Efesini 4,7-16 e Luca 13,1-9
Per
capire questo brano di Vangelo occorre allargare la conoscenza circa la
pianta del fico. Una pianta biblica, che insieme alla vite, all'olivo,
al mandorlo, al melograno ecc ..., rappresentano la flora arborea
principale della Palestina e della Mesopotamia. Certamente il fico
assume un valore positivo: le foglie di fico coprono la nudità dei
progenitori dopo il peccato; il fico nella dolcezza del frutto è simbolo
della saggezza e sapienza; come pure diviene il simbolo di Israele e
dell'era messianica ecc ..., ma anche della legge e della sua "bontà".
Premesso
tutto questo, riprendiamo le parole di Gesù di fonte alla durezza di
lettura degli eventi che segnano la vita di Gerusalemme. Durezza di
Scribi e Farisei, ma non solo. Durezza di una gran parte della gente che
esige, di fronte alle vicende drammatiche, la consequenzialità col
peccato, quasi la certezza del castigo di Dio ... Gesù delude questa
prospettiva, aprendo invece lo sguardo alla comprensione della storia e
della sue vicende nella prospettiva della nostra conversione. È il
nostro cambiare rispetto a ciò che accade che determina la novità e il
superamento della drammaticità dei limiti. La conversione è per Gesù
frutto della misericordia, del perdono e della pazienza; prima di tutto
di Dio, poi di tutti noi. Questa trasformazione misericordiosa è il
frutto di fico che nasce a partire da Israele, che può richiedere attesa
prolungata, ma che è sostenuto da una attesa insieme ad una promessa: "Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti ..."
Forse
è questa la chiave di lettura anche per ciò che accade oggi nella
Chiesa e a partire dalla Chiesa. Non possiamo fermarci a Scribi e
Farisei, ipocriti, che riconoscono solo l'assenza dei frutti, sperando
in un rapido e risolutivo castigo divino.
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