domenica 10 agosto 2025

Noi piccolo gregge e tesorieri del Regno

Sap 18,6-9   Sal 32    Eb 11,1-2.8-19    Lc 12,32-48

Oggi Gesú si ferma a dialogare con noi e lo fa con questa pagina di vangelo: il tema è importante; le conseguenze coinvolgono tutta la vita, perché riguarda i fatti attuali e l’eternità beata; riguarda anche il nostro cuore, ci dice dove siamo nella vita, a cosa teniamo veramente, a cosa abbiamo legato il senso della nostra esistenza.

Il brano inizia con una espressione di estrema confidenza e tenerezza: “Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno”.

Predilezione, tenerezza e protezione da parte di Dio nei confronti di una comunità di discepoli che si trova in quel momento difronte alla rivelazione più i attesa del loro maestro: il “piccolo gregge” di cui parla Gesù, a cui il Padre è piaciuto dare il Regno, quale è, ne siamo parte anche noi? Siamo oggetto a che noi della stessa predilezione?

Il vangelo ci propone nelle parole di Gesù frasi brevi e verbi imperativi: “Vendete ciò che possedete”; “... datelo in elemosina”; “Fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli”.

E un dinamismo sapienziale: "state pronti con i fianchi cinti e le lampade accese e soprattutto aspettate il padrone di casa…"

Una immagine di paragone è Ulisse che torna a Itaca dopo un lungo viaggio e trova pretendenti al trono e servi infedeli ...

Gesù attinge a una immagine arcaica, ricca di risonanza per chi ascolta, per parlare ed essere compreso dagli uomini del suo tempo: padrone, servi, amministratore, punizione degli infedeli, percosse ...

Ma il cuore di queste parole non è nella paura della punizione o del giudizio, quanto piuttosto nel modo in cui viviamo l'attesa del padrone che deve tornare, attesa che dipende fondamentalmente da dove si trova il nostro tesoro. Perché, come ci ricorda il Signore, dove collochiamo il nostro tesoro si trova anche il nostro cuore. E dov’è adesso il nostro cuore? Sa attendere, o è preso dalla smania dell’incontro con ciò che ama? Con la bramosia del mondo?

La nostra attesa oggi non può essere se non insieme a chi grida pace, giustizia, diritti!

Un grido innocente e inerme di vittime, di bambini, di donne, anziani e fragili. Un grido dal cuore di una umanità umiliata ... questi sono i servi fedeli che attendono l'arrivo del padrone, lo attendono nella vita, lo attendono come vera ricchezza a cui attaccare il cuore. E se ancora ora tarda nella notte non si fanno prendere dal sonno e si tengono pronti per servire il signore che torna dalle nozze.

Ciò che anima l'attesa è la speranza, è scoprire che all’arrivo del padrone, non saranno loro a servirlo, ma lo farà il padrone stesso. Che cosa significa questo? Quale pienezza e compimento realizza?

C'è un gesto di Gesù che esternalizza il suo venire, e consacra l'essere quel piccolo gregge a cui il Padre affida il regno: il Signore, ricurvo sui piedi dei suoi discepoli mentre lava loro i piedi e pronuncia quelle parole indimenticabili: “e dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi”.

Questo esempio, infatti, torna anche nel vangelo odierno, dove l’amministratore fidato e prudente viene messo a capo di tutta la casa e deve prendersi cura di tutti coloro che vi abitano, mentre il Signore tarda a venire. Il Signore quindi ci affida questo compito di accudirci reciprocamente “finché egli venga”. Una domanda risuona urgente: Sappiamo essere custodi del nostro fratello, sorella, comunità, contesto di vita, ambiente in cui viviamo?

Nessun commento:

Posta un commento