CUSTODIRE LA PAROLA ... don Fabio Gennai

di don Fabio Gennai

sabato 31 ottobre 2020

Per me vivere è Cristo ...

Filippesi 1,18-26 e Luca 14,1.7-11

Che cosa nascondono certe espressioni della lettera ai Filippesi?
Come può, uno come Paolo, arrivare a dire: "per me vivere è Cristo ... Morire un guadagno ..."
Lui che Cristo, lo ha perseguitato ... Lui che neppure lo ha mai conosciuto, non ci ha mai parlato.
Paolo a questa comunità (di Filippi) così amata, lascia quasi una memoria di se stesso, della sua vita. La sua conversione non è stata un passaggio da una fede ad un'altra, come neppure uno slancio di affetti e desideri emozionali; le sue parole lasciano intendere che incontrare Gesù, nell'esperienza viva dei discepoli, oltre che all'incontrare misterioso della "caduta da cavallo", abbi provocato interiormente uno scombussolamento tale per cui tutto è stato messo in discussione.
A me tutto questo suggerisce: Paolo vive l'esperienza, come se Cristo avesse cacciato fuori tutto e tutti dalla sua vita, e in una lotta corpo a corpo, il Signore avesse vinto ogni desiderio, progetto e resistenza. Espressioni come: "purché in ogni maniera, per convenienza o per sincerità, Cristo venga annunciato, io me ne rallegro e continuerò a rallegrarmene", mi suggerisce che in Paolo sua avvenuta proprio questa "devastazione esistenziale".
Credo che oggi dobbiamo chiedere a Dio, per noi, la stessa "devastazione", per poter gustare il desiderio di tornare ad essere discepoli di Gesù e soprattutto annunciatori con la vita della parola del Signore, del suo Vangelo; questo segnerà il rinnovamento della Chiesa e delle comunità di credenti.


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venerdì 30 ottobre 2020

Persuasi per l'opera di Dio ...

Filippesi 1,1-11 e Luca 14,1-6


Un Paolo innamorato di Cristo e della comunità di Filippi, è quello che emerge all'inizio di questa lettera. Un Paolo insolito, che fa trasparire sentimenti fortissimo e insieme, la gioia di chi vede compiersi l'agire di Dio: " Sono persuaso che colui il quale ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù."

Ma oltre a un Paolo "straordinario negli affetti", dobbiamo sottolineare la certezza che Dio compie la sua opera e la porta a compimento. Il segno dell'opera di Dio per Paolo è: "... la vostra carità cresca sempre più in conoscenza e in pieno discernimento, perché possiate distinguere ciò che è meglio ed essere integri e irreprensibili per il giorno di Cristo ..." 
Paolo riconosce che l'amore reciproco costruisce e forma il discepolo di Gesù, lo edifica nella conoscenza del proprio cuore, dei propri sentimenti e nell'accoglienza del fratello. L'amore diviene nel discepolo criterio nel discernere cioè comprendere e decidere circa  la realtà e gli avvenimenti della vita. L'amore sembra contraddire la razionalità della mente e forse Paolo più volte si è lasciato condurre dalla sua razionalità ma, ora ha sperimentato come il suo amare Gesù ha bisogno di esprimersi e rivelarsi anche e proprio nell'amore per questa comunità. Un amare che diviene concreto e soprattutto spazio della fede nel Signore Gesù. Infatti amare non è solo una manifestazione in uscita, ma serve a Paolo per prepararsi integro e irreprensibile al giorno del Signore Gesù Cristo. È quello il giorno del compimento dell'opera di Dio.

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giovedì 29 ottobre 2020

La volpe e la chioccia.

Efesini 6,10-20 e Luca 13,31-35

Il mondo è popolato da volpi; volpi come Erode Antipa che lo vorrebbe vedere morto. Gesù sperimenta l'ostilità, le complicità i sotterfugi. Percepisce la gravità delle situazioni, ma ugualmente riconosce che il mistero di Dio Padre rimane nella realtà creata. È questa certezza che Gesù esprime guardando la realtà, contemplando la città di Gerusalemme e prendendo parte alla vicende della vita quotidiana. La volpe di Erode è l'uomo nella sua "furbizia", nel suo arrivismo, e nel suo sostituirsi al creatore in tutto ... Al punto che cresce l'indifferenza per la Profezia, e l'esodo per gli inviati di Dio. Gesù vive il dramma esistenziale di percepire la forza di Dio nella realtà creata, e insieme, tocca con la sua umanità la ribellione che diviene uccisione dei profeti e lapidazione di coloro che sono inviati.
La chioccia, che raccoglie per proteggere, sotto le sue ali i pulcini, diviene il simbolo del coraggio fino al sacrificio della vita pur di difendere e custodire i suoi figli. Un simbolo non fine a sé stesso, ma per ricordare che la salvezza opera nonostante tutto e opera anche di fronte alle volpi; la chioccia non viene mai meno al suo ruolo.
A volte di fronte alla devastante razzia delle volpi, occorre restare saldamente sotto le ali della Chioccia, fintanto che, passato il pericolo, riconosceremo il tempo di colui che è il "Benedetto".


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mercoledì 28 ottobre 2020

Un legame strettissimo

Efedini 2,19-22 e Luca 6,12-19

Festa degli apostoli Simone e Giuda


Il Vangelo di Luca crea un legame strettissimo tra la costituzione del gruppo, le motivazioni e i destinatari.
La scelta fatta dal Signore corrisponde alla unicità del discepolo, ciascuno con il suo nome è posto in quella speciale relazione con il maestro -"chiamò a a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli" - che costituisce la sua stessa identità. Ogni vocazione in quanto "chiamata" è relazione particolare con il maestro, e identità, non certamente una funzione da svolgere.
Le motivazioni della scelta si intrecciano dallo stare con Lui; all'essere mandati, e in prospettiva al contatto con la moltitudine delle persone che affollano immediatamente il loro ritornare "nel mondo".
Questa seconda immagine descritta nel Vangelo, si costruisce a partire dall'accorrere della folla e dalla necessità di poterlo toccare. Questi "chiamati" devono vedere la necessità di toccarlo e la forza che usciva da lui e che guariva tutti. Ecco che la relazione particolare col maestro non si esprime in un privilegio o nella creazione di un gruppo esclusivo, ma è nell'ordine della fratellanza universale affermata in "Fratelli tutti".
La comunità dei discepoli, il gruppo degli apostoli, si colloca quindi come continuazione del contatto tra il maestro e la gente. Questo delinea e caratterizza l'indole della Chiesa, lo stile che non deve mai smarrirsi o fraintendersi.
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martedì 27 ottobre 2020

La sottomissione ... La lievitazione ...

Efesini  5,21-33 e Luca 13,18-21


Che brutta parola è la sottomissione; suscita ingiustizia, sopruso, schiavitù, dominio, dispotismo, ecc... In una cultura come quella attuale in cui dire "fratelli" suscita da subito la reazione di rigetto, come se si stesse discriminando la parte delle "sorelle", l'espressione paolina della sottomissione al marito suona proprio male. Come intendere questo concetto? Mi sforzo di comprenderlo riferito alla gerarchia che si vive nella Chiesa. Chi è grande è servo di chi è piccolo, e ogni grado gerarchico ha relazione nella carità, con chi segue e chi precede. Se non fosse così, sarebbe un palese maschilismo. Ma se si tratta di gerarchia nell'amore, Paolo ha inserito nella cultura patriarcale-maschilista del suo tempo il principio gerarchico dell'amore, riferendolo a Cristo, che proprio perché ci ha amato fino al dono della vita, e ci ha salvati dalla morte eterna, a buon diritto ha ottenuto il primato di essere a capo di tutto. Lo sguardo del discepolo, allora, non può mai essere ideologico; la comprensione delle parole si accompagna alla rilettura nella fede. Se non fosse così, anche il regno dei cieli sarebbe frainteso come forma di proselitismo e di semplice crescita numerica; cosa ben diversa rispetto alla comprensione del regno come sua manifestazione, come sua capacità di coinvolgere e diffondersi nella realtà del mondo, appunto come il lievito nella farina: la farina resta tale, ma il fermento, genera la lievitazione, cioè una vera e "buona" trasformazione.

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lunedì 26 ottobre 2020

Liberi come i figli della luce

Efesini 4,32-5,8 e Luca 13,10-17

Il popolo di Israele durante l'esodo dall'Egitto e prima di entrare nella terra di Canaa - in quei "quaranta" anni di vita ne deserto, che corrispondono al periodo in cui si forma l'identità di popolo a partire dalle varie esperienze tribali (didici tribù) -, riceve da Mose una Legge, i dieci comandamenti, che la scrittura dice, essere la Legge che per la vita; una Legge che forma il popolo e lo rende diverso da tutti gli altri popoli; una Legge di libertà. Quando la struttura religiosa (Scribi, Farisei, sacerdoti) si impadronisce della Legge, e la trasforma in un precetto; la fede diventa una religione; il culto diventa clericalismo e il rito si trasforma in una gabbia di rubriche procedurali.
Questo è accaduto nell'antico Israele, ma questo accade sempre ogni volta che al mistero di un Dio che si rivela si contrappone l'ideologia o meglio l'io dell'uomo.
Nel Vangelo di oggi è chiara ed evidente la gioia di tutti coloro che Gesù libera dalla schiavitù della Legge, fatta di prescrizioni e divieti, che per "diciotto anni" ci ha tenuti schiavi e piegati sotto un giogo che nessuno è in grado di portare. Gesù è veramente il liberatore, colui che spezza il gioco del precetto e ci restituisce la gioia del sabato, stare con Dio come figli, guardando negli occhi il nostro padre del cielo.
La libertà corrisponde alla identità di essere figli, come quella donna piegata che attraverso Gesù ritrova la propria identità e libertà: essa è figlia di Abramo!
Essere liberi significa restituire alla fede lo spazio che la religione le ha usurpato; significa drizzare la schiena piegata da troppo tradizionalismo, e da convenzioni utili solo a legarci a una mangiatoia che mai potrà saziare il desiderio di vita e di amore che custodiamo nella nostra carne.

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domenica 25 ottobre 2020

Come amo?

Es 22,20-26; Sal 17; 1Ts 1,5-10; Mt 22,34-40

 

Ma quale è per noi il vero e "grande" comandamento?

Questa domanda oggi necessità di una verifica personale.

Gesù risponde con immediatezza; una risposta che non è frutto di conoscenza dottrinale, ma è la sua stessa vita, le sue stesse certezze ed esperienze che esprimono quel comandamento, che tanta ammirazione suscita nel dottore della Legge che con malizia gli ha posto la domanda.

Anche a noi è chiesto oggi - dalla parola di Dio -, di dare una risposta a quella domanda. 

Come capire se realmente vivo la grandezza del comandamento dell'amore?

A volte le scritture di Israele le ascoltiamo con estrema sufficienza, quasi che non essendo Vangelo siano meno Parola di Dio, ma espressioni come:

- "Non molesterai il forestiero né lo opprimerai ...";

- "Non maltratterai la vedova o l’orfano";

- "Se tu presti denaro ... non ti comporterai con lui da usuraio ...";

- "Se prendi in pegno il mantello del tuo prossimo, glielo renderai prima del tramonto del sole, perché è la sua sola coperta ..."; non esprimono dei criteri fondamentali con cui il discepolo di Gesù deve confrontarsi?

In tutta la Scrittura emerge una attenzione quasi una premurosa tenerezza da esercitare con il prossimo, e con chi è fragile, scartato, svantaggiato; anzi nel prossimo e nella sua fragilità, Dio sembra proprio voler dimorare, e a partire da quella reagisce rispetto alla realtà e alla vita di tutti i giorni.

Anche oggi Gesù chiude la bocca ai Sadducei e i Farisei che si dimenano per trovare una scappatoia per un clericalismo (arrivismo ipocrita) che ieri come oggi rischia di portare fuori strada.

Il più grande comandamento della legge non lascia alcun dubbio o scappatoia altrimenti ci si allontana dal pensiero di Dio, e dai sentimenti di Cristo.

Il comandamento dell'amore non impone una morale fatta di regole, ma rivela il mistero di una umanità, una carne - cardine della salvezza - che appartiene a Dio.

Gesù non ha amato Dio perché era un comandamento, una legge o un obbligo, ma lo ha amato come risposta alla Sua  paternità, bontà, tenerezza ...

Ora il Vangelo non vuole esprime un enunciato ideale, ma attraverso Gesù, in forza del suo stile di vita, ci dice come lui ha amato.

Il Vangelo mi chiede oggi come io amo Dio, come oggi io amo il mio prossimo, i miei fratelli, le persone che Dio mi ha affidato.

Occorre che ci misuriamo sull'amore nella prossimità; nell'amore umano a partire dagli amici, per arrivare a vedere in loro il volto di ogni uomo! Questa è fratellanza, questo è amare nella tensione di: "tutti sono fratelli".

"Ama il prossimo come te stesso", assume una particolare densità, se penso quale è stato il modo in cui lo ha fatto Gesù: "non c'è amore più grande di questo, dare la vita per i propri amici".

Allora amare, con verità permette anche di non fraintendere nemmeno le ultime riflessioni e i pensieri del Papa. 

È scandaloso che nella Chiesa, uomini e donne non sentano la fratellanza come condizione di esistenza, ed è ancora più scandaloso che ci siano anche Vescovi che non sentano la paternità per ogni uomo come condizione del loro essere pastori.

È inumano poter insinuare il germe della divisione e della paura dell'altro. Snaturare e sfregiare l'idea del fratello e della fratellanza, quando questa ha nella legge di Dio le proprie fondamenta.

È ipocrita voler gettare discredito sul vicario di Cristo quando questo serve solo ad alimentare i propri fini e le proprie trame di potere dentro la Chiesa; o a nascondere ciò di cui ci si deve vergognare.

In realtà, ancora una volta riscopriamo che, amare Dio e amare il prossimo, non sono delle leggi da obbedire, ma sono una esperienza da vivere.

Non è facile amare, è più facile dirlo che farlo. Ma una comunità di fede permette al mio desiderio di amare di non spegnersi, permette al mio amore di non morire perché costantemente chiede al mio amore di non essere per se stesso ma di essere dono che colma il desiderio di un altro: il desiderio di essere amato.
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sabato 24 ottobre 2020

Frutti per l'avvenire ...

Efesini 4,7-16 e Luca 13,1-9

Per capire questo brano di Vangelo occorre allargare la conoscenza circa la pianta del fico. Una pianta biblica, che insieme alla vite, all'olivo, al mandorlo, al melograno ecc ..., rappresentano la flora arborea principale della Palestina e della Mesopotamia. Certamente il fico assume un valore positivo: le foglie di fico coprono la nudità dei progenitori dopo il peccato; il fico nella dolcezza del frutto è simbolo della saggezza e sapienza; come pure diviene il simbolo di Israele e dell'era messianica ecc ..., ma anche della legge e della sua "bontà".
Premesso tutto questo, riprendiamo le parole di Gesù di fonte alla durezza di lettura degli eventi che segnano la vita di Gerusalemme. Durezza di Scribi e Farisei, ma non solo. Durezza di una gran parte della gente che esige, di fronte alle vicende drammatiche, la consequenzialità col peccato, quasi la certezza del castigo di Dio ... Gesù delude questa prospettiva, aprendo invece lo sguardo alla comprensione della storia e della sue vicende nella prospettiva della nostra conversione. È il nostro cambiare rispetto a ciò che accade che determina la novità e il superamento della drammaticità dei limiti. La conversione è per Gesù frutto della misericordia, del perdono e della pazienza; prima di tutto di Dio, poi di tutti noi. Questa trasformazione misericordiosa è il frutto di fico che nasce a partire da Israele, che può richiedere attesa prolungata, ma che è sostenuto da una attesa insieme ad una promessa: "Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti ..."
Forse è questa la chiave di lettura anche per ciò che accade oggi nella Chiesa e a partire dalla Chiesa. Non possiamo fermarci a Scribi e Farisei, ipocriti, che riconoscono solo l'assenza dei frutti, sperando in un rapido e risolutivo castigo divino.
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venerdì 23 ottobre 2020

Io prigioniero del Signore ...

 

Efesini 4,1-6 e Luca 12,54-59

Le parole di Paolo dicono "semplicemente": sono completamente posseduto da Gesù! Essere del Signore, supera ogni appartenenza e affiliazione, come anche ogni omologazione. Paolo, mette di fronte alla nostra individualità narcisista, la presenza di Dio in noi; in ogni uomo, indipendentemente dalla sua condizione, cultura, religione e moralità, Dio è presente. La presenza non è una occupazione ma è il mistero insito nella stessa natura umana capace di esprimere quel dono di Dio che è la vita. Una vita che sboccia e rivela il mistero di amore che l'ha generata, diviene una esistenza umile, dolce e magnanima. È da questa condizione che la vita umana si percepisce come esistere in relazione con Dio e con gli altri, e nel persegue l'intima unità e comunione con il corpo di Cristo. Da questa appartenenza nasce ogni genere di discernimento. Fintanto che il discernere è solo un capire, come se dovessimo fare le previsioni del tempo (confronta il Vangelo), resterebbe una valutazione staccata dalla vita. Quando discernere è un atto esistenziale, tutta la nostra dimensione relazionale con Dio e con gli altri ne viene coinvolta: il discernere è lo sbocciare della vita, grazie alla propria prigionia in Cristo.


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giovedì 22 ottobre 2020

Sono venuto a gettare fuoco sulla terra ...

 

Efesini 3,14-21 e Luca 12,49-53

Di fronte alle sue parole, di fronte ai suoi gesti e al suo modo di fare, in molti si scandalizzarono. Poco per volta, crebbe nei suoi confronti una sorta di giudizio, di condanna, di esclusione, e in molti lo abbandonarono. Gesù percepisce chiaramente che le sue parole, i segni e la sua stessa vita non sono situazioni "neutre" ma sono come una spada che divide. Sono l'immersione in una "rivelazione" che chiede e suggerisce un discernimento della realtà e non solo che propone di schierarsi per la verità è il bene, ma chiede di bruciare tutto ciò che di noi - egoismi, autoreferenzialità, esclusivismo - ci impediscono di aderire realmente al Vangelo, alla sua Parola. Gesù sa bene che il suo essere "divisivo", il suo generare fuoco che arde e che purifica, ha un costo altissimo: la sua stessa vita; questo esprime la sua angoscia, cioè il dolore di chi presagisce la propria morte, e non solo la vede come inevitabile conclusione, ma percepisce che proprio quel morire darà senso e significato pieno alle sue parole.
Ogni nostra scelta quotidiana, ogni nostro gesto verso gli altri e noi stessi, ogni nostra adesione e appartenenza, ha delle conseguenze nel bene o nel male, ma certamente ogni nostro lasciarci coinvolgere dalle parole di Gesù, cioè dal Vangelo, ha la stessa conseguenza che Gesù stesso ha vissuto: l'urgenza di infiammare il mondo di un amore che supera ogni passionalità ed esprime comunione e unità; l'immersione nella realtà della vita per ricercarvi le tracce di verità che Dio padre a larghe mani ha già seminato. È questo il vero discernimento della vita che siamo chiamati a fare alla luce della Parola del Signore.
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mercoledì 21 ottobre 2020

Una attesa bella e responsabile

Efesini 3,2-12 e Luca 12,39-48 

Diversamente da scribi e farisei, che vivono una religiosità di apparenza, e che gestiscono il culto come professione, Gesù vuole che i suoi discepoli, tutti, siano figli dell'attesa. A pensarci bene tutta la vita di un cristiano, di un battezzato è segno evidente di una attesa che conduce all'incontro definitivo con Dio Padre. Questo non in senso depressivo come una inevitabile disgrazia che incombe, ma nel senso positivo della realizzazione della promessa:"quella, che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo", cioè la saldezza eterne che è la vita in Dio. Questa prospettiva non può essere interpretata con la solita visione "funerea" che traduce il senso della fede di molti cristiani del passato e anche di molti sopravvissuti, oggi; l'attesa proposta nel Vangelo è il coinvolgimento "responsabile" ed esistenziale nel dare forma attraverso la nostra vita, al regno di Dio (la sua vicinanza nell'amore). La venuta "improvvisa" non trasformiamola in una venuta indifferente, una venuta non attesa e soprattutto lontana da noi e dai nostri desideri.


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martedì 20 ottobre 2020

Chi bussa?

Efesini 2,12-22 e Luca 12,35-38

 

"Siano i vostri fianchi cinti e le vostre lampade accese". Questa traduzione letterale, focalizza subito una immagine, bella e immediata, senza la preoccupazione di fissare un inizio e una fine, non c'è nessuna esortazione o una aspettativa, ma esprime un modo di essere che dice una condizione permanente di chi è discepolo del Signore, di chi ha riconosciuto il "tesoro" e vive la tensione del proprio cuore per vivere la pienezza della vita.
"Voi simili a uomini aspettanti il padrone che torna ... e bussando, subito aprano a lui". 
La vita del discepolo, non si consuma nelle molte cose da fare, non si piega all'ansia di chi vede nella propria morte il limite dell'orizzonte in cui non c'è speranza alcuna.
Chi incontra Gesù nella vita, resta coinvolto con lui in una relazione che è permanente. Non è un incontrarsi fugace di un momento, non è una occasione tra le tante; ma è un incontro che è permanente, al punto che la vita stessa è:"essere con i fianchi cinti e con la lampada accesa" ; perché costantemente è un bussare di Gesù al la nostra porta, al nostro cuore. Egli bussa per entrare e restare con noi e, come lui stesso dice: "in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli" ...
Ci ripete: "mi cingerò le vesti ai fianchi, ti metterò a tavola e mi avvicinerò a te per servirti". È questo l'orizzonte di vita del discepolo ... Incontrare Gesù non può essere allora una filosofia o una idea accattivante, è un incontro trasformante in modo continuativo; diversamente chiediti: "che cosa ho incontrato, o forse chi altri ho incontrato ..."
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lunedì 19 ottobre 2020

Fidarsi e ... affidarsi al dono di Dio.

Efesini 2,1-10 e Luca 12,13-21

La tentazione di "farsi da soli", di gestire e di progettare la propria esistenza, non è solo frutto di orgoglio, ma è spesso il sottofondo della vita di tutti; quel istinto di auto conservazione, e il modo di difenderci dalle fragilità che ci accompagnano. Ma questo stile innato, si scontra con il dono della fede, con l'esperienza della sequela di Gesù. L'impatto con Gesù risuona in noi come la domanda del vangelo di oggi: "E quello che, hai preparato, di chi sarà?" Confrontare la vita con le esigenze del Vangelo mette in discussione in modo positivo, e mai distruttivo le scelte che quotidianamente facciamo. È da questo confronto che nasce quella criticità che ti permette di crescere, cioè arricchire davanti a Dio, e non per noi stessi. È questo confronto che apre al di più di senso e significato la stessa realtà, superando la superficialità di accomodare le cose per un comodo vivacchiare. Leggendo la prima lettura si percepisce come la fede abbia permesso a Paolo e ai credenti della prima Chiesa, di riconoscere, e di fare esperienza del dono di grazia, cioè della presenza di Dio e del suono amore per noi, "e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene".

Il nostro quotidiano pregare e cercare Dio, siamo sicuri che sia solo il frutto del nostro modo di vivere la fede, o non anche un rispondere alla vicinanza di "un Dio" accanto?


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domenica 18 ottobre 2020

Oltre ogni logica di restituzione ...

 Is 45,1.4-6; Sal 95; 1 Ts 1,1-5; Mt 22,15-21

 

Dopo aver ascoltato le parole del Vangelo, ed aver fatto riemergere i vari commenti più volte ascoltati, non verrebbe forse da dire: "Ciascuno appartiene all'immagine a cui vuole assomigliare ... "

Un primo livello di lettura del Vangelo ci porta immediatamente a contrapporre "Cesare e Dio", è il tranello che Erodiani e Scribi e Farisei, abitualmente nemici, ora insieme stanno tessendo ai danni di Gesù: da che parte stai ...

Questo tranello oggi porterebbe a schierarsi o con la civiltà globale, atea, indifferente al mistero, e fondata sulla finanza e il profitto, oppure con un Dio ormai antico ... e residuale della memoria di un uomo che perde giorno dopo giorno il contatto col mistero della sua vita.

Gesù nel Vangelo passa oltre la contrapposizione e parte da ciascuno di noi come il soggetto che tutto ha ricevuto; l'uomo è il vertice di tutto ciò che esiste, è il fine ed è il compimento ... Bene, dice Gesù, questo uomo che tu sei a chi deve la sua vita ma sua esistenza a Dio che è un Padre o a Cesare che è la Globalizzazione e la ricchezza?

A chi ti restituisci, a chi rendi ciò che hai ricevuto?

A questo punto la domanda di Gesù risuona in noi e risuona come chiamata alla nostra personale vocazione di figli di ... di colui a cui apparteniamo!

Quindi ciò che dobbiamo avere chiaro è: Noi a chi apparteniamo?

Noi siamo fatti ad immagine di Dio, a lui apparteniamo! Questa è la nostra risposta! Non solo restituiamo a Dio il dono di noi stessi e della nostra vita, ma riconosciamo non un debito ma l’appartenenza.

Ed è questa appartenenza che da pienezza a tutta la nostra vita da discepoli. Chi ha ascoltato Gesù ha certamente capito che in ballo c'era molto di più di un semplice pagare o non pagare delle tasse, ma ieri come oggi era in gioco l'appartenenza del cuore ...

Dire a chi appartengo significa dire chi abita il mio cuore, i miei desideri, le mie attese e speranze. Significa dare un volto alla realtà e darle forma secondo una Parola che non è solo nostra, ma è parola umana che diviene parola di Dio che agisce con noi nella storia.

Quale è il problema del dare a Dio noi stessi, cioè ciò che è suo? Ciò che gli appartiene?

"... restituire dunque ciò che è di Dio a Dio", supera il restituire qualcosa!

Ecco che il restituire non si esaurisce nel rendere qualcosa ma nel darci a lui totalmente. Questo sconvolge ogni nostra visione della vita e della realtà!

Ma perché dovrei restituirmi a Dio?

Prima di tutto perché non mi appartengo, "il Signore ha dato, il Signore ha tolto" ...

Essere di Dio, restituirsi a Lui non è né facile né immediato; Scribi, Farisei ed Erodiani, non lo hanno voluto fare e neppure lo concepivano.

Ci si restituisce a Dio ogni giorno, cercando di lasciare che il Vangelo ci dia forma secondo la Parola di Cristo; ecco che ci si restituisce agendo con misericordia; ci si restituisce confidando e affidandosi alla forza di Dio che è il suo amore. Quando avrò finito di restituirmi a Dio, non temerò più nulla, ma avrò anche finito i miei giorni sulla terra. Ma alla fine della restituzione, allora, mi sarò completamente ritrovato.

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sabato 17 ottobre 2020

La forza di Cristo in noi ...

Efesini 1,15-23 e Luca 12,8-12

La memoria di Sant'Ignazio di Antiochia, martire,  ci permette una riflessione particolare sulla fede, proprio a partire dalla Parola, la quale non presenta la fede come atto di volontà, o come scelta e opzione fondamentale, ma a partire dal manifestarsi di Dio nella vita: "... perché lo Spirito Santo vi insegnerà in quel momento ciò che bisogna dire". Siamo troppo abituati a pensare alla fede e all'atto di fede come percorso personale, spirituale e di intelletto; frutto più di ragionevolezza che di mistero; una deformazione "normale" della prassi catechistica. Invece la fede è riconoscimento del mistero, è annuncio della Parola, e manifestazione di Gesù. Vorrei oggi partire proprio da questi aspetti suggeriti dal Vangelo: "chi mi riconoscerà ..." Questo riconoscere, è ben di più di una attestazione fatta davanti a un tribunale o a una Sinagoga. Chi mi riconoscerà a partire dalla vita vissuta; a partire dalla vicinanza a Dio;  dalla compagnia di Dio, di Cristo e dello Spirito ... Chi mi riconoscerà dentro la relazione di fede che condivido con chi crede, tutto questo mi introduce in un atto di fede capace anche di ospitare un suggerimento è la forza dello Spirito, che è altro da me stesso, ma che è la forza della fede. Lo ripeto, esiste una dimensione della fede che è più esperienza e riconoscimento del "mistero", piuttosto che ragionevolezza del pensiero. Ignazio, dimostra il superamento della razionalità, non in un delirio mistico; non in un gesto sovrumano che lo renderebbe difficilmente imitabile, ma proprio a partire dalla percezione della vicinanza e comunione con il mistero, la sua vita divenne capace della forza meravigliosa dello Spirito, fino al dono della vita nel martirio.

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venerdì 16 ottobre 2020

Effetti del lievito ...

 

Efesini 1,11-14 e Luca 12,1-7

Il lievito del pane che la massaia usa per impastare la farina (immagine di alcune parabole), è il lievito del Regno dei cieli, esso svolge una funzione positiva rende buono il pane, soffice e ne aumenta il volume. In questa immagine, il lievito, è il segno del Regno dei cieli nel suo propagarsi benigno nell realtà dell'uomo per esserne inoltre anche suo nutrimento. Ma nelle parole di oggi, di Gesù, il lievito assume un significato tutt'altro che positivo. Il lievito è ciò che gonfia, gonfia così come sono gonfi e impettiti scribi e farisei che amano passeggiare con lunghe vesti nelle piazze, e allungano i filatteri per farsi vedere dagli altri. Il "gonfiare" è segno di vanità, di superbia, di un ego smisurato ... che a lungo andare schiaccia al margine ogni "altro". Ma non solo, il lievito è fermento di contagio ... è un fermento di corruzione mortale; lo stile ipocrita dei farisei non solo "gonfia il modo di vivere" ma è anche occasione di contagio per chi ne resta affascinato o a di poco invischiato a causa della frequentazione o vicinanza. Il discepolo di Gesù, attraverso il vangelo diviene lievito del Regno e non della ipocrisia. Di fronte a questo fermento di corruzione della vita unico rimedio è la trasparenza e la verità; unica certezza rifuggire il male che dalla ipocrisia cresce fino a corrompere tutta la vita; unica stabilità è affidarsi alla misericordia di Dio. In gioco c'è ben di più di qualche passero, ma una umanità voluta e amata dal Padre che è nei cieli, per questo non adagiamoci nella ipocrisia che ci alletta.


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giovedì 15 ottobre 2020

Guai a voi ...

Efesini 1,1-10 e Luca 11,47-54


"... Che uccidete i profeti ..." Il rapporto tra il popolo di Israele e i Profeti (uomini di Dio) non è mai stato di facile, ne in senso generale, ma neppure in quella relazione personale tra profeta e re, o singolo israelita. La relazione con il profeta conduce a un confronto che chiama sempre a un cambiamento, a una presa di coscienza, o anche solo al semplice riconoscimento di una infedeltà all'alleanza. Mentre la reazione alla Parola profetica si spinge anche fino alla soppressione del profeta per fare tacere la sua voce. Gesù lancia una accusa chiara ed esplicita rispetto al tentativo ripetuto delle varie generazioni di tacitare la Parola. Senza volerlo esprimere pubblicamente, egli sta affermando che le sue Parole sono sulla scia e compimento della profezia in Israele. L'atteggiamento manipolatorio o addirittura che mira a ridurre al silenzio la Parola di Dio è ciò di cui ciascuno deve verificare per se stesso. L'attualità di questo "guai a voi" si trasferisce dal contesto umano e storico di Gesù e raggiunge anche il nostro. L'uccisione dei Profeti è per noi l'indifferenza alla Parola, la mancanza di reazione esistenziale al Vangelo.
Faccio un esempio: il Vangelo ha una portata al di fuori del tempo e della storia, quindi investe anche la nostra epoca e la nostra quotidianità. Il magistero di Papa Francesco, nella sua ultima Enciclica - "Fratelli tutti" -, è stato molto criticato, soprattutto da certe correnti interne al cattolicesimo. Questa Enciclica, destinata a tutti, tra i primi ai cristiani, ha un orizzonte che è un invito a ogni uomo a riscoprire la fratellanza; con la certezza che il Vangelo ha un valore non solo religioso ma universale, e che se è buono per un cattolico, deve esserlo anche per un non credente. Attenzione alla Parola è anche accogliere un modo di entrare della Parola stessa attraverso un magistero del papa che magari è diverso dalle solite modalità ma che però non differisce dalla novità e verità del Vangelo. Negarlo ad ogni costo è sopprimere la possibilità della Parola, quasi come se gli costruissimo anche noi un sepolcro. La Parola non ammette pietre tombali.

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mercoledì 14 ottobre 2020

Crocifissi con Cristo?

Galati 5,18-25 e Luca 11,42-46

Nella lettera hai Galati (prima lettura di oggi), Paolo dice: "Quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri". 
Ma cosa significa questo "crocifiggere la carne"?
Più che nel senso della sofferenza, è nel segno della comunione. La Carne di Gesù è il segno chiaro ed evidente della sua condiscendenza (Dio che scende accanto); della sua vicinanza, del suo esserci accanto; una concreta manifestazione del nome di Dio. Yhwh, quando dal roveto disse a Mosè: "io sono colui che sono"; egli esiste e pone nella sua vicinanza la concretezza del suo esserci. Il nome di Dio non è una definizione filosofica dell’essenza divina, quanto la descrizione del suo agire sul mondo, nella storia, a favore dell’uomo, del popolo. Ecco che Gesù con la sua vita accanto e nella nostra, ci rivela e rimanda alla concreta esperienza del nome di Dio, nel suo agire concreto. In questa intima vicinanza di Gesù, la sua carne, la nostra carne, sono in quella comunione e reale appartenenza, che sola permette di riconoscere la salvezza come il suo amore per noi. Che bello poter sentire, toccare che siamo amati da Gesù, e non dobbiamo rifugiarci in tutti gli stratagemmi della religione, dei riti, dei precetti e di leggi e regole che generano una gabbia per la nostra carne, mettendo in risalto solo la fatica e la fragilità della nostra umanità. Dio accanto, Dio vicino, Dio tenero, unisce nella sua carne (crocifigge), proprio il tutto della nostra carne, non i pezzi pregiati, o almeno tali per scribi, farisei e dottori della legge, contemporanei di Gesù e nostri contemporanei.


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martedì 13 ottobre 2020

Le nostre care ipocrisie ...

Galati 5,1-6 e Luca 11,37-41

Dal Vangelo comprendiamo il disappunto se non l'avversione di Gesù rispetto agli stili vita di scribi e farisei, agli stili di vita ipocriti, ma non per questo li escludeva dalle sue relazioni. Allo stesso modo con cui si intratteneva con pubblici peccatori, ugualmente con scribi e farisei. Il confronto con la vita degli uni, come degli altri era serrato. Cioè il confronto tra il "Vangelo" ( la parola annunciata da Gesù) e gli stili consolidati di vita non ammette tregue. L'ipocrisia infatti è come un'erba infestante (la gramigna) che si radica saldamente sotto traccia anche quando sopra il terreno viene estirpata è ridotta ai minimi termini.
L'ipocrisia dei farisei è diventata ormai un concetto stabile: vivere le regole religiose, in modo superficiale e apparente, ed essere poi incoerenti nel modo di applicarle alla vita.
Ma cosa c'è alla radice della ipocrisia? C'è la finzione, il sorridere fintamente; il voler bene finto; l'approvare per distruggere; il giustificare per poi criticare e il celare/nascondere sempre la propria idea, una finta timidezza che in realtà vuole dire: "non ti do il mio sostegno, il mio aiuto". Quanto male fanno questi atteggiamenti nella Chiesa e in particolare nelle comunità cristiane, nelle parrocchie e nei gruppi ecclesiali. Eppure, la nostra Chiesa oggi, vive il dramma della ipocrisia perché la fedeltà al Vangelo costa lo sforzo della conversione del cuore, unico rimedio alla ipocrisia. Gesù indica anche lo strumento principale del cammino di conversione: la carità, il dono e la gratuità; sono le armi che spezzano la catena della ipocrisia che diversamente toglie libertà e verità. 


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lunedì 12 ottobre 2020

Libertà di amare

 

Galati 4,22-24.26-27.31;5,1 e Luca 11,29-32

Noi siamo Figli della donna libera, cioè della promessa contenuta nell'alleanza. Questa frase di Galati risuona come una dichiarazione di identità. Noi discepoli di Gesù, figli di Dio, siamo figli di una promessa, che è prima di tutto una benedizione. Non è frutto di una obbedienza alla legge, e nemmeno sua conseguenza, ma della libertà di Dio Padre e del suo amore. 
In che cosa si concretizza la promessa? Cosa significa essere liberi?
Più che un diritto, oppure un ideale astratto, la libertà si esprime nelle relazioni che sono di per se il primo vincolo che sperimentiamo. Essere figli della donna libera, cioè della promessa sembra voler attestare l'esercizio della libertà dentro la proposta della promessa. Nella promessa Dio non offre un vincolo ma ci offre la vita, la sua vicinanza e l'amore, come anche la possibilità di corrispondere a tutto ciò liberamente. È questo l'aspetto più bello e importante della libertà Cristiana: scoprire la libertà come condizione di accoglienza di una proposta liberante. Diceva papa Benedetto XVI: "Cristo ci ha liberati per la libertà!" - scrive l'Apostolo - e spiega che questa nuova forma di libertà acquistataci da Cristo consiste nell'essere "a servizio gli uni degli altri" (Gal 5,1.13). Libertà e amore coincidono!


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domenica 11 ottobre 2020

La festa è per tutti!

Is 25,6-10; Sal 22; Fil 4,12-14.19-20; Mt 22,1-14 

 

Fratelli tutti, questo è il titolo della tanto discussa Enciclica sociale di Papa Francesco. Scrive il papa: “San Francesco d’Assisi per rivolgersi a tutti i fratelli e le sorelle proporre loro una forma di vita dal sapore di Vangelo. Tra i suoi consigli voglio evidenziarne uno, nel quale invita a un amore che va al di là delle barriere della geografia e dello spazio. Qui egli dichiara beato colui che ama l’altro «quando fosse lontano da lui, quanto se fosse accanto a lui». Con queste poche e semplici parole ha spiegato l’essenziale di una fraternità aperta, che permette di riconoscere, apprezzare e amare ogni persona al di là della vicinanza fisica, al di là del luogo del mondo dove è nata o dove abita. Infatti San Francesco, si sentiva fratello del sole, del mare e del vento, sapeva di essere ancora più unito a quelli che erano della sua stessa carne. Dappertutto seminò pace e camminò accanto ai poveri, agli abbandonati, ai malati, agli scartati, agli ultimi.

Che cosa percepiamo immediatamente se non che la fratellanza è lo stesso pensiero di Gesù; allora questa parabola di oggi ci descrive come il regno dei cieli non è un'astrazione o una favola di carattere parenetico o una similitudine pedagogica. Le parabole vogliono descrivere una realtà di Dio che entra nella vicenda dell'uomo fino a diventarmi è una esperienza concreta. Ecco allora che la finalità di tutte le parabole che descrivono il Regno dei cieli sembra essere la festa di nozze per il figlio del re. Tutti gli invitati godono della libera gratuità del Re, nessuno è invitato per meriti personali. Se nelle parabole precedenti la corresponsabilità al regno dei cieli e il produrre frutto ci coinvolgeva direttamente; ora il Re compie un gesto di una bontà che ci sorprende: il banchetto è dato agli invitati affinché facciano festa, affinché gustino la festa.

Ancora una volta la logica del Regno supera ogni nostra logica, attesa e ogni possibilità. La bontà di Dio così come abbiamo già riconosciuta nella parabola degli operai delle diverse ore, non ha confini e non discrimina nessuno. “Venite alle nozze!”

Ecco che Dio si fa come un mendicante del nostro esserci al banchetto di nozze, come a dirci: vieni, permetti di mostrarti quanto ti voglio bene, fidati di me; fidati dei miei sentimenti, della mia bontà, del mio prendermi cura di te. Perché allora rifiutare l'invito? Si rifiuta l’invito quando bastiamo a noi stessi non abbiamo bisogno di vivere la festa che è per tutti.

Dice Isaia: "Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati"; solo in una vera fratellanza, si sperimenta la festa come superamento ogni differenza, di ogni limite e divisione, cioè una festa dove nessuno è uno scartato.

Solo con questa consapevolezza l'attenzione alle periferie del mondo non sarà un gesto di filantropia ma significherà aprirsi all'altro, riconoscendo che anche chi sta ai margini, addirittura proprio colui che è rigettato e disprezzato dalla società è oggetto della bontà di Dio.

"Tutti siamo chiamati a non ridurre il Regno di Dio nei confini della chiesetta – la nostra chiesetta piccoletta – ma a dilatare la Chiesa alle dimensioni del Regno di Dio. Soltanto, c’è una condizione: indossare l’abito nuziale cioè testimoniare la carità verso Dio e verso il prossimo" (papa Francesco, Angelus 12/10/2014).

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sabato 10 ottobre 2020

Beatitudine della "Parola"

Galati 3,22-29 e Luca 11,27-28

Nel dinamismo del capitolo undicesimo, due versetti rappresentano il piccolo seme di senape, il tesoro nascosto, la perla preziosa che testimonia la prossimità del Regno di Dio. La realtà non è solo scontro con il male, lotta al l'indifferenza circa il mistero o sfiducia circa il domani; una donna gioisce delle parole di Gesù, e benedice il grembo materno che l'ha portato! La risposta di Gesù è immediata: "Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!"
Anche di fronte al tentativo di accusare Gesù o di trovare appigli per farlo cadere in disgrazia, tutto in realtà è orientato a trovare nel Signore quella fede che attraverso l'ascolto della sua Parola genera la beatitudine come conseguenza del "mettere in pratica, o anche dal custodire" la Parola stessa. 
La nostra felicità è a partire dalla fede in Gesù. Essa non sarà mai il frutto del possesso delle cose, come neppure del piacere affettivo o del successo sociale, o del potere; la felicità/beatitudine è a partire dalla Parola che introduce nel mistero del Regno di Dio.
Fintanto che noi cristiani occidentali useremo a Parola solo per una spiritualità astratta e disincarnata, difficilmente percorreremo il cammino di beatitudine che è la quotidianità accompagnata dalla Parola. Un cammino che segna il progresso della propria fede, come anche la  maturazione della nostra umanità verso un traguardo che è l'amore vissuto verso Dio e i fratelli (tutti). Non è certo ideologia "bergogliana" lo sguardo amorevole sul fratello e la comprensione della realtà ispirata alla vita di Gesù.


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venerdì 9 ottobre 2020

Il demonio e le condizioni di male

Galati 3,7-14 e Luca 11,15-26

Leggendo il capitolo undicesimo di Luca si ha l'impressione di un crescendo ma non positivi, ma contorto. Dall'iniziale "insegnaci a pregare" giungiamo allo scontro con i dottori della legge e con i farisei che cercano qualche pretesto per Gesù.
Una realtà che si complica e che mette in evidenza quelle strutture di peccato che si contrappongono al regno di Dio, che viene. Nella preghiera insegnata da Gesù - al Padre - è riconosciuto il"venire del suo regno"; un venire o divenire storico del mistero di salvezza. Il regno entra in relazione con la vita degli uomini, manifestandosi nella liberazione dal male, nel contrapporsi al maligno. L'impressione è proprio quello di uno scontro, di una lotta, di una battaglia! Sfuggendo una lettura anacronistica, il male, rappresentato dalla presenza e dalla figura del demonio, e dallo spirito impuro, segna pesantemente la vita dell'uomo, occupandone lo spazio esistenziale e distraendolo dal desiderio di bene e dalla verità, al punto che la conduzione dell'uomo peggiora di male in peggio. La venuta del regno evidenzia la pericolosità del male presente. Non possiamo abituarci al male, e non dobbiamo neppure scandalizzarci dei moderni farisei e dottori della legge, anche all'interno della chiesa. Gli scandali, in cui anche la Chiesa oggi inciampa, sono inevitabili, perché sono l'evidenza di un male che coinvolge le coscienze, occupandole e generando l'autosufficienza da Dio. Il regno che viene è invece vicinanza di Dio che libera la memoria, riconducendo al fascino dell'innamoramento per la fede. Infatti la nostra liberazione dal male non sarà mai solo frutto di un impegno morale ma del riemergere originario della fede libera in Cristo Gesù.


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giovedì 8 ottobre 2020

Quando il padre nostro è vita.

Galati 3,1-5 e Luca 11,5-13

Senza alcuna interruzione o stacco narrativo, dopo il "Padre nostro", Luca, prosegue con il Vangelo dell'amicizia e del Padre buono. Siamo di fronte a una immediata applicazione alla vita. Se la preghiera apre sguardi e possibilità nuove, perché da subito non ne possono essere coinvolte anche le nostre relazioni fraterne e di amicizia?
Dalla richiesta al Padre del pane, quello tutti i giorni, che è necessario per saziare la nostra fame, al pane che ciascuno di noi può condividere con l'amico che ci prega. Il pane che dividiamo con l'amico è il pane della gratuità, un pane che nessuno pretenderà di avere in restituzione, perché quel pane può essere solamente donato, mai prestato; è un pane che sfama e nutre la fratellanza, a partire dalle situazioni più scomode.

La successione delle domande che costituiscono il Padre nostro - dacci il pane; perdona i peccati; non abbandonarci alla tentazione ...- rappresentano lo spazio normale in cui la nostra vita e me nostre relazioni, messa di fronte al Padre ne viene toccata. Il dono del pane colma le nostre fragilità; il perdono dei peccati riscatta ogni limite, anche quello che vediamo nell'altro e la vicinanza nella tentazione ci toglie dalla conseguenza di una solitudine antica che ci rende indifferenti all'amore al Padre e ai fratelli. 

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mercoledì 7 ottobre 2020

Il Padre di tutti ...

Galati 2,1-2.7-14 e Luca 11,1-4


A pochi chilometri da Gerusalemme, sulla strada che saliva da Gerico, c'è il villaggio di Betania. Gesù più volte ha percorso quella strada e molte volte si era fermato nella casa di Lazzaro, Marta e Maria. Spesso Gesù, quando era ospite dell'amico Lazzaro, saliva verso Gerusalemme e si fermava in cima al Monte degli Ulivi a pregare. in Cima al monte, anche oggi ricordiamo in una grotta l'insegnamento del padre nostro. Il Vangelo di oggi, ci riporta ad uno dei momenti di preghiera di Gesù. Ora, inaspettatamente il Vangelo fa emergere la domanda dei discepoli:"Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli". Al di là delle motivazioni che conducono a questa domanda (imitazione di Giovanni Battista; fatica del pregare ...) l'evangelista riporta come dalla preghiera di Gesù fuoriesce anche la nostra preghiera. È lui infatti che ci insegna a pregare. La preghiera ha una direzione, non è semplice risonanza interiore o richiesta rivolta a un Dio: nella preghiera Gesù si rivolge al "Padre". Gesù insegna questo atteggiamento iniziale: il Padre è il riferimento primo della preghiera. ll Figlio, il discepolo si mette in relazione al Padre, in dialogo, in contemplazione, in ascolto del Padre.

La preghiera descrive il proprio questo stile: pregare è mettersi alla presenza non di una ignota divinità onnipotente ma del Padre. È questa la comprensione che Gesù vuole condividere e comunicarci. Se avessimo inventato noi il "Padre nostro", forse avremmo iniziato con un "Dio onnipotente ed eterno, il tuo nome è santo e benedetto sopra ogni cosa per tutti i secoli ..." 
Mentre la semplicità delle parole di Luca ci conducono all'intimità di un dialogo, di un sussurrare di Gesù al Padre ...
Padre, il tuo nome è santo (ineffabile); il tuo amore (il regno) si avvicina con potenza; il tuo pane è per noi pane di tutti i giorni ..., prenditi cura di noi ..."

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martedì 6 ottobre 2020

Una accoglienza normale

 Galati 1,13-24 e Luca 10,38-42

Torniamo nella normale quotidianità del Vangelo; la casa di Marta e Maria, le sorelle di Lazzaro, rappresenta lo spazio in cui Gesù sperimenta la semplice accoglienza di una amicizia che nulla pretende. Nel tempo si è letto in Marta e Maria la contrapposizione tra vita attiva e contemplativa, tra il fare e l'essere; oggi vorrei lascare queste questioni per concentrarmi, su Gesù, sulla casa, e sulla amicizia.

Dopo e folle, dopo le dispute con Farisei e dottori della legge, anche Gesù sente la necessità di stare in una casa, dove non ci sia attesa e pretesa, dove viene accolto non perché è il Maestro, non perché si attendeva da lui l'era messianica, ma solo perché Lui è Gesù. Gesù cerca quella vicinanza domestica che permette di vivere relazioni affettive e umane. In quale modo accogliere un amico? Marta è capace di "fare", per lei ogni attenzione diviene un agire per corrispondere, per accogliere concretamente. Maria sente in se l'urgenza di essere accanto, sente il bisogno di consolare e di fare della sua presenza una compagnia gratificante. Più che una contrapposizione, oggi vorrei leggere in queste due donne, e amiche di Gesù, la pienezza di una esperienza di vicinanza. A volte trasformiamo il Vangelo in un libro di catechismo, di morali e nozioni, e non riconosciamo lo sfondo dell'amicizia e delle relazioni che in verità sono la trama degli avvenimenti. 

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lunedì 5 ottobre 2020

La vita eterna

Galati 1,6-12 e Luca 10,25-37

Dopo i giorni della nostra vita, in cui tutto si percepisce in una successione di tempo, ciò che ciascuno attende è l'eternità: una sorta si esistenza che non finisce, una vita che non conosce il limite e la paura della morte. Questo dottore della legge - e forse anche buona parte di noi - è convinto che la vita eterna sia la conseguenza di uno sforzo morale, che permette di accedere a un diritto legittimo: l'eredità. Come scardinare questo "dogma" umano? Il dottore della legge conosce bene il cuore della legge, e crede che la vita eterna dipende dall'osservare e mettere in pratica i precetti dell'amore. Secondo molti è dal mettere in pratica, cioè dare vita a quei precetti, che si  giunge a sentire e gustare la vita come eternità. Ma dalle parole del Vangelo, si intuisce, che vita ed eternità non sono due realtà staccate, non sono la conseguenza, una dell'altra. Gesù porta il dottore della legge a confrontarsi sulla vita come relazione; e l'amore a Dio e al prossimo come superamento dell'egoismo e della indifferenza. Il prossimo non è l'occasione per compiere una buona azione, ma è relazione, è la vita che si affaccia alla mia, con tutto suo bisogno e la sua esistenza. Ecco che la vita eterna non è questione di tempo, ma di pienezza. La vita eterna, o la vita piena, si percepisce come desiderio e possibilità di amare. Chi non ama, non vive il tempo presente e neppure riesce a desiderare un amore che è per sempre.


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domenica 4 ottobre 2020

Oltre la cruda realtà ... La pietra angolare!

 Is 5,1-7; Sal 79; Fil 4,6-9; Mt 21,33-43

Già domenica scorsa, la possibilità di essere sostituiti da prostitute e peccatori, non credo sua piaciuta a molti, ma d'altronde non lo affermo io, ma lo dice Gesù, e ciò accade di continuo nella vita della Chiesa. La Chiesa nasce infatti dalla conversine di pubblicani, peccatori e prostitute ... Perché loro alle parole del Vangelo hanno creduto e hanno scelto il Vangelo come ideale di vita.
Oggi la parabola della vigna e dei vignaioli omicidi, nella sua ricca e drammatica suggestione ci richiama:
1) all'amore di Dio per la sua vigna: il suo popolo, tutto ciò che ha creato, e anche la Chiesa, quella del suo figlio: "La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini ...";
2) al nostro amore per la vigna del Signore. Come io mi sento coinvolto nel curare e custodire la vigna.

A) "... Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono". Che strano prendersi cura della vigna è questo!
B) "Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo". 
C) "Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero.
Se chi ha ricevuto il compito di prendersi cura della vigna, disattende al suo incarico, fino a trasformarsi in cinico omicida ... Che cosa può accadere? La vigna griderà fino al cielo la sua disperazione.
Di fronte a tutto questo, di fronte a ciò che oggi accade e di cui siamo in parte spettatori e insieme in parte protagonisti, l'unica via di uscita da una situazione troppo ingarbugliata è essere fedeli a quell'amore che Cristo da sempre ha messo in campo per la sua Chiesa. Questo amore è il modo di prendersi cura della vigna.
Oggi ciò che viviamo, ci richiama ai momenti tristi e cupi della storia della Chiesa, e potrebbe lasciarci nello scoraggiamento generale e nella triste disperazione di chi sente tradite tutte le sue attese. Ma proprio da questa realtà così avvilente possiamo capire come è diverso Dio, che ricomincia, dopo ogni tradimento, a mandare ancora servitori, altri profeti, infine suo Figlio; che non è mai a corto di sorprese e di speranza: "che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna, che io non abbia fatto?" Io, noi siamo vigna e anche la delusione di Dio, e lui, contadino appassionato, continua a fare per me ciò che nessuno farà mai.
In questo ricominciare di Dio, c'è il superamento della logica stringente della parabola, quella della giustizia e della strage dei vignaioli disonesti. In realtà Dio che cosa farà?
Il progetto di Dio non si concluderà con un fallimento, ma con una vigna viva e una ripartenza fiduciosa: per questo Gesù, fiducioso nell'amore del Padre può dire: "... il regno di Dio sarà dato a un popolo che ne produca i frutti".

La vigna darà il suo frutto, perché c’è ancora chi saprà difenderla e farla fruttificare. Ci sono, stanno sorgendo, nascono dovunque, e lui sa vederli, vignaioli bravi che custodiscono la vigna anziché depredarla, che servono l’umanità anziché servirsene. La vendemmia di domani sarà più importante del tradimento di ieri.

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sabato 3 ottobre 2020

“... ora i miei occhi ti hanno veduto”.

Giobbe 42,1-16 e Luca 10,17-24

Certo che la lettura in questi giorni non ci ha fatto gustare interamente la trama e i contenuti del libro, come anche non ci ha permesso di entrare nel dramma umano di Giobbe. Di fronte alla sofferenza umana come è possibile continuare a credere in Dio si fa garante della giustizia, quando la realtà concreta dimostra il contrario? Giobbe affronta questo problema - che chiama in causa Dio - discutendo con Lui, e non eliminandolo dal suo orizzonte di ricerca.
Il libro non è un trattato sul dolore, sulla sofferenza o sul problema del male; queste realtà esistenziali, per l'uomo, mettono generalmente in crisi il rapporto religioso tra uomo e Dio. Giobbe non si chiede il perché lui debba soffrire, non affronta la questione a partire da Dio: perché Dio giusto e buono non interviene a favore dell'uomo giusto e sofferente? Nel libro di Giobbe il problema del dolore non si traduce in una atto di ribellione o di accusa a Dio, ma viene affrontato e vissuto dentro la fede in Dio.
Si può dunque continuare ad amare Dio? Si può continuare a credere e a fidarsi quando la situazione e il contesto negano ma sua presenza, quando vengono meno i segni della sua benevolenza, quando le promesse si infrangono e ci sentiamo smentiti nelle convinzioni che nel tempo hanno alimentato la nostra vita?
Il racconto di Giobbe è una riflessione complessa circa il senso della sofferenza, del dolore e della morte, ma certamente la manifestazione del volto di Dio, per Giobbe, non è al di fuori dell'esperienza della sofferenza.

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venerdì 2 ottobre 2020

Un amico immaginario

Esodo 23,20-23 e Matteo 18,1-5.10

Festa Angeli custodi


Il bisogno infantile di un amico immaginario, sembra aver chiuso ogni possibilità per accogliere l'angelo custode come reale affidamento che Dio ci dà, per il cammino della vita. Tutto questo è ormai una semplice illusione, una metafora per lenire la solitudine dell'esistenza; un bisogno psicologico affettivo che cerca una sua compensazione. In realtà la relazione uomo-angelo, trova nella immagine di Esodo, una chiara espressione del modo in cui Dio interagisce con le vicende umane e personali.
Abbi rispetto ..., da ascolto ..., non ribellarti ... Tre verbi che descrivono la sostanziale criticità circa la relazione Angelica, questo fin dal suo manifestarsi.
Questo angelo, diverso quindi da Dio stesso, compare a conclusione del "codice della Alleanza" e prima dell'ingresso di Israele nella Terra di Canaan; un angelo che comunque continua le stesse azioni rivelative di Yhwh, per Israele.
Abbi rispetto della sua presenza, ovvero abbi rispetto del suo nome; "la presenza, ... il nome è in lui", sono un chiaro riferimento alla immanenza divina, e alla rivelazione del nome di Dio sul Sinai. L'ascolto implica tutta la relazione con la Parola e la vita. L'angelo non ha una sua autonomia di parola, ma è rivelatore della parola di Dio. Così pure l'invito a non ribellarsi a lui, così come spesso si ribellarono i nostri padri, e anche noi oggi. La ribellione, come insofferenza, ma anche come distrazione della vita di fronte al mistero che le appartiene. Le considerazioni, i pensieri, le riflessioni circa la festa chi oggi, non possono essere semplici memorie e nostalgie infantili, ma devono rifarsi alla presenza Angelica così come nella scrittura essa viene rivelata.

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giovedì 1 ottobre 2020

Certezze nascoste, certezze sperate ...

Giobbe 19,21-27 e Luca 10,1-12


La certezza è che Dio non è come gli accusatori e neppure come gli “amici” di Giobbe; la certezza in cui Giobbe spera è che Dio alla fine di tutto si alzerà come suo difensore e lo solleverà dalla condizione straziante che ora lo tiene schiacciarono  a terra nella polvere.
Di fronte alle prove della vita, insieme al giudizio di molti che diventano i nostri accusatori, ciascuno matura dentro di sé l’attesa di una redenzione, il riconoscimento della propria giustizia o almeno innocenza; una redenzione attribuita a colui che sembra essere il nostro principale avversario Dio stesso, che ha permesso la prova e che ha lasciato che la realtà, con tutta la sua complessità ci umiliasse.
L’esperienza di Giobbe non è molto diversa da tante nostre esperienze, soprattutto quando anche noi, fidando nella comprensione degli amici, incassiamo il loro giudizio e la loro criticità. Ci aspettavamo comprensione e complicità, invece ecco che raccogliamo solo una malevola valutazione. È in queste situazioni che anche il riferirci a Dio non trova lo spazio per una nostra soddisfazione. È l’esperienza di solitudine e di vuoto che si crea intorno a noi, una sorta di sindrome depressiva che traduce l’allontanamento di tutti e la delusione per ogni relazione.
La speranza di Giobbe non si spegne neppure di fronte a questo vuoto, ma proprio da quello, ha la certezza che sarà Dio stesso il proprio vendicatore/redentore. Colui che mi ha umiliato sarà colui che mi salverà.
Il difensore di Giobbe, che di alzerà in questo dibattito processuale che ha visto tutto ricadere su Giobbe stesso, può essere solo Dio.
Giobbe ormai ridotto a pelle e ossa, vicino alla tomba, prostrato b no Ella polvere vedrà la parola liberatrice di Dio risollevarlo alla speranza. Questa speranza anticipa, anche per noi, l’incontro definitivo e finale con Dio. 
Pubblicato da CUSTODIRE LA PAROLA ... don Fabio Gennai alle 01 ottobre Nessun commento:
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