martedì 30 aprile 2019

Atti 4,32-37 e Giovanni 3,7-15
Con grande forza diamo testimonianza della risurrezione di Gesù!

Gli Atti degli Apostoli, ci confermano lo stile di una comunità "vivificata dallo spirito del risorto", non più rinchiusa nella paura, ma capace di dare, con forza, testimonianza della risurrezione, al punto che l'origine della vita comunitaria ne viene radicalmente plasmata. La risurrezione di Gesù determina l'identità dei discepoli: "tutti godevano di grande favore". Che cosa è accaduto in loro, che cosa accade in coloro che fanno esperienza di risurrezione?
L'esperienza quotidiana vi conferma la difficoltà di tanti di noi, battezzati, e appartenenti alla comunità di fede, di nascere dallo Spirito, è questa l'espressione che Giovanni attribuisce a Gesù, nel dialogo con Nicodemo. Questo nascere, per Gesù, è sinonimo di vita nello Spirito, di vita nuova secondo la risurrezione; ecco che è necessario prima morire. Morire alle cose della terra. Morire come Gesù per innalzarci alle cose del cielo.
Occorre voler morire, cessare, separarci, dai legami del cuore, degli affetti e dalla preoccupazione della vita, non per disprezzo della realtà ma per amore e desiderio della realtà del cielo. Fintanto che restiamo saldamente ancorati alla terra, non ci innalzaremo mai! Essere innalzati per Gesù significa vivere la cruenta e dolorosa esperienza di morte, di croce. È una separazione che Lui a vissuto nella carne, passo dopo passo salendo il calvario, per amore del mondo e non per odio. Ma è proprio questa esperienza di amore che innalza (introduce) alle realtà del cielo: l'innalzamento è anche nuova nascita, nuova vita e nuovo modo di vivere.
Signore Gesù, metti in noi una scintilla del tuo Spirito da risorto, in modo che in noi si accenda il desiderio delle realtà del cielo, perché solo in quel desiderio è possibile distaccarci dalla terra e fare della nostra esistenza un innalzarci insieme a te.

lunedì 29 aprile 2019

1 Giovanni 1,5-2,2 e Matteo 11,25-30
Festa di Santa Caterina da Siena - Patrona d'Italia
La certezza di un approdo sicuro!

Quante volte assistiamo nelle nostre sconfitte alla perdita di fiducia nella vita? Quante volte siamo schiacciati dal crollo dei nostri progetti, dal mancato realizzarsi dei nostri desideri. Siamo fatti così! Costruiamo tutto a partire da noi stessi ... Ma in questo modo costruiamo sulla nostra stessa fragilità. La vita Cristiana, il cammino di Santità invece suggerisce un modo alternativo di dare fiducia a noi stessi. Tutto parte da quel "Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra ..."
Gesù stesso non costruisce nulla della sua vita - avrebbe pur potuto farlo - senza questa consapevole appartenenza al Padre. È questa relazione esistenziale che sostiene il suo agire, è questa relazione esistenziale che genera ogni possibilità, esse vengono dal Padre. Nello stesso modo in cui Gesù si definisce in relazione al Padre, a noi propone di definirci in relazione a Lui: "Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita".
Non è sconveniente partire da Gesù per progettare e definire la nostra vita. La promessa è che ogni fatica nel cammino trova in lui ristoro, e al compimento del cammino si gusterà la leggerezza; non il semplice appagamento, ma la leggerezza del suo giogo (la croce) che ci innalzerà fino al cielo. Il suo giogo sempre "ci innalzerà fino al cielo" (cit.).
La vita cristiana non è questione di progetti e di scelte, ma di vocazione è di giogo ... Le nostre sconfitte pesano, le sue fatiche portano alla leggerezza. Viviamo con coraggio la vita come vocazione, e ogni fatica come suo giogo ... che diventerà leggero.

domenica 28 aprile 2019

Atti 5,12-16 / Salmo 117 / Apocalisse 1,9-11.12-13.17-19 / Giovanni 20,19-31
Il dito nella piaga (seconda)

La sera di quel giorno il primo dopo il sabato' dice il Vangelo di Giovanni: "venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: Pace a voi! Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco (...) Gesù disse loro di nuovo: Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi".
Ma otto giorni dopo i discepoli sono ancora lì chiusi nel cenacolo, paurosi ... Non sono andati da nessuna parte e nemmeno si sono interrogati su quel "io mando voi" ...
Gesù risorto ritorna ancora e ciò che dice a Tommaso è una provocazione per tutti ... Proprio perchè nessuno ha preso seriamente il suo invito ad andare, ad uscire da quel cenacolo per incontrare il mondo è annunciare il Vangelo.
Ecco che Gesù invita Tommaso a non avere paura, a non temere di toccare e confrontarsi con la nuova realtà della risurrezione. Il Signore vuole portarci dentro la sua risurrezione, le piaghe servono proprio a questo a farci capire che la risurrezione non cancella la passione ma è la condizione nuova nella quale anche la passione e la morte sono risolte ... Ogni realtà e sofferenza, ogni peccato dell'uomo trova soluzione nella risurrezione.
L'invito che Gesù rivolge a Tommaso non è per superare una curiosità o per supportare la ragionevolezza, ma serve ad aprire alla fede, a quella fede che fiorisce in una espressione strana ma unica "mio Signore e mio Dio". Vera testimonianza e vera professione di fede; non un mio di possesso ma un mio di appartenenza; un mio che esprime il mio essere suo, e sarò suo solo se accetto di confrontarmi con le sue piaghe che ora sono anche le paghe di questo nostro mondo, e della sua Chiesa.
Perché toccare le sue piaghe, perché farne esperienza?
Solo ci di capirò cosa significa "Chiesa in uscita". I discepoli faticano ad uscire dal cenacolo, anche se Gesù è risorto, faticano come noi oggi fatichiamo ad essere una Chiesa Missionaria e in uscita -  e non è sufficiente che c'è lo dica il papa -. 
L'immagine più efficace per descrivere il nostro essere Chiesa in uscita è quella di una tartaruga.
Prima di tutto va piano, molto piano, poi quando si muove lo fa con tutta la sua corazza (il carapace); mette fuori con timore zampette e testolina, ma appena c'è qualcosa di inaspettato, subito si ritrae all'interno della corazza ....
Abbiamo talmente paura di confrontarci come Chiesa, di confrontarci con il mondo che ci difendiamo all'interno di tutta la nostra morale, teologia e strutture, e in realtà non entriamo in dialogo con nessuno ... Se usciamo - come Chiesa in uscita - risultiamo corpi estranei a causa della paura che dal cenacolo, non ci abbandona.
Il Risorto ci chiede di amare le sue piaghe ... La Chiesa che è il suo corpo mistico, ma anche corpo risorto, porta ancora le cinque piaghe. Esse vanno continuamente riconosciute, toccate e attualizzate. Le cinque piaghe possono essere:
1) L'indifferenza dei Cristiani rispetto alla testimonianza dei martiri della fede di oggi: fratelli che danno la vita per  e in Cristo.
2) Il morbo del cericalismo, l'idea di una casta sacerdotale, che però si ammala di (pedofilia, carrierismo, ecc...) di ogni altra forma di idolatria di se stessi.
3) La mancanza di vera sinodalità, ovvero l'insufficienza rispetto al discernimento comunitario nell'ascolto della narrazione della Fede.
4) L'ostilità verso il fratello, il culto della sfiducia circa la fratellanza, il venir meno della missione e della passione per annunciare il vangelo.
5) La riduzione della fede al senso religioso, a norme e precetti ... Svanisce così la fede come esperienza dell'essere e dell'esserci di Dio in noi.
Gesù risorto ci chiede di fare nostra la voce di Tommaso; per poter stare a contatto con le piaghe occorre dire "mio Signore e mio Dio".

sabato 27 aprile 2019

Atti 4,13-21 e Marco 16,9-15
Sabato dell'ottava di Pasqua 
Il risorto è un "fatto"

Il Vangelo di Marco riporta la risurrezione del Signore in un modo "primitivo" ovvero di estrema efficacia, privo di qualsiasi argomentazione aggiunta, di elaborazioni simboliche e riletture comunitarie. Marco, a differenza degli altri, sembrerebbe proprio la sintesi della prima notizia della risurrezione: Gesù è risorto, è apparso a Maria Maddalena, la quale lo ha immediatamente detto ai discepoli, ma non è stata creduta ...
È apparso ad altri due - Chi sono? Forse i due di Emmaus? ... Probabile ...- ma neppure loro vennero creduti.
Apparve al gruppo dei discepoli e dopo essere stati adeguatamente "rimproverati per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risorto", disse loro: "Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura". Il riconoscimento del Risorto, cioè accoglierlo vivo, non è la conseguenza di una prova scientifica, ma parte dalla disponibilità del cuore; il cuore che ama, che ha amato e che vuole amare Gesù, è il cuore che è capace di penetrare il velo della morte, la paura e lo sgomento di una tomba vuota, e nel pianto terge la cecità per vedere l'inverosimile. Gli stessi due discepoli che vanno in campagna, sentono ardere il loro cuore -  così come Luca di riporta -, è il cuore che patisce, che si strugge per il Signore, è il cuore che nonostante l'incredulità della mente continua nel segreto dell'intimo a sperare, che permette di riconoscerlo risorto. Il risorto non è immaginazione, il risorto è evidenza a partire dall'esperienza vissuta con Cristo. Ogni esperienza che nasce dalla fede in lui dispone il cuore ad amarlo e a riconoscerlo risorto, anche oggi.
Ed è la spinta dell'amore ritrovato, è impeto dell'amore, alimentato dalla sua presenza che permette ai discepoli di corrispondere al desiderio/comando del Signore di"andare in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ..."
Giustamente, dice San Paolo: "vana sarebbe la nostra fede se Cristo non fosse risorto". Questo è il presupposto che Marco intuisce immediatamente, la sua essenzialità narrativa, vuole infatti bruciare ogni ritardo nel divulgare una notizia certa: Gesù è risorto, in quel giorno dopo il sabato, dopo la sua morte e deposizione in quel sepolcro. Marco sarebbe oggi un ottimo giornalista!

venerdì 26 aprile 2019

Atti 4,1-12 e Giovanni 21,1-14
Venerdì dell'ottava di Pasqua 
E si manifestò così ...

In Luca capitolo 5,1-11; all'inizio della vita pubblica, questo segno precede la chiamata al discepolato di Simon Pietro e suo fratello Andrea; di Giacomo e Giovanni (i figli di Zebedeo). Certamente questa manifestazione presso il lago di Galilea, suscita qualche perplessità, circa il senso, il significato e la sua redazionalità. È infatti una narrazione appartenente alla seconda chiusura del Vangelo (aggiunta del capitolo 21), quindi un completamento successivo che porta in sé altre tradizioni e soprattutto una rilettura della risurrezione, propria della comunità giovannea. Ciò non significa che la composizione redazionale metta in discussione la veridicità del racconto. Proviamo di cogliere alcuni suggerimenti del testo:
- il ritorno in Galilea ...;
- la pesca miracolosa che all'inizio genera la fede nei discepoli ...;
- i protagonisti sono tutti noti (quasi) ...;
Gli ingredienti corrispondono tutti al clima post pasquale: la comunità dei discepoli ha obbedito all'invito del Signore di tornare in Galilea ("la mi vedranno"); i discepoli fanno memoria del momento in cui hanno riconosciuto Gesù (secondo il Vangelo di Luca), quando Pietro si getta ai suoi piedi dicendo: "allontanati da me che sono un peccatore". Ma è pure il momento in cui Gesù riveste Pietro del ruolo di "pescatore di uomini".
I testimoni dell'inizio (tutti citati in Giovanni), che poi lo seguirono, sono i medesimi: Pietro e Andrea; Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo e soci di Simone. Natanaele, quello che era sotto il fico - un pio israelita con una grande fede - colui che avrebbe visto cose più grandi (eccole); e altri due ... perché  non i due discepolo mandati da Giovanni dopo il battesimo di Gesù ...
Tutto ci riporta all'inizio della testimonianza di ciò che ha detto e fatto Gesù, a questa testimonianza Giovanni affida, non semplicemente il racconto degli avvenimenti legati alla passione, ma in modo particolare il riconoscere il Signore Risorto, cosi come Lui si manifesta. Il risorto ha voluto incontrare quei testimoni, ha voluto mangiare con loro sulla spiaggia del lago, rievocando tanti pasti insieme, e ha dato un segno attraverso la pesca abbondantissima, che per loro è stato il modo di poterlo riconoscere, cosi come per il discepolo che Gesù amava, che disse a Pietro: "È il Signore!"

giovedì 25 aprile 2019

Atti 3,11-26 e Luca 24,35-48
Giovedì dell'ottava di Pasqua - San Marco Ev.
Di fronte al Risorto ...

Occorre sempre un po' di immaginazione e soprattutto occorre andare oltre le nostre convinzioni religiose per cui il risorto è parte del nostro normale mondo religioso. Ma ciò che gli evangelisti narrano nei racconti della risurrezione è l'immagine istantanea tra Gesù risorto e i discepoli. Non è razionale (sconvolti ...); si sentono immersi nella morte (... e pieni di paura); vorrebbero sottrarsi a tutto ciò (... credevano di vedere un fantasma) ... come irreale.
Il risorto, nella continuità con il Gesù nella carne - quello che hanno conosciuto - mostra loro le mani, i piedi, il costato, mostra i segni della crocifissione; quei segni della sua morte, ora sono parte del suo corpo glorioso. La paura della morte e lo scandalo della croce, appartengono, ora,  a Gesù, al suo corpo glorioso, risorto. A tutti attraverso quei segni così evidenti della sua passione, chiede: "Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate". La risurrezione non si colloca nel cielo, ma si rapporta immediatamente con la realtà concreta, con la vita reale. È ai discepoli, è agli uomini di tutti i tempi che il risorto chiede di toccare ... di guardare ... La risurrezione allora non possiamo relegarla a un articolo del Credo, e neppure collocarla semplicemente lassù in cielo. Essa non è solo una conseguenza della passione ... Ma rappresenta il modo di manifestarsi di Dio. Il Dio di Abramo, il Dio dei Padri, dei Patriarchi, il Dio di Mosè ... Ora è anche il Risorto! Ecco che di fronte a Lui, e in Lui si "apri loro la mente per comprendere le Scritture".

mercoledì 24 aprile 2019

Atti 3,1-10 e Luca 24,13-35
Mercoledì dell'ottava di Pasqua
Oltre il velo della morte

Ciò che medito oggi, potrebbe sembrare "sinistro", ma in verità credo sia molto vero; occorre, per fede, oltrepassare il velo della morte, per comprendere la risurrezione del Signore come condizione esistenziale libera da schemi e ritualismi.
Il brano di Luca, quello che conclude il suo Vangelo, è l'esperienza dei due discepoli di Emmaus; questa narrazione, diviene esperienza perenne di ogni discepolo, e di tutta la comunità di fede (la Chiesa) del camminare insieme al risorto, in un progressivo svelamento del mistero attraverso la parola e l'Eucaristia. La Parola, come Profezia che annunciava la pienezza del tempo in Cristo, come pure il Regno dei Cieli, ovvero l'inscindibile relazione di salvezza/amore tra Dio (il Padre) e gli uomini (i figli) che nell'incarnazione del verbo prende forma nel tempo e nello spazio condividendone l'esistenza come vita eterna.
Tutto questo trova eco nella gioia di un ascolto (quello dei due discepoli) che scalda (ardere) il cuore, cioè che riempie e attira, che da consolazione e speranza certa.
L'Eucaristia, gesto del memoriale, ma soprattutto gesto/segno della presenza e del riconoscimento/svelamento del Risorto; un segno assolutamente svincolato dal senso che noi definiamo attraverso una liturgia rituale e di precetto, per garantire moralmente la santificazione di un giorno sacro. Ogni giorno del discepolo è il giorno del Figlio dell'uomo, in cui il Cristo risorto cammina (salva) e accompagna ogni uomo alla pienezza del mistero di amore. Tutto in realtà accade nell'unico giorno del risorto, perché dopo la risurrezione di Cristo, il Signore Gesù è l'unico giorno, per ogni uomo sia che crede, sia che non creda. Emmaus racconta il senso del nostro credere al Signore Risorto, e ci apre alla insondabile bellezza della fede, al di là di ogni velo di morte, quel velo che si è infranto e che Gesù a varcato divenendo in sé stesso il Santo dei Santi: Shekinah e Kabod di Yhwh. 

martedì 23 aprile 2019

Atti 2,36-41 e Giovanni 20,11-18
Martedì dell'ottava di Pasqua
Dove guardare il giorno dopo la risurrezione ...

Giovanni con una descrizione di straordinaria tenerezza - il dialogo di amorevolezza tra Maria Maddalena e Gesù - ci dice che lo sguardo non va sprecato nel cercare di recuperare alla vista e ai sensi un corpo morto, ma che dobbiamo vederlo vivo, e altrove, non in una tomba ... Gesù risorto non abita, non dimora nei sepolcri che gli uomini scavano nella dura pietra della terra - " Maria, chinata verso il sepolcro ... Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto" -, come ricordo e nostalgia di un tempo. Egli è il Signore della gloria  - "Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro" -, ma il Signore vivo, non può essere trattenuto nemmeno dai nostri buoni sentimenti, ora la prospettiva cambia radicalmente, egli si annuncia ai discepoli come o lui che deve salire al Padre - "Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre" -, ecco come la risurrezione diviene rivelazione del modo nuovo attraverso il quale Gesù resta oggi con coloro che credono in lui.
Dice Silvano Fausti, che tutto il Vangelo di Giovanni viene volutamente contraddetto da questa espressione del risorto, ma che si tratta di una contraddizione intelligente, che serve a farci capire come tutto il Vangelo, in realtà è espressione di quanto detto all'inizio, nel prologo: "Dio nessuno lo ha mai visto, il figlio unigenito che è rivolto verso il seno del padre è lui che c'è lo fa conoscere".
Tutto il Vangelo è metterci nella condizione di guardare e contemplare il Padre, tutta la vita di Gesù è mettere il nostro sguardo verso il Padre - "Filippo, chi vede me vede il Padre" -. Gesù risorto non va contemplato nel sepolcro, come nemmeno possiamo pensare di trattenerlo nel nostro cuore, seppure pazzamente innamorato di lui; il Risorto trascina il nostro sguardo al Padre e ci fa contemplare la sua dimora presso Dio, dove lui prepara il nostro "spazio", il nostro "essereci" di eternità con il Padre.

lunedì 22 aprile 2019

Atti 2,14.22-33 e Matteo 28,8-15
Lunedì dell'ottava di Pasqua 
I giorni del Kerigma

Questi otto giorni, sono speciali, perché ci permetteranno di stare davanti al "fatto" della risurrezione inpersonificato nel risorto. Il "fatto" è l'avvenimento che rappresenta l'apice, la conclusione di una serie di altri avvenimenti raccontati attraverso la passione, il cui ultimo atto è la deposizione del corpo morto di Gesù nel sepolcro. Ma il "fatto" attuale riguarda proprio quel corpo deposto, che non sta fermo, non è più "deposto" nel sepolcro, e chi, il giorno dopo è andato al sepolcro per compiere tutto ciò che si doveva fare per pietà e cura del corpo del morto è costretto ad "abbandonare in fretta il sepolcro". Questa esperienza che sconvolge la normale consuetudine è ciò che caratterizza questi giorni per noi attraverso la Liturgia - ma a pensarci bene - è anche ciò che ha caratterizzato quelle ore per il gruppo dei discepoli, delle donne e di quanti erano con loro. Non dobbiamo banalizzare con il nostro ragionamento circa il risorto, ma quel gruppo, quella comunità è sconvolta, e con fatica si dibatte tra il "timore e la gioia grande". Non è una convenzione letteraria per esprimere il Kerigma, cioè l'annuncio pasquale, ma è un grido tra la paura che sconforta e la gioia della speranza che riprende. Il giorno dopo, quella comunità di amici si scuote. Il risorto scuote le fondamenta delle loro aspettative, delle loro certezze e in quel subbuglio, Lui vuole emergere, vuole farsi riconoscere come il Risorto: "Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno". Tutto il resto sono i nostri mezzucci umani, per cercare di arginare ciò che non riusciamo a governare o a imporre!

domenica 21 aprile 2019

At 10,34a.37-43 / Col 3,1-4 / 1 Cor 5,6-8 / Giovanni 20,1-9
Il dito nella piaga 

Scorrendo una rivista sono rimasto colpito dal titolo dell'inserto che trattava come speciale la risurrezione di Gesù, e il credere dell'uomo contemporaneo; è in questo che ho scelto di assumere quel titolo come provocazione di fronte ancora una volta alla tomba di Gesù, vuota, e a quell'incontro straordinario con il risorto che i credenti non sono invitati a fare, ma se realmente credenti fanno!
Sì perché è questo che abbiamo dimenticato: "il risorto cerca e incontra chi crede in lui, cerca i suoi amici e si fa riconoscere!"
Lo ha fatto con Maria Maddalena; lo ha fatto con i discepoli nel cenacolo; lo ha fatto con i due di Emmaus; lo ha fatto con Pietro e gli altri che erano tornati in Galilea a pescare; lo ha fatto con Tommaso provocandolo terribilmente: "metti il dito nella piaga" ...
Ma quale è la Piaga del corpo del risorto nella quale ci è chiesto di mettere il dito ore riconoscerlo vivo?
Il corpo risorto di Gesù oggi è il corpo glorioso della Chiesa (corpo mistico) che nonostante gli oltraggi inflitti dai suoi figli come quelli della pedofilia; nonostante le divisioni che molti prelati, sacerdoti e fedeli provocano quotidianamente, diffamando il Santo Padre; nonostante l'indifferenza di tantissimi battezzati; nonostante la sofferenza dei tanti martiri e testimoni della fede ... Nonostante tutto questo, quel corpo vivo continua a darci vita! Ma la vita non è quella biologica nel tempo, ma è la vita come esistenza nella fede. Ciò di cui subito gli amici di Gesù hanno fatto esperienza è stato rendersi conto come loro stessi erano coinvolti, sentimentalmente, spiritualmente, carnalmente in quell'avvenimento. Hanno pianto, hanno corso, hanno sentito paura e sconforto, sono trasaliti di gioia ... Non riuscivano a credere che era risorto dai morti. 
È questa realtà di Cristo che sconvolgerà sempre ogni cosa, ogni previsione ... anche quelle che danno la Chiesa le sconfitta, superata ed estinta ... La Chiesa è di Cristo, è il suo corpo mistico, il suo corpo risorto ... Mettiamo pure il dito nella piaga ... Scopriremo attraverso la Chiesa che egli è vivo! Alleluia!

sabato 20 aprile 2019

Lc 24,1-12
Veglia pasquale
"Mentre si domandavano che senso avesse tutto questo"

I vangeli della risurrezione, sono da sempre una domanda aperta: "che senso ha tutto questo?"
Che senso hanno le parole di Gesù dette in Galilea: "bisogna che il figlio dell'uomo, sia consegnato in mano ai peccatori, sia crocifisso e risorga al terzo giorno!"
Noi troppo abituato e facilitati a concludere tutto nelle parole "è risorto dai morti", non immaginiamo quale enorme difficoltà ha rappresentato quel sepolcro vuoto.
L'evangelista Luca non ha dubbi nel legare il sepolcro vuoto alle parole dette in Galilea, e le donne sono i soggetti ideali per questa sintesi.
Infatti, per entrare nel sepolcro occorre lasciarsi condurre accompagnare dalle parole dette da Gesù. Ogni ingresso non accompagnato è una visita di cortesia, una visita didattica a un mausoleo, a un luogo di memoria, a una “pietra ribaltata” ma che non ribalta nulla in questo nostro mondo.
Le parole del maestro dette in Galilea, profezia di sé stesso, hanno invece la forza di ribaltare il mondo intero.
Ribaltare l'ingiustizia di cui il maestro e Signore si fa carico attraverso una obbedienza sconvolgente; quella obbedienza che Gesù ha in un primo momento accolto, poi vissuta con fatica è dubbio, per essere alla fine assunta in un "bisognava"; un farsi carico di qualcosa di umanamente impossibile: per gettare tutto nel mistero di amore e di vita di Dio Padre; sottrarre tutto dal l'abisso di male di Satana e della sua ombra di morte.
Ecco allora che il "bisognava", è ben più di una necessità, il bisognava diviene compimento della volontà di Dio, per generare la realtà nuova, quella che in ogni uomo si compie nella vita e nel morire, che non è mai annullamento e disperazione, ma che da Gesù è speranza e risurrezione.
Allora bisognava che tutto si compisse così; bisognava che la pazzia, schizofrenica dell'umano incontrasse la passione dell'amore di Dio Padre, di Yhwh ...
Ascolta Israele, tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore con tutta la forza e con tutta ma mente ... Perché semplicemente Yhwh ti ama con tutto il suo cuore, con tutta la sua forza e con tutta la sua mente ...
Il consegnarsi di Gesù, la passione e la morte in croce sono la dimostrazione che noi non ci inventiamo l'amore di Dio per noi! Ma che è Dio che ci dona il suo amore in Gesù Crocifisso e risorto.
Le donne si domandavano che senso avesse tutto questo ... E sono dovute tornare in Galilea, nei luoghi delle sue parole per lasciarsi ricondurre in quel sepolcro, per comprendere che se la tomba è vuota è perché il Signore è vivo; se ma la pietra è ribaltata è perché da quel momento è ribaltato tutto ...
Sì, ci ha amato in tutto fino alla fine, e alla fine ha collocato il suo inizio, il donarci la vita eterna, quella vita che supera ogni limite di peccato, di morte, ogni limite è ingiustizia di questo mondo.
Nessuna vita umana potrebbe mai bastare per soddisfare la nostra fame e sete di vita vera, solo il ribaltamento, cioè la salvezza, ci permette di intuire che tutto questo è possibile!
Dopo le donne anche Pietro - dice l'evangelista Luca - corse al sepolcro. Una corsa che anche Giovanni ci racconta, con un modo più discorsivo e completo, ma indubbiamente la tomba vuota ha scatenato una vera ansia, una vera preoccupazione ... si corre per abbreviare il più possibile la distanza tra noi e Gesù ... 
Ma ... La distanza non si riempie con una corsa, non si annulla con le nostre possibilità ... Anzi, dice Luca che Pietro tornò indietro pieno di stupore per l'accaduto ...
Anche a Pietro è chiesto di interrogarsi sul "che senso ha tutto questo ..." E anche lui per capire dovrà tornare in Galilea, non solo col ricordo delle parole del Signore, ma anche per incontrarlo realmente ... Per incontrare un vivo, non un morto.
Anche a noi oggi è posta la stessa domanda ... Che senso ha tutto questo?
Non è un mistero che come allora ciò che dicevano le donne fu ritenuto anche dagli apostoli come un vaneggiamento, non degno di fede, anche oggi per il mondo e per tutto ciò che vive e dipende da ciò che è il "mondo", ... tutto ciò che stiamo raccontando da duemila anni è un semplice vaneggiamento ... difficilmente credibile ...
Credo che oggi occorra dare una testimonianza estremamente chiara - per quanto non è la nostra forza che sarà capace di dargli consistenza - ma sarà semplicemente Lui, che è vivo a fare sentire il calore della sua vita di Figlio, e l'abbraccio e del suo amore per noi; sarà lui a fare sentire tutto ciò in noi stessi, e nel cuore della Chiesa; sarà questa presenza e questa testimonianza che diviene capace di ribaltare le pietre che continuamente l'uomo cerca di ripristinare alla porta del sepolcro.
Forse anche noi dobbiamo lasciarci ribaltare, come quella pietra che è stata divelta nella risurrezione. È questa esperienza di apertura che traduce e determina una comunità aperta, e accogliente; una Chiesa capace di ascoltare e accompagnare; una fede che non si conta nei numeri dei credenti (affiliati nelle varie iniziative) ma nella amicizia reale col risorto. Abbiamo bisogno, meglio bisogna che siamo ribaltati pure noi, per diventare come me donne il giorno dopo il sabato: il loro andare è mesto, lo stupore le rapisce, il risorto le consola, la gioia e la vita rinascono come possibilità in loro stesse.

venerdì 19 aprile 2019

Venerdì Santo
Passione di Nostro Signore

La notte di preghiera nell'orto è qualcosa di umanamente impossibile ... È come sapere di essere prossimi a toccare una immensa sofferenza fino a morire e non avere possibilità di scampo ...
Eppure per tutti noi la vita riserva anche questi momenti ...
Sono momenti di lacrime ...
Sono momenti di paura ...
Sono momenti di tentazione ...
Sono momenti di fragilità ...
Sono i momenti della sconfitta ...
Sono i momenti in cui il Dio si fa intimità, si fa voce profonda ma non della coscienza giudicante, ma del cuore di un Padre che mai e poi mai rinuncia a essere Padre.

È in questo spazio, di questa silenziosa notte che il nostro nemico ritorna, è il suo tempo, il tempo opportuno per colpire ancora, come già ci ha colpito, tentato, provato, quando lo Spirito era in noi e la forza ci sosteneva ... Ora siamo al limite del baratto della debolezza ...

Di fronte a tutto: "Padre sia fatta la tua volontà!"
Vi propongo come meditazione un testo e il cantato, scritto e musicato da Filippo Sarti diversi anni fa ... Meditando le tentazioni di Gesù!

Ti sto promettendo una vita
che a trent'anni ti sembra finita
sono qui per l'amor di una madre
oppressa dall'ombra di un padre
troppo stanco troppo occupato
per la missione che ti ha affidato
per guardare negl'occhi di un uomo
senza spibgerlo ad essere Dio...

Ahh..

Sono gocce di dolce sudore
desiderio di vero amore
di una donna spesso anelata
di una donna difesa esaltata
uomo santo lasciati entrare
lascia spazio per un sognare
sogna seni da baciare
una vita da raccontare

Ahh..

una vita spesa per Dio
una vita senza l'ombra di un io
uno sguardo senza peccato
una lacrima l'ha offuscato
sono qui a chiedere a un re
questa volta scegli per te
di essere uomo, cuore e voce
di non essere un Dio su una croce

Ahh...

Tu che ieri parlavi d'amore
non voltarti verso l'onore
tu che ieri annunciavi la pace
non farti inchiodare a una croce
tu che puoi evitare la sorte
tu che ieri vincevi la morte
non permettere che una madre
pianga il figlio chiamato dal padre..

Ahh.. (x2)

E adesso che il sole tramonta
sul deserto di questa vita
lascia almeno che ascolti in silenzio
il vento di un'altra estate...
(vento)

Ahh... 

giovedì 18 aprile 2019

Esodo 12,1-8.11-14 e Giovanni 13,1-15
Santa Cena del Signore
"Gesù, avendo amato i suoi ..., li amò sino alla fine"

La Rossana Vigili mi ha ispirato questa riflessione. Ci sono tutti, dal traditore Giuda, all'orgoglioso Pietro, dall'amato Giovanni al sospettoso Tommaso, ed è di fronte a questa rappresentanza scelta di umanità, che Gesù compie un gesto che è per sé stesso culturalmente inammissibile e teologicamente assurdo: "Dio si abbassa fino alla terra dei piedi di quegli uomini così inadeguati, ma così amati che gli lava pure i piedi; li immerge nel suo amore, nella sua tenerezza e con amorevole cura li asciuga. Porta così a compimento quel: "li amò fino alla fine"! Alla fine è l'amore di Dio per la sua creatura che vince.
Può essere facile capire la fatica dei discepoli di fronte gesto di Gesù, ma alla fine, dopo, resta la nostra fatica nel comprendere quel gesto a partire da Gesù: perché Lui ha voluto un gesto così inusuale che diviene centrale nella narrazione del Vangelo, al punto che solo Giovanni lo colloca nell'ultima sua cena?
Noi, come i dodici come il cuore di ogni uomo trova scandalo nel gesto di Gesù! Lo stesso scandalo narrato a Betanìa, qualche giorno prima, quando Maria - sorella di Lazzaro - versò il profumo e unse i piedi del Signore. Medesimo scandalo nella casa di Simone a Migdal (Magdala), quando il bacio dei piedi insieme alle lacrime fu opera di una peccatrice, una prostituta ...
Ecco che Gesù "per amarci fino alla fine", non inizia dalla nostra parte migliore, ma dai piedi; inizia dalla realtà di noi stessi che è di scandalo, che umanamente ci scandalizza ma che proprio per questo ha più di tutto bisogno di essere amata, di essere perdonata, di essere redenta.
Quello che ha fatto il papa alcuni giorni fa, è molto di più di un gesto di umiltà, non è umana umiliazione, ma è umana obbedienza a un insegnamento che è quello che, nel gesto del lavare i piedi, Gesù ha raccomandato: "Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi".
Quella di Gesù è una lezione di amore, che rigenera la Chiesa e la riporta alla sua origine. Anche ciò che è di scandalo nella Chiesa, necessita di redenzione, necessita di perdono, necessita di un bagno di purificazione, che oggi, il Signore compie attraverso il suo vicario, il Papa, ma non solo, ma anche attraverso ciascuno di noi. A ciascuno è affidato il compito della reciprocità: "anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri", fintanto che non faremo questo gesto non saremmo convertiti realmente.
In questa ultima cena, il donarsi del Signore nel pane e nel vino, sacramento di sé stesso, sono una esplicita consegna in quel "fate questo in memoria di me".
Non c'è solo il memoriale del pane spezzato e del vino bevuto in suo ricordo, ma c'è la sua presenza reale che ancora una volta ci invita a compiere quei gesti così come lui li ha insegnati, perché tali gesti sono fonte di salvezza, generano il suo amore che è un amore fino alla fine: scandalo della croce, ma nostra necessaria salvezza. Alla fine ciò che vincerà il mondo è lì suo peccato è l'amore di Cristo, il suo baciare i nostri piedi.

mercoledì 17 aprile 2019

Isaia 50,4-9 e Matteo 26,14-25
"... Rabbi, sono forse io?"

Un fatto vero: "un bambino del terzo anno della scuola materna parrocchiale, due giorni fa mi chiede: don Fabio ... Ma perché Giuda voleva fare morire Gesù?"
Certamente le "dade" hanno raccontato la passione di Gesù e quindi sono partite dal tradimento di Giuda. Ciò che alla fine della storia non torna a questo bimbo è la motivazione: perché Giuda che è nel gruppo degli amici tradisce Gesù?
Provateci voi, ora, a rispondere a questa domanda, senza appellarvi alle solite motivazioni politiche, psicologiche e religiose che possono aver portato Giuda alla decisione di consegnare il maestro.
Io mi sono limitato a dire che Giuda era diventato invidioso di Gesù, e delle cose belle e buone che faceva, e che a causa della gelosia, non riusciva più a volergli bene.
Ecco, ingenuamente credo di aver trovato il cuore della scelta di Giuda: "non  riusciva a voler bene a Gesù! Non riusciva ad amare il suo maestro, il suo "Rabbi".
È la relazione intima con Gesù che è andata in crisi; il tradimento non è conseguenza di smania di potere o per i trenta denari ... il tradimento nasce nel cuore di chi non ama!
Siamo forse anche noi traditori di Gesù, come Giuda?
Si! Lo siamo in tutti quei pensieri, gesti, parole, desideri, azioni in cui con colpevolezza o indifferenza, volontariamente o involontariamente non amiamo Gesù e ci sottraiamo all'intima amicizia con lui. Il tradimento si consuma ogni volta che la nostra umanità (ferita dal peccato) prevale sull'amore come esperienza che la risana e rigenera.
Lo straordinario, inverosimile è che: a partire dal non amare di Giuda, l'amore di Dio Padre  opera la "misteriosa e insondabile opera della salvezza". Non ci è chiesto un giudizio sull'uomo, sul discepolo che tradisce, ma ci è chiesto di confrontarci sull'amore! Sul nostro amore al Signore, a Dio, ai fratelli (a tutti i fratelli, non solo a quelli della "casa di Israele") e anche per noi stessi. Questo Mercoledì Santo, è ben di più della vigilia del triduo pasquale, giorno di riflessione sul tradimento di Giuda: è il giorno nel quale dai nostri tradimenti, possiamo invece, ancora desiderare di amare il Signore, perché da Risorto effonde realmente il suo amore, cioè rinnova costantemente quei vincoli di amore che generano intima amicizia con lui. Il nostro privilegio è proprio questo: noi non siamo immersi nel limite di un avvenimento storico, ma siamo generati nella possibilità di nuovo che la risurrezione rende attuale per sempre. Allora, diamoci da fare ...

martedì 16 aprile 2019

Isaia 49,1-6 e Giovanni 13,21-33.36-38
"Gesù profondamente turbato ..."

Ecco una di quelle annotazioni giovannee che vanno approfondite e scrutate con estrema attenzione: "che cosa Gesù ha vissuto, provato, pensato ... che cosa gli apostoli hanno percepito di lui, mentre insieme mangiavano la Pasqua?"
Giovanni fa memoria di sé stesso, di Pietro e degli altri insieme: tutti percepiscono la "crisi" di quel momento: è il tempo del turbamento (ovvero della paura, dello sconvolgimento, della tentazione). Il Vangelo dopo averci presentato il gesto della lavanda dei piedi, dopo averci accostati alla profondità dell'amicizia e dell'amore per i discepoli ci precipita nella devastazione della paura per quella "trappola", per quel laccio che si sta stringendo attorno a lui. Gesù riconosce/percepisce il traditore e il tradimento che si sta consumando. Gesù si sente sospinto dalla volontà del Padre, come quando lo Spinto lo condusse/gettò nel deserto all'inizio della sua manifestazione a Israele: è il momento della glorificazione, della piena e sconvolgente manifestazione della presenza (Kabod/Shekinà) di Yhwh. Gesù sperimenta la solitudine affettiva: anche gli amici più prossimi vengono meno alla loro fedeltà. Uno dopo l'altro, tutto ciò che sostiene La sicurezza umana del Figlio dell'uomo, viene meno.
Il gesto di Giovanni, quello di appoggiare il capo sul letto di Gesù è di estrema e umana bellezza, quasi un estremo tentativo di colmare la ferita della nostra inadeguatezza con la consolazione della tenerezza. Gesù apre il suo cuore, offre la sua umanità, chiede a chi lo ama di ascoltare le sue paure! È il tempo della tenebra, della tentazione della prova ... Come aveva promesso nel deserto, il diavolo, torna ora al momento opportuno. Ma è proprio ora, nello sconvolgimento e nel dramma, che passo dopo passo si fa strada la salvezza: "Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra" (Isaia 49,6).
Questi giorni che precedono il Triduo Santo, sono "passi necessari" per entrare progressivamente nel mistero della "passione, morte e risurrezione". Occorre che ci convinciamo della loro necessità, pure noi dobbiamo fare quei "passi": non riduciamoli a semplice narrazione di un avvenimento passato.

lunedì 15 aprile 2019

Isaia 42,1-7 e Giovanni 12,1-11
"... non sempre avete me!"

Da oggi, accompagnati dalla Parola, è tempo di focalizzare, di stringere l'orizzonte di osservazione su Gesù; infatti anche il Vangelo di Giovanni, inizia ad accelerare i
La narrazione e all'improvviso, dopo averci raccontato il segno della risurrezione di Lazzaro, ci apre alle vicende degli ultimi sei giorni prima (sei giorni prima della Pasqua) del compimento della passione, prima che Gesù entri nel riposo del Sabato. In realtà, forse, non comprendiamo fino in fondo questa annotazione, ma il collegamento e il richiamo è esplicito: quello ai sei  giorni dell'opera di Dio e al giorno del Sabato (Sabbá), il giorno in cui Dio si riposa, il giorno in cui Gesù deposto nel sepolcro, cosparso di Nardo, bagnato con le lacrime, asciugato con capelli di donna, avvolto nel sudario ... egli porta a compimento il riposo e inaugura con la sua  Risurrezione, il giorno ottavo, il giorno della vita eterna e la pienezza dei tempi nuovi. Ecco che quanto accade a Betanìa in casa di Lazzaro, è per Giovanni il modo di introdurci alla "Passione", all'estrema pienezza dell'opera del Padre. Le stesse parole di Gesù, su se stesso, vogliono portarci sull'orlo del tempo, sul precipizio della vita, sull'abisso della morte: "... non sempre avete me!"
In questa tensione, ogni discepolo deve incamminarsi per poter gustare il riposo di Dio come tempo del sonno di Cristo, e come desiderio di essere con Lui unto con profumo nel corpo per aver compiuto la volontà del Padre, avvolto nel lenzuolo perché completamente immerso e affidato all'amore di Yhwh; unito in intima amicizia, per condividere il tempo della salvezza ovvero come disse Isaisa: "... ti ho formato e ti ho stabilito come alleanza del popolo e luce delle nazioni, perché tu apra gli occhi ai ciechi
e faccia uscire dal carcere i prigionieri, dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre". Il cammino da Betanìa a Gerusalemme è in questo senso itinerario per la Pasqua di liberazione.

domenica 14 aprile 2019

Passione di Nostro Signore Gesù Cristo, secondo Luca

Celebrare la passione, non è il ricordare un avvenimento, e neppure compiere un rito sacrale, una liturgia che solennemente ci attualizza un avvenimento del passato.
La celebrazione significa prima di tutto esperienza della vita. Quando celebro qualcosa significa che quella cosa tocca da se stessa la mia vita; che si istaura un legame, un contatto che permette di comunicare di interagire di scambiare.
La Passione di Gesù, non è stata la rappresentazione del mistero di salvezza all'interno del teatro del vissuto umano; essa ha rappresentato un realizzarsi nel tempo e nella vita di una realtà sorprendente e inaudita: il capovolgimento della morte attraverso l'amore; il trionfo della vita attraverso il dono di se stessi.
La passione è pro a di tutto il martirio, il sacrificio, di un innocente,barbaramente massacrato, colpito e torturato dal resto di una comunità umana che semplicemente lo ha scartato. E ha preferito sacrificare lui piuttosto di qualsiasi altra possibilità di destino. Siamo di fronte a un dramma, a una ingiustizia.
Eppure è bello vedere tanti cristiani la domenica delle palme venire alla celebrazione, ma quanto quel "venire" rappresenta il contatto vitale, esistenziale, con la passione del Signore?
È vero, il più delle volte è solo un fare un gesto scendo il "si è sempre fatto così", un gesto che non cambia il domani. D'altronde come potrebbe se è un gesto rinchiuso nel passato, un gesto che non è stato preparato da un itinerario penitenziale, ovvero di conversione di cambiamento della vita attraverso l'ascolto di quella parola che è "di Dio".
Ecco allora il "Passio" ... Alla tragicità degli avvenimenti si associa il nostro umano. La nostra umanità viene toccata da una esperienza che stride e grida ingiustizia, paura e morte ... Ma la nostra umanità viene pure toccata da un avvenimento che ci accosta all'umanità del figlio di Dio, alla sua mansuetudine, alla sua tenerezza, alla sua figliolanza ... È questo accostamento che ci converte, e ci converte nella misura in cui ci lasciamo condurre a cercare il senso più profondo della vita. La passione è toccare il mistero del vivere e del morire, dell'odiare e dell'amare ... È compreso in queste dinamiche la dirompente forza della risurrezione. La passione non si limita alla croce; dal calvario possiamo già intravedere il luogo della sepoltura, luogo di cui solo una cosa possiamo riconoscere certa e senza ombra di dubbio: vediamo una tomba vuota. In quel sepolcro non è contenuto alcun corpo morto. La sua assenza è altrettanto misteriosa come il suo venire nel mondo!

sabato 13 aprile 2019

Ezechiele 37,21-28 e Giovanni 11,45-56
Il mio santuario sarà in mezzo a loro per sempre ...

Ezechiele è un giovane deportato a Babilonia alla caduta di Gerusalemme del 597 a.C.; questa esperienza segna oro fondamento l'attesa è i desideri del profeta, ma è questo suo trascorso il veicolo attraverso il quale la profezia assume i toni sorprendete del ritorno nella terra, fino a comprendere la missione universale di Israele nei confronti di tutti i popoli: preludio al popolo santo e alla dimora di Dio con gli uomini per sempre.
È questa immagine di Esechiele che accompagna questo sabato della quinta settimana di quaresima, che precede la "Domenica delle Palme"; domani tutta la liturgia entra nella gioia ed esaltazione della gloria del Signore e della sua Passione di morte in croce.
Anche il Vangelo proposto in questa giornata permette di intravvedere la gloria e la Passione come elementi dinamici della narrazione della salvezza. È la parte conclusiva del Vangelo della risurrezione di Lazzaro, che è preludio al complotto che permetterà di mettere a morte il Signore. È una scelta politica, una scelta di stato, ma anche il frutto di una religiosità che ora è solo potere e asservimento del popolo santo.
La profezia di Ezechiele ci riporta alla vicinanza di Dio, a Yhwh come Padre che cammina insieme al popolo verso la Terra della Promessa; del Dio che non viene meno all'amicizia con Abramo; al Dio che sceglie Isacco (il figlio) e lo consacra nel segno dell'agnello come sua delizia e propiziazione; al Dio di Israele, del popolo pellegrinante e del popolo che nasce dalle reni di Israele, ovvero Giacobbe. Ecco allora che tutta la vicenda umana è nel suo susseguirsi di eventi, fatti e protagonisti partecipi della rivelazione di Yhwh. Noi pensiamo sempre al Santo e al Santuario come realtà divina che si aggiunge, ma sottovalutiamo la realtà della presenza. Il Suo dimorare (di Dio) storicamente e concretamente nei segni, esprime il Suo esserci ed essere dimora della vita dell'uomo, di ogni uomo.
Non esiste l'assenza di Dio, la separazione da Dio. Esiste il nostro sottrarci a Dio, il nostro decretarne la morte, la nostra indifferenza rispetto al Suo amarci. Ma la presenza di Dio precede ogni nostra esistenza. La sua presenza è un "per sempre" che prosegue e ci precede, è presenza eterna. Con stupore allora possiamo riconoscere e contemplare, quando accadono puntualmente, i segni della sua presenza: quando le promesse fatte ai padri trovano pienezza; quando alla sacrificio del Figlio corrisponde il frutto della vita che rinasce sempre; quando i segni dell'amore del Padre trovano eco e risonanza nelle opere dei figli degli uomini.

venerdì 12 aprile 2019

Geremia 20,10-13 e Giovanni 10,31-42
"Dalle opere del Padre ... a Gesù!"

A causa di quale "opera" compiuta ti volevano lapidare? La risposta è chiara ed evidente: "non per un'opera buona, ma ... Tu che sei uomo ti fai Dio".
Il Vangelo di Giovanni nella lettura semicontinua che abbiamo seguito in questi giorni ci affida una testimonianza straordinaria: come i giudei hanno percepito l'agire e il predicare del Signore. Per le autorità, i sacerdoti, scribi e farisei, per loro Gesù è un uomo, e qualsiasi uomo che si dichiara figlio di Dio, bestemmia, per cui è passibile di morte. Ma tutto questo ci testimonia anche che per "tutti" era impensabile una esperienza storica e concreta di Dio come "Verbo incarnato". All'idea del Messia, non corrisponde teologicamente e spiritualmente nel popolo di Israele l'idea di un coinvolgimento così umano di Yhwh. L'evangelista Giovanni, invece, ci fornisce una mappatura di questa strana idea, riconducendoci a quella testimonianza iniziale di Giovanni Battista, quando i giudei a mandarono emissari a investigare e ad interrogarlo: "Chi sei tu?"
La risposta non si lasciò attendere: "Egli confessò e non negò ..."
Per dare risonanza a questa parte di Vangelo, occorre realmente tornare al capitolo primo versetti 19-34. Sono espressioni, sotto certi aspetti redazionali, che raccolgono la testimonianza del Battista, ma estremamente puntuali:
- "In mezzo a voi sta uno che non conoscete ...";
- "Ecco l'agnello di Dio, quello che toglie il peccato del mondo!";
- "E io ho visto e ho reso testimonianza che questi è il Figlio di Dio"
Appellarsi alla testimonianza del Battista, è una "mossa" molto intelligente, perché significa accreditarsi attraverso un "personaggio" ormai riconosciuto nel solco della tradizione profetica di Israele. Giovanni non ha mai rivendicato per sé stesso una prerogativa divina.
Ma torniamo a noi, per Giovanni, Gesù è un mistero, è colui che non è conosciuto - cosa d'altronde che spesso nella autorivelazione, Gesù dice di sé stesso -; Gesù è in relazione al peccato - quel peccato per il quale il Battista ha chiesto il battesimo di conversione -, Lui lo toglie; Gesù è Figlio di Yhwh - che fai Giovanni, pure tu bestemmi? - è il Battista che introduce alla platea del mondo di Israele Gesù, con una veste di straordinario e rivoluzionario impatto.
Ma per il Battista, nel solco della tradizione profetica, essere Figlio significa essere Messia, essere come il Re Davide ... Quindi essere il Re. Questa è la condanna della crocifissione. Alla fine, per il Vangelo di Giovanni tutto torna, il Figlio di Dio compie l'opera principale di Yhwh, salvare Israele, liberare Israele, salvare l'uomo, liberare l'umanità dal peccato e dalla morte.

giovedì 11 aprile 2019

Genesi 17,3-9 e Giovanni 8,51-59
"... ecco la mia alleanza con te".

Dio si sottrae al nostro sguardo (il Dio nascosto) ed esce dal suo Tempio Santo. Al termine del capitolo ottavo di Giovanni, troviamo questa a conclusione dell'auto rivelazione di Gesù, una frase che superficialmente corrisponde alla fuga del Signore di fronte alla minaccia della lapidazione, ma che in realtà afferma ben altro.
L'evangelista ci riporta alcune affermazioni di Gesù estremamente importanti, circa l'autocoscienza del Signore:
- "In verità, in verità io vi dico (Amen, amen ...): Se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno";
- "In verità, in verità (Amen, amen ...) io vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono".
Gesù, uomo, è rivelazione di sé stesso, ma anche di tutta la divinità; del Padre e dello Spirito; nella sua carne umana Dio è "nascosto", non è assente, ma è nascosto. Questo suo nascondimento implica, cioè afferma, la sua presenza come promessa/patto fatto con Abramo e alla sua discendenza ... Da Abramo in poi Dio (Yhwh ...) promette di essere presente, di generazione in generazione, attraverso la carne della discendenza. Dio si nasconde nell'umano e si rivela attraverso l'uomo: "... perché padre di una moltitudine di nazioni ti renderò. E ti renderò molto, molto fecondo; ti farò diventare nazioni e da te usciranno dei re. Stabilirò la mia alleanza con te e con la tua discendenza dopo di te di generazione in generazione, come alleanza perenne, per essere il Dio tuo e della tua discendenza dopo di te". Questa parola fondamento dell'alleanza, è preludilo e compimento dell'ascolto di quella parola di Gesù, che è dono della vita di Dio per ogni carne mortale.
Noi siamo abituati a concepire il patto con Abramo, come se fosse scritto e proclamato a parole, ma se invece quel patto è codificato attraverso la stessa nostra carne di uomini, quella stessa carne che Gesù fa sua per dare compimento alla nostra salvezza.
Dio si sottrae (nasconde) all'intelligenza della ragione, si astiene dai riti della religiosità cultuale (esce dal Tempio), per rendersi manifesto nella nostra carne umana, per essere riconosciuto e pregato nello "Spirito e Verità" (Gv capitolo 4). Che cosa ci sta dicendo Gesù in questo passo di Giovanni se non che Lui, è la rivelazione che si è manifestata ad Abramo, e che è lo stesso "Io-sono"?
Oggi sento come la mia carne, pur se fragile, è sua carne; come fu per Abramo, la sua carne, la sua umanità diviene spazio dell'alleanza. "Ecco che il Verbo si fece carne e prese dimora in noi ..."
Si nascose in noi ... E fece alleanza con noi, di generazione in generazione!

mercoledì 10 aprile 2019

Daniele 3,14-95 e Giovanni 8,31-43
Dalla verità alla libertà!

Una certa corrente esegetica ritrova in Giovanni la rappresentazione di un processo a Gesù, in cui l'accusa anticipatamente rivelata è quella di essere figlio di Dio e di infrangere il sabato. La piena espressione di questo processo è quanto nel racconto della Passione, tutto si concretizza nella motivazione che Pilato scriverà per la condanna: "costui è il re dei giudei"; per cui la verità viene riconosciuta ironicamente nella soppressione/negazione.
Il capitolo ottavo rappresenta nella narrazione giovannea il testo più completo ed esteso in cui l'imputato racconta sé stesso, e cerca di accreditare rispetto agli accusatori la propria tesi: cioè la verità.
Nella nostra logica esiste una verità dell'accusa; una verità della difesa e una verità di giudizio frutto dell'indagine. È in un certo senso una verità per approssimazione, cioè in riferimento a ciò che è possibile dimostrare.
Ma quando Giovanni, nelle parole di Gesù, parla di verità, cosa intende?
La verità processuale è quella ricercata da Pilato (Che cosa è la verità?) che resta senza risposta ... Gesù tace ...
Per i giudei (sacerdoti, farisei, scribi ...) la verità è la loro appartenenza ad Abramo:"Noi siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno".
La loro verità è un discorso chiuso in se stesso ... che non ammette confronto, e non tollera nessuna diversità.
La verità per Gesù è lui stesso, è il suo essere Figlio (dell'uomo); il suo essere Figlio di Yhwh; il suo essere discendenza di Abramo: "Se Dio fosse vostro padre, mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato". La verità è la sua stessa umanità, la sua stessa vita che si mostra concretamente mediante la sua parola: "rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi".
La verità rivela ed è espressione della relazione che esiste tra Dio Padre e Gesù Figlio; questa relazione non è per se stessa, ma Gesù la propone come esperienza di vita anche per noi. L'ascolto e il rimanere nella sua parola ci rende partecipi di quella stessa relazione figliale. In quella relazione partecipiamo alla verità, che genera anche l'essere "davvero suoi discepoli; coloro che conoscono la verità e la verità li farà liberi". La libertà è conseguenza della verità; è libertà dal laccio del peccato e della morte.

martedì 9 aprile 2019

Numeri 21,4-9 e Giovanni 8,21-30
Non capivano che parlava loro del Padre.

In tutto il Vangelo di Giovanni non troviamo mai riferimenti alla preghiera del Padre Nostro, ma a differenza dei vangeli sinottici, troviamo nella successione di passi una crescita di contenuto che descrive la relazione tra Gesù e Dio (Yhwh).
Ripercorrendo tutto il Vangelo, infatti, a partire dal Prologo, l'evangelista introduce il mistero della missione del figlio in queste parole: "Dio nessuno lo ha mai visto, il suo figlio unigenito che è verso (nel seno del) il padre, lui c'è lo ha rivelato".
Ed ecco che il Vangelo, diviene condizione per Giovanni di farci partecipi del modo in cui Gesù parlava del Padre e parlava con il Padre ... e la gente veniva coinvolta in questa narrazione.
Nel rivelare sé stesso, riecheggia la domanda che in tutto il Vangelo risuona: "Tu, chi sei?"
Gesù dilata e ci propone la sua relazione con Dio Padre, come condizione attraverso la quale si entra nella vita di fede, si comprende il mistero (desiderio di Dio Padre) della salvezza.
Ciò che per gli Evangelisti sinottici è silenzio di Dio, per Giovanni è presenza costante del Padre attraverso la vita, la passione, la morte e la risurrezione del Figlio.
Le parole di Gesù circa la vicinanza del Padre, preparano il figlio, ma anche il discepolo alla Passione: "Colui che mi ha mandato è con me: non mi ha lasciato solo, perché faccio sempre le cose che gli sono gradite".
Non è certo facile comprendere e capire come la passione e la morte in croce siano l'apice delle "cose che gli sono gradite"; come non  è risolutivo pensare alla risurrezione come compimento dell'essere innalzato: "Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono e che non faccio nulla da me stesso".


Ma Gesù ci parla del Padre proprio in forza e attraverso queste sue esperienze: il Padre non è solo preso a soggetto protagonista delle parabole, il Padre ha voce, cuore, sentimenti e volontà, il Padre condivide ciò che il Figlio vive e fa. Gesù non ci chiede di capire tutto del Padre, ma di ascoltare attraverso di lui e nella sua parola ciò che il padre gli dice: "e le cose che ho udito da lui, le dico al mondo. Non capirono che egli parlava loro del Padre". Allo stesso modo in cui Gesù sta con il Padre, il discepolo del Signore impara a stare insieme al Padre. Ecco che il silenzio di questi giorni di passione è in verità pieno di presenza, di significato e di senso. Non siamo di fronte a una semplice tipologia di immagini, che in questo modo affermano una sorta di compimento profetico; ma siamo di fronte alla unicità dell'esperienza che genera la salvezza, ovvero come ci viene data la vita nuova, la vita del Padre.

lunedì 8 aprile 2019

Daniele 13,1-62 e Giovanni 8,12-20
"Io sono la luce del mondo"

Per comprendere meglio il Vangelo di oggi, dobbiamo tornare con la mente alla indicazione di tempo dell'inizio del capitolo settimo di Giovanni, quando ci è stato detto che Gesù salì quasi di nascosto a Gerusalemme per la festa delle capanne. Festa tradizionale che porta in se il retaggio del ringraziamento per i frutti della terra (i raccolti) e della permanenza di Israele nel deserto. È una festa che si celebra generalmente in settembre; varia in funzione del calendario lunare. Durante questa desta che dura sette giorni la liturgia del tempio di Gerusalemme prevedeva anche due gesti simbolici:
- La grande processione delle acque, che dal Tempio scende alla piscina di Siloe (fonte del Ghicon)  e per raccogliere l'acqua per la purificazione dell'altare; 
- L'illuminazione notturna del Tempio, nel segno del grande candelabro a sette braccia (la Menorah) e di altre fonti di luce.
L'acqua a cui Gesù fa riferimento al capitolo settimo, richiama l'immagine dell'acqua scaturita dalla roccia nel deserto (Numeri 20,2-13) come pure l'acqua che sgorga dal santuario in Ezechiele capitolo quarantasettesimo.
La Luce, è una evidente simbologia che richiama la luce di Yhwh, della colonna dell'Esodo; simbologia richiamata pure dalla modalità della costruzione delle capanne, le quali devono avere nella copertura la possibilità di lasciare filtrare la luce, del giorno all'interno della capanna.
Detto questo, sia il capitolo settimo che ottavo ci riportano l'auto manifestazione di Gesù ai giudei; Gesù afferma se stesso, ma lo fa a partire da quei segni che tutti potevano capire perché parte della tradizione liturgica del Tempio di Gerusalemme.
Ora quelle parole risuonano diversamente: "io sono l'acqua della vita ..."; "io sono la luce del mondo ..."
Gesù sembra dire: "Ciò che celebrate nella festa delle capanne, "io sono"; come lo è il Padre che da sempre testimonia di me nella Torah e nei Profeti".
Da queste parole ora possiamo dare significato alla simbologia della nostra fede, dove l'acqua che è Cristo è fonte della vita; come pure la Luce che è Cristo è verità è libertà; è vittoria sulla tenebra del mondo.