domenica 31 maggio 2020

At 2,1-11; Sal 103; 1 Cor 12,3b-7.1213; Gv 20,19-23
Soffia un vento nuovo ...

Il gruppo dei discepoli, occupava ancora quella stanza al primo piano di quella casa dove Gesù aveva chiesto di mangiare con loro la Pasqua. È lo stesso giorno del Risorto, il primo della settimana ...
Nel Vangelo di Giovanni questo primo giorno assume un significato particolare, è veramente l'inizio delle cose nuove a partire dal Risorto.
Non è un primo cronologico, ma è un primo esistenziale, come anche un primo come principio di eternità.
In realtà quel primo giorno è "segno" concreto e reale del risorto e della risurrezione. Infatti quando la realtà e la vita umana, si chiude in se stessa e si arroccata nelle proprie fragilità, limiti e paure, come accade ai discepoli dopo la morte di Gesù, quando questa Chiesa viene abitata dalla risurrezione, che cosa accade? Il Vangelo ci dice che il risorto è soffio dello Spirito, che riempie della sua presenza - mostrò loro le mani e il fianco - e della sua pace, la realtà di vita dei discepoli e del mondo intero.
Il risorto non lo è per un rito religioso, ma per la vita del mondo. È stupendo poter dire che la "Pentecoste" è Gesù risorto in mezzo a noi, il dono più bello dello Spirito di Dio: "del tuo Spirito Signore è piena la terra".
Quella sera della risurrezione, la prossimità di Dio Padre, attraverso Gesù, è il dono stesso dello Spirito dell'amore, che unico, rinnova tutte le cose e genera l'esperienza della Chiesa, la quale, sola corrisponde alla vita del maestro, generando nel tempo i segni dell'amore di Dio, cioè la missione di portare amore ai fratelli e di rigenerare le nostre relazioni stanche con la misericordia e perdono.
Il dono dello Spirito di amore quindi, va ben oltre la raffigurazione delle fiammelle e il segno delle molteplici lingue. È il Signore risorto che ascende al cielo colui che offre all'uomo lo Spirito di amore ... Tutto questo è "gloria", cioè presenza del mistero, qui in mezzo a noi. È questa l'immagine la più chiara manifestazione del donarsi dello Spirito Santo.
Quando in noi; quando nelle comunità cristiane; quando nella Chiesa, lo Spirito supera la rappresentazione iconografica è riesce a tracciare la presenza del risorto, allora il soffio dello spirito di Cristo vivo è veramente novità.
San Paolo nella seconda lettura ci mostra dove è lo Spirito Santo, lo Spirito del Risorto. Ogni esperienza che ci unisce e ci comunica con Gesù è azione dello Sprito: quando riconosco che «Gesù è Signore!», e solo sotto l’azione dello Spirito Santo posso affermarlo. Lo Spirito è dono - carisma - che mi spinge a donarmi per il bene dei fratelli; lo Spirito mi apre all'opportunità del servizio - il ministero -; lo Spirito è azione e vitalità che esprime la vita per l'unità del corpo di Cristo, di cui noi siamo sue membra. La bellezza della Chiesa e della sua vita, è lo Spirito del Risorto che dimora in Lei. Questa esperienza viva è la stessa del cenacolo in quel primo giorno dopo il sabato.

sabato 30 maggio 2020

Atti 28,16-20.30-31 e Giovanni 21,20-25
Fine del Vangelo ...

La fine del Vangelo di Giovanni è il nostro inizio. Dopo aver ascoltato, letto, meditato il Vangelo che vista resta?
Resta ammirazione? Resta edificazione spirituale? Resta il desiderio di bene? Resta il senso di inadeguatezza?
Tante possono essere le reazioni che umanamente siamo capaci di rappresentare in ragione delle nostre storie di vita ed esperienze. Alla fine quindi cosa resta?
Il Vangelo di Giovanni non ci dice cosa resta a ciascuno, ma ci racconta cosa è accaduto a Pietro e al discepolo Amato, dopo aver vissuto con il signore, aver visto i segni, aver ascoltato le sue parole, averlo visto morire e ora Risorto.
Per Pietro resta la sua umanità fragile, è orgogliosa, che viene costantemente a contatto con l'amore di Gesù per lui. Gesù parte sempre dall'amore per chiedere di seguirlo. Non lo si segue; non si è e neppure si diventa discepoli se non a partire dall'amore di Gesù.
Un amore, quello del Maestro, che non è astratto, o sentimentale, ma reale come quello vissuto e sperimentato dal discepolo Amato, da Giovanni.
Il Vangelo conclude con questa prospettiva affidata ai suoi discepoli: l'unico modo di essere veramente discepoli e non "gestori di una struttura spirituale religiosa" è non temere di ricollocarci sempre nell'amore di Gesù per noi. Un amore che non si scandalizza del limite e del peccato, ma proprio a partire dal limite e dal peccato si offre come misericordia e perdono. Allora anche per noi sarà possibile appoggiare il nostro orecchio al cuore del Maestro per percepire tutta la passione e la forza del suo amore, per il Padre e per ciascuno di noi.

venerdì 29 maggio 2020

Atti 25,13-21 e Giovanni 21,15-19
Cosa significa amare?

La triplice domanda rivolta a pietro sul lago di Galilea, è proferita appena terminato quel pasto improvvisato, dopo un'altra pesca abbondantissima; ma sopratutto dopo che tutti hanno mangiato.
Ci sono due cose che mi sollecitano per comprendere cosa significa amare Gesù, e come è possibile amarlo dopo tanto tempo da quando lui è Risorto, e addirittura amarlo senza averlo mai visto nella concretezza della sua persona.
Dopo aver mangiato: il pasto sulla spiaggia è un richiamo fortissimo a quella cena a Gerusalemme, cena nella quale Gesù manifesta ai discepoli il suo amore per loro, a coloro che sono i suoi amici/amati. La possibilità di amare e di corrispondere all'amore nasce nella vicinanza e nella condivisione dell'altro; occorre vivere della vita di chi ci affascina, di chi si pone accanto a noi. Amare è ben più di un sentimento istintivo, è vivere nella propria vita la vita dell'altro. Ogni eucaristia è occasione di vicinanza e di accoglienza della vita di Gesù ... Non è mai un prendere un'ostia, ma un accogliere la sua vita, prendersene cura, custodirla perché preziosa. Si inizia ad andare mangiando il suo corpo ... Non capisco come facciano alcuni a dire di amarlo se non mangiano di lui.
Il mio corpo, ... il mio sangue: le parole di Gesù non lasciano possibilità di dubbio. Nella preghiera di benedizione del pane e del vino, non si fa riferimento alla sua persona in senso spirituale, o all'offerta della vita in modo astratto; ma Gesù concretizza tutto nel suo corpo e nel suo sangue. Quel suo corpo è proprio il suo corpo di carne, attraverso il quale, nella pienezza della sua umanità si raccoglie tutto il nostro corpo, con tutto il guazzabuglio che rappresenta ... e tutto viene salvato ... Il suo sangue è proprio il suo sangue, quello che scorre nelle sue vene, che viene versato sulla terra e che irrora la mia fragilità e quella di tutti e ci lava dalla colpa. Gesù ama nella concretezza di sé stesso: corpo e sangue. Si ama con il corpo e con il sangue che da la vita ... Per amare occorre condividere il corpo e la vita.

giovedì 28 maggio 2020

Atti 22,30;23,6-11 e Giovanni 17,20-26
"Tu in me, Io in te ... e loro in noi"!

Gira e rigira ... Alla fine l'unità rivela l'amore e si fonda sulla relazione di amore.
Che ci piaccia o no, la comunione tra noi è autentica e immagine dell'essere di Gesù nel Padre e del Padre in Lui, solo se ha origine in quello slancio di gratuità e benevolenza che è l'esperienza di amare. Questo deve darci il criterio necessario per concretizzare ogni giorno l'esperienza dell'amore. Se non c'è amore a Cristo, e amore al prossimo, non esiste l'unità nella carità e neppure la comunione fraterna. Quando lo sfondo della nostra vita cristiana è la vita di parrocchia, e questa non corrisponde a questo principio, ciò che si ottiene è una aggregazione di interessi, forse anche benefici che però fanno riferimento a situazioni particolari che perseguono fini personali. L'amore invece esprime e realizza il desiderio dell'altro, del suo bene, della sua gioia.
L'amore di Dio Padre è come quella eterna compiacenza per il Figlio, che Gesù manifesta come sua consolazione; l'amore che Gesù ha per il Padre è il suo continuo offrirsi per rendere la "volontà di Dio" fonte di misericordia per il mondo. L'amore dei discepoli per Gesù e per Dio, è originato nella scelta che Gesù fa di loro: "non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi..."; e ancora: "vi ho chiamato amici ...", ovvero anche"amati". A partire da Gesù si apre per tutti una chiave di interpretazione della realtà creata, e della vita di ciascuno, che è l'esperienza e la concretezza dell'amore. Lasciamo che lo slancio pur sentimentale dell'amore interagisca con noi stessi, con la nostra quotidiana incapacità e fedeltà; lasciamo che impatti nella nostra fede presunta. Magari arriverò anche a riconoscere la normale insufficienza di corrispondere all'amore. Ma anche se fosse, arderebbe il fuoco dell'amore, e sarebbe comunque una fiamma che sempre terrebbe acceso il desiderio ... "Tu in me, Io in te ... e loro in noi"!

mercoledì 27 maggio 2020

Atti 20,28-38 e Giovani 17,11-19
Gioia, odio, maligno ...

Questa manciata di versetti ha un sapore estremamente dissonante rispetto a ciò che ci immaginiamo. La gioia che deriva dal fare esperienza del risorto, non è la ricompensa di chi crede, ma qui, si confronta con la durezza e la spregiudicatezza dell'odio del mondo, per coloro che sono del risorto ...
Non siamo di fronte a una "mania" persecutoria, ma siamo nel mondo, opera della creazione di Dio, in cui i frutti più evidenti sono quelli che derivano dalla nostra libertà. Il male che è nel mondo, come esperienza del maligno, si traduce nella libertà di ogni uomo di corrispondere al maligno piuttosto che al bene che è la verità.
La preghiera di Gesù si focalizza sull'esperienza dei discepoli nel mondo. Essere suoi discepoli, essere legati a Lui e alle sue parole, comporta inevitabilmente un confronto con quel mondo che sfugge la Parola, che esclude una relazione amicale con Gesù.
Qual'è l'esperienza del maligno, dalla quale, Gesù chiede con insistenza al Padre di preservare e custodire i suoi discepoli?
È l'esperienza di essere come il mondo, e non solo del mondo, ma quella assunzione di mondanità che si sostituisce al desiderio e alla ricerca della verità.
Il mondo e la sua mondanità, si presenta oggi come autoreferenzialità che chiude negli egoismi di parte, e pregiudica ogni slancio di gratuità e di comunione. È facile abituarsi alla mondanità, ed è altrettanto facile aderire alle sue proposte, perché sono alettanti e compensati rispetto ai desideri, che nascono dentro le nostre fragilità.
Di fronte alle suggestioni del mondo Gesù prega il Padre di custodirci nella verità.
Custodire ha un significato ampio, che va dal "preservare, tutelare" al "trattenere in carcere". È una preghiera esagerata quella di Gesù, una preghiera che sfocia dall'amore che ha per noi, e che suggerisce al Padre di sopraffare ma nostra libertà fragile, cioè incapace di corrispondere alla verità ... Il "custodire" diviene per Gesù richiesta a Dio, di una atto estremo di amore, un agire di misericordia senza precedenti ... È questo per amore di un mondo che vive la suggestione affascinante del maligno.
Il passaggio più bello di questi versetti è quello dalla gioia alla consacrazione. La gioia di essere del risorto, diviene, nel vaglio del mondo il segno della nostra consacrazione, cioè appartenenza al mistero di Dio, la nostra vera vocazione umana.

martedì 26 maggio 2020

Atti 20,17-27 e Giovanni 17,1-11
Il corpo, la gloria e la vita eterna ...

Essere nel modo per Gesù ha significato vivere nella carne, la vicinanza all'uomo e alle realtà del mondo. Pensando a Gesù figlio di Dio, fatto uomo nella carne, nel grembo di Maria, percepiamo quel senso di unità tra mistero di Dio e creazione, che ci porta a sentire quasi fisicamente l'esserci di Gesù nelle cose del mondo, il suo esserne parte e partecipe.
La morte e la risurrezione non rappresentano uno strappo, una discontinuità, rispetto a questa relazionalità strettissima, ma sono la novità: la possibilità della carne di Gesù di essere non solo nelle realtà del mondo ma di essere parte delle realtà del cielo.
Non è facile per noi questo modo di porci, per noi che viviamo il tempo come vita e la morte come fine di tutto.
Ciò che Gesù introduce nella realtà del mondo, attraverso la sua morte e risurrezione, non è un avvenimento straordinario - pur anche salvifico - ma è la pienezza della manifestazione della gloria di Dio Padre attraverso il segno della carne.
La nostra corporeità, la nostra carne, non è la materia nel suo limite fisico, ma rappresenta il modo in cui l'immagine di Dio è declinata nella creazione. Sarebbe quindi un grave errore declassare la carne rispetto a una qualsiasi rilevanza dello spirituale. 
La morte di Gesù rappresenta la più alta manifestazione di come la carne, veicola il mistero della salvezza attraverso il sacrificio/offerta della vita. Questa carne umana è capace di un amore così grande da superare ogni visione strumentale del corpo.
La glorificazione che Gesù chiede di sé al Padre, in questo capitolo 17 non va quindi colta come prefigurazione della risurrezione spirituale del Cristo, ma come presenza del mistero eterno di Dio attraverso la carnalità del Figlio.
Troppo moralismo ha impoverito la visione integrale della corporeità umana; ma non è disprezzando il corpo che si eleva lo Spirito, così infatti, si avvilisce il mistero e la gloria del Risorto.

lunedì 25 maggio 2020

Atti 19,1-8 e Giovanni 16,29-33
Presuntuosi e testardi ... sempre ...

La pretesa di aver capito tutto di Gesù, si combina con una certa arroganza esistenziale, quella di essere certi della nostra fede in lui.
Ma in realtà, di Gesù, ho capito ciò che a mi soddisfa e che forse fa comodo. Affermiamo di avere fede ma in realtà neppure abbiamo passato il vaglio della prova, cioè la tristezza del "venerdì" e a desolazione del "sepolcro". La nostra fede da dove nasce? Dagli insegnamenti morali ricevuti, come educazione cristiana o dalla gioia della risurrezione?
Gesù ironizza su queste affermazioni dei discepoli, con la stessa ironia, che oggi rivolge a noi, suggerendoci una maggior prudenza e soprattutto una maggior introspezione.
Occorre entrare nella fragilità, occorre passare attraverso l'abisso esistenziale in cui ci si sente lontani da Dio, e insieme si percepisce il desiderio di Dio Padre e di Gesù come possibilità per giungere a una "idea" di senso. La fede è la conseguenza di una certezza: "io ho vinto il mondo". Cosa significa che Gesù ha vinto il mondo se non che, la proposta di vita, che nasce dall'esperienza dell'amore - Gesù propone tutto nell'ottica dell'amore al Padre e per il prossimo - è la sola che può convincere e realizzare un modo nuovo, cioè libero dai vincoli del peccato e della morte: libero dall'egoismo!
Non si genera ma Fede se non a partire dall'amore per il Signore. Non crediamo di avere fede per somma delle conoscenze che abbiamo di Dio; potremmo iniziare a dire di avere fede solo a partire dalla esperienza di amore di cui sono sempre in ricerca e di cui sempre ho desiderio. Ma Dio, mi viene incontro proprio come risposta di amore alla mia domanda. Quando mi accorgo del desiderio di amore che rappresento e mi accorgo della vicinanza di Dio come amore per me stesso, ecco, lì si genera la fede nel Figlio di Dio che mi ha amato e ha dato la sua vita per me.

domenica 24 maggio 2020

At 1,1-11; Sal 46; Ef 1,17-23; Mt 28,16-20
Ascensione ... il nuovo modo di essere di tutto

Quanta gente in questa settimana ho incontrato in giro a correte a piedi, in biciletta o a fare sport ...
Da quando è possibile uscire di casa, in tantissimi hanno ripreso o iniziato a prendersi cura di se stessi, del proprio corpo, della propria fisicità. Ed è una cosa buona ... se Non ha un fine puramente narcisistico o di estetica personale; sarebbe un altro virus mortifero ... cioè l'altra faccia dell'individualismo...
Vorrei leggere invece questo desiderio - del prenderci cura di noi stessi - come aver compreso la necessità si prenderci cura di molto altro ... Partendo da noi, ci sono gli altri, c'è il mondo, ci sono gli ambiti di vita.
Partendo dal mostro micro mondo ci accorgiamo della necessità di aprirci al mondo intero. Ecco cio di cui sto imparando a prendermi cura. Perché devo farlo?
Perchè su questa terra non sono un ospite più o meno desiderato, ma sono il custode del creato; sono il custode di mio fratello; sono il custode della vita, della mia e di quella di questo nostro mondo. La stessa cura che riservo a me stesso, mi permette di capire quanta passione e azione devo e posso declinare al resto.
Se l’Incarnazione dice che Dio abita la terra e il corpo dell’uomo, all’Ascensione afferma che la carne umana è in Dio e la terra abita i cieli. “Colui che discese” – dice Paolo – “è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per riempire tutto” (Ef 4,10), per colmare la distanza fra cielo e terra. Ecco che in Matteo, si che sottolinea la pienezza e la totalità del potere del Risorto in cielo e in terra e della presenza del Cristo con i suoi fino alla fine del mondo, tutti i giorni ... Una presenza svela anche le mancanze, le carenze della fede, le fragilità e contraddizioni della comunità cristiana, le distanze fra il credente e il Risorto, tra la terra e il cielo
In cima sul monte degli ulivi esiste un luogo, attualmente una Moschea, in cui è presente la memoria della ascensione del Signore. I testi canonici della Ascensione ci rimandano:
- a Matteo 28,16-20, la conclusione del Vangelo, riconduce tutto in Galilea su un monte e lì il signore da il mandato ai discepoli, nulla di più;
- a Marco 16,14-19, al seguito dell'apparizione dl risorto, l'ascensione avviene nel cenacolo dopo aver parlato con gli undici;
- in Luca 24, 50-53, dopo l'apparizione del risorto, Gesù li conduce verso Betania (la strada sulla quale sorge l'attuale memoria è corretta) e da lì viene portato al cielo.
- negli Atti degli apostoli 1,6-12, siamo sul monte degli ulivi, dove Gesù ascende al cielo.
In Giovanni, in questo Vangelo non esiste un riferimento alla ascensione, se non forse, un richiamo all'innalzamento, se non vogliamo cristallizzarlo nel segno della Crocifissione.
- 1 Pietro 3,22, "Egli è alla destra di Dio, dopo essere salito al cielo e aver ottenuto la sovranità sugli angeli, i principati e le potenze".
Tornando al monte degli ulivi e al luogo della Ascensione, all'interno della Edicola ottagonale, c'è una pietra con il segno (tradizionale) di una impronta. Ecco, quel luogo è prima di tutto un segno, il segno della presenza del Risorto innalzato alla destra del Padre.
Nella mia preferenza per il Vangelo di Giovanni, piace lasciare scorrere nei "segni" la narrazione giovannea, per cui nel "segno" dell'Ascensione perché non riconoscere quel mistero di incarnazione nel tempo, di colui che è ugualmente rivolto verso il seno del Padre (Gv 1,18). Come poi anche possiamo dilatare il concetto di innalzamento alla glorificazione nella morte e risurrezione, ma questo essere innalzato non rappresenta forse il nostro di innalzamento, e l'innalzamento di tutto, attratto a Lui, al mistero di Dio: "io quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me". L'Ascensione diviene manifestazione della gloria e profonda vicinanza di tutto al mistero del Padre.
Questa vicinanza rigenera in noi, la responsabilità per ciò che ci viene affidato, consegnato ... Ascensione è allora esperienza di una vera responsabilità, quella del custodire.
Allora torno al concetto di prima, questa pandemia ci fa tanto male, ci ha isolati, ci ha avviliti, a messo in evidenza tante fragilità ... Ma ci ha anche permesso di riappropriarci della cura di noi stessi, della nostra vita naturale e  spirituale, di fede; e ci ripropone in pieno l'assunzione delle nostre responsabilità umane sul creato e verso ogni uomo.

sabato 23 maggio 2020

Atti 18,23-28 e Giovanni 16,23-28
Quale gioia piena?

La gioia del discepolo c'è ed è generata nell'incontro con Gesù, il risorto. Noi discepoli ci lamentiamo stesso di non sentire Dio, del suo silenzio, della sua lontananza; e scarichiamo su questo tutta una serie di domande e di dubbi.
Ma la gioia si genera proprio nel l'assaggio dalla tristezza della sua assenza, del suo non esserci (lontananza) alla consolazione dell'incontro con Lui. La gioia è quella esperienza dei discepoli che sono atterriti nel venerdì della crocifissione e morte; terrorizzati per la paura di subire la stessa fine il quel sabato di silenzio, per poi rallegrarsi nel vedere il Signore vivo e risorto, nel cenacolo quel orino giorno della settimana.
Ma tutto ciò sembra se non necessario, il percorso per giungere a rallegrarsi e a gioire con il risorto. La nostra vita da discepoli, allora, non nasce se non in un travaglio del parto. Dove si fa esperienza della tristezza e poi del rallegrarsi.
Il risorto per tutti noi, deve corrispondere, nella nostra vita, all'azione dello spirito di Dio, che ci fa riconoscere i segni del suo amore ore noi. Il Risorto è esperienza inverata dell'amore di Dio per ogni uomo, è in ogni tempo. L'amore di Dio si è donato dalla croce nel venerdì; si è condiviso tra dubbi e terrori, con tutti noi nel sabato; ci raggiunge e dimora in noi a partire dalla risurrezione. È l'esperienza del suo amore per ciascuno di noi, che quando sprigiona in noi il desiderio di corrispondergli, rende attuale il vedere e riconoscere il Risorto con gli occhi del cuore. Come diceva la volpe al piccolo principe: "... non si vede bene che col cuore. L'essenziale è invisibile agli occhi".
Con gli occhi del cuore vediamo, che Lui il risorto è la nostra gioia piena!

venerdì 22 maggio 2020

Atti 18,9-18 e Giovanni 16,20-23
Che cosa è la nostra gioia?

La tristezza a cui anche ieri facevamo riferimento, si manifesta nella sofferenza. Essa appartiene a tutti gli uomini. Forse non sappiamo spiegarlo, ma riconosciamo che una qualche sofferenza accomuna ogni essere umano. La nostra natura porta in sé stessa la trama della sofferenza come pure la trama della gioia.
A guardare bene, lo dice anche Silvano Fausti Sj, non tutte le sofferenze umane sono uguali, alcune sono mortifere in sé stesse, altre portano a una crescita dell'umano. Sì! Alcune sofferenze portano alla conquista della libertà, dell'amore, della vita, della gioia ... Sono sofferenze necessarie, perché l'umano è un essere "finito" che aprendosi nel desiderio all'infinito, percepisce sempre una qualche mancanza: questo è sofferenza, è tristezza. All'uomo manca l'infinito, l'amore eterno, che riempie le profondità del suo abisso. Non bisogna temere ma sofferenza, essa è parte del cammino per giungere alla gioia. Ma che cosa è allora questa gioia?
"Il verbo si è fatto carne e ha preso dimora in noi". Dal versetto 14 del Prologo di Giovanni inizia il riconoscimento della gioia. Quando il nostro abisso esistenziale è dimora del verbo che si fa carne, anche nella mia carne; allora non esiste più né venerdì santo e neppure il silenzio di Dio del sabato santo. La gioia sarà l'intima percezione del Dio incarnato e del suo amore per me; il suo dimorare nella profondità del mio abisso di senso, questa esperienza posso dire che è "la vera gioia" che riempie e trasfigura ogni tristezza e il limite della sofferenza.
Tristezza e gioia non appartengono alle categorie morali e della legge, della bontà e della giustizia; ma traducono il travaglio di chi nasce dall'alto, per forza dello Spirito di Dio.

giovedì 21 maggio 2020

Atti 18,1-8 e Giovanni 16,16-20
Tristezza e gioia ...

Gli ultimi tempi della vita terrena di Gesù, si caratterizzano per un tempo in cui il Signore fa esperienza di fragilità, il tempo della passione, del tradimento, delle percosse, dell'abbandono, del rifiuto, della croce ... È un "poco" di tristezza ... Tristezza che anche appartiene ad ogni discepolo, di ogni tempo, quando ripercorre nella sua storia questo "un poco". Ma a questo, sempre nella vita di Gesù, segue un altro tempo, ancora più desolante, dove ma tristezza diviene disperazione. È il tempo del sepolcro, dove la morte attende ogni uomo per un appuntamento dal quale nessuno può sfuggire, ma dove tutti si spogliano delle proprie certezze, sicurezze e aspettative. Nella morte veniamo azzerati nella nostra presunzione di salvezza. È nella morte che realmente sperimentiamo il distanziamento/separazione dagli affetti e dalla possibilità di amare ed essere amati. Questa tristezza desolante non è solo per la privazione della vita, ma anche per la privazione dell'amore. Questo "poco" è il tempo della debolezza, della pienezza della fragilità umana ... Ma è anche lo spazio del Dio incarnato. Dove ritrovare Dio? Lo troviamo proprio lì, nella nostra incapacità di capire e comprendere quel tempo di tristezza come occasione è premessa per accogliere la "gioia" della risurrezione. Un "poco" di privazione a cui segue un "poco" in cui lo rivedremo!  Lo rivedremo nella gioia della risurrezione. Ciascuno di noi rinasce come nelle doglie, dal tempo della tristezza al tempo della gioia. Quando tutto sembra "finito" è il momento in cui Dio risorge, e questo anche in ciascuno di noi. Dio non si chiude nella tristezza di un sepolcro, ma risorge per una vita che è gioia eterna, dove la gioia è emozione, ma esperienza di amore vero!

mercoledì 20 maggio 2020

Atti 17,15.22-18,1 e Giovanni 16,12-15
Lo Spirito ci guida ...

La nostra vita da cristiani, non è certamente quello che molti pensano: "frustrati che si obbligano a dei principi spirituali, che anche se fanno del bene, restano comunque condizionati e obbligati da una struttura religiosa". Oggi giorno, soprattutto fra i giovani, essere cristiani è percepito come una "anomalia esistenziale". Non è neppure percepita come scelta a livello morale o spirituale, ma come condizione da evitare.
Gli scandali che coinvolgono uomini di Chiesa e che da due decenni solcano le scene del mondo; la contro-testimonianza che siamo capaci di dare nelle realtà temporali; la strumentalizzazione della fede prestata a interessi di parte ... Tutto questo porta l'uomo di oggi a non riconoscere il valore trascendente del Vangelo, e della vita cristiana semplicemente perché tale valore è occultato e esiliato.
Ma la vita cristiana non è quanto vede e oggi percepisce il mondo.
La vita cristiana non sono le nostre liturgie, ormai col sapore dei "biscotti della nonna" ... Non sono le parole di alto profilo ripetute dal pulpito di Chiese ormai vuote ..., parole che scorrono come l'acqua della lavandaia ...
Non sono neppure l'aggrapparsi tenacemente fino all'ultimo a dei segni, più per buona abitudine che per grazia ricevuta.
La vita cristiana è la vita di ogni giorno in cui dimora lo Spirito di Dio; ma non è il mio pensiero, la mia riflessione lo Spirito!
Lo Spirito è risonanza ed eco del "maestro interiore" e di tutto ciò che Gesù dice per sempre. Lo Spirito, dice il Vangelo, ci ricorderà ..., ma non come esercizio di memoria di cose vecchie e antiche, ma come sollecitazione a mettere la Parola, la via e la vita di Gesù davanti a noi,ai nostri occhi.
Lo spirito ci guida a desiderare l'amore di Gesù come amore in noi stessi per risuonare di amore il nostro amare. Ci sono realtà, esperienze che rivestono la vita cristiana, ma la rendono inadeguata e incomunicabile, forse proprio quelle cose che sembrano segni irrinunciabili dell'espressione della nostra fede. Ma se il Risorto è in noi, vita dello Spirito di amore, la nostra vita cristiana non può limitarsi alle coreografie della fede; essa deve avere il sapore di colui che fa nuove tutte le cose, sempre ... La novità è segno dello Spirito di Dio, perché è amore vivo.

martedì 19 maggio 2020

Atti 16,22-34 e Giovanni 16,5-11
È bene per voi che  me ne vada ...

Il lungo discorso dell'ultima cena, in Giovanni, fa sintesi dell'ultimo tentativo di Gesù di infondere nei discepoli la comprensione di ciò che sta per accadere - la crocifissione e la risurrezione - e la loro incapacità reale di stare di fronte gli eventi.
Per loro la croce è ancora solo supplizio, e non strumento di salvezza!
Per loro la risurrezione è rianimazione dalla morte, ma non amore ed eternità!
La pienezza del tempo si realizza nella sua morte e risurrezione, la gloria di Dio avvolge ogni cosa attraverso la vita eterna del Figlio di Dio, ma affinché tutto questo costituisca la nuova realtà dell'universo, Gesù deve "andarsene"! Cioè il Figlio deve essere presso il Padre. Questa immagine, non soddisfa il contenuto di verità che contiene. Nelle Parole di Gesù, la confusione e l'incomprensione aumenta: "circa il peccato, la giustizia e il giudizio".
Il Suo "andare" corrisponde alla presenza dello Spirito. Non è una sostituzione di persona, neppure una compensazione, ma siamo nella realtà nuova, riempita dalla risurrezione, cioè dall'essere di Gesù eterno con il Padre, con un amore che rinnova ogni cosa. Questo amore è lo Spirito.
Provo di Spiegarmi ... Gesù non c'è più, è con il Padre. A noi "discepoli" cosa resta? Resta il ricordo, la memoria e soprattutto il desiderio di Lui. Questo desiderio è lo spazio dell'attesa della sua venuta, ma anche lo spazio dello Spirito che tutto rinnova nell'amore. Il desiderio permette all'uomo di rendere attuale la presenza; esprime una tensione di amore che corrisponde allo Spirito nel suo agire in noi.
Il desiderio non è un capriccio, non è una fissazione. Il desiderio è l'infinito in noi che protende al "cielo"; infinito che attende pienezza e compimento; per questo il desiderio è rivelativo dello Spirito di amore, che è manifestazione di comunione dell'essere di Gesù nel cuore (seno) del Padre.

lunedì 18 maggio 2020

Atti 16,11-15 e Giovanni 15,26-16,4
La missione è conquista del cuore

Nei due millenni passati, in più occasioni annunciare Cristo è divenuto uno scontro di civiltà, e soprattutto conquista con le armi e con ma forza delle libertà e delle coscienze umane. Al grido di Dio lo vuole, a Dio abbiamo attribuiti anche ciò che non voleva, ma che solamente ha permesso. Permettere non è volere ...
Non è un modo per scusarci di fronte alla storia, ma una presa di coscienza del mistero della salvezza nel suo accompagnare e accompagnarsi con la libertà dell'uomo e la sua priorità rispetto all'opera del creatore. Dobbiamo sempre ricordare che: "Dio ha tanto amato il mondo da ..." 
Ma questo amare il mondo da parte di Dio non è solo emozione divina; questo amore è il Figlio donato; questo amore è lo Spirito Paraclito; questo amore è la Chiesa sul popolo.
Dio manda, dona per amore il Figlio, dona lo Spirito e dona la Chiesa ...
"Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio".
Il dono del figlio che è amore e vita, porta con sé lo Spirito consolatore, che riempie di luce e verità, colma la testimonianza del nostro essere di Cristo: noi siamo suo corpo, suo popolo, sua Chiesa. È questa condizione che costituisce il cuore del nostro essere testimoni e mandati in missione: l'amore è l'amare conquista, riempie il cuore. Solo così il mondo ne viene trasfigurato.

Il 18 maggio 1920 nasceva Papà Giovanni Paolo II
San Giovanni Paolo, dalla finestra del Cielo donaci la tua benedizione! Benedici la Chiesa, che tu hai amato e hai servito e hai guidato, spingendola coraggiosamente sulle vie del mondo per portare Gesù a tutti e tutti a Gesù.
Benedici i giovani, che sono stati la tua grande passione. Riportali a sognare riportali a guardare in alto per trovare la luce, che illumina i sentieri della vita di quaggiù.
Benedici le famiglie, benedici ogni famiglia! Tu hai avvertito l'assalto di satana contro questa preziosa e indispensabile scintilla di Cielo, che Dio ha acceso sulla terra. Giovanni Paolo, con la tua preghiera proteggi la famiglia! Prega per il mondo intero, ancora segnato da tensioni, da guerre da ingiustizie.
Tu hai combattuto la guerra invocando il dialogo e seminando l'amore: prega per noi, affinché siamo instancabili seminatori di pace. San Giovanni Paolo, dalla finestra del Cielo fa' scendere su tutti noi la benedizione di Dio. Amen

domenica 17 maggio 2020

At 8,5-8.14-17; Sal 65; 1 Pt 3,15-18; Giovanni 14,15-21
"... io Ti abbraccio e tutto mi unisco a Te ..."

 In questi mesi abbiamo recitato nel momento della comunione la preghiera per ricevere Spiritualmente Gesù ... a pensaci bene è stato un atto di fede ancora più grande di credere Gesù presente nel pane e nel vino.
Gli abbiamo detto ... “Ti abbraccio e tutto mi unisco a te” ...
Parole che se siamo sinceri diremo solo alla persona che amiamo.
Non sono una formula magica e neppure un sentimentalismo religioso ... Sono una affermazione di amore al figlio di Dio: Signore ti amo! È questo che Gesù vuole suscitare in noi oggi, in queste parole del Vangelo!
Ciò che è strano da capire è che, di fronte alla nostra superficialità e al formalismo col quale per anni ci siamo accostati all'Eucaristia, oggi Lui ha risposto nella lontananza, nel desiderio più profondo e vero di noi stessi, affinché Lui possa incarnarsi e inverarsi nella realtà che viviamo.
Cosa significa per me oggi, per me discepolo di Gesù, amarlo? Cosa vuol dire osservare i suoi comandamenti?
Come fare esperienza del Paraclito, e cosa significa che rimane con noi sempre?
Partiamo da un dato oggettivo: molti di noi pensano di essere cristiani perché osservano dei comandamenti, perché vanno a messa alla domenica, perché sono stati battezzati, ma forse, dico forse, si sono dimenticati della cosa più importante: il cristiano è colui che ama Gesù, e che soprattutto si sente amato da Gesù.
Quindi, come lo amiamo? Come sono io, come è la mia vita che ama Gesù; come è la mia umanità amando Gesù?
Leggendo il Vangelo passiamo subito dal "se mi amate” …  “all'ora osserverete i miei comandamenti".
Ma attenzione tra le due situazioni, in mezzo ci sta una "cosa": il nostro amore per Lui; perchè se non amiamo, non osserviamo proprio un bel niente.
Quando Gesù chiede se lo amiamo, non ha la pretesa che viviamo la stessa tensione di amore ... mentre noi siamo la pretesa di essere amati; questa pretesa esprime sia il desiderio di consumare amore, come pure la necessità di sentirci amati ...
Quel “se lo amiamo” … è una domanda che prima di tutto interpella ciascuno sul come ci lasciamo plasmare dal suo amore e come siamo fedeli all'amore che doniamo.
È una domanda che vuole smuovere Il nostro bisogno di amore e di amare ... Che spesso tradisce in noi un bisogno di consumare l’amore dato e ricevuto.
Nelle parole di Gesù, si intuisce una condizione nuova ... Quel "se amate me" non dice il desiderio di Gesù di consumare il nostro amore per lui, ma interpella il nostro cuore, il nostro amore … perché amare Gesù e amare come Gesù, non ci è così connaturale.
La nostra umanità, ferita e limitata, deforma la possibilità dell'amore traducendolo spesso in uno scambio in una compensazione.
Ma cosa significa amare Gesù?
Siamo disposti ad amare Gesù? Siamo disposti a lasciarci provocare dall'amore per Lui e a metterci alla scuola dell'amore di Lui e del prossimo, dando senso alla "impulsività", per una concretezza dell'esserci per l'altro e anche per Lui.
Amare Gesù significa provare un sentimento di intimità per lui, scoprire una simpatia che ci corrisponde; desiderare di Lui per ciò che rappresenta; sentire le sue parole come quelle di un amico. Si ama Gesù a partire dalla nostra sensibilità capace di esprimere amore e non da una conoscenza del catechismo … Allora, riscopriremo anche i comandamenti come il cammino dell'amore e non come un obbligo della legge; ma la vera occasione per modellare, formare ed educare la nostra umanità.

sabato 16 maggio 2020

Atti 16,1-10 e Giovanni 15,18-21
Noi e il mondo ...

Dio ha tanto amato il mondo da donare il proprio Figlio per salvarlo, eppure, il modo non lo ha riconosciuto e lo ha rigettato. In questa sintesi delle parole del Vangelo di Giovanni sta il mistero che caratterizza il rapporto tra Dio e il mondo. Un rapporto che non è di odio, non è ribellione ... ma è di peccato! Ciò che rende il mondo incapace di lasciarsi amare da Dio, dal Suo creatore è semplicemente il peccato del mondo, per il quale l'Agnello di Dio, offre se stesso, come amore eterno, e fino alla fine. Solo questo amore riempie la drammatica distanza tra Dio e l'uomo. Solo un amore eterno vince la conseguenza del peccato, che come un virus logora la vita, trasformando la relazione di amore in sospetto; la comunione in distanza; il prendersi cura in autosufficienza e indifferenza.
Ecco che essere discepoli nel mondo significa essere parte del mistero di amore, lo stesso amore di Dio Padre per il Figlio, lo stesso amore che si offre e si sacrifica nel modo e per il modo. Essere parte di questo amore divino per cuscino di noi significa amare questo mondo pur nell'esperienza di un mondo che sarà ugualmente lontano, indifferente fino anche all'odio e al rigetto. Siamo scelti dal mondo per essere come Gesù inviati nel mondo ... Non per essere dal mondo gratificati perché lo amiamo, ma per dare al mondo conferma e certezza dell'amore e della tenerezza di Dio.

venerdì 15 maggio 2020

Atti 15,22-31 e Giovanni 15,12-17
La nostra missione è amare

Questo capitolo quindici di Giovanni è straordinario, squarcia il tempo, e sempre rinnova l'unico comandamento che Gesù ha lasciato ai suoi discepoli (amici) prima della sua passione: "Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi".
Con queste parole andiamo ben oltre la semplice imitazione del maestro. Comprendere l'amore di Gesù per ciascuno di noi è il percorso di tutta la vita. Soprattutto se ammettiamo quanta fatica facciamo a corrispondere alle esigenze dell'amore. Come è poco semplice amare ... E anche se sono cristiano, non è così facile amare; ma non come insegna Gesù; non è facile amare anche solo istintivamente e come la mia umanità mi porta a esprimere l'amore. Eppure Gesù conosce come sono; che sono istintivo, che faccio delle differenze; che corrispondo più facilmente all'amore ricevuto". Ma amarci come lui ci ha amato chiede di fare nostra la sua esperienza di amore: 
- il suo amarci è oltre, supera l’emozione;
- il suo amarci ha un costo per ciascuno, chiede conversione;
- il suo amarci è anche sacrificio, cioè rende sacro ciò che ama.
Gesù mi ha amato mentre era appeso in croce. Mi ha amato quando i suoi discepoli (amici), tutti, lo hanno abbandonato. Mi ha amato senza condizioni, sperando che il suo amore convertisse il mio cuore.
Rileggendo queste parole del Vangelo, mi ripeto con insistenza che essere suoi amici significa essere da lui amati per cui: "non vi chiamò più servi ma amati, e gli amati sono tra loro amici alla "pari". 

giovedì 14 maggio 2020

Atti 1,15-26 e Giovanni 15,9-17
Festa di San Mattia Apostolo
Io ho scelto voi ...

Quale mistero si nasconde in questa parola di Gesù: "Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga ..."
Per noi lo scegliere corrisponde inevitabilmente a una esclusione di tante possibilità a favore di una unica che non viene scartata. Quando io scelgo, certamente vado a soddisfare i miei bisogno e interessi, defissero anche i più nobili possibili. Ecco che dietro il nostro scegliere ci nasconde sempre il dramma della esclusione; per Gesù invece, cosa ci sta dietro quel: "ma io ho scelto voi..." Non credo sia una questione selettiva e attitudinale, che in questo caso definisce la condizione del "quando" apostolico, quanto piuttosto uno scegliere, che effettivamente è conseguenza della predilezione.
Per Gesù la predilezione non è una opzione selettiva, ma esprime una tensione relazionale che si fonda nell'amore. Cioè rappresenta lo spazio nel quale facciamo l'esperienza dell'amore come relazionale, una esperienza che si esprime nell'appartenenza, nell'amicizia e nella reciprocità della gioia di sentirsi l'uno per l'altro. Possiamo dire che Gesù ama ciascuno con predilezione, per dare compimento, cioè pienezza alla vocazione che ciascuno esprime ed è chiamato a realizzare nella vita.
Il senso di questa scelta rispetto a ciascuno, supera il limite del nostro personalismo, e dei ruoli istituzionali ma è uno scegliere che corrisponde alla realtà esistenziale: io ho scelto voi, perché io esisto per voi, per amarvi come amici, o meglio come amati. È bellissimo questo modo di Gesù, in cui la scelta non corrisponde a un criterio di giudizio ma accompagna l'atto creativo di Dio che ci chiama ad esistere in lui e per lui, nell'amore.

mercoledì 13 maggio 2020

Atti 15,1-6 e Giovanni 15,1-8
Memoria della N.S. di Fatima
Diventare suoi discepoli!

Iniziamo oggi la lettura del capitolo quindicesimo di Giovanni, il discorso della appartenenza, del legame tra vite e tralci. Ciò che mi sollecita oggi è la situazione ambigua, nella quale sono posti i suoi discepoli, a quelli che lo hanno seguito dalla Galilea, a loro Gesù dice: "Diventerete miei discepoli!"
Ma perché questa sottolineatura rivolta a chi è già discepolo. Forse perché il discepolato lo consideriamo uno status di vita, una competenza acquisita a seguito di una esperienza prolungata di apprendistato?
Credo che Gesù abbia voluto accendere nei suoi amici una idea più profonda riguardo alla sequela. Seguire il maestro, essere suoi discepoli non si identifica semplicemente con l'agire morale o una forma di affiliazione. Il cuore del  discepolato è in queste parole: "Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto ...".Diventare discepoli è "una roba" di ogni istante della vita insieme a Gesù! L''immagine del tralcio e della vita, sostiene la condizione esistenziale della relazione profonda e libera che Gesù offre a chiunque vuole essere suo amico. Da quella relazione si sprigiona il rapporto di appartenenza; un rapporto interattivo, non unidirezionale; coinvolgente e trasformante. Tale appartenenza non si fonda sulla suggestione, o sulla buona volontà, come ancor meno sui sentimenti volubili del cuore umano; ma sulla radicalità essenziale della Parola del Signore. La Parola genera e alimenta la relazione di appartenenza. Custodire questa relazione, supera ogni attività conservativa per proiettarci nella gioia di dare compimento alla vita: già questi sono i frutti ...

martedì 12 maggio 2020

Atti 14,19-28 e Giovanni 14,27-31
Ci ha lasciato la pace!

La conseguenza dell'andare al Padre - cioè, ricordiamolo -, realizzare la relazione uomo-Dio come cardine della salvezza donata dal Padre attraverso la vita stessa del figlio incarnato, è la pace. Ora cerchiamo di capire che via sua questa pace.
Gesù fa riferimento a una pace come la conosce il mondo: è la Pax Romana; è la pace imposta con la forza e la prepotenza, una pace che annulla e azzera ogni voce e ogni "diversità" di pensiero e opinione. Gesù stesso sarà crocifisso in nome, e sfruttando, la Pax Romana. La pace del mondo è la pace diplomatica degli equilibri, che cerca di accontentare tutti ma poi scontenta sempre qualcuno. La pace del mondo non è neppure quell'equilibrio che rende indifferenti rispetto agli accadimenti del mondo e della storia, che giunge fino a giustificare i nostri scandali e le nostre grandi e piccole ipocrisie. 
La pace che porta Gesù è la conseguenza del suo amarci. La pace di Gesù nasce dal suo morire in croce. Solo colui che è trafitto per amore - apparendo ai discepoli, risorto -, e mostrando loro le mani e i piedi forati e la ferita al costato, può dire: "Pace, a voi!". La la Pace che Gesù ci lascia, riempie e trasforma i nostri turbamenti e le nostre paure; li riempie di sé, li riempie di salvezza cioè di risurrezione. È questa pace che genera la gioia. Chi vive e crede la risurrezione di Gesù, da quella trae forza e pace, e si riconosce nella gioia di chi non soccombe nella paura della morte.
Nel suo andare incontro alla passione, Gesù lascia alcune parole che rappresentano il cuore della memoria che i discepoli devono fare di Lui: amare, vivere e conoscere.
Se ami come Gesù, dimori come lui nella pienezza della Parola del Padre ...
Se vivi come Gesù, vivi la verità della Parola ...
Se ami e vivi come Gesù, impari a conoscerlo, e quindi ad amarlo nella vita, rendendo la vita stessa lo spazio dell'amore.

lunedì 11 maggio 2020

Atti 14,5-18 e Giovanni 14,21-26
San Fabio Martire
"... anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui".

La liturgia del giorno prosegue nel proporci i discorsi di Gesù nell'ultima cena, così come Giovanni li ricorda e riporta. Discorsi densi, a volte anche un po' criptici. Certamente espressione del momento di profondo turbamento, e di espressione di una grande prova di fede che Gesù sta vivendo. Non possiamo non leggere questi vangeli tenendo presente il lato umano del figlio di Dio, la sua paura e angoscia nel pensarsi prossimo alla sua passione e morte; nel riconoscere i segni del tradimento e dell'abbandono da parte tutti i suoi amici. Ecco che queste parole assumono un senso tutt'altro che banale o puramente spirituale.
Gesù fa' appello al legame di amicizia con i suoi; alla intimità di conoscenza di Lui che essi hanno sperimentato nel seguirlo; all'amore con loro che ha condiviso in ogni momento di quegli anni di vita insieme. Giovanni, l'evangelista, ci riporta ogni parola con una precisione che rischia di diventare anche "pesante", al punto che ci sembra di sentirne anche il peso. Ma è questa cura del particolare, che ci mette nella possibilità di riconoscere come Gesù si manifesta. Fare memora delle sue parole permette a Gesù di dimorare in noi e di manifestarsi a noi. Amare Gesù, amarlo ora che non lo possiamo avere con noi; amarlo nel dubbio della sua vicinanza; amarlo nel l'isolamento di questi giorni e nella privazione dei segni sacramentali ... Amarlo nel desiderio, e per potergli corrisponde e "fare ciò che lui ci dirà", questa esperienza che è amore a Lui genera nella fede ciò che Gesù anticipa ai discepoli: "Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui."
Impariamo a non scoraggiarci nelle situazioni, a non avvilirci della fatica della prova; ma a vivere il presente con gli stessi sentimenti e atteggiamento di Gesù, il quale ha sperimentato e provato l'abbandono fiducioso nelle mani del Padre. È la certezza dell'amore del Padre che rendono queste Parole cariche di profezia e di speranza certa.

domenica 10 maggio 2020

At 6,1-7; Sal 32; 1 Pt 2,4-9; Gv 14,1-12
... Io vado al Padre!

Con le ultime notizie, dopo il di 18 maggio si aprono nuove possibili soluzioni per tornare a celebrare la Messa ... Un senso di sollievo, forse ha raggiunto molti. 
Ma noi cristiani, siamo proprio sicuri che la soluzione di tutto il "problema" conseguente all'epidemia virale sia nel poter nuovamente celebrare la Messa, anche se con le dovute precauzioni?
Sono tre mesi che in un certo qual modo, Gesù ha subito un allontanamento rispetto alla nostra vita, almeno rispetto agli standard usati per secoli per alimentare la vita cristiana. 
Niente partecipazione reale alla Messa, ma solo in streaming; niente comunione eucaristia, ma solo spirituale; niente riconciliazione (confessione), ma solo esame di coscienza; niente preghiera in Chiesa, niente ritrovarci come comunità ... Tutto questo cosa ha cambiato in noi?
Come la nostra fede ha reagito a tutto questo?
Leggendo il Vangelo di questa domenica le parole di Gesù sembrano proprio il sottofondo per interpretare la nostra realtà attuale e richiamare il senso della sua lontananza ...
Ma Gesù si è proprio allontanato in questi tre mesi?
Oppure Gesù lo avevamo già allontanato noi attraverso una ritualità formale e consolidata nel tempo, che leniva un senso della fede ormai agli sgoccioli?
In questi tre mesi la fede in lui, ha trovato il terreno per proporsi come dimensione importante e prioritaria dell'esistenza, oppure ha declinato ogni prerogativa di senso e si è completamente allineata all'espressione della ritualità e delle liturgie streaming?
Gesù va al Padre, così dice il Vangelo, ma non vuole dire che sparisce. Questo dobbiamo mettercelo bene in testa, altrimenti travisiamo anche la verità del Vangelo affidata a quegli stessi apostoli che ascoltarono queste parole.
Qui, l'andare di Gesù al Padre dobbiamo cercare di capirlo come tutt'altro che un sottrarsi, un allontanarsi, ovvero uno sparire ...
Forse anche inconsapevolmente quanto accaduto ha accelerato in noi credenti un duplice atteggiamento eretico: una sorta di neo-pelagianesimo e neo-gnosticismo.
Siamo diventati tutti un poco pelagiani, un poco gnostici!
Molti di noi stano iniziando a percepire Gesù come un un modello che ispira le nostre azioni buone e generose. Ma in realtà, tutto dipende da noi stessi. La fede in lui (visto che non c’è e non lo percepiamo) si riduce in una imitazione ideale e morale, ma sono io l'autore della mia riuscita e alla fine anche della mia salvezza.
All'interno poi di questo sistema tecnologico e virtuale, il rapporto di Fede si riduce a un sensazionalismo e alla partecipazione a dei video. Il rapporto di fede è solo virtuale e pure alla virtualità si riduce la spiritualità e di conoscenza la percezione del mistero. La relazione con Dio perde concretezza e senso di comunione. Tutto si riduce a una suggestione del pensiero che non incide la realtà, ma compensa il senso religioso.
In sintesi, abbiamo imparato a "fare Dio da noi stessi" e tutto si compie solo nell'intimo del cuore e della spiritualità mentale.
Quale rischio si nasconde quindi dietro e dentro la virtualità e ai mezzi che stiamo usando per surrogare l'esperienza religiosa e comunitaria?
Se da un lato denunciamo la mancanza del senso comunitario, parallelamente diamo spazio, anche inconsapevolmente, a un dilagante individualismo, e ad una generale diffidenza rispetto all'altro.
Poi mi ritrovo ad essere solo io davanti a quel video; sono solo io e nessun altro; ma ciò che è rappresentato nel video, in realtà non influisce con la mia storia, non ha rilevanza, non ha autorevolezza; posso spegnerlo quando voglio e non "contagia" la mia vita, non entra in relazione con me.
L'esperienza di Filippo e Tommaso e le parole di Gesù invece, muovono in ben altra direzione.
Gesù non vuole dirci che se ne va, ma ci richiama ad essere dove tutti siamo ora, e quale sia il nostro compimento, cioè dove siamo "diretti" ... Esiste una via che congiunge il nostro ora con il nostro dove andare.
Andare al Padre non è salire l'iperuranio, ma è entrare in una relazione ancora più vera e concreta dell'esperienza uomo-Dio.
Reagire al virus della virtualità significa riappropriarci del Risorto come soggetto vero è attivo nella vita reale.
Perché, se non mi salva Gesù Risorto, nel suo essere morto in croce, la mia fantasia del Risorto non ha la forza di salvarmi.
Ecco che allora è necessario custodire e alimentare soprattutto con la Parola di Dio e con la preghiera, quel rapporto personale con il Risorto che è capace di interagire con la mia vita reale.
Gli strumenti della tecnologia, restano strumento accessori, ma non possono sostituirsi alla realtà, e non devono!
Una immagine video alla fine è il nulla! È come una bolla di sapone che occupa lo spazio della mente.
Nel finale del Vangelo di Giovanni, c'è un incontro nel giardino del sepolcro tra Gesù e Maria Maddalena; lei piangente e disperata perché gli hanno sottratto il suo maestro - nel momento in cui Gesù le si rivela - cerca di trattenerlo in un gesto comprensibile ma anche umanamente possessivo, allora Gesù le risponde: "non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre, ma va dai miei fratelli e di loro: Salgo al Padre mio e padre visto, Dio mio e Dio vostro!"
Ciò che prima Tommaso e Filippo non capiscono, del l'andare di Gesù, ora diviene chiaro per tutti nella esperienza di Maria Maddalena.
Per ogni discepolo la risurrezione di Gesù non è l'inizio della separazione, ma lo svelamento della strada che Gesù da sempre ha percorso e che da sempre percorre insieme a noi, per indicarci con certezza quale è, e dove è il nostro compimento.
Non conta camminare nella nostra vita come della brava gente devota, e non serve neppure seguire Gesù e le sue Parole virtualmente riproposte, se poi tutto si riduce a un volerlo trattenere con noi in quel sepolcro che rappresenta la nostra storia che esige di potercene confortare anche solo virtualmente al bisogno.
Credere in Gesù, significa crederlo Risorto; significa pure riconoscere che solo Lui è capace di indicarmi la strada dell’"andare al Padre".
In altre parole, è nella concreta sequela di Gesù che scopro come dimorare presso di Lui, cioè nel cuore di Dio Padre e come riempire di Lui e di senso ogni vuoto virtuale.

sabato 9 maggio 2020

Atti 13,44-52 e Giovanni 14,7-14
Uno strano scioglilingua ...

Effettivamente a una prima lettura, questi versetti lasciano perplessi, poi disorientati, poi non si riesce a partire da un punto per arrivare a un termine ... insomma un vero "ingarbuglio"!
Silvano Fausti propone di partire dalla domanda di Filippo: "Mostrami il Padre"
Questa domanda cosa mette in evidenza? Credo il profondo desiderio di vedere, entrare in relazione con Dio. comprendere la propria identità di figlio per poter vivere la fratellanza ... Vedere Dio, soddisfa il desiderio di una relazione che porti a compimento la nostra fragilità umana. Ciascuno di noi ha bisogno di dare pienezza alle relazioni, ciascuno di noi ha bisogno dell'altro ore essere se stesso.
Con questa consapevolezza chiediamo a Gesù: "Mostraci il Padre"; e ascoltiamo la risposta del Signore: "Chi ha visto me ha visto il Padre".
Che cosa vedo di Dio nell'uomo Gesù?
In che vita, guardando Gesù è cambiata l'idea che io ho di Dio?
In quale modo e senso l'idea di Dio determina il mio agire? Le mie opere sono davvero opera del Padre? Sono le mie opere veramente amore verso i figli e verso i fratelli?
Ecco che la domanda di Filippo, nasconde l'incertezza, la fragilità di soddisfare il "bisogno/desiderio" di Dio, del suo amore, del dono del suo Spirito.
L'umanità di Gesù impatta nella mia vita con tutta l'immensità del mistero di Dio. È Gesù, accolto nella sua pienezza, che diviene condizione delle risposte alle mie domande. Non un Gesù frammentato ....

venerdì 8 maggio 2020

Atti 13,26-33 e Giovanni 14,1-6
Vado a prepararvi un posto ....

E subito scatta la nostra immaginazione; iniziamo a fantasticare quale significato abbiano queste parole, che sono molto "sintetiche" ma insieme sempre enigmatiche.
Ai due discepoli dell'inizio del Vangelo di Giovanni, che chiedono: "Signore dove dimori, dove abiti ...", Gesù risponde venite e vedete ... 
Gesù invita i discepoli a seguirlo, per dimorare con Lui e in Lui. Il nostro limite è quello di collegare le parole di Gesù all'agire di una immobiliare, che assegna a ciascuno una abitazione personale ed eterna. La nostra insicurezza, la nostra poca fede ci sostengono nella ricerca di garanzie circa la nostra eternità: dove si trova, quale concretezza, in quale modo raggiungerla?
Sono tutte domande umanamente lecite, ma frutto della nostra paura (timore/turbamento); della sfiducia (abbiate fede in Dio e fede in me) e dell'insicurezza (Signore non sappiamo dove vai ...).
La storicità, la vita terrena fi Gesù si confronta con la sua assenza, con il suo essere altrove, e questo ci lascia inquieti, disorientati perché la nostra fede non ha poi un grande fondamento.
Il punto di partenza è proprio questo: dimorare in Lui. "Venite, vedete!"
Vivere il nostro tempo come discepoli che ascoltano, imparano, imitano il maestro significa "dimorare in Lui", significa prendere parte alla sua stessa esistenza, alla sua stessa vita, ai suoi stessi gesti. È in questa relazione esclusiva che imparo il dimorare in Gesù e non tanto nel dimorare dove Lui dimora. Dimorare in Gesù nello stesso modo in cui Gesù dimora nel Padre. Anche Gesù ha imparato a dimorare nel Padre, attraverso un affidamento totale; superando turbamenti e paure; vincendo l'insicurezza del suo cammino ... È questa esperienza, questa relazione che fa dimorare!
Il posto che il Signore prepara, allora, non sarà tanto un "luogo" ma soprattutto l'esperienza di affidarsi a Lui, di consolarsi in Lui e di fondare le attese in Lui.

giovedì 7 maggio 2020

Atti 13,13-25 e Giovanni 13,16-20
L'unica e vera beatitudine!

Il senso delle parole di Gesù, nel Vangelo di oggi, vanno collegate direttamente al gesto che Gesù compie, non solo come agire, ma con una valenza esistenziale: il gesto di lavare i piedi ai discepoli. Il lavare i piedi ci sconvolge, non lo capiamo, o meglio, ne sentiamo tutta la fatica e le nostre resistenze; è fuori dalle nostre logiche abituali, ma Gesù ora, come il "Maestro", non ci chiedi capire, ma di fare come lui ha fatto.
Spogliarsi delle vesti, lavare i piedi è il segno di un consegnarsi totalmente come anche di un amore senza precedenti. Gesù non ama come vertice di un processo affettivo nel quale risultiamo meritevoli di tanto amore. La vera felicità è meravigliarsi del dono di Dio Padre, che è Gesù, nostro maestro. La sua vita ci è donata perché egli, nel segno delle vesti, si spoglia della sua vita e noi ne siamo rivestiti. Quelle vesti sono le stesse dalle quali Gesù sarà spogliato prima della crocifissione e che saranno divise e tirate a sorte; la sua vita ci appartiene. Il suo amore abbatte le nostre strutture di preferenza e differenze. Il suo amare, è un amarci per primo e da prima, è un amore che ci precede sempre, e che rimane anche di fronte alle nostre rigidità. È questo che Pietro non capisce: "perché mi devi amare così?"
Forse solo, perché l'amore è Dio, ed è da Dio, e io non ne sono capace, io non sono la fonte dell'amore.
La vera beatitudine, la certezza delle felicità non è quindi nel capire il perché, ma nell'accogliere Gesù che si offre; che chiede di rivestire la mia vita con la Sua, e di lasciargli lavare i miei piedi, cioè lasciarmi amare da Lui.

mercoledì 6 maggio 2020

Atti 12,24-13,5 e Giovanni 12,44-50
A quale opera ci ha chiamati?

In cosa consiste il nostro "annunciare il Vangelo", dare testimonianza della nostra vita cristiana? Il rischio è evidente a tutti, siamo immersi in un esemplare appiattimento e "virtualizzazione" della nostra vita di fede. Non è in corso nessuna vera trasformazione dell'esperienza di fede, ma semplicemente l'ulteriore adattamento a una situazione che progressivamente spegnerà la memoria di Cristo come nostro salvatore.
Tutto, anche la fede si consuma nel rapporto con uno schermo piatto e intangibile. Lo spazio personale dell'individualismo si accresce, ma proprio perché ci resta solo questo spazio, che se pur limitato lo sento mio e credo di disporne secondo la mia personale volontà e soggettività. L'esclusione della percezione concreta dell'altro, veicola tutta una serie di nuove possibilità che accrescono l'irrilevanza della fede e del rapporto con Gesù. Esso si trasforma da personale ad individualistico; da oggettivo a soggettivo; da sacramentale a virtuale. Nel Vangelo di oggi, Credere, vedere, ascoltare, ecc ... descrivono un rapporto che incide nella vita personale innestandovi un dinamismo che è quello della conversione suscitata dalla salvezza che Gesù realizza costantemente come relazione interattiva con il Padre: la fede è esperienza di realtà, di comunione, di Chiesa; una esperienza che trasforma e plasma la vita reale. Il limite delle dirette video, e della mediazione virtuale è una realtà surrogata a che fa leva su un individualismo frantumato e distratto rispetto alla nostra originaria relazionalità carnale, che è prima di tutto relazione con Dio Padre, e con il "mistero della incarnazione".  Nella spazio della preghiera occorre che ne prenda consapevolezza!

martedì 5 maggio 2020

Atti 11,19-26 e Giovanni 10,22-30
Per la prima volta furono chiamati Cristiani

"Ad Antiòchia per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani". Questa frase degli Atti degli apostoli (prima lettura di questa mattina) è il punto di partenza per comprendere il Vangelo.
Cristiani, cioè di Cristo. Per chi non conosce il significato del sostantivo "Cristo", nulla di strano nel qualificare i discepoli di Gesù con questo nome; ma per chi conosce il significato, questo nome significa agli occhi del mondo, l'identità, l'appartenenza e la grazia dello Spirito Santo. Lo Spirito che unse il Signore, facendolo Cristo, ora nella fede del battesimo unge tutti i discepoli facendoli "Cristi".
Ecco adesso leggiamo il Vangelo! "Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente".
La risposta che Gesù da ai capi, agli scribi e ai sacerdoti è un chiarissimo riferimento alla sua unzione: "Io e il Padre siamo una cosa sola".
L'unzione non è un segno, essa rappresenta la condizione esistenziale del figlio di Dio fatto uomo; essa è relazione di amore che genera la vita. La nostra unzione che ci fa "Cristi", è relazione con Gesù e genera in noi la vita, che nasce dalla fede. La fede allora non è proprio, né cuore e né ragionevolezza, ma è vivere di Cristo. Esprimere nella vita quella unzione che ci fa suoi, con un rapporto che Gesù descrive come quello delle pecore e del pastore: "Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano".

lunedì 4 maggio 2020

Atti 11,1-18 e Giovanni 10, 11-18
Il pastore modello!

Non bastava dire "io sono il Pastore delle Pecore", non avrebbero capito ugualmente l'immagine che Gesù stava usando per parlare al popolo, ai sacerdoti e ai capi?
Ma il Vangelo di Giovanni aggiunge una qualità al Pastore: l'essere buono/bello.
Quali conseguenze derivano da questa "bellezza":
- dare la vita;
- conoscere le pecore.
Con questa immagine Gesù quale modello di pastore siamo disposti a seguire, se a Lui preferiamo le cure di un mercenario; se alla Sua confidenza e vicinanza preferiamo l'anonimato di essere una massa.
Ciò che caratterizza la nuova visione del gregge è la relazione particolare che il pastore Stabilisce con ogni pecora, anche con quelle che non sono di "questo ovile", anche quelle deve condurre.
L'identità del gregge non è di massa, ma è particolare, in questo si riconosce la preziosità di ciascuna pecora, di ciascun uomo agli occhi del Padre. È in questa particolare relazione che si realizza la nuova identità del gregge, non come accostamento delle singole pecore le une alle altre, ma come fraternità e comunione, attraverso la reciproca "conoscenza". Il pastore è bello ed è buono, perché è un modello da scegliere e da imitare. Da lui nasce, per il gregge, il superamento di una identità di massa in cui non esiste il valore personale. Attraverso l'esperienza che facciamo del suo donarsi a noi e del suo interessarsi a ciascuno, noi pecore, impariamo lo stile nuovo del gregge del Padre che è la Chiesa, libera dagli steccati di una religiosità sterile, e aperta all'accoglienza di ogni pecora.