giovedì 7 marzo 2019

Deuteronomio 30,15-20 e Luca 9,22-25
Quale vantaggio ...

L’evangelista ci riferisce di tre annunci profetici che Gesù avrebbe fatto attorno alla sua passione, morte e resurrezione. Il primo si trova in Lc 9,22 (quello del Vangelo di oggi), prima della trasfigurazione. Il secondo annuncio è in Lc 9,44, prima del grande viaggio verso Gerusalemme. Il terzo annuncio, infine, si ha in Lc 18,31-33, prima della passione morte e risurrezione.
Fatta questa introduzione resta la domanda che oggi ci pone il Vangelo: quale vantaggio, quale convenienza ad essere discepoli di Gesù? Nessun vantaggio, nessuna possibilità di accogliere un invito così inopportuno alla sequela, se Gesù non si consegna prima di tutto a ciascuno di noi. Questo tempo quaresimale rappresenta il suo consegnarsi per essere accolto, amato, e crocifisso nella nostra carne di fragilità e peccato, per risorgere glorioso attraverso la nostra vita. Gesù si consegna a me, oggi, per condurmi con sé nel rinnegamento della vita che è la povertà, cioè la libertà di fronte alla nostra esistenza; nel caricarsi della croce, cioè nel fare nostra la volontà di Dio, che è imparare ad affidarsi, nella paura della contraddizione; e in ultimo si consegna a me attraverso l'invito a seguirlo, cioè nello stare nel suo cammino, nei suoi passi, in obbedienza a Lui, riconducendo le nostre "alzate di testa", la nostra autoreferenzialità a Lui ...
Quale vantaggio nell'essere discepolo? La risposta è sotto certi aspetti racchiusa nella prima lettura (Dt 30,15-20): nessun vantaggio, se non nel possesso della vita eterna! Il discepolo segue Gesù per stare col maestro nel possesso di quella terra promessa ai padri, che è il dono della vita di Dio. Seguire Gesù è camminare con lui verso la pienezza della vita.

mercoledì 6 marzo 2019

Gioele 2,12-18 / Salmo 50 / 2 Corinzi 5,20-6,2 / Matteo 6,1-6.16-18
Mercoledì delle Sacre Ceneri
"Conversion in progress"

Dalla prima lettura capiamo subito il senso di questo "tempo" della nostra vita: "Ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti".
Ecco il senso di questa convocazione sacra: dare inizio al "ritornare", trasformare il tempo della vita in un grande "ritorno" al Padre misericordioso e pietoso ... grande nell'amore. Questo "ritornate" inizia dal cambiamento di senso della vita, che per noi discepoli di Gesù corrisponde alla occasione che la Quaresima pone nelle nostre mani.
Ecco allora che questa Quaresima sia occasione di sperimentare l'intima vita insieme a Gesù risorto. (...) La Quaresima ci cambia il senso della vita a partire proprio dalla risurrezione di Gesù. Altrimenti, possiamo smetterla di fare tutti i nostri sacrifici, rinunce e fioretti ... Possiamo smettere di intensificare la preghiera in questi quaranta giorni (non capisco perché non dovremo farlo nei restanti giorni) ... Possiamo smettere di "farci buoni" (tacitare la coscienza) con azioni che trovano eco sempre e solo davanti a noi stessi ... Cambiare ma vita significa stare fisicamente, realmente, con Gesù risorto, che ci conduce nel cambiamento.
(...) Pensiamo alla povertà  come è fonte di partecipazione alla risurrezione del Signore, perché nulla mi trattiene, nulla occupa i desideri, tutto sono per il Signore vivo e risorto. Così la preghiera non può essere una ripetizione noiosa di formule, di devozioni che rischiano di fare sbadigliare pure di Padre, che già ha una lunga barba senza che ci concorra pure io. La preghiera può essere allora una occasione per educarmi a dedicare tempo: briciole di tempo ... secondi, minuti, ore ... della mia giornata, della vita di ogni giorno alla vicinanza con la fonte la mia vita, con l'amore della mia vita, con la parola della mia vita, con il mio unico Signore.
E il digiuno ... Ecco il digiuno non solo in questo giorno ... E perché non farlo tutte le settimane il digiuno, perché non digiunare spesso ... Forse dimagrirò troppo ... Non temere se il digiuno aumenterà la fame ... di Gesù risorto e di quel pane spezzato ...
Viviamo dunque questa quaresima come evento per la purificazione del cuore, del nostro cuore e di quello di tutta la Chiesa, che penitente vuole "tornare" al Padre.

martedì 5 marzo 2019

Siracide 35,1-15 e Marco 10,28-31
Offrire a Dio attraverso la propria vita

L'osservanza della Torah e dei precetti della Legge, è per Israele, garanzia di partecipare al tempo che verrà. È in questa logica che si sviluppa la dimensione culturale dei sacrifici a cui anche Gesù deve la sua rielaborazione. Il Libro del Siracide in un sorprendente intreccio di fedeltà alla Torah e slancio profetico, unisce la sacralità dell'offerta al precetto da osservare, insieme alla più perfetta celebrazione della lode che è il sacrificio del cuore giusto. La consapevolezza di Siracide supera la semplice ritualità e ci porta a conoscere l'essenza dell'atto sacrificale, dell'atto dell'offerta. Ecco che il sacrificio supera la dimensione puramente rituale e celebrativa, e apre alla contemplazione del mistero e della relazione con Dio, creatore e Sapienza. Nell'offerta del sacrificio, ogni ebreo, restituisce a Dio il tesoro prezioso che gli è stato affidato, per prendersene cura nel tempo opportuno. Ecco che ogni offerta non è un accampare un diritto ma è un restituire a Dio un tesoro; in quella restituzione/offerta si pone, inoltre, la consegna di sé stessi e la cura che abbiamo avuto per il dono di amore che ci era affidato. È inoltre una consegna di gratitudine, di soddisfazione, di partecipazione. Nel Vangelo di oggi, Pietro, sembra sembra non capire ma è preoccupato di dover ricevere una ricompensa per quanto ha custodito - il dono della vocazione/sequela -, ma la risposta di Gesù non tarda a ricondurlo alla pienezza dell'offerta di sé stesso: offrire sé stessi nella libertà di accogliere non un contraccambio, ma la peggiore delle condizioni avverse. Solo questa accettazione ci libera dal possesso del dono di Dio, e ci permette di offrirlo/restituirlo, e con amore partecipare dell'atto stesso di offrire. Ecco la logica della restituzione: "Da’ all’Altissimo secondo il dono da lui ricevuto, e con occhio contento, secondo la tua possibilità, perché il Signore è uno che ripaga e ti restituirà sette volte tanto" (Sir 35,15).

lunedì 4 marzo 2019

Siracide 17,20-28 e Marco 10,17-27
"... Chi è vivo e sano loda il Signore".

La moralità della vita è specchio del nostro cuore, dei nostri desideri. Noi agiamo in ragione del nostro cuore/mente.
Educare, cioè tirare fuori da dentro; prendersi cura, cioè fare attenzione e discernere; formare il cuore, cioè darvi forma ad immagine della Sapienza; tutto questo  rappresenta l'esperienza di una piena esistenza. Il Libro del Siracide, mette in evidenza come la Sapienza, l'intelligenza divina rivelata nella realtà creata, appartiene ed è custodita nel cuore dell'uomo. La Sapienza è la fonte della vera moralità. Questa Sapienza divina è l'origine della sapienza umana che riesce a fare della vita una lode al creatore e l'esperienza che manifesta della sua giustizia.
Come risuonano in noi espressioni come: "... A chi si pente Dio offre il ritorno, (...) Ritorna al Signore e abbandona il peccato, (...) Volgiti all’Altissimo e allontanati dall'ingiustizia, (...) E riconosci i giusti giudizi di Dio (...) Non perseverare nell’errore degli uomini iniqui; (...) E loderai Dio e ti glorierai della sua misericordia."
In realtà più che esortazioni sono indicazioni per un cammino di vita; esse indicano che esiste una realtà "altra" in cui esistere come lode e giustizia di Dio.
Una cosa sola ti manca ... Varcare la soglia: passare dalla Lode come parole e preghiere da ripetere alla Lode come espressione della nostra stessa esistenza "bella"; e la giustizia come la volontà di Dio, come concretezza della sua sapienza. "Chi se ne va triste", lo è perché quella soglia, richiede la libertà del cambiamento rispetto a "prima".

domenica 3 marzo 2019

Siracide 27,5-8 / Salmo 91 / 1 Corinzi 15,54-58 / Luca 6,39-45 
Cristiani inadeguati e impreparati ...

Quanto ci siamo preparati per vivere come cristiani? Senza offendere nessuno, a me piace dire che non siamo mai preparati abbastanza ad essere cristiani, e il più delle volte siamo inadeguati.
Per troppo tempo ci siamo limitati ad essere Cristiani della pagliuzza e della trave, credendo così di imitare Gesù, in realtà abbiamo incarnato una palese ipocrisia, quella che giudica la trave degli altri, giustificandola per sé come; ciò che condanniamo negli altri lo giustifichiamo per noi stessi.
Per capire fino in fondo il Vangelo di oggi, occorre fare risuonare quelle parole in cui Gesù ci richiama a una evidenza: "Infatti, non c'è albero bello che faccia frutto cattivi, né albero cattivo che faccia frutto bello. Poiché ogni albero dal proprio frutto è conosciuto". Quali frutti buoni produce la mia bella vita?
Non è una "vita bella" quella di un discepolo di Gesù, che non si traduce in compagnia per la vita dei fratelli, della comunità; che esclude il cammino con chi è "fuori", nel mondo. Una vita così non ha il sapore della misericordia, della accoglienza, della tenerezza di Dio. Una vita così è una esperienza "ceca", tenebrosa, è una esperienza che allontana invece di attrarre ...
Non è una "vita bella" quella di un discepolo che critica in famiglia, che critica in parrocchia, che critica al lavoro, che critica a scuola ... che critica anche gli amici ... Una vita in cui la critica in realtà sono i frutti, in questo caso cattivi!
Questi sono frutti di pregiudizio, di durezza, d'invidia, di disprezzo ...
Ecco allora che i nostri frutti rivelano che vita stiamo vivendo e se siamo come un albero bello che produce frutti buoni o tutt'altro.
Allora, che discepolo voglio essere? Che bell'albero voglio essere?
Ma ancora più responsabilmente: quale tesoro sto custodendo? Quale è la ricchezza alla quale attingo per generare la bellezza della mia vita da discepolo?
Dice Gesù nel Vangelo di Luca: "... ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro". 
È una provocazione che impone un profondo discernimento esistenziale, di vita! Come mi sto preparando ad essere come il maestro, come Gesù? Ma, voglio veramente essere come Gesù? Infatti Gesù, non ci chiede di essere Cristiani, ma di essere prima di tutto suoi discepoli, e di imparare ad esserlo, giorno per giorno.
Mettersi alla scuola di Gesù, desiderare di essere come Lui, significa imparare dal maestro, ma significa pure diventare capaci di "essere artigiani di sé stessi"; cioè essere artefici di un lavoro spirituale e umano che nasce anche dalle nostre mani.
Mercoledì inizieremo il tempo forte della quaresima, con il gesto delle ceneri e con il digiuno; non limitiamoci a vivere quella giornata come un rito più o meno obbligatorio, e come un segno di purificazione esteriore.
Quel giorno è l'inizio di una esperienza di misericordia di Dio per tutti; di una esperienza di tenerezza e di bontà di Gesù per ciascuno ...
Sarà questo tempo lo spazio del prendersi cura, per essere artigiani di noi stessi, per alimentarci, nutrirci di quel bene che inevitabilmente produce il frutto buono.
È importante alimentarsi, alimentarsi del "bello" per essere persone belle che trasmettono il buono agli altri, che vivono esperienze di bene con gli altri, che sanno imparare ad amare gli altri, tutti quanti, anche i peccatori, anche chi è diverso, anche chi non è come me.
La "vita bella" è il frutto bello di una esistenza accanto a Gesù, questo tempo che iniziamo sia veramente per tutti occasione di impegno e conversione, se saremo fedeli agli insegnamenti del maestro, saremo un po' come Lui e sapremo riconoscere meraviglie!

sabato 2 marzo 2019

Siracide 17,1-13 e Marco 10,13-16
Laicità e sapienza divina.

Attraverso la realtà creata, la ragione umana e la sua intelligenza sono in grado di ripercorrere l'agire creativo di Dio, senza cadere in una visione teocratica, dove però, spesso la fantasia e i miti si impadroniscono della comunicazione dei contenuti di verità. Il Libro del Siracide, in modo "laicale" esprime ed affida semplicemente alla lode del cuore umano (la contemplazione del mistero) il proprio senso di gratitudine e la propria e originaria relazione con il creatore. Non si tratta di una memoria dei tempi antichi, o di una azione divina collocata all'origine dell'universo creato. Siamo di fronte all'uomo, e alla sua centralità e sacralità rispetto all'agire creaturale di Dio. Tutto ciò che è detto dell'uomo è infatti sia descrittivo della sua realtà e responsabilità all'interno della creazione, come pure rifletta la profonda relazione col creatore: "Le loro vie sono sempre davanti a lui, non restano nascoste ai suoi occhi". La riflessione, ripeto, "laica di Siracide" pone l'uomo, non come apice della creazione, ma come immagine di Dio, e tutto ciò che essere questa immagine implica e rappresenta nella creazione ... Quasi quasi, emerge, che è l'immagine di Dio il motivo della creazione, è l'uomo il perché delle realtà create, e come tutto questo è espressione della esistenza di Dio. Non c'è motivazione intelligente per l'esistenza di Dio, e al perché dell'universo; ma l'essere immagine e somiglianza (l'uomo) ne rivela l'esserci.

venerdì 1 marzo 2019

Siracide 6,5-17 e Marco 10,1-12
Un amico fedele è rifugio sicuro.

Per quanto ne sentiamo la necessità e il bisogno, gli amici, umanamente, rappresentano lo specchio più giudicato e criticato di noi stessi.
Il libro di Siracide, non fa diversamente da ciascuno di noi, circa la valutazione e il discernimento dell'amicizia. Infatti solo questo versetto: "Un amico fedele è rifugio sicuro: chi lo trova, trova un tesoro", da una rilettura positiva ... un sapore divino al vincolo di amicizia. Ciò che viene proposto, è invece una serie di umane condizioni che nella vita ordinaria ciascuno sperimenta, fosse anche con un po' di delusione rispetto alle aspettative di una amicizia che corrisponda alle attese.
Forse occorre andare più a fondo? Che cosa ricerca l'uomo nell'amicizia?
Umanamente cerca la soluzione alla sua solitudine esistenziale, l'amicizia rappresenta il desiderio realizzato di essere amato, cioè riconosciuto nell'essere e accompagnato nel vivere. La nostra banalizzazione dell'amicizia non è forse la riduzione, per paura e timore, che facciamo dell'amicizia perché ci sentiamo traditi e feriti la nostra "patologia esistenziale", nella nostra fragile solitudine?
Il libro di Siracide, tenta di interpretare l'esperienza umana , accostandovi la sapienza di Dio, cioè il sapore di una "pienezza altra". Può la Sapienza di Dio gettare luce su questa esperienza umana?
Si! Siracide in realtà propone lo spazio della amicizia come recupero di una relazione originaria in cui la solitudine è riempita dalla presenza di Dio come amico. L'amico allora diviene, la condizione esperienziale della comunione, cioè della fratellanza affettiva; dell'essere uniti, non condizionati; di essere legati nella fedeltà ma pienamente liberi. L'amicizia pur caricandosi di sofferenza nell'esperienza umana, è un cammino di esaltante riconoscimento della sua trascendenza! Ecco, questa trascendenza è il tesoro sicuro dell'amico!