Giobbe 1,6-22 e Luca 9,46-50
Se
oggi all'improvviso il nostro conto corrente venisse hackerizzato e
svuotato; se perdessimo il lavoro; se la nostra casa crollasse; se le
persone che amiamo ci abbandonassero, se ... Se tutto attorno a noi
perdesse di significato e la realtà invece di accompagnarci nella vita
si rivelasse matrigna e piena di fatiche e avversità, come reagiremmo?
Saremmo capaci delle parole Giobbe?
«Nudo
uscii dal grembo di mia madre, e nudo vi ritornerò. Il Signore ha dato,
il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore!».
Il
commento del redattore del libro di Giobbe è: "... in tutto questo
questo Giobbe non peccò e non diede nessuna colpa a Dio ..."
Come
è possibile tutto ciò? Credo che Giobbe rappresenti il prototipo
dell'uomo che cerca Dio, e che non si stanca di Dio. Dell'uomo che, in
tempi di prosperità, serenità e pace, riesce a considerare la propria
condizione in relazione al creatore. È in quella lucidità - se le cose
di cui si gratifica non diventano idolo della vita - che il mistero di
Dio resta come orizzonte di attesa e di speranza delle realtà che non
passano. È con questa consapevolezza che Giobbe può pensare e anche
affrontare la fragilità e la crisi. La sua solidità ha le sue radici
nella benedizione di Dio, nella quale Giobbe non ha smesso di
considerare Dio fonte di ogni suo bene e compagno di cammino.
Giobbe
ci dice come "non ridurre Dio a nostra misura", nelle bene e nel male;
se Dio non è la misura ma siamo noi stessi a misurare ogni cosa, ogni
realtà perde la propria trascendenza, e risulta solamente "finita". È
facile cadere nello scoraggiamento della prova, nella tentazione della
solitudine e dell'abbandono ... Ma quel voto che si allarga come abisso è
proprio lo spazio del mistero che per qualche motivo non entra in me.
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