Pr 8,22-3; Sal 8; Rm 5,1-5; Gv 16,12-15
"Ai tempi di Erode, la notte in cui nacque Gesù, gli angeli portarono la buona notizia ai pastori. C’era un pastore poverissimo, tanto povero che non aveva nulla. Quando i suoi amici decisero di andare alla grotta portando qualche dono, invitarono anche lui. Ma lui diceva: “Io non posso venire, sono a mani vuote, che posso fare?”.
Ma gli altri tanto dissero e fecero, che lo convinsero.
Così arrivarono dov’era il bambino, con sua Madre e Giuseppe. Maria aveva tra le braccia il bambino e sorrideva, vedendo la generosità di chi offriva cacio, lana o qualche frutto. Scorse il pastore che non aveva nulla e gli fece cenno di venire. Lui si fece avanti imbarazzato. Maria, per avere libere le mani e ricevere i doni dei pastori, depose dolcemente il bambino tra le braccia del pastore che era a mani vuote…"
Più che sforzarsi di capire un mistero, certamente più grande di ogni comprensione teologica e umana possibile, questa semplice storia, come anche il vangelo di Giovanni di questa domenica ci invita ad accogliere il mistero e a fare nostro ciò che lo Spirito annuncia e ci vuole donare, ovvero ciò che dello spirito ci si chiede di accogliere in noi.
Tutto hai messo nelle nostre mani, ma non per distruggere e per distruggerci, perché l'uomo nella sua fragilità e nessuno peccato è capace di trasformare il mistero di Dio nel suo destino di morte e di distruzione.
Il salmo 8 che abbiamo pregato ci dice come tutto il mistero che nasce da Dio è nelle nostre mani, ma la realtà ci dà testimonianza di come la bellezza del mistero sia oscurata dal brutto del male; come la comunione e l'amore siano sfregiate da odio e violenza; come la verità che da senso alla vita sia soffocata dalle parole di menzogna che vogliamo aggiungere noi nel tentativo di spiegare il mistero.
Accogliere Dio Trinità, scoprire la sua vita, entrare in relazione con lui, metterlo al centro di noi stessi. avrebbe dovuto dare forma a un modo di vivere capace di comunione e di pluralità, di concordia e accoglienza; di abbracci e di diversità ossia molteplicità, cioè a contenere insieme la molteplicità e la singolarità.
La Trinità… forse più che capirla va vissuta nei modi di vita quotidiana. Sperimentando il gusto delle realtà molteplici e diverse, come anche quella singolarità che è la sintesi della comunione, cioè quella spinta o forza di amorevolezza che ricrea, rinnova, risveglia, ripara, sorregge, spinge, muove la vita nel mondo e nella nostra storia personale, nelle nostre relazioni, nei desideri.
Credere in un Dio Trinità ci regala ogni giorno il coraggio della differenza. Credere la Trinità ci mostra Dio e a credere nel suo venire tra noi fragile uomo, prima che onnipotente.
Credere la Trinità ci offre la possibilità di un Dio camminatore insieme con noi vivendo una quotidianità che ci restituisce una fede viva.
- Sarebbe molto più facile credere in un Dio più definibile;
- in un Dio tutto d’un pezzo che o dà o toglie;
- che fissa una volta per tutte dove sta il bene e dove sta il male.
Ma lo Spirito, che nel Risorto riceviamo e che può aprirci alla novità e alla verità di Dio, ci spinge oltre e ci fa sentire l’ebbrezza di una fede che è sempre in bilico tra l’abisso e la pienezza, tra l’errore e la possibilità, tra il sentire profondo e il non riuscire a capire ancora, tra l’uno definito e il differente …
Questo ci permette di aprirci definitivamente a Dio.
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