domenica 23 marzo 2025

Attendo un frutto

Es 3,1-8a.13-15; Sal 102; 1 Cor 10,1-6.10-12; Lc 13,1-9

Quale Dio?

La prima lettura sembra volerci trasmettere un messaggio in cui Dio resta altro da noi, pur rivelandosi nel roveto, si ha l'impressione che non di realizzi una comunione, ma che questa manifestazione garantisca distanza e diversità. Occorre riempire quella distanza legata al racconto, legata alla forma espressiva e alla cultura di origine.
In realtà il testo ci presenta Dio che si comunica come uno di famiglia, come il Dio dei Padri, come un Dio che vede, ascolta e conosce i tormenti di un popolo umiliato dalla schiavitù, come un Dio che vuole prendersi cura dei suoi figli e ora vuole liberarlo. Un Dio che impegna se stesso in ciò che è stata la vicenda di Abramo, Isacco e Giacobbe, non un Dio qualunque! È comunque un Dio che soffre una passione d’amore per noi. È un Dio diverso dalle solite divinità, anche se l'i mmagine la forma espressiva ci riporta a modalità tradizionali. Il Dio d’Israele invece è personale: interviene, rimprovera, ammonisce, consola…: raggiunge gli uomini con la parola, è incarnato nella storia: a lui importa dell’uomo! Non è un Dio che si può raggiungere semplicemente con la conoscenza o con i riti. Non è un Dio qualsiasi, una potenza naturale o metafisica, ma è un Dio a cui si può stare davanti, con cui si può entrare in profonda intimità. Ecco il senso profondo del nome che Dio che si cela nel tetragramma Yhwh, che definisce l’essere e il suo agire «‘ehyeh ‘ašer ‘ehyeh», che potremmo tradurre: “Io sono l’esserci!”, una espressione collegata probabilmente al respiro, alla vita, all’essere, all’esistere, o meglio: all’esserci! Esserci accanto.

Dio si cura di noi?

Spiazza a questo punto la figura del padrone della vigna che Gesù inserisce nella narrazione rimandando intuitivamente a Dio, e alle sue prerogative o caratteristiche.
Dio in realta sembra proprio così: «Voglio lavorare ancora un anno intorno a quel fico e forse porterà frutto». Ancora un anno, costantemente, ripetutamente, ancora un anno ... Il nostro modo di intendere la giustizia, il perdono, la misericordia, è generalmente filtrato dalla nostra umanità ferita, umiliata e incline alla tentazione del male. Questo genera spesso un senso di proporzione e di retribuzione rispetto alla modalità con cui anche Dio deve agire e regolarsi rispetto all'uomo. Dalla parabola del fico, entrata dalla rilettura umana una imnagine di Dio che supera e travolge ogni nostra comprensione: vedere sempre una piccola probabilità oltre ogni limite e fragilità. È un Dio che non si accontenta e che si aggrappa ad un fragile “forse” e lascia che un altro anno trascorra nella speranza delle cure e attenzioni dopo i tre anni di inutilità già pasati, perché si fida di noi, oltre ogni speranza. Forse, semplicemente perchè tutto può succedere e tutto ancora può accadere. È questo l'orizzone e la prospettiva di Dio ... un forse ti troverò, forse mi salverò, forse guarirò, forse ritornerò… Forse, si apre alle possibilità, si incanta sul futuro o, più semplicemente sul dopo.

Dio coltiva la nostra conversione

Più che un cambiamento morale, dovuto a ripensamento o pentimento, la conversione emerge come conseguenza dell'opera di Dio. Nella mentalità comu e la conversione sembra essere il processo umano per essere graditi a Dio, dopo aver preso svoscuenza del male commesso e che ci ga allontanati e resi particolarmente odiosi Dio. Gesù si distanzia da questo pensiero, e ci introduce in un processo di conversione che ci ristabilisce nella vita vera, a partire da una immagine in cui Dio è parte attiva della conversione. Quei Galilei, quelle vittime del crollo, non erano più peccatori degli altri, dice Gesù: ma ugualmente nessuno può considerarsi escluso dalla necessità di convertirsi. Gesù sottolinea che la conversione è una necessità, che ogni uomo ha bisogno di rimettere a fuoco la sua relazione con Dio, e riorientarsi, convertirsi a Lui. Senza la conversione, si perisce, si muore, perché solo in Lui vi è la pienezza di vita. Ma per convdrtirci occorre accogliere un Dio accanto che con la Parola e la storia vissuta entra in relazione e si cura di noi.
Ci sono due verbi i perativi molto importanti: il primo è “Taglialo!”, detto dal padrone al vignaiolo; il secondo è “lascialo”, detto dal vignaiolo al padrone. Il primo, esprime la rigidita religiosa e morale,per cui di fronte al nostro peccato Dio interviene ed elimina il peccatore. Il secondo verbo è “Lascialo”, è espressione del cuore di Gesù: quello per cui tutta la storia della salvezza è una continua amorevole cura delle ferite e fragilita umane. La parabola vuole mostrare la pazienza di Dio che offre continuamente tempo, che eccede nella misericordia. In entrambi le parti del brano Dio attende: il cambiamento del cuore, un albero che faccia frutto. Una sincera risposta, insomma, alla Sua offerta di vita. Questo tempo, dunque, la Quaresima, è un tempo donato di nuovo, nel quale un frutto è amorevolmente e pazientemente atteso.

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