giovedì 31 maggio 2018

Sofonia 3,14-18 / Romani 12,9-16b e Luca 1,39-56
Un inno alla gioia!

"Avvenga in me la tua Parola" ... Con questa disponibilità del cuore, Maria inizia una esperienza singolare, quella di riconoscere la gioia del Vangelo nella sua vita.
La buona notizia, il Vangelo, la Paola, il Logos che ha preso carne in lei, rappresenta anche il segno evidente della gioia: quale è la felicità piena se non quella di sentirsi amati e custoditi teneramente da Dio?
Dal momento in cui Maria accoglie la Parola, e ne diviene sua dimora, Ella si riconosce capace della gioia. Ed ecco che il brano del Vangelo di Luca testimonia una gioia non sentimentale, non psicologica, ma una gioia in atto, in azione. È la gioia di una relazione di spessore, vera come l'amicizia con la cugina Elisabetta. È la gioia come quella delle Beatitudini che si manifesta quando l'agire di Dio ribalta i nostri progetti e i nostri calcoli; è la gioia come conseguenza del fidarsi delle promesse fatte hai Padri. Ogni giorno con umiltà e mitezza diventiamo, come Maria: dimora e custodia dei doni belli del Signore.

mercoledì 30 maggio 2018

1 Pietro 1,18-25 e Marco 10,32b-45
Immergersi nel mistero dalla croce

Nell'annunciare la passione, l'evangelista ci descrive le fasi del supplizio del Signore. Questo per darci un aggancio concreto: Gesù fu realmente catturato, processato e condannato; subì il disprezzo (gli sputi), la tortura dei flagelli, l'uccisione ... Ma dopo tre giorni risuscitò. Questa premessa (una sorta di cronaca redazionale) non avrebbe alcun senso se non fosse in continuità con l'esperienza viva e vitale del Signore. Il servire e dare la vita, è sinonimo di sacrificio. Il sacrificio indica l'offerta totale di sé, quel "battesimo" che Giacomo e Giovanni, così imprudentemente, rivendicano anche per sé stessi.
Gesù rivela come la sua vita serve (è a servizio) alla vita di ogni uomo; il dono di sé stesso permette di fare comunione con la vita dell'uomo, altrimenti destinata all'obblio. La croce allora rappresenta un assurdo, un paradosso. Da una parte esprime il destino illogico del dolore e della sofferenza, che appartiene alla nostra esperienza di vita; dall'altra, la croce, rappresenta uno spazio di esistenza dove la vita di Gesù ne rappresenta lo scardinamentro delle regole: "... chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti ...", tutto questo fino a riconoscere la risurrezione come "alba" della notte della morte.

martedì 29 maggio 2018

1 Pietro 1,10-16 e Marco 10,28-31
E a noi?

L'eco della domanda del giovane ricco del Vangelo di ieri risuona ancora, dopo tanto tempo: "cosa devo fare per avere la vita eterna?"
La risposta di Gesù fu: "Una cosa sola ti manca: và, vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi".
La vita eterna, cioè la vera possibilità di felicità, nasce nel nostro oggi attraverso la povertà come stile di vita (condividi tutto ciò che sei e considera Dio l'unica tua ricchezza); ma anche questo da solo non basta; occorre fare gli stessi passi del maestro, seguirlo nel cammino della comunione/servizio ai fratelli e nell'amore al Padre.
Non è solo una scelta, è un modo di vita che ti si impone gradualmente per la vicinanza al Signore. Più starò con Gesù, accanto a Lui, e più desidererò seguirlo nella povertà cioè nel dono di me stesso.
Pietro e gli altri, a fatica comprendono queste parole ... al punto che rivendicano qualche privilegio in cambio del fatto che seguono il maestro; che hanno lasciato tutto!
La povertà evangelica, che apre la porta della piena felicita, non è puramente una scelta tra le altre ... Non possiamo includerla del segno della adesione morale, è ben di più, è un modo di vivere, è un modo di essere ... appunto è una beatitudine ... "Gesù non considerò un tesoro gelido ma sua uguaglianza con Dio, ma spoglia se stesso per condividerai con noi" ... La povertà non è una scelta di rinuncia della ricchezza fine a sè stessa, ma lo stile della condivisione.

lunedì 28 maggio 2018

1 Pietro 1,3-9 e Marco 10,17-27
Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli!

Questa prima beatitudine (felicità) del quinto capitolo di Matteo è indispensabile per comprendere questa pagina del Vangelo di Marco, per realizzare la dinamica degli sguardi ... Per vedere secondo Dio.
Al vedere complessivo di questo bravo giovane sulla realtà è sulla sua vita perfetta, corrisponde il fissare dello sguardo dia Gesù su di lui, e l'espressine "lo amò".
Ma è proprio dell'amore rivelare come contraccambiarlo: "vendi tutto, dallo ai poveri, poi vieni e seguimi". All'amore di Gesù deriva il seguirlo, senza attaccamenti ad altro e ad altri: uno stile di povertà. Lo sguardo di Gesù ricerca la disponibilità alla povertà evangelica: spogliarsi di ogni autoreferenza (tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza) per rivestirsi semplicemente di ciò che è possibile a Dio, la sua stessa volontà. Un modo originale di vivere la povertà evangelica, è fare della propria vita lo spazio della sequela, quella che cerca quotidianamente di intercettare la volontà del Padre, non quel seguire annacquato che caratterizza il discepolato di molti. In quella connessione, si entra nel regno dei cieli, la felicità durevole.

domenica 27 maggio 2018

Deuteronomio 4,32-40 / Salmo 32 / Romani 8,14-17 / Matteo 28, 16-20
Solennità della Santissima Trinità 

Monti della Galilea ... Non ce ne sono molti che possiamo indicare come tali ... piu che altro è una ambiente collinoso. A me piace allora indicare quel monte come lo stesso in cui il Signore si trasfigurò davanti a Pietro, Giacomo e Giovanni. Ora che Gesù è risorto, nei discepoli piu o meno increduli, cresce la speranza di poterlo rivedere in Galilea, dove Gesù stesso li ha invitati ad andare.
Tutti vanno all'appuntamento, nessuno si sottrae ... Tutti vanno con la loro titubanza, incredulità e anche col desiderio di tornare a vivere un momento di Gloria!
E perché no ... Pietro, Giacomo e Giovanni ritornano a quella giornata in cui Gesù li portò sul monte ed essi videro la sua gloria, videro il Figlio già risorto, sentirono la vice del Padre e sperimentarono la consolazione della nube dello Spirito che li avvolse.
Loro tre sono privilegiati ... Perché andare in Galilea sul monte richiama un evento che ancora oggi risuona come mistero e rivelazione di Dio, di Yhwh, così come nei tempi antichi.
Cosa ha di particolare questa rivelazione sul monte in Galilea?
È una grande apertura alla missione dei discepoli e della chiesa di e per sempre.

sabato 26 maggio 2018


Giacomo 5,13-20 e Marco 10,13-16
Lasciate che vengano a me!

È un gesto spontaneo quello dei bambini, provate a ricordare quando a quattro, cinque anni arrivavano i nonni o gli zii a trovarvi e con estrema gioia gli correvamo incontro! Io lo sperimento ogni volta, che vado in visita alla Scuola Materna Parrocchiale, e qualche bambino mi corre incontro e mi accoglie abbracciandomi ...
Che cosa muove questa accoglienza? Semplicemente la bontà, la tenerezza dei nonni o degli zii, oppure l'idea buona e simpatica che i piccoli hanno ancora di "don Fabio".
C'è da custodire, garantire e difendere (Gesù si indigna) il mistero del regno di Dio dalla rigidità dell'essere adulti auto-referenti, e soprattutto dalla religiosità che cerca di fare tacere il grido della gioia di chi desidera andare a Gesù. Per entrare nel regno occorre avere la gioia che hanno i bambini ... occorre almeno desiderarla con nostalgia ... altrimenti per forza, si resta fuori!


venerdì 25 maggio 2018

Giacomo 5,9-12 e Marco 10,1-12
La durezza del cuore e il pensiero di Dio

Cio che leggiamo e ascoltiamo oggi nel vangelo va ben oltre alla disquisizione circa le norme umane e divine circa la prassi del divorzio (ripudio) ma ci mette di fronte alla "durezza" del cuore umano.
La durezza si esprime in molti modi, uno è però esemplare, è la sfiducia per per il pensiero di Dio.
La durezza non esprime un rifiuto ma una lontananza che predilige una, alternativa puramente umana. Ma questa alternativa spesso la rivestiamo di autorevolezza e sacralità!
Questo percorso ha però delle conseguenze inaudite per gli effetti che provoca: indifferentismo, ateismo, secolarismo, il plagio della nostra natura umana a vantaggio delle sue fragilità.
All'origine non era così! Il pensiero di Dio era a servizio di un processo di umanizzazione in cui ogni uomo si determina e viene determinato all'interno di una relazione teologica. Lo stile credente, la vita cristiana, è questa esperienza che incarna il mistero nel quotidiano.

giovedì 24 maggio 2018

Giacomo 5,1-6 e Marco 9,41-50
Abbiate sale in voi stessi ...

Custodire e garantire il sale in noi stessi, e aggiunge Gesù: vivete in pace gli uni con gli altri, rappresenta una sorta di essenziale della vita del suo discepolo. È questa la conclusione del brano del Vangelo di oggi, un discorso di sapienza e di vita. Immagini forti che andrebbero meditate una ad una.
Un bicchiere d'acqua non è solo il motivo di una ricompensa, ma l'occasione di fraternità: dare e ricevere l'essenziale della vita. Come quando metti qualcosa di non buono nella tua vita e in quella degli altri, alimenti è un danno enorme, paragonabile al tuo suicidio ... No, non vogliamo essere di scandalo a nessuno ... perché la Geènna, con uno o due occhi, con uno o due piedi, con una o due mani non è il paradiso, ma l'inferno!
Esiste un sapore buono delle cose e della vita che è dato dal superamento delle nostre piccolezze, avidità, orgogli, superbia ... Questo sapore buono è la comunione e la fraternità, esso è paragonabile al sale che se usato con intelligenza rende buono e saporito tutto ciò che viene salato.

mercoledì 23 maggio 2018

Giacomo 4,13-17 e Marco 9,38-40
Nessuna pretesa di ...

Quante volte, capita, anche a ciascuno di noi, di considerarsi quasi, quasi, un depositario esclusivo della verità della fede ... E alla luce di questa presunzione, tutto attorno a noi risulta inadeguato e oggetto delle nostre correzioni, della nostra "sapienza".
Non è certo cadere nel relativismo riconoscere quanto è opera dello Spirito anche in chi non ha la pienezza della fede. Ma anche nelle relazioni più prossime dobbiamo imparare a stupirci che anche coloro dai quelli mai ci aspetteremmo, sono, in forza dello Spirito che agisce in loro e attraverso di loro, capaci delle opere di Cristo. Non è relativismo, ma fede nell'azione dello Spirito Santo che "soffia dove vuole e non sai da dove viene e dove va ..."
Le parole del Vangelo di Marco sono un invito a non precludere allo Spirito la possibilità di guidarci alla verità, ad incontrare il Signore, a vincere il male con il bene ... E questo è per tutti gli uomini. 

martedì 22 maggio 2018

Giacomo 4,1-10 e Marco 9,30-37
Umiliati davanti al Signore ...

Come suona male la Paola ... umiltà  ... Soprattutto per il nostro tempo, la nostra epoca, forse anche per noi stessi. Ma essere cristiani significa anche e proprio questo stile di vita: uno stile umile, proprio di chi è disposto a chinarsi e avvicinarsi alla realtà più povera e disprezzata.
Quando ciò che conta è il successo, il denaro, l'ottenere, il primeggiare ... è molto difficile comprendere il valore superiore dell'umiltà! Forse solo che precipita nel profondo della fragilità e si sente completamente perso e abbandonato, può percepire la bellezza, l'intensità e la gratitudine per chi ti sceglie e ti si avvicina per stare con te. Ecco che l'umiltà non è semplicemente abbassarsi, ma è un diventare parte di colui che è umiliato, di chi è ultimo; solo così si impara a vedere come vede Dio e non come ci fa vedere il mondo.
L'umiltà ribalta i criteri ...

lunedì 21 maggio 2018

Genesi 3,9-15.20 e Giovanni 19,25-34
"Ecco tua madre!"

È la prima volta che celebriamo nel Lunedì dopo la Pentecoste la memoria di Maria Madre della Chiesa. Da sempre nella tradizione della Chiesa, Maria è stata considerate madre di Dio, e misticamente Madre di tutti i discepoli amati del suo figlio: la Chiesa.
Paolo IV  già nel 1964 affermava: "Considerando gli stretti rapporti con cui sono collegati tra loro Maria e la Chiesa, a gloria della Beata Vergine e a nostra consolazione dichiariamo Maria Santissima Madre della Chiesa, cioè di tutto il popolo cristiano, sia dei fedeli che dei Pastori, che la chiamano Madre amatissima; e stabiliamo che con questo titolo tutto il popolo cristiano d’ora in poi tributi ancor più onore alla Madre di Dio e le rivolga suppliche".
Oggi la nostra riflessione parte dal Vangelo, parte da Giovanni, il discepolo amato, colui che ha per primo compreso quanto l'amore per Gesù rispondeva all'amore di Gesù; è all'interno di questa vera relazione che si comprende l'affidamento di Maria. Gesù lascia ciò che più ha amato sulla terra a quel discepolo amato. È da questo affidamento che scaturisce la maternità di Maria per la Chiesa: non si tratta di una argomentazione teologica, ma di una maternità adottiva e nell'amore.

domenica 20 maggio 2018

Atti 2,1-11 / Salmo 103 / Galati 5,16-25 / Giovanni 15,26-27;16,13-15
Camminiamo secondo lo Spirito ...

(...) Camminare, andare avanti ... vivere, testimoniare ... ma cosa significa?
È la nostra relazione con la Chiesa che mi permette di capire cosa significa camminare (con chi?); andare avanti (verso quale direzione?); vivere e testimoniare (che cosa?).
Giovanni nel Vangelo ci riporta. Questa frase di Gesù:  "Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà" ... Queste parole dette ai discepoli, trovano efficace riscontro nel giorno della Pentecoste. In quel giorno il gruppo dei discepoli è parte del mistero di Dio, Spirito Santo che rinnova tutte le cose che sono nella terra e genera la Chiesa.
Ecco che la Chiesa nasce dal loro turbamento, dalla loro codardia; ai discepoli riuniti nel luogo della cena pasquale, viene data la forza della testimonianza e il coraggio di parlare.
Ecco cosa è la   Chiesa: forza di testimoniare il Signore Gesù, morto in croce, sepolto e ora risorto vive; e il coraggio di raccontare la buona notizia del Vangelo: Dio Padre ti ama, ha tanto amato il mondo ... Quindi ama pure te ...
Ora il nostro modo di essere Chiesa ha questa grinta, ha questa forza, vive di questo coraggio che deriva dallo Spirito che irrompe in lei, che tuona in lei, che soffia in lei?
Lunedì scorso Papa Francesco (il 14 maggio), alla Diocesi di Roma ha detto “cose” che dipingono la Chiesa di oggi e ne vogliono stimo,apre il coraggio e la testimonianza.
Il Papa racconta come vede la chiesa di Roma (immagine un po di tutte le chiese del mondo), vede le sue malattie, come ad esempio quella di essere, un “non-popolo”. Un non-popolo chiamato a rifare ancora una volta alleanza con il Signore. La caratteristica del non-popolo si esprime nel modo di vivere la fede “concepita come cose da fare e non una liberazione che ci fa nuovi ad ogni passo, benedetti e felici della vita che facciamo. … “benedetti e felici della vita che facciamo! Non di un’altra vita …
Pensiamo alla Chiesa, come alle nostre parrocchie in cui per la maggior parte si vive una generale stanchezza; una stanchezza che è girare a vuoto, come pure di aver perso la strada da percorrere. Tutti e due sono atteggiamenti brutti e che fanno male. Girare a vuoto è un po’ come stare in un labirinto; e perdere la strada è prendere strade sbagliate.
Forse ci siamo chiusi in noi stessi e nel nostro mondo parrocchiale perché abbiamo in realtà trascurato o non fatto seriamente i conti con la vita delle persone che ci erano state affidate (quelle del nostro territorio, dei nostri ambienti di vita quotidiana). 
(...) Il papa ci invita a intraprendere una nuova partenza, che rinnovi la nostra identità di popolo di Dio, senza rimpianti per ciò che dovremo lasciare. (...)

sabato 19 maggio 2018

Atti 28,16-31 e Giovanni 21,20-25
Non tutto giunge alla fine ...

Oggi sabato prima della Pentecoste, la liturgia della Parola è tutta orientata all'idea della "conclusione".
Gli Atti degli Apostoli, ci congedano attraverso l'Apostolo Paolo, giunto a Roma, per il processo: "Paolo trascorse due anni interi nella casa che aveva preso in affitto e accoglieva tutti quelli che venivano da lui, annunciando il regno di Dio e insegnando le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo, con tutta franchezza e senza impedimento."
Il Vangelo di Giovanni che ci ha accompagnato per il tempo pasquale, di conclude con questa testimonianza redazionale: "Questi è il discepolo che testimonia queste cose e le ha scritte, e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera. Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere."
Da entrambi gli epiloghi, emerge un dato interessante, per nessuno è stata messa la parola "fine", quasi a suggerirci che da quella prigionia di Paolo, nascerà libera la fede di un popolo, un popolo capace di accogliere il regno di Dio e di vivere ciò che il Signore ha insegnato; e dalla testimonianza di Giovanni emerge un invito a cercare e amare la verità: Giovanni ha amato la verità al punto di amare il Signore per tutta la sua vita. Un amore così intenso e molteplice che il mondo intero è insufficiente per contenerlo.
Questi epilogo ci confermano che nella Pentecoste tutto inizia per sempre!

venerdì 18 maggio 2018

Atti 25,13-21 e Giovanni 21,15-19
A tu per tu ...

Il dialogo tra Gesù e Pietro nel capitolo 21 del Vangelo di Giovanni - seconda conclusione del Vangelo - ha tutto il tono di uno scambio confidenziale. Da un lato sembrerebbe esserci un Gesù che cerca conferme nell'amico, dall'altro un amico, Pietro, che, forse imbarazzato per non essere stato all'altezza delle aspettative, continua a sentirsi inadeguato. Nessuno di noi, come Pietro, potrà mai essere adeguato rispetto all'amore che Gesù ha per ciascuno. L'amore di Gesù, infatti, è un amore fedele, che non rinuncia a spendersi per l'amico; è un amore che coinvolge; è un amore che non si dimentica e non scarta mai l'amato; questo amore ci imbarazza! Saremo sempre un poco umanamente inadeguati; ma nel cammino della vita, l'essere amati da Gesù, corrisponde all'accompagnarsi a Lui, e se in certi momenti siamo stati noi a condurre Gesù per scorciatoie e sentieri impervi, arriva il tempo in cui sarà il suo amore a condurci ... per incontrarlo definitivamente.
Questo incontro non sarà semplicemente il congedo dalla scena del mondo, ma ogni esperienza in cui non prevarranno le nostre idee, i nostri impulsi ma si imporrà la sua grazia, la sua presenza. Non si imporrà con prepotenza, ma si imporrà col fascino dell'amore.

giovedì 17 maggio 2018

Atti 22,30;23,6-11 e Giovanni 17,20-26
Anche noi nella preghiera di Gesù

Continuiamo la lettura della preghiera del Signore del diciassettesimo capitolo di Giovanni; ora la preghiera assume uno sguardo che dal personale attraverso i discepoli diviene largo, e si estende a tutti coloro che crederanno per la testimonianza di quella prima comunità.
Dalle parole di Gesù ci si accorge che la testimonianza della comunità delle origini deriva da mistero che è accolto in tutti i suoi membri.
Che cosa rende una comunità capace di testimoniare? Poiché, non si tratta solo della testimonianza di singoli!
Nella preghiera, Gesù offre al Padre la "loro Parola": la testimonianza non può mai essere frutto di una personale elaborazione, ma è la conseguenza dell'Ascolto della Parola. Questo Ascolto originario è la fonte della Comunione; non siamo di fronte a una affiliazione o aggregazione di massa, ma a un vincolo di comunione, una relazione che coinvolge l'uomo è Dio, il cielo è la terra. Gesù si fa mediatore presso il Padre e presso gli uomini di questa comunione/relazione. È la comunione che rende evidente l'amore; la comunità dei discepoli di Gesù testimonia la comunione ed esprime l'amore che è di Dio. Questo amore è ciò che rende i discepoli credibili in tutti i tempi, perché quando l'amore è credibile, affascina!

mercoledì 16 maggio 2018

Atti 20,28-38 e Giovanni 17,11-19
Consacrati nella verità ...

Un linguaggio denso ed ermetico accompagna spesso le pagine del Vangelo di Giovanni, ma questo non giustifica il trattenersi dal cercare di entrare nella comprensione, nella modalità espressiva dell'evangelista.
Che cosa è la verità? Una domanda che sentiremo ancora nel dialogo con Pilato; in questa pagina la verità è definita come: "La parola quella tua è verità." Ma per Giovanni l'espressione Parola (Logos) non si identifica con il termine grafico o fonetico, Parola è il mistero di Dio, del Padre, manifestato nella vita e nelle parole di Gesù, così come in precedenza per mezzo della parola dei profeti. Consacrati nella verità esprime una appartenenza al Padre e non al mondo, non alla mentalità corrente e alle sue vanità; ma una appartenenza che si realizza attraverso l'Ascolto del maestro e l'adesione della vita al Vangelo, alla Parola del Signore! La nostra consacrazione nella verità, la nostra appartenenza viene collocata come segno efficace nel mondo!

martedì 15 maggio 2018

Atti 20,17-27 e Giovanni 17,1-11
Parole intime ...

Sul capitolo 17 di Giovanni si sono dette e scritte tante parole ... forse anche troppe. Rileggendo negli anni, e ascoltando, più che nel cercare di capire, cadono molte preconvinzioni, o il tentativo di voler trovare la chiave di lettura di un testo affascinante per quanto "nebuloso".
In questo capitolo, Giovanni sembra essere testimone della preghiera personale di Gesù. Non sono cose dette per essere ascoltate, ma frasi ed espressioni ... un po' come le nostre e quando preghiamo senza usare formule imparate.
Gesù prega, dice, chiede, racconta la sua vita esprime le sue intuizioni, si affida anticipando le sue suggestioni. Questi versetti esprimono tutto il dramma, tutta la preoccupazione del Signore, insieme a una strana consapevolezza: la "Gloria"!
"Alzati gli occhi al cielo ... Padre io vengo a Te ..."
La preghiera del Signore è una proiezione, un orientarsi al cielo, nel desiderio di congiungersi, nel desiderio di essere già nel "mistero" del Padre.
La "gloria", tutto vero quanto detto e scritto in questi anni, ma forse la gloria è la vita stessa del Figlio di Dio; la vita prima della creazione, la vita condivisa nel tempo, la vita da risorto.
La gloria non è quindi solo l'idea della  manifestazione della presenza (Shekinà) o la pesantezza della manifestazione divina (kabod), ma l'esistenza stessa di ciò che è divino la sua stessa vita: "io sono colui che esiste".

lunedì 14 maggio 2018

Atti 1,15-26 e Giovanni 15,9-17
Festa di San Mattia Apostolo
La risurrezione nel cuore

Se riduciamo la fede in Cristo a una morale, o in una pratica religiosa saremo al sicuro dalle nostre paure ancestrali, ma non supereremo mai quella nostra condizione umana segnata dal peccato originale. Infatti, a guardarci bene, ciò che fa la differenza non è quanto si è moralmente coerenti o eticamente fedeli alla ritualità, ma l'essere testimoni della risurrezione. Quando il gruppo degli 11 ripristina il "posto" lasciato da Giuda, scegliendo Mattia, esprime nel motivo la condizione necessaria della fede in Gesù: "Bisogna dunque che, tra coloro che sono stati con noi per tutto il tempo nel quale il Signore Gesù ha vissuto fra noi, cominciando dal battesimo di Giovanni fino al giorno in cui è stato di mezzo a noi assunto in cielo, uno divenga testimone, insieme a noi, della sua risurrezione".
La nostra fede si fonda quindi, non solo genericamente in Gesù, ma sulla testimonianza degli Apostoli. Noi tutti siamo associati a Lui e a loro, e ciò che ci lega è la testimonianza circa la sua Risurrezione e Ascensione al cielo. Non a caso nel professare la Chiesa, diciamo: Credo la Chiesa, Una, Santa, Cattolica e Apostolica ... Dire Apostolica è quindi come dire credo la Risurrezione e tutto ciò che è il Cristo, di cui gli Apostoli sono i testimoni, e la Chiesa nel suo insieme ne divine di conseguenza testimone.

domenica 13 maggio 2018

Atti 1,1-11 / Salmo 46 / Efesini 4,1-13 / Marco 16,15-20
Solennità dell'Ascensione del Signore
La firma autografa dell'autore.

Per chi è stato in Terra Santa è facile, oggi, tornare a quel luogo in cima al Monte degli Ulivi, dove nella chiesa trasformata in moschea è posto il ricordo dell'Ascensione di Gesù ... (secondo l'Evangelista Luca); per chi non c'è ancora andato o non ci andrà occorre un po' di fantasia ...
Cosa rappresenta quel luogo, dal quale si vede tutta Gerusalemme, ed è in uno dei posti preferiti da Gesù?
Era certamente uno dei luoghi di preghiera; da qui Gesù poteva vedere tutta la valle sottostante (quella del Cedron) e nella parte opposta la città di Gerusalemme, le sue belle bianche mura, il lato orientale del Tempio, la Spianata con i suoi recinti sacri, il Santo dei Santi ecc...
È un luogo che ci affida la tradizione e la fede, è un luogo in cui su una roccia è impressa una impronta ... Secondo la tradizione, l'impronta di Gesù quando sale al cielo.
Per me quel luogo è come se Dio avesse piantato un chiodo sulla terra! Quel luogo sta a dire a tutti e per tutti i tempi che colui che era Dio che si è fatto uomo, che ha vissuto tra noi, che ha amato tutti noi, che ha pregato, mangiato, camminato ... Quello stesso Gesù che tra quegli ulivi è stato catturato, portato a Gerusalemme, processato seviziato e torturato, poi crocifisso, ucciso e deposto in un sepolcro ...
Quello stesso Gesù risorto, ha segnato con "l'impronta di Dio", come una firma autografa, la nostra realtà, la nostra storia il nostro mondo umano. Quella pietra è il segno della vita eterna che è Dio, che era presso Dio, che si è incarnata nel tempo, e che come vita risorta, come amore indistruttibile che lascia il segno in ciò che è salvato. Ascendere non è allontanarsi o separarsi, ascendere è orientare tutto, anche il nostro sguardo al "mistero di Dio", al cielo!

sabato 12 maggio 2018

Atti 18,23-28 e Giovanni 16,23-28
Perché la vostra gioia sua piena!

In questo versetto, il Vangelo di Giovanni, sintetizza tutto il percorso della salvezza: "Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo, e vado al Padre". Questa affermazione, è un discorso che non è una similitudine, e non possiamo neppure esprimerla come un viaggio di andata e ritorno. In realtà questa dinamica descrive e realizza la nostra gioia.
Presi dall'assenza del Signore, in quello spazio che è la sua morte e sepoltura; proiettati nell'eternità, cioè nel compimento della risurrezione finale, non ci soffermiamo sul tempo medio, cioè sulla nostra necessità di gioia e di pienezza che è nel tempo della nostra vita. 
Questo tempo che ci sfugge è lo spazio il cui siamo nel mondo. Spesso è un tempo in cui siamo in lotta con il mondo; spesso anche, con il mondo in lotta contro ciascuno di noi. È il tempo in cui attraverso Gesù impariamo a conoscere il Padre come colui che invia e come colui che accoglie e riceve. È il tempo in cui Gesù ci porta a riconoscere che "il Padre stesso vi ama, poiché voi mi avete amato, e avete creduto che io sono venuto da Dio". È questa la nuova realtà che ci è chiesto di scoprire e fare nostra: Gesù nel venerdì santo, nella sua morte e nella sua assenza ci dona lo Spirito di amore; dona ma sua vita, ma tutto questo è il dono dell'amore del Padre. È questo dono, che se compreso, ogni discepolo non può smettere di chiedere per essere felice, per dare gioia al suo tempo intermedio: la gioia eterna, amore del Padre.

venerdì 11 maggio 2018

Atti 18,9-18 e Giovanni 16,20-23
... ma vi vedrò di nuovo!

Nelle parole di Giovanni, non sono riportati solo gli insegnamenti del Signore  nemmeno le sue ultime volontà ma anche i suoi sentimenti, la sua umanità il suo sguardo sui suoi amici, i discepoli.
"...ma vi vedrò di nuovo!" Giovanni avrebbe potuto scrivere: "mi vedrete di nuovo", che nulla avrebbe modificato della situazione del rivedersi. Questa, sottolineatura invece mette in primo piano il desiderio di Gesù di non separarsi dai sui amici/amati.
Noi siamo troppo formali rispetto alla fede; troppo teologali da una parte, mentre all'opposto rischiamo di essere veramente superficiali e indifferenti. Questa condizione culturale non permette alla nostra vita di accogliere la fede come modo di essere, di esistere. La relazione, l'amicizia tra Gesù e i discepoli non si può esprimere in una sorta di classe scolastica itinerante durante il suo corso di formazione ... rappresentazione che con ingenuità spesso accettiamo.
La fede che si genera tra Gesù e i discepoli, è fatta di condivisione, di sentimenti, di scelte, di tenerezza, di rimproveri ... è una fede fatta di vita, è una fede in cui Gesù, il figlio di Dio, mostra di "desiderarci", di non volersi staccare da "noi". Egli vuole colmare con la sua parola, egli vuole farsi garanzia, per la nostra fragilità, per la nostra paura.
Quanto è importante per chi si ama sapersi e sentirsi nello sguardo dell'amato ... il Signore.

giovedì 10 maggio 2018

Atti 18,1-8 e Giovanni 16,16-20
Che cos'è questo "un poco"?

La brevità di questo tempo ci angustia, anche se "breve"! Queste parole di Gesù riprese da Giovanni, sono nella fase conclusiva della cena, prima della preghiera detta "sacerdotale" del capitolo 17. Possiamo ipotizzare che tutte le affermazioni siano in proiezione della brevità dei momenti che attendono Gesù. In una rapida di successione di ore, il Signore vivrà: l'agonia, il tradimento, la cattura, il processo del sinedrio, la prigionia, la consegna ai romani, la condanna, la flagellazione, la crocifissione, la morte, la deposizione nel sepolcro ... Tutto questo accade in poche ore. È la brevità del tempo cronologico ... è lo spazio in cui i discepoli piangono e gemono, è il tempo della tristezza! È il momento in cui il tempo si riempie del dubbio della paura: vedere Gesù anche solo in quella breve manciata di ore, così umiliato e schiacciato provoca la più grande incomprensione che i discepoli abbiano mai sperimentato. Ma dalla brevità di questo tempo, si progredisce nella gioia! La tristezza si cambierà in gioia! Il susseguirsi delle ore del tempo cronologico si dilata per accogliere il Kayros: il tempo/momento eterno del risorto. Il rivederlo risorto occupa, ora, lo spazio umano di "un poco"  con una nuova esperienza quella della gioia. Il discepolo vive il presente nella risurrezione, non nella brevità di ciò che l'ha preceduta. Questa è l'esperienza originaria degli undici!

mercoledì 9 maggio 2018

Atti 17,15-18,1 e Giovanni 16,12-15
È il tempo dello Spirito

Tutta la vita da convertito, Paolo, l'ha impiegata a servizio di Cristo e per annunciare la "buona notizia". Anche per Paolo, il suo, è il tempo dello Spirito, il tempo in cui attraverso la sua vita, l'appello alla conversione per aderire alla "nuova vita in Cristo" è l'unico necessario. Ad Atene, di fronte alla predicazione di Paolo, la maggior parte degli ateniesi preferisce sentirlo un'altra volta ... Questo proprio quando il discorso su Cristo arriva alla vita nuova, quella che scaturisce dalla risurrezione. Portare il peso del risorto sembra quindi improponibile allora come anche oggi!
Portare il peso della risurrezione? Credo che dobbiamo passare da una percezione quantitativa e di conseguenza della fatica, a una comprensione legata alla pesantezza di ciò che è glorioso. Spesso anche noi siamo incapaci di portare, rivestire la gloria del risorto. Rivestire la nostra umanità del suo splendore: lo Spirito, quando dimora nella vita umana, porta non solo il peso del risorto, ma anche la forza il desiderio di rivestirsene. Ma se la nostra fede è solo un imparaticcio religioso, come può lo Spirito dimorare nei sentimenti, nei desideri, nella volontà, nella possibilità di ciò che è umano! La conversione è un fatto che apre al mistero - Paolo ci dice che è possibile - ci si accorge finalmente di una verità, di tutta una verità più grande ... pesante ... gloriosa ...

martedì 8 maggio 2018

Atti 16,22-34 e Giovanni 16,5-11
Lo Spirito di testimonianza

Sei in mezzo ad una folla urlante che ti strappa i vestiti (un linciaggio mediatico sui social network). Vieni picchiato ripetutamente con una verga (a causa fake nwes sei colpito da denunce e chiamato in giudizio) . Ti sbattono in prigione e ti mettono nella parte più interna (sei ridicolizzato, emarginato culturalmente e socialmente), inaccessibile all’esterno (scartato rispetto all'opinione pubblica corrente). Ti mettono dei ceppi ai piedi per essere ancora più sicuri che tu non possa fuggire (privo di relazioni, sei abbandonato a te stesso).
In una rilettura comparata della vicenda di Paolo, senza voler assumere il tono allarmista e di vittima, dobbiamo comunque riconoscere la progressiva marginalità del cristianesimo ... Quale sarebbe la nostra reazione in una simile situazione?
Forse la fuga; mettersi a piangere; invocare il Signore di tirarci fuori in qualche modo da una simile situazione. Paolo e Sila reagirono invece pregando e cantando degli inni. Si, essi cantavano: chi ha il dono dello Spirito Santo canta!  Cantare oggi significa, imparare a reagire con fede e fiducia nel Signore, certi che la realtà, il mondo si rinnoverà quando sarà di nuovo convinto della novità del Vangelo.

lunedì 7 maggio 2018

Atti 16,11-15 e Giovanni 15,26-16,4
Missionari "inside"

Dovremo ricordarlo sempre: si è missionari perché si è cristiani, e si è cristiani perché avendo ricevuto lo Spirito, si è testimoni.
Che bravi i missionari che come San Paolo, trasformano la loro vita in missione, nell'incontro con l'altro al fine di aprire il cuore di una umanità spesso sorda e vittima delle sue fragilità. A volte mi chiedo, come e cosa sarebbe il mondo senza l'annuncio del Vangelo? Una morale, un'etica, un pensiero che non si confronti con il la priorità del comandamento dell'amore, come sarebbe?
La missione, dunque, è dentro di noi, muove la sua azione a partire dallo Spirito del Signore, che ricevuto nel battesimo e nella confermazione, è parte della nostra vita. Da questo risultiamo "ontologicamente" missionari ... Coloro che Gesù ha scelto, a partire dai suoi amici - i dodici -, questi sono il segno che la testimonianza corrisponde alla missione. Ogni volta che non neghiamo di essere in "amicizia" con il Signore, diamo testimonianza di Lui, del suo essere il salvatore del mondo.

domenica 6 maggio 2018

Atti 10,25-48 / Salmo 97 / 1 Giovanni 4,7-10 / Giovanni 15,9-17
Vi ho chiamato Amici ...

Vi ho chiamato Amici, con la A maiuscola proprio perché ci ha scelti per essere suoi amici: "non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto". A questa scelta si abbina una condizione particolare: "non vi chiamo più servi", ma Gesù non ha mai chiamato servi i suoi discepoli, al punto che potremmo tradurre “non vi ho mai chiamato servi” perché il servo non sa quello che fa il suo padrone, ma vi ho chiamato amici.
Ed è a questa speciale relazione che Gesù affida l'esperienza del suo unico comandamento. Quasi a renderci partecipi dell'urgenza e necessità che quel comandamento sia garantito per sempre; se viene meno verrà meno anche la nostra amicizia verso Gesù.
Ed è in questa amicizia che occorre rimanere, Gesù sembra quasi supplicare i suoi amici di restare, rimanere non tradire il suo amore. In realtà questa è l'unica strade dell'esperienza cristiana ... Noi ci siamo già dentro, Gesù ci chiede di non andarcene: rimanete nel mio amore. Rimanere significa amare come lui ha amato, imparare ad amare come Gesù insegna di amare: gli uni gli altri, nella reciprocità del dare e del ricevere.
Poi la parola che fa la differenza cristiana: amatevi come io vi ho amato. Come Cristo, che lava i piedi ai suoi; che non giudica e non manda via nessuno; che mentre lo ferisci, ti guarda e ti ama; in cerca dell'ultima pecora con combattiva tenerezza, alle volte coraggioso come un eroe, alle volte tenero come un innamorato. Significa prendere Gesù come misura alta del vivere.

sabato 5 maggio 2018

Atti 16,1-10 e Giovanni 15,18-21
Che strano "mondo" ...

Questa affermazione (il titolo di oggi) è un intercalare della mia nonna ... In realtà è evidente che il termine mondo assume nel vangelo di Giovanni almeno tre accezioni:
- La prima, neutrale, intende il mondo come luogo in cui gli uomini vivono e in cui si svolge la storia;
- La seconda, positiva, intende il mondo come l’insieme degli uomini ai quali il Padre ha fatto dono del Figlio e a favore dei quali il Figlio ha donato se stesso;
- Per la terza infine, negativa, il mondo rappresenta l’insieme delle forze ostili, che cercano di impedire lo svolgimento del disegno di Dio. E’ questo il mondo che odia il discepolo.
È di fronte a "questo strano mondo" che il discepolo di Gesù ripropone gli stessi sentimenti, le stesse parole, lo stesso modi di essere del Maestro. Gesù è stato severo con chi lo odiava, è stato vero senza sotterfugi; Gesù è stato compassionevole, pur senza scendere a compromessi ... Ma non ha mai ricambiato l'odio del mondo con un giudizio di condanna. È importante anche oggi - come discepoli - ascoltare le Parole del mondo; ascoltare la voce Parola di Dio; ed annunciare al mondo la parola di salvezza ... Questo non bisogna mai tralasciare: al mondo, anche a questo strano mondo va annunciata la parola si salvezza!

venerdì 4 maggio 2018

Atti 15,22-31 e Giovanni 15,12-17
Il comandamento scandaloso ...

Qual'è la misura dell'amore? Dalle parole del Vangelo di Giovanni, percepisco che la misura del mio amore è il suo amore: "Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi".
Il Vangelo prosegue spiegando che l'amore di Gesù per ciascuno è quello che ti coinvolge nella vita in una intima amicizia: "Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando".
Gesù nel dare la vita non trasmette un principio biologico, ma immette la possibilità dell'amicizia con Dio. Non si è servi, schiavi, ma amici ... scelti, voluti, amati. È questa la conduzione nuova che si genera nel comandamento. Tale comando obbliga Dio Padre, il Figlio e lo Spirito al pari di ciascuno di noi a custodire e alimentare questa relazione di amicizia nella quale l'amare è il progetto che descrive tutto;  è il mezzo attraverso cui il progetto di attua; è la finalità conclusiva. Dal modo in cui Gesù intende l'amicizia e il modo in cui l'amor si genera ed esprime, discende per ciascuno di noi la possibilità di dimorare nello stesso comandamento,  quello di "amare il prossimo tuo come te stesso", anzi di amarlo perché è come te, cioè nella stessa relazione di amicizia con Gesù.

giovedì 3 maggio 2018

1 Corinizi 15,1-8 e Giovanni 14,6-14
Festa dei Santi Apostoli Filippo e Giacomo
Vi ho trasmesso ...

Quale è il senso di una memoria come quella dei Santi Apostoli?
Le parole di Paolo sono il cardine su cui si appoggia là bimillenario tradizione della Chiesa: "A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto".
Gli Apostoli hanno toccato con mano ciò che è stata la vita umana e terrena del Signore: "Cristo morì per i nostri peccati; fu sepolto; è risorto; apparve a Cefa e quindi ai Dodici ... Inoltre apparve a Giacomo, e ... ultimo fra tutti apparve anche a me".
Gli apostoli non ci hanno trasmesso solo un insegnamento, ma una esperienza viva: ci hanno consegnato la Sua esistenza ... l'esistere di Dio.
In definitiva ci hanno consegnato il momento straordinario in cui è stato possibile vedere Dio Padre attraverso Gesù Cristo: "Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me ... In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre".
Le opere più grandi che possiamo compiere non sono prodigi o suggestioni, ma è la fede che mostra la speranza nella vita eterna. Il nostro mondo non ha più questa speranza perché ne ha smarrito il desiderio.

mercoledì 2 maggio 2018

Atti 15,1-6 e Giovanni 15,1-8
I frutti nella vita ...

Oggi sono passati 42 anni da quando ricevetti per la prima volta l'Eucaristia. Il pensiero che sorge quasi spontaneo è direttamente legato alla parabola della vite e dei tralci.
La linfa che così abbondante e continuamente è fluita dalla vite vera, Gesù nel mio essere tralcio, per così tanto tempo, quale frutto ha prodotto?
Così a distanza posso riconoscere come la vite vera è solo il Signore, è solo quella vite ha la linfa giusta per la mia vita da cristiano. A volte è capitato di pensare e provare altre viti, ma l'impatto con la linfa non è stato dei migliori ...
Quell'eucaristia, quel pane e quel vino, sono proprio la linfa necessaria alla mia vita. Questo tralcio, me stesso, ha prodotto frutti abbondanti?
Sì, i frutti il tralcio li ha prodotti, ma non per merito personale, ma perché la potatura del tralcio è stata una cura continua del vignaiolo; questo va assolutamente riconosciuto. I frutti non sono i successi, i risultati pastorali, la simpatia relazionale, la riuscita in carriera ... I frutti sono la conversione di grazia in grazia che avviene nel quotidiano. I frutti sono la progressiva conversione della vita nella vita di Dio: una vita in cui dimora e si manifesta lo Spirito. I frutti, sono proprio i frutti dello Spirito: amore; gioia; pace; magnanimità; benevolenza; bontà; fedeltà; mitezza; dominio di sé.

martedì 1 maggio 2018

Atti 14,19-28 e Giovanni 14,27-31
Memoria di San Giuseppe lavoratore
Vi lascio la pace ...

Cosa intendi Gesù con queste parole?
"Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore".
La pace non credo debba intendersi per quiete; non va confusa con le buone relazioni; non va rinchiusa nell'assenza di guerra e neppure con una irenica serenità. La Pace di Gesù la trovo nelle parole subito dopo la preghiera, è una pace attiva che cammina sulla forza della comunione con il Padre. La pace di Gesù è il suo andare al Padre, è recepire e condividere l'amore di Dio; è fare la volontà del Padre  attuandone il comandamento e agire di conseguenza. Per Gesù pace rappresenta lo stare nella comunione. La Pace allora è condivisione e concretezza dell'amore che si sperimenta da Dio (il Padre) e tra fratelli. La pace è il mio sguardo che intercetta nei tuoi occhi la possibilità di rende attuale l'amore che è Dio: questa comunione è pace. Se i tuoi occhi sono sbarrati la pace non si potrà mai generare.