martedì 4 agosto 2020

Ger 30,1-2.12-15.18-22 e Matteo 15,1-2.10-14
Guide ceche...

Un Vangelo un poco ritagliato, ma ugualmente pieno di senso, e soprattutto un invito al veto discernimento., di cui i discepoli di Gesù devo essere veri maestri, e non guide ceche.
Il concetto di bene, il concetto di male si confrontano con la logica di Scribi e Farisei, sul puro e impuro ... È questo è esperienza di tenebra, di cecità.
Il bene e il male, alla fine, per Scribi e Farisei è una questione di osservanza di predetti, e di tradizioni; per i discepoli di Gesù invece diviene una questione del "cuore". Gesù insegna a discernere con il "cuore" cioè con quella intelligenza che comprende la realtà a partire dalla legge di amare Dio e il prossimo. È questo criterio che permette di vedere e discernere il vero bene e il male che ancora ci appartiene e che custodiamo gelosamente in noi, come attaccamento o come inconsistenze.
Scribi e Farisei ripiegati sulla religiosità, sul ritualismo e tradizionalismo, sono ciechi, perché compiono un discernimento su precetti elaborati dalla mente dell'uomo, anche se religioso. Escludere o imbrigliare la legge dell'amore è causa di cecità, perché tutto il mistero di Dio, e la rivelazione di Gesù è esperienza e manifestazione dell'amore.
Vedere con il cuore permette anche capire che mangiare il pane con le mani sporche è possibile, se questo permette di nutrire la vita. Il pane non è più solo il simbolo dell'offerta sacrificare, ma il segno del dono, della benedizione e della condivisione, quindi della vita di Dio e nostra.

lunedì 3 agosto 2020

Ger 28,1-17 e Matteo 14,22-36
Camminare con Gesù 

C'è un frammento importantissimo, di tempo; una frazione piccolissima di vita, nella quale Pietro si affida completamente a Gesù: "Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque". Ed egli disse: "Vieni!". Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù."
In quell'istante per Pietro non esiste null'altro, non esiste la fatica della navigazione, non esiste il vento forte che si abbatte sulla barca, per lui esiste solo Gesù che camminando sull'acqua del lago sta raggiungendo la barca. La fede di Pietro in quell'istante è "fortissima", anzi, potremo dire che è intimamente unita alla persona di Gesù. Ma basta poco per distrarre il nostro cuore, per incrinare il nostro affidamento. A volte basta solo l'incertezza dei sentimenti o la fragilità dei ragionamenti, e la "fede forte" cede il passo la complessità e problematicità della vita quotidiana ... e allora ci sembra di sprofondare. Questa pagina del Vangelo è così reale che aderisce perfettamente - più di un poco - all'esperienza di tutti. Il Signore non solo provoca l'atto di fede verso di lui, ma anche accoglie e accompagna lo slancio della nostra fede, e anche nella fragilità, basta una "invocazione" che subito la mano del Signore si mostra pronta a stringere con forza la nostra fragilità, e insieme salire sulla barca; insieme a Lui riprendiamo la navigazione. La fede non è il frutto di espressioni assolute, ma la fede è una esperienza di umana e di continuo contatto col mistero di Dio. Accostare il mistero durante la vita permette di riconoscere il fascino della rivelazione di Dio e l'entusiasmo dei nostri slanci, ma tutto non avviene se non nella immersione nella vita quotidiana.

domenica 2 agosto 2020

Is 55,1-3; Sal 144; Rm 8,35.37-39; Mt 14,13-21
Pane per tutti!

Il momento è drammatico, il cugino (Giovanni Battista) è stato decapitato, il confronto con il potere politico e religioso di fa complicato e difficile; a Nazareth si fa l'esperienza del rifiuto che sfocia nel tentativo di linciaggio e nell'essere cacciato. Questo sfondo drammatico diviene invece l'occasione di un segno di grande intensità umana: la compassione di Gesù; la condivisione rispetto al limite.
La pellegrina egiziana Egeria, nel IV secolo racconta nel suo diario di pellegrinaggio, come arrivata a Tabga, vide la roccia sulla quale erano stati messi i cinque pani e i due pesci; dove il Signore aveva pregato prima di moltiplicarli/condividerli. L'evangelista ci offre subito un allargamento ecclesiale. Non siamo uditori di una parola passata ma partecipi della compassione del Signore, del suo condividere l'esperienza del limite, che diviene il sentire e l'agire della Chiesa anche oggi. Siamo di fronte a un mangiare che unisce il segno sacro dell'ultima cena alla carità operosa della Chiesa affinché nessuno sia escluso dalla possibilità di poter partecipare al banchetto della vita. Si passa dalla compassione alla condivisione: la Chiesa scopre la sua indole e identità nella compassione di Cristo e nel continuare a donare il Signore come cibo (cfr. pane e pesce) necessario; da quel cibo da cui ci arriva la vita vera.
Ecco perché la Chiesa non può non partecipare delle sofferenze degli uomini, indipendentemente della loro origine, colore e religione ...
La Chiesa non può allontanare nessuno, non può scartare nessuno; Gesù alla sua Chiesa chiede che siano proprio i discepoli ad attivarsi per compiere i suoi gesti di amore: "voi stessi date loro da mangiare". Chiesa deve avere la stessa indole del "panettiere", sfornare il pane e sfamare i poveri i piccoli e in generale tutti gli uomini.
La Chiesa, per essere obbediente alla volontà del suo Signore non potrà mai fare finta di non vedere le piaghe, le ferite di questo mondo. Non può mandare a casa qualcuno senza esito o senza aver donato la propria vicinanza e l'amore di Cristo che gli è chiesto di condividere.
La condivisione dei limiti, è spazio di vicinanza, la stessa che sperimenta Gesù, e la stessa di fronte alla quale Gesù chiede di mettersi in gioco. Nel Vangelo è descritto un intreccio è un passare di mano in mano: "prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla.".
Non esiste una delega alla "Chiesa o nella Chiesa" nella risposta di amore, all'esercizio della carità; gli stessi discepoli sono i primi coinvolti a prendere nelle loro mani il pane spezzato per darlo alla folla. Sono proprio i discepoli i protagonisti della condivisione, coloro che corrispondono alla compassione di Gesù; coloro che alla fine raccolgono i pezzi avanzati e si accorgono che l'abbondanza del pane non è un di più ma è segno della immensità dell'amore condiviso.

sabato 1 agosto 2020

Geremia 26,11-16.24 e Matteo 14,1-12
La complicazione delle storie ...

Me lo immagino attonito e incapace Erode, solo la pallida ombra di quel politico sopraffino e crudele che fu suo padre, interrogarsi su Gesù il falegname, una nuova grana nella sua non semplice missione di gestire un pezzo del Regno di suo padre, sempre sottoposto al controllo e al giudizio dell'aquila imperiale.
Me lo vedo, irritato e spaventato, un po' superstizioso come tutti i potenti, interrogarsi sulla vera identità di Gesù. E se fosse il Battista tornato per vendicarsi? Erode aveva fatto quello che abitualmente facciamo noi: davanti alla critica di qualcuno che ci mette in difficoltà, invece di interrogarci se quanto dice abbia un fondo di verità, preferiamo ... farlo fuori, escluderlo, scartarlo! A Erode non è mai passato per la testa nemmeno un istante l'idea di poter cambiare, di convertirsi, di cambiare vita. La soluzione l'aveva trovata per lui la sua ferocissima amante. E così, oggi, siamo qui a ricordare Erode ed Erodiade non per i loro meriti o la loro capacità politica, ma per essere gli omicidi del più grande fra i profeti. È in questa storia, spesso complicata a causa delle nostre scelte e vicissitudini, che tutto avviene, anche l'opera della salvezza!

venerdì 31 luglio 2020

Geremia 26,1-9 e Matteo 13,54-58
Ed era per loro motivo di scandalo

Così come Gesù è scandalo per gli abitanti di Nazareth, in ugual misura i suoi discepoli devono essere scandalosi. In realtà lo scandalo di Nazareth cosa significa?
Quella reazione descrive la loro rigidità, la loro refrattarietà rispetto al nuovo. Dice che il percorso di conversione, non si genera per simpatia o per affinità, tantomeno per una sorta di fraternità paesana; ma per una vera e propria adesione a ciò che Gesù propone, indipendentemente dalla rigidità dei nostri giudizi.
La domanda che questa pagina di Vangelo rimanda è: "chi è dunque questo Gesù?"
"Non è quello che già conosciamo dal catechismo?"
"Non abbiamo forse mangiato il suo pane?"
"Non abbiamo ricevuto una sua proposta di vita?"
Eppure non ci siamo coinvolti, non abbiamo risposto ai suoi inviti. La nostra quotidiana esistenza funziona anche e a prescindere dalla sua Parola, anche se affascinante e capace di stupirci.
Non è forse anche oggi, motivo di scandalo una certa proposta cristiana che trova all'interno della stessa Chiesa una sorta di rigidità, che tanto sembra quella degli stessi Scribi e Farisei.
Essere discepoli di Gesù, non significa essere buoni e obbedienti, ma capaci di suscitare quello scandalo che è la conseguenza del perbenismo e della ipocrisia dell'atto di fede, quando questo non è intimità della vita in Cristo.

giovedì 30 luglio 2020

Geremia 18,1-6 e Matteo 13,47-53
La "conseguenza" del regno dei cieli 

La rete gettata nel mare dice che il regno dei cieli non esclude nessuno. Non si riconosce il regno a partire dai buoni, ma il regno è una esperienza che coinvolge tutti.
Se il regno fosse a priori esperienza di scarto, cioè fosse solo per coloro che sono buoni,  non sarebbe espressione della misericordia del Padre. Ecco allora una immagine adeguata, simile alle altre parabole: il regno dei cieli è generato nella esperienza della misericordia. Così come la comunità dei discepoli, e come la Chiesa nel mondo fa esperienza e vive di misericordia, e in quella misericordia racconta la premurosa vicinanza di Dio, così il regno dei cieli diviene la proposta di un Dio vicino e accanto a ogni uomo, indipendentemente dal suo essere buono o cattivo. È la misericordia il principio per il quale tutto si può convertire alla bontà. Il regno dei cieli è quindi una rete di misericordia inclusiva verso tutti gli uomini. Solo alla fine si farà la distinzione circa buoni o cattivi; cioè sull'esperienza della misericordia; su come il precedere di Dio la nostra storia genera la nostra conversione al suo amarci.

mercoledì 29 luglio 2020

1 Giovanni 4,7-16 e Giovanni 11,19-27
Memoria di Santa Marta
Eppure era suo amico ...

Che cosa è l'amicizia? Molti di noi faticherebbero a riconoscersi nella modalità ed espressione di amicizia vissuta a Betania, nella casa di Lazzaro, di Marta e Maria. Faticherebbero perché, per molti la parola amicizia significa: simpatia, reciprocità, compensazione, affetto ecc ... Tutte dimensioni di una relazione valutata nell'ordine del bisogno e della socialità. Era questa l'amicizia di Betania?
Mi provo a immaginare quale fosse il tenore di amicizia di Betania; a partire dal dialogo tra Gesù e Marta. Non voglio dire che l'amicizia non avesse a che fare con la natura umana, ma credo con certezza che, accogliere, conoscere Gesù abbia permesso di percepire la verità dell'amicizia e di sperimentare nell'amico "l’amore che Dio ha in noi. Dio è amore; chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui".
Ecco che l'amicizia a a che fare con l'amore di Dio per noi! Nelle nostre relazioni andiamo oltre alla dimensione di empatia e cerchiamo di intravvedere l'amore di Dio per noi?
È quel mistero di amore, a cui ciascuno può affacciarsi nell'amicizia, che fa sì che ogni distanza si riempia di "perdono" cioè del dono gratuito di sé. Che cosa dice Marta quando vede Gesù arrivare, quando si sente raggiunta dall'amico, quando finalmente la sua umanità è toccata dall'amore dell'amico? Gli dice: "Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!" L'esserci dell'amico garantisce la presenza dell'amore di Dio Padre che precede ogni nostro bisogno e desiderio, precede anche il nostro vuoto esistenziale.