domenica 28 febbraio 2021

Guardare attraverso gli occhi della trasfigurazione

Gen 22, 1-2.9a.10-13.15-18; Sal 115; Rm 8,31b-34; Mc 9,2-10

 

Ciò che accadde sul monte è qualcosa di unico, per Pietro Giacomo e Giovanni; vedere Gesù trasfigurato, cioè risorto-glorioso, rappresenta toccare per un attimo la pienezza della bellezza, della gioia, della felicità. Che dono!!!

Quel monte, come luogo, d'altronde dice tutto il suo mistero! Da quel monte si vede tutto ... con un orizzonte nuovo e vasto.

Un monte che fin dall'antichità era ritenuto "sacro", un monte in cui ci si avvicina a Di; il monte che si erge quasi a essere il cuore della Galilea.

È questo monte il luogo della Trasfigurazione; ed ecco che si sale sul monte per vedere  il volto di Dio: la gloriosa luminosità del figlio e il fascino della sua parola.

Anche Pietro, salendo con gli altri sul monte, non riesce a non riconoscere la bellezza di quel mistero che lì si fa accanto alla vita degli uomini.

Salirono con Gesù sul monte, quasi anticipando in quella salita la sofferenza degli uomini, carico della croce, che a breve anche Gesù avrebbe fatto ... Salire sul monte è preludio al farsi partecipe all'esperienza drammatica del male e della fragilità di ogni uomo. Ma sembra propri che solo toccando la fragilità, questa venga trasfigurata ...

C'è una realtà gravida di ferite, di fragilità di sofferenza, eppure tutto questo tende a cercare una libertà una redenzione, una salvezza vera ... Dove si trova questa possibilità?

Per Gesù, salire sul monte, significa caricarsi del male dell'uomo. Ma ugualmente sale e sperimenta nel dialogo con Mose e con Elia, il costo e il sacrificio della libertà (Mosè liberatore) come anche la fatica della prova e della fedeltà (Elia profeta perseguitato). Ma tutto quello che accade è fonte di pienezza, è luce, è gioia al punto che Pietro dice: è bello per noi essere qui ... con te ...

Essere con te è fonte di gioia e di felicità, da colore alla vita, da un sapore inaspettato e un calore che avvolge il freddo della nostra umanità. Salire sul monte con i nostri problemi, e stare con te, è come lasciarsi condurre nella luce di un mistero che trasfigura anche il presente. La trasfigurazione ci testimonia un amore reciproco tra il Signore e i tre discepoli. Una relazione che dice a ciascuno come ogni essere umano è fatto in modo tale che non si realizza, non si sviluppa e non può trovare la propria pienezza «se non attraverso un dono sincero di sé». La trasfigurazione non è semplice estasi di una immagine bella. Ma è la conseguenza trasfigurante dell'esperienza di amare.

È da questa intima gioia e bellezza, è stando con Gesù, che a partire dal cuore, l'amore crea legami e dilaga nell’esistenza.  L'amore fa uscire la persona da sé stessa verso l’altro. Siamo fatti per l’amore e c’è in ognuno di noi «una specie di legge: quella di uscire da noi stessi per trovare negli altri un accrescimento di essere». 

È questa forza inaudita che sgorga come luce dal volto di Gesù trasfigurato. E ci dona occhi per vedere un orizzonte completamente nuovo, nella vita e nella storia.

Infatti se la trasfigurazione per noi è contemplazione del Cristo, per cui non è tanto la dura realtà che cambia, quanto la capacità e possibilità di vedere dei discepoli, i quali stanno nella trasfigurazione con tutto il peso della prova, dell'essenzialità e dello spogliamento; noi portiamo nella trasfigurazione le prove che la vita ci propone che non possono lasciarci indifferenti e che incidono su di noi, ma il nostro sguardo non è come prima, ora è bello per noi stare qui con te.

sabato 27 febbraio 2021

L'amore è la radice

Deuteronomio 26,16-19 e Matteo 5,43-48



Per tutti i credenti in Gesù, è chiaro che l'amore ai nemici e al prossimo è un precetto fondamentale dell'esperienza cristiana. Ma ugualmente, poi, si pongono i tanti impedimenti e le troppe giustificazioni i per limitare la nostra adesione a questo modo di essere.
Non c’è per nulla naturale amare i nemici; sentiamo tutta la fatica di pregare per chi ci perseguita, ma è proprio in questo stravolgimento di ciò che ci ingabbia nelle giustificazioni della legge, la possibilità di portare a pienezza la nostra umanità.
Pregare per i propri persecutori, amare i propri nemici diviene ben più di un precetto, di un atto buono, di una buona azione, dalla quale si spera sempre di ottenere una qualche ricompensa. C'è in gioco molto, molto di più. Nella "Fratelli tutti", il papa ci accompagna al cuore della fraternità universale, e ci mostra come la nostra umanità ferita è schiacciata dalla sua incapacità di darsi una vera redenzione. L’Enciclica, mostra come solo nell'esperienza di amare è data la possibilità di uscire dal proprio egoismo. In forza dell'amore, la nostra umanità,  si innalza e diviene lo "spazio buono" del nostro compimento. Amare i nemici, non è quindi una buona azione, o un modo di superamento del limite, ma amare è il ritorno all'origine della nostra natura per rigenerarla e costruirla in una novità che in realtà era fin dal principio; ecco perché l'amore ci appartiene e ne percepiamo tutta la radicalità e radice.

venerdì 26 febbraio 2021

Non entrerai nel regno dei cieli ...

Ezechiele 18,21-28 e Matteo 5,20-26


Come si entra nel regno dei cieli? Se non supereremo nella giustizia Scribi e Farisei non ci entreremo mai. Ma a quale giustizia fa riferimento Gesù?
Scribi e Farisei sono tutti coloro che conoscono bene la legge è la osservano; sono cristiani DOCG (denominazione origine controllata e garantita); agli occhi di tutti sembrano le persone più adeguate per entrare nel regno dei cieli, cioè persone degne di poterne fare parte; ma agli occhi di Gesù, questa "giustizia" non è sufficiente per entrare!
La giustizia più grande è quella che non si limita all'osservanza delle leggi. La giustizia più grande la si rifinisce nello stile di vita secondo il Vangelo. Le parole successive dell'angelo di oggi svelano il senso della giustizia più grande.
La cura della fraternità, vivere le relazioni i con tenerezza e amorevolezza fraterna, è espressione di una giustizia più grande. La fraternità esprime quel vincolo di fratellanza che sta alla base del mistero della riconciliazione e del perdono; come anche la fratellanza ricompone ogni dissidio e ogni distanza che per le nostre fragilità si creano. La giustizia per Gesù significa vivere come "giusti", non significa osservare delle Leggi e delle norme. Ecco allora che la giustizia è il cuore nuovo, che è frutto dell'ascolto e accoglienza intima di ciò che il Vangelo ispira e chiede di vivere: "l'amore come fondamento e come criterio". Il cuore nuovo in noi partecipa del cuore stesso di Gesù e dei suoi sentimenti. Quando il nostro cuore è sensibile alla fraternità, a rapporti fraterni con gli altri, non per un obbligo di un comandamento ma per via della libertà che nasce dall'amore, ecco che quella "giustizia" è ciò che ti lascia entrare nel regno dei cieli.

giovedì 25 febbraio 2021

Le nostre pietre e serpi ...

Ester 4,17k-u e Matteo 7,7-12


Siamo sempre noi, siamo noi il riferimento delle parole del Vangelo. Siamo noi che non bussando più, non chiedendo più ... in realtà siamo solo capaci di dare pietre e serpi a che ci chiede un pane o un pesce, a chi bussa non aprirmi e a chi cerca nascondiamo.
Siamo noi che di fronte al bussare di un amico, poniamo davanti il nostro interesse, la nostra indisponibilità, le nostre voglie ... Siamo noi che del nostro ego-ismo facciamo il criterio della nostra risposta e lo strumento di misura delle nostre relazioni. Per questo non riusciamo più a dare una risposta adeguata neanche a un amico, come neanche al bisogno di pane di un figlio, cioè di condivisione di ciò che è essenziale; o di un pesce: al bisogno dell'amore che è indispensabile per rendere le nostre relazioni sorgente di vita. 
Forse non ci sentiamo più figli, non avvertiamo più in noi il bisogno di bussare alla porta del cuore di Dio, per chiedere e ottenere. Quando l'ego-ismo prevale sull'essere figlio, ecco che non riconosco più l'amico e il fratello che bussano alla porta del mio cuore per chiedere un minimo di amore.
Non bussiamo più né alla porta del cuore di Dio, e neppure alla porta del cuore di chi ci vuole bene; siamo presuntuosi, siamo orgogliosi, siamo indisponibili ... Certi sempre di garantire quella individualità personale che altro non è che egoismo: aridità e sterilità ...
Quanto invece bussare è amore umile; chiedere è tenero desiderio; cercare apertura al dono da chi speriamo. Oggi mi pongo desideroso di chi busserà alla mia porta ... Ma anche io oggi dovrò bissare al cuore di qualche mio fratello!

mercoledì 24 febbraio 2021

Il Segno mancato ...

Giona 3,1-10 e Luca 11,29-32


La predicazione di Giona fu la causa della conversione di Ninive, e "Dio si ravvide riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece". Ma tutte le altre generazioni, compresa la nostra sono: "è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona. Poiché, come Giona fu un segno per quelli di Nìnive, così anche il Figlio dell’uomo lo sarà per questa generazione".
Di fronte a queste parole lette oggi, si fatica a comprendere come il Segno di Dio, sia sempre qualcosa di estremamente "sotto traccia", sia un segno quasi impercettibile. Lo è stato per tutta l'antichità il segno che è Israele; lo è stato per tutto il primo secolo il segno che è Gesù. Infatti se Gesù entra nella scena della storia, fino ad oggi, è grazie all'agire di condivisione dei suoi discepoli, non certo per valenza della cronaca storica della sua esperienza e della sua vita. Alla luce di questa chiave di lettura cerchiamo di accogliere il Vangelo di oggi.
Vivere il segno che è Gesù nella sua piccolezza, gustarlo nella sua fragilità; cercarlo nel suo silenzio; aderirvi anche nel nascondimento ... Se non riusciamo a fare questo, anche noi saremo una generazione "malvagia".
La realtà stessa nella quale viviamo è segno della vicinanza di Dio,  della presenza del Padre, lo è sempre stato; Dio pone nella storia dell'uomo il segno che è il suo amore.  
Ma ogni generazione risulta malvagia, cattiva, maligna ... perché non crede ai segni di Dio, e non si affida all'amore come espressione concreta del suo esserci e del suo salvarci. Gesù è il segno in pienezza, perché è l'amore di Dio donato fino al suo pieno manifestarsi nella passione, morte e risurrezione. 

martedì 23 febbraio 2021

Pregare ...

Isaia 55,10-11 e Matteo 6,7-15

"Non sprecate parole come fanno pagani ..."
La preghiera non può essere un dialogo tra sordi: tra un uomo che parla senza ascoltare, e un Dio muto che resta silenzioso. Forse non può essere neppure ripetere a Dio, le cose che già sappiamo. Questa è la preghiera di chi è pagano, essa è frutto delle labbra e del proprio convincimento. Pregare come ritualità non è naturale, non è una esperienza spontanea. Come anche non può essere il frutto della necessità, di un bisogno o della disperazione.  Anche se il dramma è la fragilità umana, sono un motivo del pregare. Allora cosa è la preghiera? A volte diciamo che la preghiera è dialogo, è relazione ... Credo che la preghiera sia un suggerimento provocato nella fede, cioè dall'intima presenza di Dio in noi. La preghiera sgorga da dentro di noi, dal nostro cuore in cui il Signore ha preso dimora. Allora la preghiera è la risposta al risuonare in noi della Parola del Signore? Dice Isaia che cosa vuoi provocare in noi con la tua Parola? Quale desideri hai da condividere? Ma perché ti ostini a Parlare nel nostro vuoto; perché ci mandi ancora la tua Parola? Dio non si stanca di noi, non si stanca del nostro silenzio e delle nostre parole spesso vuote o ripetitive. Dio è come un Padre che con pazienza attende che i suoi figli sappiano riconoscere ed accogliere nelle parole ricevute l'amore donato nella gratuità. Verrà il tempo in cui il figlio si rivolgerà a Dio chiamandolo Padre, ma per arrivare a questo ci vuole pazienza, occorre saper attendere! Forse attendere anche tanto, tantissimo ... Alla fine, quel Padre nostro non sarà una formula imparata, ma la risposta del cuore alla Parola che il Padre ha ripetuto con amore.


lunedì 22 febbraio 2021

Partecipi di una amicizia vera ...

1 Pietro 5,1-4 e Matteo 16,13-19

 Festa della Cattedra di San Pietro

La Festa della cattedra di San Pietro, nel percorso quaresimale ci riporta immediatamente alla originalità di ciò che è fondamento anche della nostra quaresima.
Non siamo di fronte all'investitura, quasi un cavalierato medievale, ma siamo testimoni di un vincolo di amore dal quale è nata la Chiesa. "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa ..."
Sono parole di una forza enorme di una potenza cosmica perché esprimono un amore l'enorme di Gesù verso il pescatore di Galilea. Pietro è chiamato da Gesù, ad essere prima di tutto amico e a legare a Lui, nella amicizia la vita ...
Non siamo di fronte a dei sentimenti volubili, o a una questione di empatia a pelle, ma alla verità di una amicizia, come espressione di una chiamata: "Ti chiamo ad essere mio amico!"
A questa chiamata di Gesù, Pietro risponde con la disponibilità a fare spazio nella sua vita, uno spazio che è per sempre, anche quando Gesù non sarà più il compagno di ogni giorno: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente". Questa risposta significa, tu sei "l'amico" che da senso alla mia vita. 
L'amicizia tra Gesù e Pietro, rappresenta lo spazio bello di una relazione che da senso alla vita, e che genera una esperienza di vera condivisione, di felicità e di salvezza che è la Chiesa: la possibilità per tutti gli uomini di essere amici di Gesù, amici di Dio padre, grazie all'amore che l'amicizia è capace di esprimere. Sulla cattedra di San Pietro non è salito sono il principe degli Apostoli, ma un amico intimo del Signore.