sacralità di Nazareth.
Senza idealizzare una perfezione che forse non è da intendersi con le solite modalità, la sacralità si esprime nello stile della famiglia, il Papa già da tempo ci ricordava le tre parole che fondano lo stile della famiglia cristiana: "grazie, prego e scusa". Parole semplici dimesse e umili, che se vogliamo, dicono allo stesso modo quando San Paolo oggi ci lascia nella lettera ai Colossesi: "rivestitevi di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri, se qualcuno avesse di che lamentarsi nei riguardi di un altro".
Noi credenti, non possiamo ridurre la famiglia alla coabitazione, a un rapporto economico e giuridico, e neppure alla dimensione relazionale affettiva.
La famiglia si genera e a sua volta genera uno spazio esistenziale che trasforma ciò che è umano e secondo la natura e la morale, in uno sazio sacro in cui la presenza di Dio permea e imprime un di più di senso e significato, e se lo vogliamo riconosce è proprio il Sacramento del matrimonio che noi poniamo a fondamento della famiglia.
Ecco perché allora il rivestirsi non è un travestirsi, non è un mascherarsi, ma è il coprire la nostra fragilità con la grazia, la forza e l'amore che è altro da noi. Ecco allora che la tenerezza è prima di tutto una esperienza vissuta come dono che mi pone nel cuore di Dio e mi fa gustare di essere amato, voluto bene e ieri questo anche io voglio essere tenerezza. Ecco che "bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità" non descrivono l'utopia irrealizzabile, ma il cammino necessaria della nostra umanità, all'interno di un cammino di famiglia che mi deve trasformare; non posso essere solo lunatico, sclerotico, egoista, ecc ... devo essere: buono, umile, mansueto e magnanimo.
Mail vertice della sacralità la sperimento nella grazia del perdono. È nel perdono vicendevole che scopro la meraviglia dell'essere sacra famiglia, e riconosco che solo il perdono mi rende famiglia e ne esalta la sacralità. Se ci pensassimo un attimo, non ci separeremo con tanta facilità e dolore, sia per gli adulti che per i figli, i bambini.
In ultimo, Paolo, ci ricorda che nella relazione famigliare, si realizza "la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E rendete grazie!"

sabato 28 dicembre 2019

1 Giovanni 1,5-2,2 e Matteo 2,13-18
La strage degli innocenti

Siamo di fronte a un passo del Vangelo di Matteo molto controverso, perla storicità e per la sua particolare lettura che pone la nascita e la vita di Gesù bambino in parallelo con la nascita e la vita di Mosé. Ma forse conviene non esporsi e dilungarsi in analisi letterarie e approfondimenti storici e archeologici. Certamente per l'evangelista questo racconto costituisce una giustificazione circa il silenzio di Nazareth. Dopo la popolarità "nascosta" a Betlemme, della nascita del Salvatore; dopo l'annuncio discreto e la rivelazione al mondo attestata dai Magi; tutto si nasconde prontamente a Nazareth per circa trent'anni. Matteo sembra proprio avvertirci di un necessario "nascondimento" per tutelare il bambino fino alla maturità, per compire la sua missione. Tutto questo, di fronte anche alla crudeltà oggettiva di un tiranno (Erode il grande) che non si trattiene dall'ordinare l'uccisione dei piccoli di Betlemme (un numero stimato trai i 20 e 30 bambini). Come collocare quindi il racconto? Lo collochiamo nella rilettura ispirata dell'intero quadriforme Vangelo, cioè nel contesto della comprensione della scrittura:"Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, ad educare alla giustizia" (2 Timoteo 3,16). 
Il Verbo di Dio Padre, entra nel mondo, Venne tra la sua gente (...) e le tenebre non hanno prevalso, non lo hanno sopraffatto (...), questo perché non è il mistero dell'iniquità e del l'ingiustizia che può prevalere davanti a Dio, ma la venuta del Figlio concretizza per sempre la tensione alla giustizia, alla salvezza. La strage degli innocenti è immagine disumana di una giustizia negata che invoca redenzione, non vendetta, ma una misericordia riparatrice che si impara ad attendere (il tempo del silenzio), con pazienza e speranza. I sentieri della storia, in cui si dispiega la volontà di Dio, sono sempre i più difficili. 

venerdì 27 dicembre 2019

1 Giovanni 1,1-4 e Giovanni 20,2-8
Quello che abbiamo udito, veduto e contemplato.

Nella festa di San Giovanni Evangelista, collocata dopo il Natale, i brani delle scritture, ci conducono simbolicamente dalla mangiatoia di Betlemme al Sepolcro di Gerusalemme, ma anche da ciò che videro i pastori a ciò che hanno visto Maria Maddalena, Pietro e Giovanni. Dalla contemplazione del cielo angelico alla contemplazione del mistero del risorto; dal racconto del Vangelo alla testimonianza di chi era nella tomba vuota.
Non è mai la cronaca di un fatto, ma tutto vuole legare all'incontro con Gesù il generarsi della fede. Così è per chi a Betlemme spinto dal desiderio corre dai greggi alla grotta e vede un bambino avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia ... Quel bambino è il "Dio con noi ..." Similmente è per chi a Gerusalemme, dal cenacolo corre a luogo della sepoltura, portando nel cuore una angoscia per ciò che è stato annunciato, e giunti, vedono solo delle bende per terra, lì dove il corpo del Signore era stato deposto, nella fretta della parasceve. Pietro e Giovanni hanno udito da Maria Maddalena che il Signore non c'è più ... Hanno visto i segni, e anche l'ultimo segno lasciato - le bende per terra e il sudario - ; hanno contemplato mediante la fede il mistero del risorto, cioè come lo stesso verbo incarnato mostra la sua gloria.

giovedì 26 dicembre 2019

Atti 6,8-12; 7,54-60 e Matteo 10,17-22
Conseguenza natalizia ...

Dalla contemplazione della mangiatoia in cui è posto Gesù bambino, cosa ne viene?
Non è possibile restare in una contemplazione della bellezza,  della tenerezza, ora occorre avere uno sguardo attento a ciò che rappresenta quel bambino: "vi annuncio una grande gioia ... oggi è nato per voi un salvatore che è cristo Signore ..."
Il Segno del bambino, rappresenta la concretezza della missione del Figlio di Dio: essere il Cristo, essere il Salvatore/liberatore/redentore/riscattatore del mondo, proprio perché tutt'a la volontà del Padre si esprime in queste parole: "Dio ha tanto amato il mondo da dare/donare il proprio figlio ... Affinché attraverso di lui tutti abbiano ma vita in lui".
Contemplare il Natale è: apprendere la missione del figlio di Dio, ma è anche un accogliere in noi la volontà di Dio e la sua proposta: "Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi. Siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe (...) e sarete condotti davanti ai governanti ed ai re per causa mia in testimonianza a loro e ai pagani."
Ecco allora il nostro Natale diventa un contemplare per ESSERE INVIATI, per essere missione, come la stessa vita di Santo Stefano ne rappresenta il segno, a partire dal suo dare testimonianza di Gesù proprio a tutti coloro che gli si oppongono, "digrignando i denti" e chiudendo il cuore alla conversione. 
Non c'è sentimento di resistenza "ostile", ma sollecitazione e consapevolezza a dare testimonianza perché si è mandati da Lui, e non per noi stessi o per nostre esigenze, per cui "chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato".

mercoledì 25 dicembre 2019

Isaia 52,7-10; Samo 97; Ebrei 1,1-6; Giovanni 1,1-18
Venne!

All'inizio dell'Avvento avevo proposto un percorso spirituale di preparazione al Natale attraverso la Parola in Entrata, cioè assumere dal Vangelo di ogni giorno quella parola del Signore che in modo evidente entrava nella giornata, per interesse, forza, difficoltà o altro ... Ora al termine di questo itinerario, occorre arrivare al "dunque": la parola in Uscita.
Quale parola, alla luce della vicinanza di Gesù, oggi posso esprimere a partire dal Vangelo per essere Paola in Uscita? La mia parola in uscita è VENNE. Un venire, come consapevolezza non certo del passato, ma come condizione e desiderio di pienezza.
Venne duemila anni fa, ma oggi quel VENNE, è un rimanere, per essere insieme nella fatica di rendere tutti i nostri giorni occasione della salvezza e della redenzione.
Ecco che la conseguenza della nascita umana di Gesù, figlio di Dio, ci provoca e ci coinvolge per riempire di senso la nostra stessa vita per generare un vero e continuo stato di conversione personale cioè un cambiamento negli stili di vita. È il cambiamento degli stili di vita che permette quelle svolte necessarie ad accompagnare i cambiamenti epocali, quali noi oggi stiamo vivendo. Forse passivamente, ma sicuramente con un forte smarrimento. Un disagio che si rileva nella fragilità e nell'affievolirsi della fede di tanti battezzati.
In troppi infatti, si è intiepidita la fede, in troppi le scelte di vita personale che non trovano corrispondenza nello spirito cristiano, esprimono un allontanamento di Dio dalla vita.
Al suo avvicinarsi, al suo Avvento, oggi spesso corrisponde l'esilio da Lui. Un esilio provocato dalla nostra libertà e dalle nostre scelte, che traducono una incoscienza cristiana, una NON FEDE circa la venuta nella carne del figlio di Dio.
Occorre urgentemente ripartire da quella parola che ci rende partecipi del mistero di Dio, e del suo "venire in mezzo alla sua gente", che significa la volontà di Dio di esserci per ciascuno di noi, per cui  le parole degli angeli nella notte di partirei Betlemme: "è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia", non sono l'epilogo di una favola, ma la comprensione di un mistero che coinvolge tutto ciò che esiste.
Il Vangelo dice il ricordo di quella notte, ci dice la tenerezza misericordiosa di Dio, il suo abitare ancora, nonostante tutto:
- nel nostro ricordo, quasi una stupenda nostalgia;
- nel nostro cuore cioè al centro della vita, come una necessità esistenziale.
Ed ecco che ci scopriamo incapaci di custodire il dono della fede in quel bambino nato per noi, riducendo la fede a una brutta religione e insegnando cose che non generano più pienezza di vita e relazione col mistero ... Si è infranta la mia relazione affettiva von quel bambino nato a Betlemme ... Dio è nato nel tempo e la sua nascita trasfigura ogni secolo e ogni tempo, ecco allora che "PER POTER NASCERE E VENIRE NEL MONDO, DIO, DEVE NASCONDERSI IN QUESTO NOSTRO MONDO ... 
Egli è qui presente nelle lividure e nelle ferite di questa nostra società opulenta è distratta; avanzata e schiava della tecnologia; moderna e ugualmente ingiusta ... Eppure Dio non cessa di essere presente e di coinvolgersi con noi. Dio entra nel tempo con la sua irrilevanza, ma è una irrilevanza che provoca il "Cambiamento" ovvero alla "Conversione". Oggi questa conversione supera il limite dell'agire e della morale comportamentale e diviene urgenza di una conversione Ecologica, che comporta il lasciar emergere tutte le conseguenze dell’incontro con Gesù nelle relazioni con il mondo che ci circonda. Essere custodi dell’opera di Dio è parte essenziale di un’esistenza virtuosa, non costituisce qualcosa di opzionale e nemmeno un aspetto secondario dell’esperienza cristiana, ma è l'espressione più vera di chi accoglie colui che "venne tra la sua gente".