domenica 17 settembre 2023

Amare di cuore, è perdonare

Sir 27,33-28,9; Sal 102; Rm 14,7-9; Mt 18,21-35

Già domenica scorsa siamo entrati con Matteo nelle dinamiche e nei criteri che caratterizzano la Comunità dei discepoli di Gesù.

Oggi, l'evangelista ci fa toccare con mano il punto focale della vita comunitaria che ne è anche il punto di massima fragilità: il perdono.

Domenica scorsa nel vangelo Gesù si spinge a dirci che alla fine il criterio della correzione fraterna in comunità può portarci anche ad amare il fratello - con il quale non riusciamo a recuperare la relazione - come un pubblicano o un peccatore; cioè un amore in perdita, come il caso dell’amore al nemico.

Vi ricordo che già l’Antico Testamento, era esplicito nell'amore al prossimo: “lo sono il Signore, non coverai odio verso tuo fratello; rimprovera apertamente il tuo prossimo, così non ti caricherai d'un peccato per lui. Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. lo sono il Signore”(Levitico 19,17-18).

Ma era anche presente una sorta di comportamento rispettoso e amorevole verso il nemico: "Quando incontrerai il bue del tuo nemico o il suo asino dispersi, glieli dovrai ricondurre. Quando vedrai l’asino del tuo nemico accasciarsi sotto il carico, non abbandonarlo a se stesso: mettiti con lui ad aiutarlo" (Es 23, 4-5); e “Se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete, dagli da bere”(Pr 25,21). 

Pietro reagisce di fronte agli insegnamenti di Gesù, come al solito in modo presuntuoso e testardo: "Signore, se il mio fratello pecca contro di me, quante volte dovrò perdonargli?" 

Con quel “mio fratello”, siamo quindi al centro del perdono all’interno della comunità.  

La legislazione rabbinica concedeva un massimo di tre volte il perdono. Ebbene Pietro pensa di esagerare, raddoppia, e dice: "Fino a sette volte?"

È evidente che Pietro cerca da Gesù delle regole precise, vuole sapere il limite del perdono. Gesù gli rispose:"Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette". Siamo di fronte alla tentazione di misurare il perdono, di misurare quanto dobbiamo amare.

E' il tentativo, tutto sommato, di trasformare il perdono e la misericordia in giustizia. Il perdono diventa una restituzione, un risarcimento di un torto subito. Una esperienza nota a tutti noi, specialmente nelle dinamiche famigliari e di lavoro.

Matteo, ha il coraggio di fissare molto chiaramente ciò che Gesù vive e pensa del perdono, la parabola esprime alcune condizioni illuminanti: il perdono, per Gesù, è sempre illimitato e senza condizioni, il re ha una caratteristica invidiabile, sa dimenticare.

Il padrone è uno che dimentica, condona tutto il debito ... perché sa bene che anche se diciamo: "Signore Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa"! Egli sa che è impossibile. A noi è impossibile restituire ogni cosa come anche una sola...

Ed ecco che “il padrone ebbe compassione di quel servo”. Questo verbo indica un’azione di misericordia viscerale da parte di Dio per i suoi figli.

"Lo lasciò andare e gli condonò il debito", cioè cancellò il debito.

Quali conseguenze: andando diretti al secondo servo, l'immagine della parabola ci suggerisce che chi è incapace di perdonare semina la morte all’interno della comunità.

Ecco allora che il perdonare di cuore significa adeguarsi a una nuova mentalità dove non prevale più la giustizia, ma è fatta di misericordia.

Siamo capaci di perdonare nella misura in cui sappiamo amare. Tanta misericordia, tanto amore. Non è naturale, ma è comunque nelle nostre possibilità.

Ecco che Gesù ci invita ad amare senza misura con la stessa gratuità con la quale siamo stati amati. Come si impara ad amare? Riproducendo in noi l'amore ricevuto e che abbiamo vissuto; e riconoscendo che il meglio di noi proviene proprio dall'esperienza di amare.


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