lunedì 30 aprile 2018

Atti 14,5-18 e Giovanni 14,21-26
Lo Spirito nella mia vita ...

Gestire e educare il proprio "ego" è l'opera della Vita Spirituale. Quando ci chiedevano (anni addietro) come è la tua Vita Spirituale, si intendeva riconoscere l'agire dello Spirito di Dio nella propria vita, e come si riconosceva allo Spirito la capacità di dargli forma, e come la vita era disposta a una docilità che non era semplice sottomissione, ma ascolto, e ricomprensione di sé stessa. Nella attuale e assoluta dimenticanza e indifferenza di Dio, parole come quelle del Vangelo non sortiscono alcun effetto: "Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato". La Vita Spirituale è prima di tutto ascolto, poi è sostare reciprocamente nella presenza: io alla presenza di Dio, e Dio alla mia presenza. È in questo sguardo e intima presenza che il mio "ego" si rinnova e trasforma secondo lo Spirito. La vanità del nostro mondo è la presunzione di scartare lo Spirito a priori.
Si rinnova ogni mattino il mio sostare davanti al Tabernacolo, in uno scambio di sguardi e di appagante silenzio.

domenica 29 aprile 2018

Atti 9,26-31 / Salmo 21 / 1 Giovanni 3,21-24 / Giovanni 15,1-8
Rimanere uniti a Gesù!

C'è una immagine nel Vangelo di Giovanni (15,4-8) piena di suggestione e verità: "Rimanete uniti a me, e io rimarrò unito a voi. Come il tralcio non può dare frutto da solo, se non rimane unito alla vite, neppure voi potete dar frutto, se non rimanete uniti a me. Io sono la vite, voi i tralci. Se uno rimane unito a me e io a lui, produce molto frutto; senza di me non potete fare nulla. Se uno non rimane unito a me, è gettato via come i tralci secchi e che la gente raccoglie e bricia!"
Questa immagine del vangelo di Giovanni, è stata collocata nella narrazione del vangelo dopo l’ultima cena, dopo che Gesù ha manifestato ai discepoli in quale modo è possibile rimanere con Lui e legarsi a Lui: nel servire come lui ha servito …; quel lavare i piedi crea un legame di amore strettissimo, un legame che produce frutti di amore. Ma dopo Gesù ha concluso con il segno del pane e del vino …: il suo donarsi totale, il dare la sua vita per rendere la nostra vita come la Sua, per nutrirla, per farla come quella di Dio Padre.
Ma se noi non ci fidiamo della bontà di essere come lui, se in realtà vogliamo prevalere su di lui ... siamo come il tralcio o il ramo che non vuole restare unito alla vite, all'albero.
Che cosa pensa il ramo della sua vita? Cosa pensiamo noi della nostra vita?
Perché siamo così scontenti da volerci staccare?
Forse siamo già staccati; ci siamo uniti a una vite selvatica che ci fornisce un’altra linfa … 
Forse la linfa che scorre in noi è la vita del mondo con tutta la sua superbia e vanità?
Amiamo forse più la libertà di fare quello che ci pare, piuttosto che la libertà dei figli di Dio, che è la libertà di amare oltre all’interesse personale e particolare?
Come puoi sentirti libero quando sei staccato dalla vera vite?
In che senso Gesù dice anche a noi: “Io sono l’albero e voi siete i rami?”.
In che modo la linfa di Gesù scorre anche in noi, che siamo suoi rami?
Come deve comportarsi, secondo voi, un piccolo ramo per restare unito a Gesù? Quali sono i frutti che porta il “ramo” unito a Gesù?
Credo che per rimanere uniti a Gesù, ora occorre dirsi ancora una volta se ci interessa vivere ed essere come Lui ci ha insegnato; essere come il Padre ci suggerisce di essere per raggiungere la vera felicità e non diventare un ramo superbamente secco.

sabato 28 aprile 2018

Atti 13,44-52 e Giovanni 14,7-14
Da tanto tempo dono con voi ...

Anche per ciascuno di noi risulta vera l'affermazione che Gesù fa a Filippo: "Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto ...."
Se solo pensassimo al tempo del "catechismo" alle messe domenicali, agli incontri in gruppi settimanali in parrocchia, all'ora di religione a scuola, alle esperienze di campo estivo ... Eppure dopo tanto, noi non lo conosciamo. Di Gesù nella maggioranza dei casi, ci rimane poco più di una nozione di storicità e di credenza soggettiva.
La conoscenza che Gesù rivendica nei confronti di Filippo è molto di più; è la conoscenza che deriva dalla scoperta del mistero di Dio. La conoscenza di Gesù sfugge alla nozione intellettuale ma si impone attraverso la fede e l'esperienza del credere in Lui. A volte si pensa che prima si conosce e poi ne deriva il credere; invece è proprio l'opposto; Filippo viene introdotto nel rimanere in Gesù e nel Padre: questo è l'atto di fede che produce l'esperienza della conoscenza.

venerdì 27 aprile 2018

Atti 13,26-33 e Giovanni 14,1-6
Io sono ...


"Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me." Quell'Io sono che risuona dal roveto ardente che vide Mose sul monte Oreb, torna a echeggiare anche oggi come quando Gesù lo fece suo, rivelando così il suo essere presso il padre. Io sono colui che è, colui che esiste accanto a te e che fa partecipare la tua esistenza alla sua. In questi termini possiamo capire il "posto" che Gesù va a preparare per noi. Nessuno è fuori dal cuore di Dio. Ora, occorre accorgersi di quel cuore del padre, cioè di quell'amore misericordioso che ci permette di esistere nella vita stessa di Dio. Come faccio ad accorgermene? Me ne accorgo seguendo le indicazioni, le tracce lasciate da chi quel "cuore" lo abita da sempre.
Il cammino umano di Gesù è via per raggiungere il cuore di Dio. Ascoltare, assimilare, custodire e convertirsi alla Parola, permette di raggiungere il cuore di Dio.
Innamorarsi di Gesù, supera ogni difficoltà per aderire alla verità. La verità non è un precetto, ma la verità è il verbo incarnato, è Gesù stesso. Innamorarsi della verità apre la porta del cuore di Dio.
Vivere per Lui ... Riporre in lui la fonte che ci dà vita, la fonte del nostro esistere: cibarci del suo corpo e bere il suo sangue alimenta la nostra vita. La sua vita è l'amore, è l'amore che è il cuore di Dio.

giovedì 26 aprile 2018

Atti 13,13-25 e Giovanni 13,16-20
Non c'è più tempo, storia, secoli ...

La sintesi che Paolo presenta della storia di Israele, ci dà il senso della storia della salvezza,  non semplicemente come il susseguirsi di avvenimenti nei secoli, ma come il confluire del tempo e delle vicende umane su Gesù. Da Gesù, non esiste più una progressione nel tempo ma ma il realizzarsi di una pienezza: noi oggi viviamo ed esistiamo nell'attuazione della pienezza della salvezza.
Ora, infatti, colui che doveva venire è arrivato; colui al quale non siamo degni di sciogliere il sandalo; questo suo esserci, infonde una qualità diversa al tempo e alla storia. Nel Vangelo di oggi, Giovanni ci dice: "In verità, in verità io vi dico: chi accoglie colui che io manderò, accoglie me; chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato".
La relazione tra Dio e noi, oggi è generata, custodita e edificata nella piena consapevolezza che il Signore, l'inviato esiste in una vicinanza che deriva del l'accogliere il mistero di Dio nel tempo e nella storia, questa è la pienezza del tempo.
È questa accoglienza del mistero che infonde nuova qualità al tempo, alla storia e alle nostre esperienze: ineffabile presenza nell'accogliere!

mercoledì 25 aprile 2018

1 Pietro 5,4-14 e Marco 16,15-20
San Marco Evangelista
Saldi nella vera grazia!

Questa esortazione della prima Lettera di Pietro fa da sfondo al Vangelo di oggi, la finale di Marco proietta da subito la Chiesa nella missione affidatagli dal risorto. Proprio questa missione porta in sé la profonda consapevolezza: quella che non agiamo per noi stessi, ma tutto ciò che viviamo e facciamo è in ordine al predicare ovunque, cioè in modo ininterrotto e senza stancarsi mai, senza cedere alla tentazione che il mondo, e la sua vanità prevalgano rispetto al Vangelo. Noi non andiamo nel mondo per noi stessi ma sulla parola del Risorto. Oltre a ciò, "il Signore operava insieme con loro e confermava la parola con i prodigi che l'accompagnavano".
Il Signore glorioso e risorto, asceso alla destra del Padre è il medesimo che opera nella quotidiana azione della Chiesa e di ogni uomo che crede; è lo stesso che si accompagna  nel cammino e porta conferma nella Parola che annunciamo. La Parola che annunciamo è anche lo spazio della nostra conferma: i prodigi che ci confermano e consolano sono la conseguenza della Parola. 

martedì 24 aprile 2018

Atti 11,19-26 Giovanni 10,22-30
Aggiunti al Signore!

Ed ecco che essere una cosa sola rivela il mistero di Dio Padre. A Gesù chiedono: "Chi sei? Sei il Cristo? Dillo a noi apertamente!" La risposta in realtà è proprio: "Io e il Padre siamo una cosa sola".
La comunione come diversità, l'unità come molteplicità; l'amore come individuale e particolare. La comunità delle origini ha sperimentato "nell'aggiungersi al Signore" non una semplice affiliazione e neppure la condivisione affettiva della stessa fede, ma ha conosciuto la potenza del nome "Cristiano" che è la sintesi di colui che è stato mandato per essere, non solo per operare; per essere la comunione tra il Padre e i suoi figli; per essere unità nell'unica vita eterna; per essere l'amore crocefisso che donandosi trasforma la nostra fragilità. Noi che abbiamo svilito il nome "Cristiano" legandolo a una  mediocre visione politica, o sociale, rischiamo proprio, nella delusione di non entusiasmarci e di non vedere la forza del nome che disegna sulla croce l'uomo crocifisso. Ma è proprio quel "Cristo" che ci riconduce al Padre e in questo condurci realizza anche il nostro essere uno con il Padre, perché anche noi saremo lì dove è lui.

lunedì 23 aprile 2018

Atti 11,1-18 e Giovanni 10,1-10
Una vita da pastore ...

"È presto, prima dell'alba, il Pastore già sveglio si aggira per il recinto delle pecore; preso il forcone inizia a portare l'erba sfalciata perché le pecore possano soddisfare la fame di inizio giornata. Poi preso il seggiolino inizia a mungerle: sono tanti i secchi di latte che serviranno per fare i formaggi. È ancora presto, e il gregge ora è pronto, in attesa di essere condotto al pascolo. Il Pastore, aiutato dal fedele amico cane, tutta la giornata conduce, osserva, accompagna, sorveglia e gioca con il suo gregge di pecore. Giunta ormai la sera, il Pastore, con un forte fischio, di tutto il gregge richiama l'attenzione e in un gesto semplice della mano lo avvia verso la strada di casa, all'ovile, per passare la notte e trovare riparo. Anche oggi, pensa il Pastore, il giorno è trascorso! E guardando le sue pecore con soddisfazione, si addormenta, per rigenerare le forze per il giorno che verrà." Non pensiamo che il dare la vita, sia solo il morire in croce del "Buon Pastore". Ciò che c'è di buono e bello nel Pastore è la sua vita donata, ripresa e donata ancora, in un darsi e riceversi continuo nel tempo per rinnovare ogni giorno lo stupore del gregge che si sente amato e accudito dal Pastore: "io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza". Fare esperienza della vita del pastore significa varcare la porta, superare la diffidenza rispetto all'amicizia che ci è offerta nel vivere della vita quotidiana e impegnativa del Pastore.

domenica 22 aprile 2018

Atti 4,8-12 / Salmo 117 / 1 Giovanni 3,1-2 / Giovanni 10,11-18
Tempo di lupi ... e di Pastori belli!

Di fronte a dati, che sono di per sé inoppugnabili per la diocesi di Imola (ma non credo di discostino di tanto rispetto a un dato nazionale), la tentazione potrebbe essere quella di alzare bandiera bianca; fra 30 anni - se non avviene segno di Dio - degli attuali 86 sacerdoti solo 40 saranno quelli viventi, ma di questi, solo 1 avrà meno di 60 anni e 10 meno di settanta. Quando tutti i preti attuali avranno raggiunto i 50 anni, fra 20 anni, il 42% sarà morto cioè 36, ma dei superstiti solo 26 avranno una età compresa tra 50 e 75 anni; 24 avranno tra i 75 e 95 anni. Questi dati non comprendono eventi accidentali e straordinari: "gli accidenti prendono anche ai tacchini".
Occorre riconoscere come questi numeri impongono una ulteriore riflessione: "la chiesa di Cristo, nella Diocesi di Imola, è invitata a un profondo rinnovamento di mentalità e di stili di vita a partire dal clero fino a tutto il laicato".
La 55* giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, corrisponde all'invito del Signore a pregare perché il Padre susciti vocazioni alla vita sacerdotale e consacrata, ma questo non deve diventare la giustificante evidenza di aver fatto quanto dovevamo fare ...
La preghiera per le vocazioni non esaurisce la responsabilità che abbiamo rispetto al sacerdozio battesimale, alla dimensione sacerdotale comune di tutti i fedeli.
Oggi più che mai dobbiamo rimettere al centro della nostra vita il "Pastore Bello", la cui bellezza è il suo stile di donarsi in un atto di amore, che è vita per la Chiesa. Se noi tutti che siamo Chiesa, non abbiamo in "stima" a partire da noi stessi, il dono del "sacerdozio" battesimale e ministeriale, non capiremo e non imiteremo mai il "Pastore Bello" nel suo donare la vita. Se non avviene questa conversione siamo destinati all'estinzione della Chiesa e della fede nelle nostre terre.

sabato 21 aprile 2018

Atti 9,31-42 e Giovanni 6,60-69
Signore da chi andremo ...

Vivere da cristiani ... ascoltare e tradurre la Parola nella vita quotidiana ... nutrire la propria vita con il pane del cielo, quello vero ... Tutto questo è duro anche per i discepoli di oggi. È duro, cioè difficile da accettare. Il mondo va per la sua strada e al pari di Gesù chiede una sequela, ci chiede di andare con lui e di aderire alle suggestioni che in questa nostra epoca ci propone: il primato dell'individualismo rispetto alla dimensione comunitaria; il primato dell'appagamento sensoriale rispetto al compimento della vita come felicità eterna; il primato della solitudine esistenziale rispetto alla relazione con il divino, lo spirituale, Dio stesso.
Anche noi, come Pietro dobbiamo trovare le motivazioni per poter dire: "Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio".
"... Tu sei il Santo di Dio" significa sei ciò di cui io non posso privarmi mai, se desidero vivere della stessa vita eterna di Dio. "Il Santo di Dio" è quel cristo che dà forma e sostanza alla mia vita umana e facendola Santa come la sua la porta a pienezza ... Il mondo con tutta la sua vanità e menzogna, non potrà mai farlo.

venerdì 20 aprile 2018

Atti 9,1-20 e Giovanni 6,52-59
Le cose dette nella Sinagoga a Cafarnao.

Con questa indicazione conclusiva di raccoglie tutto l'insegnamento sul pane del cielo. La rilettura pasquale che abbiamo fatto alla luce della risurrezione, trae la sua forza dalle parole del Signore a Cafarnao, dopo aver moltiplicato il pane e camminato sulle acque. Tutto ciò che riguarda quegli avvenimenti e le argomentazioni riportate, ci dicono come il raccontare di Giovanni il "pane del cielo", fu certamente un tema rilevante e centrale nelle riflessioni della prima comunità. Giovanni parlandoci di quel pane ci racconta il dono della vita nuova, la vita del risorto che è la vita tutti coloro che credono in lui.
Comprendere e meditate il capitolo sesto del Quarto Vangelo, ci ha permesso di superare l'idea di un pane rituale, di un sacrificio come dimensione sacrale della relazione uomo-Dio; questo impoverimento rappresenta il limite della nostra cultura e la base dell'indifferenza rispetto al sentire spirituale e religioso.
Il segno del pane non è come la Manna e neppure come i pani dell'offerta. Ridurre l'Eucaristia a una dimensione materiale significa disconoscere la pretesa di vita che essa rappresenta. L'Eucaristia in questo senso esprime in modo connaturale la gloriosa manifestazione dell'innalzamento di Gesù, ovvero la passione-morte-risurrezione come vita del mondo, e anche nostra vita credente.

giovedì 19 aprile 2018

Atti 8,26-40 e Giovanni 6,44-51
"Chi crede ha la vita eterna."

In una prospettiva sempre più stretta e certamente pasquale, le parole del Vangelo di oggi, si riassumono in: "io sono"="la vita del mondo". La Pasqua di risurrezione non deve essere intesa come un avvenimento straordinario, relativo alla realtà storica del Figlio di Dio, ma come manifestazione della vita di Dio rispetto al tutto. La vita di Dio è risurrezione! Il Figlio che è l'unico che viene dal Padre, che ha visto il Padre e che conosce il Padre, attraverso la fede, conduce chi crede, ad appropriarsi della propria vita come risurrezione. La nostra vita da credenti, non è quindi un atto passivo dell'esistenza, ma un vita creaturale che alimentata dal "pane della vita" (il corpo di Gesù) diviene capace di comprendersi nell'evento universale della risurrezione.
È la nostra vita credente - "Chi crede ha la vita eterna" - in quanto istruita da Dio, attraverso la Scrittura (i profeti) e l'ascolto della Parola (del Verbo che è presso Dio e che è Dio) che rivela la comunione di esistenza in Cristo e quindi la condizione permanente e  sempre attiva della risurrezione. Lasciarsi "istruire" significa: permettere a Dio di alimentare la nostra vita nella fede in lui. "Amen, Amen, chi crede ha la vita eterna"; aggiungerei: in sè stesso, per grazia!

mercoledì 18 aprile 2018

Atti 8,1-8 e Giovanni 6,35-40
La vita eterna

Detto così, la vita eterna per noi, suona come la vita che non finisce, che non si esaurisce.
Nel linguaggio giovanneo, questa espressione qualifica la vita di Dio. Ma non certo, ed esclusivamente nella sua durata; ma nella qualità che deriva dall'essere la vita del Padre.
La vita di Dio, è un esistere per amore. Per amore il Padre "manda" il figlio; per amore il pane del cielo, rimane come gloriosa rivelazione e presenza della salvezza dell'uomo. La vita di Dio Padre è ciò che diventa la nostra vita se si nutre del pane del cielo, che è il suo corpo e il suo sangue, il "tutto" del risorto. D'altronde, in modo esplicito, la volontà del Padre è che il figlio donando la vita del Padre, risusciti tutti gli uomini nell'ultimo giorno; cioè quando realizzata "ogni cosa", portato a compimento tutto ciò che è creato, rimarrà solo Dio, il suo esserci, il suo esistere. La vita del padre fa partecipe il tutto al mistero divino, perché nulla, sia nulla, ovvero vada perduto.
Quando la nostra vita migliora la sua qualità, allora è solo allora si è nutrita del pane della vita, che agisce in ragione della conoscenza (fede) del Signore stesso.

martedì 17 aprile 2018

Atti 7,51-8,1 e Giovanni 6,30-35
Il pane è colui che discende dal cielo

Le prospettive che il capitolo sesto di Giovanni apre a chi legge sono incredibili: in nessun testo del Nuovo Testamento, si afferma la straordinarietà del pane eucaristico come identificazione del corpo del Signore. Da qui si intuisce come il segno del pane non sia passato in modo facile nella convinzione della comunità giovannea, e forse neppure nelle altre prime comunità. Dal "fare questo in memoria di me" al riconoscere nel segno la stessa è inequivocabile presenza del corpo risorto del Signore, passa una discreta differenza. Potremo dire che in Giovanni viene documentato il percorso "teologico" attraverso il quale si arriva a o prendere consapevolezza del senso della presenza reale, eucaristica. Per cui il pane dato con abbondanza da Gesù non si accomuna al pane dato nel deserto per sfamare il popolo dopo l'uscita dall'Egitto. Non è un segno commemorativo. Come Segno rimanda subito al Cielo e a colui che è capace di donare il pane: Dio, il Padre. Il segno del pane acquista significatività in forza del corpo risorto di Gesù, anzi è proprio a partire dalla sua risurrezione che "questo è il mio corpo", ci interroga sulla natura del corpo e sulla sua materialità. Per questo l'espressione: "Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!", ci invita ad avvicinarci a Gesù, con la fede del discepolo che non si accontenta di un segno di conforto, ma che desidera e trova il segno della vita divina, quella eterna.

lunedì 16 aprile 2018

Atti 6,8-15 e Giovanni 6,22-29
Quale cibo rimane per la vita eterna?


L'unico cibo che rimane per la vita eterna è il pane che viene dal cielo. Quel pane è Gesù, il suo corpo. Occorre cercare e trovare quel corpo, quel cibo. Trovarlo significa metterlo al centro della vita. Chi ha mangiato di quei pani moltiplicati, si è contagiato del desiderio della ricerca del Signore. Non sono riuscito a farne a meno, non riuscivo no più a farne a meno ... Quel pane trasforma radicalmente la vita, nello stesso modo con cui il corpo vivo e risorto del Signore trasforma la vita dei discepoli infondendo in essi il desiderio di pienezza e di santità. Nessun discepolo può vivere per se stesso ... ma tutti vivono per lui, e in forza della vita di Dio che ci viene donata attraverso la sua stessa vita, il suo stesso corpo glorioso e risorto.

domenica 15 aprile 2018

Atti 3,13-19 / Salmo 4 / 1 Giovanni 2,1-5 / Luca 24,35-48
Apparso per rimanere.


Quanto la risurrezione è un fatto reale per ciascuno di noi?
Spesso capita di rilevare come i credenti siano certi e sicuri della vita di Gesù, della sua esistenza, passione e morte, e di tutto questo se ne fanno una ragione e pure una certezza anche di fede. Ma della risurrezione non riescono ad avere la medesima certezza ... "ma Dio l’ha risuscitato dai morti: noi ne siamo testimoni!" Questo è il punto di cui ci dobbiamo fermare in questa terza domenica di Pasqua.
Ecco che quell'incontro è un momento bello di gioia grande, è un momento per sempre. Non archiviamolo come un fatto della storia.
Gesù risorto è vivo e visibile in quella comunità dei discepoli che è la sua Chiesa.
Ecco allora che una Chiesa che viene incontrata solo nella ricorrenza dei sacramenti, nella certificazione di Padrini e Madrine, nella ritualità dei funerali ... Non può essere il logo in cui il risorto si rivela; quella non è la Chiesa, quella è la "bottega del parroco".
Per essere Chiesa occorre starci nell'idea di volere esserci. Occorre comprendere il valore e il significato delle relazioni che ci generano come amici, ma soprattutto come discepoli del risorto.
Come?
«Il Signore chiede tutto, e quello che offre è la vera vita, la felicità per la quale siamo stati creati. Egli ci vuole santi e non si aspetta che ci accontentiamo di un’esistenza mediocre, annacquata, inconsistente». GE 1
Non è sufficiente essere amici in parrocchia per essere Chiesa e comunità del risorto, occorre avere sempre relazione con il Signore, è in quella relazione che incontri gli altri.
Gesù risorto, appare nella realtà di quel gruppo impaurito e scarso, ma quella apparizione è per sempre.
I discepoli hanno mangiato con Lui e nello spezzare del pane hanno gioito che era proprio Lui: è la gioia di averlo ora ancora con noi.
A questo punto i discepoli si mettono in ascolto del Maestro ... e tutto appare più chiaro, più certo ... Sono testimoni che le sue Parole sono Spirito e Vita.
A questo punto cambia tutto, quei discepoli diventano testimoni dell'avere o toccato il risorto e la loro vita ne viene completamente trasformata.
La Chiesa di Gesù, oggi scopre con lo stesso stupore che quei testimoni hanno dato alla loro vita il senso di un cammino di santità, di martirio, di vera comunione con il Risorto, per sempre e ci confermano che Gesù non è mai venuto meno.

sabato 14 aprile 2018

Atti 6,1-7 e Giovanni 6,16-21
Non abbiate paura

Il camminare di Gesù sul mare nella narrazione di Giovanni, sembra risultare una reminiscenza degli avvenimenti accaduti lungo la riva del mare di Galilea. Rispetto alla narrazione dei sinottici, infatti, è un ricordo molto sintetico. Giovanni a differenza dei sinottici, centra la nostra attenzione non sullo stupore o meraviglia circa la potenza del Signore sugli elementi della natura, quanto sul superamento della paura in relazione al pane.
Giovanni, sembrerebbe dire: non abbiate paura voi che vi siete nutriti abbondantemente di me, perché in quel segno del pane sono proprio io che vi dono la vita, e continuo sempre a essere io ad accostarmi giorno per giorno, non vi lascio soli, ma salgo sulla barca e insieme la condurremo alla meta.
Anche questa narrazione, dobbiamo leggerla nella luce pasquale. Dopo la paura dei giorni della cattura, della passione e morte, Gesù, il risorto, cammina ancora accanto alla nostra "barca", affinché la nostra vita non si nutra di ricordi, ma di quel pane che il risorto continua a donare per nutrire e saziare chi crede in lui.

venerdì 13 aprile 2018

Atti 5,34-42 e Giovanni 6,1-15
Un pane buono


Tutti ne mangiarono, quanto ne volevano, fino a essere sazi. L'immagine di Giovanni suscita l'idea della abbondanza. Ma una abbondanza che non è solo di pane e di pesce; Giovanni in questa situazione, quasi escatologica, ci vuole quantificare in modo evidente l'abbondanza della vita che viene da Gesù. Infatti avere piena ma lancia, ma avere la vita vuota, non è una grande gratificazione. Ecco quindi è occorre recuperare in questa pericope di Vangelo quel contenuto pasquale che rinnova il senso della vita. 
All'insufficienza delle nostre possibilità (200 denari); alla limitatezza dei nostri slanci (5 pani, 2 pesci) supplisce il rendere grazie di Gesù: tutto in quel rendere grazie si potenzia, anzi il rendimento di grazie del Signore diviene la via del dono di Dio. Perché il pane e i pesci moltiplicati sono il segno di ciò che alimenta la vita nuova che nasce dalla Pasqua di risurrezione.

giovedì 12 aprile 2018

Atti 5,27-33 e Giovanni 3,31-36
Passaggio del testimone

Il Vangelo di oggi, riporta le affermazioni circa Gesù dette da Giovanni Battista, al sorgere di dispute tra i discepoli di Gesù e quelli di Giovanni.
Sia Giovanni che Gesù battezzavano ... Il segnale è dato esplicitamente: sua nel l'uno come nell'altro caso l'immersione segnava l'inizio del cammino di conversione che altro non era che apertura alla vita nuova. 
Anche per Giovanni immergere Gesù è stato un evento di svolta: egli si è compreso piena,ente nel suo ruolo di "amico dello sposo" di precursore. Ma è proprio da quella esperienza che egli comprende la vocazione di colui che viene dal cielo: "dice le parole di Dio e dona lo Spirito in abbondanza"
Bellissima definizione del Cristo: "Vangelo e Spirito di vita ... perché chi crede nel Figlio abbia la vita eterna ..."
"Lascia che la grazia del tuo Battesimo fruttifichi in un cammino di santità. Lascia che tutto sia aperto a Dio e a tal fine scegli Lui, scegli Dio sempre di nuovo". (Gaudente et Exultate n. 15)

mercoledì 11 aprile 2018

Atti 5,17-26 è Giovanni 3,16-21
Chi fa la verità viene verso la luce!

Continuando nella rilettura Pasquale del capitolo terzo di Giovanni, nelle parole di Gesù troviamo la motivazione e il senso di ciò che esiste: l'amore.
Dio ha tanto amato il mondo ... 
Il perché dell'esistere è l'amore è l'amore è Dio. In questo l'incarnazione del Figlio, non si configura come una delega a un autorevole amministratore delegato, ma come la personificazione dell'amore attraverso la vita umana del Verbo, che è Dio ed è presso Dio.
Questa è la prima verità in assoluto, è come luce, è come l'acqua della vita, come lo Spirito nuovo.
Assumere la verità ci avvicina a Dio, ci pone nell'amore e nella possibilità di amare come Dio.
A partire da questa "verità" rileggiamo la vita del Signore e la Pasqua come esperienza di amore ed espressione della possibilità di amare. Cosa succede quando Dio ama? Cosa accade ad amare la realtà compromessa col peccato cioè con il non amore?
Tutto quanto succede nella vita umana di Gesù! 

martedì 10 aprile 2018

Atti 4,32-37 e Giovanni 3,7-15
Rilettura Pasquale

Il capitolo terzo di Giovanni, il dialogo notturno con Nicodemo ha dei contenuti riferibili al battesimo e alla glorificazione del Signore (passione, morte e risurrezione = innalzamento), proprio per questo possiamo rileggerlo alla luce della Pasqua del Signore. Le conseguenze della risurrezione nella comunità dei credenti si rispecchino nella condizione battesimale: la vita nuova. Ogni Pasqua è occasione per rinnovare la vita; occasione per rinascere dall'alto/di nuovo. Nascere dall'alto è esplicitamente riferirsi al nascere dal Padre, non come conseguenza morale, ma come riferimento al dono della vita eterna. Nascere di nuovo è in forza dello Spirito, lo stesso Spirito di Dio che come un vento porta con sé la ricchezza del compimento della vita: la verità, la felicità, la vita piena.
L'innalzamento del Signore ci ripropone il guardare in alto perché in tal modo si nasce alla vita di Dio Padre e si l'accoglie, ogni giorno, lo Spirito del Risorto, alitato dalla croce per l'intera umanità.

lunedì 9 aprile 2018

Isaia 7,10-14; 8,10 e Luca 1,26-38
Annunciazione del Signore (recupero del 25 marzo)
Passione per l'uomo

Oggi recuperiamo nella liturgia la solennità dell'Annunciazione; il 25 marzo, quest'anno cadeva la Domenica delle Palme.
Credo che, a pensarci bene, o l'uomo, rispetto all'universo rappresenta "qualcosa" di veramente speciale, oppure qualcuno mi spieghi che senso avrebbe l'Annunciazione a Maria e di lì, il concepimento del Figlio di Dio.
Da questo presupposto si deduce anche che l'uomo rivela il mistero stesso di Dio, che diversamente sarebbe semplicemente esistente in se stesso.
Con l'annuncio a Maria, Dio (l'angelo) entra nella sua casa, ma è come mettere in evidenza la novità assoluta della presenza di Dio resosi manifesto e riconoscibile nella natura umana: Dio entra nel cuore dell'uomo, ma non è una semplice incursione, egli fa del cuore umano la sua dimora preferita, il suo esserci.
Dio, in questo entrare, in questo immergersi nell'umanità ne fa sua tutta la condizione creaturale, esprimendo con ciò, nel concepimento da Maria, quella condizione nuova ed originaria che perfeziona e realizza la stessa natura umana.
Ed ecco che il concepimento, che tuttalpiù consideriamo una realtà di natura, assume e rivela tutto il mistero di grazia, e quale mistero di gloria è nascosto nell'esistere come uomini.

domenica 8 aprile 2018

Atti 4,32-35 / Salmo 117 / 1 Giovanni 5,1-6 / Giovanni 20,19-31
Germi di risurrezione ...

Dopo otto giorni da quando in noi è stata seminata ma risurrezione, nella Pasqua del Signore, cosa è germinato?
Abbiamo il profumo del risorto, il profumo della Mirra e del Nardo oppure puzziamo di nuovo di morto ... di cadavere, di una vita spenta e ordinatamente grigia?
In quello stesso giorno, in cui alla sera Gesù è apparso risorto nel cenacolo ai discepoli, in quello stesso giorno, si era accostato nel cammino ai due che erano, che delusi e impauriti, subito si allontanarono sa Gerusalemme (scapparono) per ritornare a Emmaus; ma in quel cammino Gesù insegna a loro come un discepolo deve guardare la realtà a partire dal “Cristo”.
Esistono due modi di vivere il giorno dopo la Pasqua; 
- La crio-risurrezione: è una tecnica mediante la quale tutto viene congelato, il corpo risorto del Signore, il nostro desiderio di cambiamento, la possibilità di una vita nuova; giorno dopo giorno tutto è conservato immutabile, nel bene e nel male;
- Oppure esiste anche la possibilità di partire dal Cristo risorto, come centro della vita di tutti i giorni.
(...) Il germe della risurrezione è la radicalità al Vangelo: la mia vita è risorta con Cristo quando faccio del Vangelo, la mia centralità.
La mia vita è risorta quando è povera, quando accolgo l'invito di Gesù per una esistenza come la sua, distaccata dal possesso delle cose e delle persone, attenta alla sobrietà ed essenzialità. La mia vita è risorta quando è casta, quando il desiderio di un cuore puro e uno sguardo puro sugli altri, sostituisce lo sguardo di desiderio e di concupiscenza. La mia vita è risorta quando è obbediente alla volontà di Dio; obbediente nel ricercarla attraverso la docilità del pormi rispetto alla realtà, senza quel giudizio impietoso che normalmente anteponiamo a noi stessi.
Se Cristo risorto e glorioso è la sorgente profonda della nostra speranza, non ci mancherà il suo aiuto per compiere la missione che Egli ci affida.
Ecco infatti ... i risorti con Cristo non sono risorto per caso ... Sono risorti per una missione!!!

sabato 7 aprile 2018

Atti 4,13-21 e Marco 16,9-15
Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato

L'evangelista Marco nella conclusione del Vangelo riepiloga e riassume ciò che è accaduto tra la risurrezione e l'ascensione (uso dei termini liturgici per convenzione e comodità). In realtà ciò che emerge è il profondo turbamento che accompagna i giorni successivi, forse i mesi: i discepoli sono in "confusione" e non sanno come gestire ciò che alcuni di loro affermano, cioè che lo hanno visto vivo, risorto. Ciò che emerge è il dubbio, infatti essi "non credettero". Non credettero a Maria Maddalena, forse dubitarono di lei, vista la sua particolare devozione e il particolare affetto per il maestro. Non credettero neppure ai due di Emmaus, tra i primi ad abbandonare il gruppo, facili all'abbandono facili magari anche a tradirli ... Non dobbiamo dimenticare la pericolosità del momento, la paura di essere perseguitati, la paura di essere catturati e uccisi come Gesù. Eppure ad un certo punto assistiamo ad una svolta nella coscienza del gruppo, una svolta che si esprime nelle parole di Pietro davanti al Sinedrio: "Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato". Ecco che ciò che hanno visto e ascoltato non può essere riferito solo agli anni del loro stare con Gesù, ma la risolutezza - dice Marco - è frutto di un rimprovero del Risorto per la loro durezza, e di una nuova investitura e missione: "Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura".

venerdì 6 aprile 2018

Atti 4,1-12 e Giovanni 21,1-14
"Figlioli, non avete a da mangiare?"

Che strane domande fa il risorto? Non poteva chiedere: "figlioli, non avete pescato nulla?  D'altronde era ovvio che erano usciti a pescare, di notte, come si usava fare.
Una notte in cui la fatica e l'impegno nel "fare" non ha prodotto nessuna ricompensa: "quella notte non presero nulla". La pesca infruttuosa, eco di altre occasioni di pesca in cui i discepoli conobbero Gesù. Al non pescare nulla corrispose, all'ora, l'aver trovato un maestro. Ora, dopo la delusione e lo sconforto della morte del Signore, tutto nella vita dei discepoli sembra essere un pescare senza prender nulla. Il dubbio è di aver faticato inutilmente per tanti anni, aver investito in un uomo che non è stato capace di onorare i propri ideali. L'evangelista Giovanni, vuole metterci in guardia dal facile rendicontare la vicenda di Gesù come un fallimento. Giovanni, in quella spiaggia, all'alba di un nuovo giorno, dopo aver faticato inutilmente, ci dice che c'era Gesù in persona, risorto. È il risorto che fa la differenza rispetto al faticare e vivere per se stessi.
Ed ecco che la risurrezione, ci dona ancora una volta il maestro! Il maestro nel segno del pescato miracolosamente si consegna di nuovo si discepoli. Giovanni - l'amato - è il primo a rendersene conto. Questa ricompensa però non è come la prima, nella quale la vita del maestro entrava a fare vita con i discepoli, questa volta la vita del maestro risorto è nutrimento per la vita dei discepoli. Il risorto è il cibo, è la vita del Padre, di cui i discepoli devono nutrirsi per rimanere con Lui, per riconoscerlo ancora e per sempre.

giovedì 5 aprile 2018

Atti 3,11-26 e Luca 24,35-48
Memoria della risurrezione, non solo resoconto!

Matteo racconta l'apparizione alle donne, il superamento della paura, l'invito ad andare in Galilea e la manifestazione adombrata dal dubbio in Galilea, precedente alla ascensione al cielo. Marco racconta la drammatica scoperta della tomba vuota il mattino della risurrezione; poi l'apparizione a Maria Maddalena, l'angelo e l'invito ad andare in Galilea. Poi riferisce della incredulità dei discepoli verso le cose raccontate dalle donne, riporta il fratto dei discepoli di Emmaus; conclude con una apparizione del risorto al gruppo dei discepoli mentre sono a tavola, e in quel contesto li invia nel mondo. Luca racconta la scoperta fatta dalle donne del sepolcro vuoto, il mattino dopo il sabato, ci riferisce dell'annuncio dei due uomini in vesti sfolgoranti e ci racconta della constatazione che Pietro fa, giunto anche lui al sepolcro. Si dilunga poi nel racconto dei due di Emmaus e di come riconoscono il Signore; per poi dirci che che era apparso anche a Pietro. In quel contesto Gesù appare a tutti gli altri discepoli, e da lì ascende al cielo. Giovanni ci racconta la scoperta della tomba vuota, la ricognizione di Pietro e Giovanni, poi l'incontro tra Gesù e Maria Maddalena. La narrazione si prolunga nel riferirci della apparizione in quella sera al gruppo dei discepoli, escluso Tommaso, per poi riapparire dopo otto giorni. Il capitolo 21 è, a differenza di tutti una grande apparizione del risorto in Galilea.
I racconti degli evangelisti non sono la fotocopia l'uno degli altri, essi sono concordi nel riferire della tomba vuota ma non c'è unanimità circa le manifestazioni. La risurrezione sfugge alla trascrizione fedele degli avvenimenti per diventare incontro e manifestazione personale. La risurrezione non si imprigiona nel resoconto ma si dispiega in ogni tempo.

mercoledì 4 aprile 2018

Atti 3,1-10 e Luca 24,13-35
Strada ed eucaristia ...

"Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane".
Occorre che anche noi passiamo dall'ascolto passivo, dal riconoscere quello che Gesù ha fatto (opere e parole) all'incontrarlo attraverso l'esperienza viva e quotidiana. La via che da Gerusalemme porta a Emmaus non può essere solo la strada dei ricordi e del fare memoria di un avvenimento, importante pur quanto vogliamo; quella strada è lo spazio straordinari della risurrezione come evento permanente, come fatto realizzato, come compimento dell'amore di Dio. Quella strada è il nostro vivere quotidiano a cui costantemente il Signore su accosta, e nel quale Lui fa risuonare la fedeltà di Dio Padre, detta dai Profeti. Noi siamo troppo bravi ad archiviare gli eventi e a farne commemorazione; siamo meno bravi a riconoscere il quotidiano come occasione in cui collocare la promessa della risurrezione. Ma è questo che accade a chi crede veramente: prova di riconoscere la vita del risorto nella propria vita reale. Il Risorto non è in una immagine sacrale, il Risorto è nel cammino quotidiano, nella vita di tutti i giorni, e ogni giorno completa la spiegazione della "scrittura" con il segno del pane spezzato. Quando la nostra vita quotidiana è fatta di coinvolgimento con le sue parole e le sue opere, allora è vira da risorti in Lui.

martedì 3 aprile 2018

Atti 2,36-41 e Giovanni 20,11-18
Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù
Dall'Omelia di Mons. Pizzaballa nel giorno della Domenica di Pasqua 2018


Non temere la morte (...) La vediamo ovunque attorno a noi. La vita ha poco valore dalle nostre parti. Qui si muore facilmente. Lo vediamo attorno a noi, nei paesi che ci circondano e lo vediamo anche a casa nostra. Non voglio ripetere ancora una volta la ormai consueta litania di morte che ci avvolge, come i teli che avvolgevano il corpo di Gesù. Le guerre e i conflitti politici li conosciamo bene per nome. Ma ciò a cui assistiamo è solo la conseguenza e non l’origine della morte. Prima ancora che i conflitti e le tensioni, ombra di morte è l’uso cinico del potere che decide la sorte di popoli interi, che decide le guerre e manda a morire migliaia di persone e che crea i conflitti e le tensioni; morte è seminare sfiducia e odio; morte è la frustrazione che porta a non avere più speranza in una vita vera, a smettere di sognare. Ombra di morte è anche credere che la propria famiglia non possa vivere riconciliata; che la nostra comunità non abbia futuro; che la nostra vita, insomma sia segnata per sempre.
Ecco, Pasqua è entrare li, in quei sepolcri, in quelle nostre ferite e fare esperienza che quei sepolcri, quelle ferite, in fondo, non sono mortali e rendersi conto che eravamo solo chiusi nei nostri piccoli cenacoli, come i discepoli, dentro le nostre paure. Pasqua è la capacità di tornare a guardare la nostra storia alla luce della promessa di vita che proprio oggi si compie. Si, oggi a Pasqua noi annunciamo una Vita che nessuna morte può più spegnere. Annunciamo una speranza che già ci abita e che ci dà la forza di correre fuori dai nostri sepolcri e annunciare la vita che ci ha conquistato. Il Sepolcro vuoto di Cristo non sia la stazione finale del nostro cammino, ma il trampolino dal quale ripartire, carichi di speranza, di vita e di gioia. È la testimonianza di tanti e tante che ancora oggi in ogni parte del mondo e anche nella nostra comunità ecclesiale, continuano a donare la vita con passione e senza paura e testimoniano così di appartenere al risorto, anche quando vengono rifiutati o uccisi.

lunedì 2 aprile 2018

Atti 2,14-33 e Matteo 28,8-15
Lascia che il mondo vada per la sua strada ...

Il Vangelo di Matteo, in modo estremamente chiaro mette in luce che rispetto ai fatti accaduti, subito, ci fu il tentativo di depistare gli avvenimenti ... Un atteggiamento ancora molto in uso rispetto alla storia dei nostri giorni. Ma questo è il "mondo", che incurante del mistero di Dio, cammina inesorabilmente nella sua notte ...
Ma la storia, quella vera ha preso un'altra direzione, un'altra strada: quella della Galilea; "la mi vedranno". È un invito quello del Vangelo che ci mete di fronte al fatto esistenziale che Gesù ci precede (premereia) sempre e ci attende, ci aspetta ... In Galilea, cioè nella nostra quotidianità.
È questa Galilea che non dobbiamo evitare. Per i discepoli, i primi tornare in Galilea, il ritorno fu segno di una sconfitta; essi in realtà andarono da soli, con i loro pensieri e i loro "volti" tristi. Non ci andarono pensando di essere preceduti dal Signore nella loro terra. Solo quando Gesù stesso, il Risorto, li provoca sulla spiaggia del lago, quell'evento diventa la condizione che rifonda la loro "Galilea". Dice Pietro negli Atti degli Apostoli: "Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni. Innalzato dunque alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire". Il Risorto ci precede oggi e sempre, e noi con lui, col dono dello Spirito lo possiamo testimoniare, ogni giorno! Nulla c'è lo impedisce, se non la paura di essere Cristiani.

domenica 1 aprile 2018

Atti 10,34a.37-43 / Salmo 117 / Colossesi 3,1-4 / Giovanni  20,1-9
Pasqua di risurrezione

"E noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute nella regione dei Giudei e in Gerusalemme. Essi lo uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che si manifestasse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti."

Anche noi in realtà siamo testimoni e forse senza rendercene conto lo siamo semplicemente per la fede che professiamo.
Alcuni di noi, però, in questo anno, andando in pellegrinaggio nei luoghi Santi, hanno fatto una esperienza particolare: "fare memoria lì dove il Signore ha vissuto, ha patito, è stato crocifisso, è morto ed è risorto". È molto diverso fare memoria con l'intelletto e fare memoria toccando lo spazio in cui ciò di cui si fa memoria è accaduto.
In questo le parole di Pietro sono particolari, lui stesso ripercorre tutto ciò che nella passione del Signore viene proclamato, ma tutto conclude, con l'esperienza straordinaria di Gesù  che con loro, da Risorto, ha condiviso ancora il mangiare e bere: l'Eucaristia.
Pietro in realtà ci richiama alle conseguenze della risurrezione. Fare memoria non è solo un atto celebrativo, non è solo un rievocare. Fare memoria è lasciarsi coinvolgere nella possibilità della Risurrezione, nel portare a compimento l'opera della salvezza.
Anche noi allora, che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la risurrezione, possiamo riconoscere il risorto nel tempo presente. Questo non può essere un "detto di comune" circostanza. La risurrezione coinvolge i discepoli nella loro testimonianza, effettiva: "Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio!"
Per questo non è più sufficiente celebrare la risurrezione, occorre vivere come il risorto, occorre vivere in Cristo.
Ma da quel mattino, da quando Maria di Magdala si reca di buon mattino al sepolcro, lei stessa dice a tutti noi "Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!"
Dove lo hanno posto?
La tomba è vuota perché una tomba non può contenere che cadaveri, corpi o realtà morte.
"Dove lo hanno posto ..." Ogni discepolo dopo quell'annuncio si chiede dove lo hanno posto ... Si corre al sepolcro ..., si cercano prove ..., confronti e conferme ..., ma la tomba resta definitivamente vuota.
"Dove lo hanno posto?" Dove sei Signore? Oggi tanti dubbi ci circondano! Tante realtà ci portano in confusione; troppe esperienze ti negano. Non posso continuare a domandare come fa Maria: "dove lo hai portato?"
Tu sei Risorto e sei con i discepoli, sei nel pane spezzato e nel calice versato. Tu sei con i discepoli ogni volta che uniti in te fanno Eucaristia. L'Eucaristia è il segno attuale e realissimo della Risurrezione.
Per vivere con Gesù risorto, riconoscendolo vivo occorre vivere di pane e di vino. Occorre vivere del suo corpo e del suo sangue. È a partire dalla Eucaristia che possiamo esser discepoli del Risorto, perché lo si è solo a partire da Lui e non da noi stessi o dalle nostre personali e modificabili convinzioni.
Saremo del Risorto, e allora saremo dei risorti.
Saremo di Gesù se con lui come a Gerusalemme nel cenacolo; come a Emmaus nella casa dei due discepoli; come in Galilea a Tabga sul lago, lo riconosceremo risorto a partire dal pane e dal vino. La Pasqua di risurrezione si alimenta di Eucaristia. La nostra vita di cristiani è una vita di eucaristia.