giovedì 30 giugno 2022

Aspettativa e miracolo

Amos 7,10-17 e Matteo 9,1-8

Ritornato a Cafarnao, il Vangelo di Matteo ci racconta il miracolo della guarigione del paralitico. Un miracolo che i sinottici descrivono con molta enfasi e note aggiuntive: il tetto della casa viene scoperchiato; il lettuccio viene calato davanti a Gesù ... tutti si pongono nella prospettiva del segno straordinario di guarigione che Gesù può fare. Perchè questa è la reale aspettativa della gente, e anche la nostra, nei confronti di Gesù. Noi infatti siamo portati a pensare al miracolo come a qualcosa di straordinario. Ma diversamente da noi, il Vangelo focalizza lo straordinario non tanto sul miracolo accaduto, quanto sulle parole del Signore circa il perdono dei peccati. Come dire: è questo è il vero fatto straordinario che supera ogni umana aspettativa.
Ma il racconto ci porta a chiederci se le parole di Gesù, sul perdono dei peccati, anche oggi sortirebbe lo stesso stupore e meraviglia?
Il nostro mondo è una realtà in cui la nostra umanità viene negata, e le nostre relazioni avvilite; il risultato è la paralisi. È questa la paralisi che ci penalizza tutti. Siamo nel mondo dell’autoreferenzialità e del tornaconto, senza spontaneità e senza amore. Tutto questo ci rende incapaci anche di riconoscere che cosa è il peccato. Oggi abbiamo proprio bisogno che Gesù entri nel nostro peccato nella nostra paralisi, per cambiarci e poterci far fare una autentica esperienza di perdono. Occorre scuotere la nostra umanità avvilita. Il peccato non è solo una questione morale, il peccato è ciò che ci impedisce di alzare lo sguardo oltre il nostro limite; peccato è, accontentarsi del limite.

mercoledì 29 giugno 2022

Obbligo di rispondere.

Atti 12,1-11 e Matteo 16,13-19
Santi Pietro e Paolo Apostoli 

La crisi dell'esperienza cristiana è certamente legata alla sua storicizzazione, cioè all'essere espressione di stili di vita, modalità espressive e concettuali fortemente determinate dal contesto storico culturale. Una rigida caratterizzazione che ha determinato il conseguente distanziamento e la mancata connessione con il processo di cambiamento in atto. L'esperienza credente sembra sempre più marginale, traducendosi in un esodo progressivo del senso Dio dalle domande dell'uomo dal suo quotidiano.
Esiste uno spazio di recupero sulla marginalità? Esiste una possibilità di riscatto del senso di Dio? In un occidente, dove il cristianesimo si limita a fare resistenza nel tentativo di conservare se stesso, non credo ci sia possibilità di recupero sulla marginalità, e sarà inevitabile l'esperienza di essere minoritari, cioè una parte, non troppo influente, rispetto a molto altro.
Oggi ogni credente, deve abbandonare il "fantasma" dei tempi passati; deve abbracciare con coraggio una sfida epocale ripartendo non dalla forza dell'essere una istituzione, non dalle mire dei progetti pastorali, ma dall'incontro personale e quotidiano con le persone; perché è nello spazio relazionale che le domande riacquistano senso e importanza.
La domanda che Gesù rivolge ai discepoli, non ha tempo, perché è personale, rivolta a ciascuno in una relazione profonda e intima. Gesù rivolge questa domanda per riaccendere nei discepoli, l'interesee per il mistero, e per portare a consapevolezza il significato della loro relazione con lui. Gesù provoca una connessione tra la quotidianità e il desiderio di felicità, di pienezza, di senso, cioè di salvezza. Gesù riporta in evidenza nella domanda il senso della personale vocazione. Riconoscere infatti chi è Gesù come colui che regna nella nostra vita, cioè come colui che nella nostra esistenza ha priorità di esserci, significa fare ripartire da lui il cuore della storia, il desiderio di vita e di eternità, come anche la forza propulsiva e trasformante degli affetti e dell'amare.
Chi sei per me Signore: tu sei il Cristo, la verità e l'amore attraverso il trascorrere del tempo.

martedì 28 giugno 2022

È necessario andare dall'altra riva ...

Amos 3,1-8;4,11-12 e Matteo 8,23-27

Ognuno di noi, è chiamato da Gesù a passare all'altra riva; tutti i discepoli sono coinvolti a salire sulla barca e, insieme, compiere ogni giorno l'attraversata del lago della vita. Nessun discepolo può pensare di mettere radici, cercare le sicurezze e le comodità nella vita di Cafarnao. Tutti dobbiamo passare un mare con notevoli tempeste; e in questo, tutti abbiamo un’unica certezza, quella che andremo a fondo per la nostra fragilità, perché tutti siamo mortali e limitati: è l’unica certezza che abbiamo.
Ieri abbiamo ascoltato come seguire Gesù introduce nella vita nuova del discepolo, ma questa sequela si caratterizza anche e proprio per questa attraversata, fino all'altra riva.
Come si fa a compiere questa attraversata, simboleggiata dal mare, che ci ripresenta la morte come l'unica esperienza indiscutibile?
È il problema fondamentale di ogni uomo. Solo la fede in Gesù morto e risorto ci permette di andare a fondo, cioè di vivere l‘acqua, la tempesta, la stessa morte, non come la fine di tutto, ma come la comunione col Signore che è morto e risorto per me. Per cui il problema della fede che si pone davanti a noi, è l'unico nostro vero problema.
Essere salvati da Gesù significa accostarsi a lui, ed essere certi che Lui è la salvezza.

lunedì 27 giugno 2022

Ancora nella sequela

Am 2,6-10.13-16 e Matteo 8,18-22

Non immaginavo che questa mattina, il vangelo del giorno richiamasse quanto letto, ascoltato e meditato ieri secondo il vangelo di Luca. Ma è proprio questa insistenza che rimette la parola di Gesù di fronte a una urgenza: la nostra risposta al Vangelo.
Seguimi, in realtà è la parola chiave per rileggere e comprendere tutto il Vangelo. Seguire Gesù, il maestro, il Signore, significa vivere un amore naturale, che ci corrisponde naturalmente; un amore che include tutti, rinunciando all'amore unipersonale e di autosoddisfazione. Un amare che apre visuali nuove circa la propria vita e il donare sé stessi, una esperienza umana che non è semplicemente la rinuncia di sé.
Noi dobbiamo seguire Gesù: questa sequela trova la sua piena realizzazione nelle relazioni interpersonali; ecco che seguire il Signore significa rinunciare prima di tutto alla pretesa di guardare con giudizio critico e moralistico la condizione umana dei nostri fratelli.
Di fronte alla disponibilità a seguirlo, Gesù pone sempre la priorità di vivere il Regno di Dio dove l'unica priorità è l'amore a Dio, ai fratelli e a sé stessi.
Gesù, modello di vita, si propone come prototipo dell'amare il Padre e di come si ama il nostro prossimo; perché non saranno le nostre ritualità religiose a farci crescere nell'amore, ma lui solo.

domenica 26 giugno 2022

Ti seguo liberamente

1 Re 19,16.19-21; Sal 15; Gal 5,1.13-18; Lc 9,51-62

La sequela del Maestro, oggi, ci pone molte domande, specialmente in questo tempo di guerra e di fronte a uomini che fanno scelte aberranti e distruttive, fuori da ogni logica di verità. La sequela ci obbliga a una presa di coscienza, ci richiede di metterci la faccia al punto di superare quella insipienza dei "buoni ad ogni costo", i quali hanno sempre mille ragioni per non uscire allo scoperto: sono intimorito da una scelta così radicale; devo andare a seppellire mio padre; devo salutare quelli di casa ...

E’ proprio la nostra realtà, così drammaticamente complessa che chiede al nostro essere credenti una presa di consapevolezza della nostra sequela.

La sequela di Gesù non permette una vita comoda, un credente in cristo non può vivere alla giornata; la sequela comporta l’autentica adesione a un cammino che, come insegna il maestro, ha una unica priorità: amare Dio, amare i fratelli e amare anche se stessi.

È logico che una adesione a priori comporta accettare l’imprevisto; certamente mette a rischio quella tranquillità che molti sperano ma che spesso è un estraniarsi dal mondo e dai suoi problemi.

Della sequela di Gesù fa parte anche l’inquietudine di chi cammina nei sentieri di Dio (vedi Eliseo).

Tutto questo è vero anche per lo stesso Signore: quando sceglie di fare la volontà del Padre e, con ferma decisione, superando certamente anche molte tentazioni, liberamente decide di andare a Gerusalemme: il volto si indurisce (non è uno sprovveduto, immagina cosa potrebbe accadere), ma ugualmente il cammino si fa deciso e spedito.

Tutto accade come scelta di libertà rispetto al fare suo il desiderio di amore, cioè di salvezza del Padre. Gesù lo assume fino alle estreme conseguenze: amare gli uomini che il Padre gli affida e dare a loro la vita di grazia che rinnova nell'amore la loro umanità.

La sequela non è quindi solo una questione di adesione a delle scelte dottrinali, ma è un intreccio di libertà, di vita, la nostra e quella di Gesù; come anche quella del Padre e dello Spirito. Ecco la libertà è lo spazio irrinunciabile della sequela del Signore, uno spazio che si riempie di ciò che chiamiamo genericamente grazia!

Quando decidiamo di metterci alla sequela di Gesù è perché scegliamo di farlo liberamente, senza tanti ma e senza tanti se, tanto più oggi che essere cristiani non comporta particolari vantaggi e non è più di moda; oggi non servono cristiani da tappezzeria.

La sequela è quindi un esercizio umano di libertà, che ripercorriamo nei tre incontri descritti nel vangelo.

“Un tale”: è immagine di tutti coloro che vogliono mettersi alla sequela; una immagine che mette in guardia circa la precarietà della sequela – la precarietà secondo la logica del mondo -.

D’altronde cosa pensiamo delle scelte radicali di alcuni giovani quando entrano in convento o seminario

Chi si mette alla sequela di Gesù sperimenta la sicurezza, che nasce nella fede: l’essere nelle mani di Dio, il quale mai abbandona nessuno. La rinuncia alle sicurezze del mondo - che spesso sono una forma di dipendenza e di schiavitù -. è ricambiata da una più grande libertà interiore.

Il secondo incontro è straordinario perché non parte da noi ma dal Signore stesso, dalla sua libertà, che chiama al discepolato. Di fronte a questo Gesù ci propone l'unico necessario: il Regno di Dio, cioè vivere il suo amore. Non possiamo trascurare che vivere per il Regno dona anche una libertà completamente diversa circa gli affetti umani: si è provocati in un modo diverso nell’esperienza di amare: l’inquietudine dei sentimenti.

Il terzo incontro pone al centro la libertà rispetto alle suggestioni dei ripensamenti e delle nostalgie. La scelta libera, non si lascia mai ingabbiare.

Sequela, scelta di libertà, sono lo spazio personale della grazia di Dio, del suo amare, che attraverso i discepoli trasforma l’umano e tocca il cuore dei fratelli.

sabato 25 giugno 2022

Cuore immacolato di Maria ... non riduciamolo a una sdolcineria.

Isaia 61,10-11 e Luca 2,41-51

Ormai sono quattro mesi da quando è iniziata questa guerra, e ormai in tanti si stanno abituando all'idea di convivere con questo dramma. No, non va bene così!
Rischiamo di diventare disumani, cinici e privi di compassione.
Occorre invece ritornare alle parole di papa Francesco nel giorno in cui ha riconsacrato la Russia e il Mondo al cuore immacolato di Maria: “Avvertiamo dentro un senso di impotenza e di inadeguatezza. Abbiamo bisogno di sentirci dire ‘non temere’. Ma non bastano le rassicurazioni umane, occorre la presenza di Dio, la certezza del perdono divino, il solo che cancella il male, disinnesca il rancore, restituisce la pace al cuore”. “Ritorniamo a Dio, al suo perdono”. “Perché in ciò che conta non bastano le nostre forze. Noi da soli non riusciamo a risolvere le contraddizioni della storia e nemmeno quelle del nostro cuore. Abbiamo bisogno della forza sapiente e mite di Dio, che è lo Spirito Santo. Abbiamo bisogno dello Spirito d’amore, che dissolve l’odio, spegne il rancore, estingue l’avidità, ci ridesta dall’indifferenza. Abbiamo bisogno dell’amore di Dio perché il nostro amore è precario e insufficiente”.
Il cuore di Maria è prima di tutto il cuore di una donna e di una madre. Un cuore che batte empaticamente con il nostro; che si commuove e che si dilata per fare posto all'esperienza di amare. È questo umore che come è capace di custodire gli avvenimenti della vita di suo figlio Gesù, così oggi custodisce con amorevole cura, anche tutte le nostre contraddizioni, fragilità e ferite, nell'attesa che il mistero di Dio, che accompagna la storia, nel rivelarsi,  mostri tutta la grazia che salva.


venerdì 24 giugno 2022

Ricerca e gioia: la novità di Dio

Ezechiele 34,11-16 e Luca 15,3-7
Sacro cuore di Gesù


Nella parabola della pecora smarrita, Gesù paragona Dio, e anche se stesso a un pastore. Nel suo tempo, i pastori erano persone povere, che lavoravano per i latifondisti e per tutti coloro che disponevano di una discreta ricchezza e che guadagnavano sulle loro spalle. Noi spesso abituati a rileggere in chiave romantica questa parabola, trascuriamo che perdere una pecora era un evento drammatico, che poneva in serio pericolo la propria fonte di lavoro e, di conseguenza, la sopravvivenza della famiglia.
Gesù confrontandosi con questo pover’uomo disperato, esce alla ricerca della pecorella perduta lasciando il gregge. È un comportamento nuovo e risolutivo, in opposizione a quanto nessun pastore avrebbe mai fatto; nessuno si esporrebbe al rischio di lasciare incustodite novantanove pecore per salvarne solo una. Ma nello stesso tempo, quella pecora smarrita è parte essenziale della sua ricchezza, della sua possibilità, della sua stessa vita. Ecco che dalla rigida logica e comprensione razionale, Gesù si distacca per rilanciare una visione completamete nuova sulla relazione intima ed esistenziale che è il nostro essere da Dio, dal Padre: Dio vuole custodire tutti noi e allo stesso tempo amare ciascuno, perché siamo membra viva del corpo di Cristo: nessuno può mancare o essere lasciato indietro, proprio nessuno!