Numeri 11,4-15 e Matteo 14,13-21
lunedì 2 agosto 2021
Infedeltà, egoismo e amore.
solo la manna, porta il popolo ad esprimere la nausea per quel cibo, al punto che tutto il popolo piange (oppure brontola) e chiede la carne, cioè una migliore qualità di vita per rendere percorribile il cammino nel deserto. Non si può vivere solo di pane, solo del sufficiente: "Ora la nostra gola inaridisce; non c'è più nulla, i nostri occhi non vedono altro che questa manna". Tutto precipita nella nostalgia della schiavitù d'Egitto. La memoria della liberazione è svanita e nel cuore del popolo non c'è affetto, amore per il Dio dei padri, per il Dio della promessa.
In questa tensione tra Dio e il popolo, anche Mosè ne viene coinvolto, al punto di rifiutare il suo ruolo di guida verso il compimento delle promesse: "L’ho forse concepito io tutto questo popolo? O l’ho forse messo al mondo io perché tu mi dica: Portalo in grembo ..."
Ora Mosè è un uomo ferito dall'egoismo e dall'infedeltà di Israele, al punto da non riuscire più a difendere il popolo davanti a Dio. Mosè sembra arrendersi all'ira di Dio. Il dramma di Mosè corrisponde all'esperienza di chi ha amato fino a dare tutto di sé, e improvvisamente quell'amore non significa nulla, non è corrisposto e viene negato.
L'aridità del deserto logora il dono dell'amore, il dono del pane; logora al punto che tutto può sembrare inutile e perso. Solo un amore fedele sarà capace di vincere ogni tentazione del male dell'egoismo del cuore. Un grande amore,come il grande perdono di Assisi, oggi 2 agosto ...
domenica 1 agosto 2021
Non più pane degli angeli, ma ora pane degli uomini!
Es 16,2-4.12-15; Sal 77; Ef 4,17.20-24; Gv 6,24-35
Una immagine tipica, molto immediata ed efficace: il popolo di Israele nel deserto inizia a brontolare; il popolo critica, ha paura, si ribella, protesta; rimpiange la pentola della carne e le cipolle di Egitto: si stava meglio la' dove eravamo schiavi piuttosto che liberi e in viaggio in un deserto fatto solo di sole, sassi e caldo. Di fronte a questo brontolamento Yhwh interviene e attraverso Mosè compie un segno (la manna); il popolo vede, si converte, acclama, loda e sembra tornare ad avere fiducia...
In questa pagina possiamo rivivere tutti i nostri slanci, i nostri tentennamenti; possiamo ripercorrere l'orizzonte delle nostre scelte: il coraggio determinato e la fragilità del scegliere; il ripensamento, il timore la sfiducia. Anche di fronte al segno della manna e delle quaglie, quel popolo in verità non riesce a essere completamente di Dio, non si fiderà fino in fondo, non amerà Yhwh con la stessa intensità con cui è amato da Lui.
In un certo modo le stesse situazioni si presentano nel Vangelo, dopo il segno del pane condiviso, la gente cerca Gesù ... ma potrebbe essere veramente che cerchi solo il pane. Lo raggiunge e vorrebbe ancora di quel pane, anche per gli altri giorni, d'altronde Gesù dice: "voi mi cercate perché vi siete saziati ...".
Ma il Vangelo, le parole del Signore non sono il ricettario per il pane di ogni giorno, bensì per il pane che alimenta il desiderio di pienezza, cioè di una sazietà che non è della pancia ma della vita, e per la vita eterna.
Ecco che entriamo nel cuore del "dono del pane ...".
Non siamo di fronte solo a della manna, solo a del pesce o a delle quaglie ... Ma ci troviamo di fronte a una pretesa, assoluta ed unica: come ho saziato per un giorno la vostra fame, così posso colmare le profondità della vostra vita!
Per noi, come per la gente del tempo di Gesù ... spesso non c'è la facciamo proprio e diamo spazio a tutto il nostro essere fatti di terra: gente che preferisce il pane, quello che mi fa vivere, quello che gusto e mangio, ma non gusto in ugual modo quel pane che è il dono di Gesù.
Le parole di Gesù sul pane che dura per sempre restano idee sfuggenti, vaghe, poco più che un fumo di parole; fatico a capire che Dio ieri come oggi è uno che dà; Dio non chiede, Dio dà, sempre e basta!
Dio non pretende nulla in cambio del suo dono, ma semplicemente si offre. Dio non esige nulla, dona tutto.
Ma che cosa di preciso ci dà questo Dio?
Non ci dona dei beni di consumo: ma Egli non può dare nulla di meno di sè stesso, il dono del pane dalle mani di Gesù è proprio il dono del suo figlio.
È qui si colloca la nostra aspettativa, cioè quel dono del pane, il dono della vita, il dono che è Gesù, corrisponde alle mie attese?
Ecco che quella manna, non è più pane del cielo, ma è il dono di Gesù, la sua stessa vita.
La pretesa più forte ed inaudita di Gesù sarà appunto dire "Io sono il pane della vita".
Una pretesa che risuona in ogni eucaristia celebrata insieme ad ogni discepolo, come invito - esplicita volontà di Gesù - a mangiare quel pane: "io sono il Pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete, mai!"
Da questo invito, oltre a ogni nostro limite e a ogni inadeguatezza, non posso non mangiare di quello che Lui mi dona, se voglio che quel pane e quel vino (suo corpo e suo sangue) mi sazino in senso reale e concreto e non ideale e virtuale. Devo ri-iniziare a considerare quel pane e quel vino non tanto un segno e un simbolo, quanto Lui stesso, Gesù reale e concreto oltre ogni ragionevole dubbio. Con una pretesa assurda: Ogni volta che io celebro l'eucaristia insieme alla mia comunità, Dio continua a donare la vita del figlio per la vita del mondo ...
Questa è la conseguenza della pretesa di Gesù circa quel pane: se noi siamo nutriti da quel pane che è la sua vita, diventiamo capaci di essere vita per il mondo e anche vita per per i nostri fratelli, in forza dello stesso dono ... altro che manna ... quaglie e pesci ...
sabato 31 luglio 2021
Suonate il corno: è l'anno del giubileo
Levitico 25,1-17 e Matteo 14,1-12
È di ieri la notizia che anche quest'anno abbiamo già consumato quanto la terra mette a disposizione ogni anno, come ricchezza naturale e sue risorse, e che l'uomo sfrutta per vivere sul pianeta.
Il rapporto con i beni e con la natura, il loro possesso è al centro del capitolo 25, insieme al nuovo rapporto che si genera tra uomo e uomo. Il capitolo 25 di Levitico presenta una sintesi sapiente su come stare nella terra: uscendo dalla logica di uno sfruttamento indiscriminato dei beni a nostra disposizione; e guardando a ciò che abbiamo come un dono e, quindi, dentro la relazione con Dio, che è provvidente e buono; tenendo conto del fratello come di colui che siamo chiamati a liberare, preoccupandoci che abbia ciò che gli è necessario alla vita.
In definitiva il Levitico ci offre la riflessione sul riposo sabbatico dal quale fuoriesce il senso di giustizia. Nel tempo dello Shabbat ci viene data la possibilità di risanare le relazioni con i beni della terra, con il prossimo e con Dio.
Si inserisce nelle relazioni tra uomo e uomo, tra uomo e "cose" e tra uomo e Dio la condizione di gratuità, che è una chiave di lettura e di interpretazione inaudita, se ci pensiamo bene. Ma proprio nella gratuità tutto viene rinnovato e rigenerato nel tempo. L’anno giubilare, d’altra parte, richiede di assumere l’idea che le risorse della terra hanno, in prima istanza, una destinazione comunitaria. Il Levitico invita, pertanto, a sospendere la relazione di possesso assoluto dei beni e delle persone per orientarci, invece, nella ricerca e al riconoscimento del valore del creato e di ogni persona.
venerdì 30 luglio 2021
Un tempo che è sacro ...
Levitico 23,1-37 e Matteo 13,54-58
È più facile accettare una normativa religiosa come quella descritta nel brano del Levitico, che accogliere la "Parola" che Gesù a Nazareth ha rivolto ai suoi compaesani.
In tutto il pentateuco, ma in generale in gran osate della rivelazione ad Israele, ogni uomo che riceve la rivelazione di Dio, non parla mai da se stesso, ma riferisce al popolo la parola di Dio: "Il Signore parlò a Mosè e disse: «Parla agli Israeliti dicendo loro: ..."; non è mai una iniziativa propria del Patriarca o del Profeta ...
Gesù, suscita molto disorientamento perché si pone in una prospettava completamente diversa, egli stesso infatti è autoreferenziale in ciò che dice e opera. In questo si genera lo scandalo di chi riconoscere in lui solo il figlio del falegname.
Ma venendo a Levitico, oggi possiamo rilevare come insieme alle alle leggi sociali, morali e religiose che il Signore diede a Mosè per il popolo di Israele, Egli comandò che venissero osservate una serie di festività annuali. Sono feste solenni volute da Dio e a Lui dedicate. Pur essendo festività religiose, hanno una grande importanza anche per l'agricoltura, scandendo le fasi di semina e raccolto. Sembra infatti non solo un modo di rendere sacro il tempo profano, i tempi della natura e quelli dell'uomo, ma pongono la presenza e l'agire di Yhwh, nel tempo profano; Dio non è fuori dalla realtà creata. Festività che oltretutto assumono una valenza profetica in ordine alla narrazione della storia della salvezza che ha in Gesù il compimento di ogni sacrificio, festa e solennità.
Questo sarebbe sufficiente per interrogarci sul senso e il modo attuale di viver il tempo della festa, delle solennità e dei precetti nella vita della comunità cristiana. Sarebbe bello aprire una discussione senza preconcetti e pregiudizi.
giovedì 29 luglio 2021
Rimanere nell'amore ...
1 Giovanni 4,7-16 e Giovanni 11,19-27
Santa Marta, Maria e Lazzaro
Con una certa sorpresa, stamattina ho imparato che da quest'anno non festeggerò solo Santa Marta, la laboriosa, come anche colei che precorre la fede nella risurrezione dai morti, ma anche Maria, sua sorella alla quale non sarà chiesto di lascare il suo ascolto del maestro a favore di altro, e pure Lazzaro, loro fratello è amico particolare di Gesù.
È il papa che ha deciso questo allargamento della memoria, mettendo in evidenza come ciò che lega tutti e tre è il loro intimo rapporto è la loro amicizia con il Signore.
Ciò che hanno sperimentato nella casa di Betania, non è solo la cordiale ospitalità, ma la fedeltà all'amicizia, essi sono rimasti nell'amore di Gesù.
La prima lettera di Giovanni ci dice di rimanere nell'amore, per rimanere in Dio; questa condizione non si esprime e neppure si impara all'improvviso, è il frutto della fedeltà all'amore che si sperimenta a partire dall'amicizia, dalle relazioni che umanamente ci toccano. Quando siamo disposti a superare i limiti e a vincere le tentazioni che nascono nei rapporti amicali, attraverso la fedeltà, allora stiamo camminando nella fedeltà e nella pazienza di Dio per noi. La nostra maturità umana e relazionale si commisura proprio a partire da questa apertura che poniamo nei confronti dei fratelli.
Gesù, prima di essere il maestro, il figlio di Dio che da la vita ai morti, è stato pur sempre uno che ad un certo punto ha fatto irruzione nella casa di Betania, e da lì è nato un cammino di amicizia e fedeltà.
mercoledì 28 luglio 2021
Il nostro volto radioso
Esodo 34,29-35 e Matteo 13,44-46
Mosè scende dal monte con le tavole «nelle sue mani», ma «non sapeva che la pelle del suo viso era diventata raggiante, poiché aveva conversato con lui» (34,29). È misterioso e meraviglioso questo splendore del volto del profeta. Mosè non è consapevole che il suo volto splende di una luce nuova e diversa. Ogni splendore è esperienza relazionale, sono gli altri che guardandoci ce lo rivelano: «Aronne e tutti gli Israeliti, vedendo che la pelle del suo viso era raggiante, ebbero timore di avvicinarsi a lui» (34,30). L’esperienza spirituale e mistica è sempre esperienza incarnata. Il volto e gli occhi luminosi sono il primo segno che non abbiamo incontrato un idolo. Il dialogo con Yhwh ci fa più belli, e gli altri devono vedere questa bellezza diversa: se non vediamo il volto di Dio, possiamo vedere la sua luce nei nostri volti.
martedì 27 luglio 2021
Fa' di noi la tua eredità!
Esodo 33,7-11; 34,5-9.28 e Matteo 13,36-43
Questa pagina di Esodo, "inverosimile" per la narrazione, in realtà rimanda a una visione che vuole rappresentare il "mito" della presenza di Dio in mezzo al suo popolo, a partire dalla manifestazione e nel roveto ardente sul monte, avuta da Mose: Yhwh, nel suo stesso nome si manifesta come colui che è presente e accanto al suo popolo.
Ecco che a conclusione di un cammino che conduce il popolo nel luogo della presenza, il Monte, viene idealizzata la "Gloriosa presenza".
Essere alla presenza serve per contrastare ogni possibile defezione - dopo il vitello d'oro - è Yhwh stesso che nella sua presenza pone le condizioni perché ogni uomo possa custodire la fedeltà al patto e a Dio stesso. Un Dio misericordioso è pietoso, lento all'ira, è memoria di ciò che egli ha fatto per liberare il popolo dalla schiavitù e di quanto compie per introdurre il popolo nella terra della promessa.
Questa esperienza di presenza, va costantemente attualizzata, è resa anche per noi condizione stabile a cui corrispondere i tempi della nostra esistenza. I 40 giorni di Mose con Dio, lo stare alla sua presenza portano il rivelarsi della legge, delle dieci parole, che sono la vita stessa del popolo; questo concetto va recuperato costantemente per non smarrire l'esperienza della presenza di Dio nella nostra vita, oggi.
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