giovedì 30 aprile 2020

Atti 8,26-40 e Giovanni 6,44-51
Mangiare e masticare ... Il Pane del cielo

Il nostro accostarci all'eucaristia è spesso (per molti), come un mangiare e masticare la manna, per cui, bene dice Giovanni: "I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; ..." È un assimilare un cibo ritualizzato, ma non andiamo oltre; non entriamo con fede nel Pane e nelle conseguenze del mangiarlo: " ... questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia".
Assimilare il Pane non equivale al masticarlo, al mangiarlo e basta; assimilarlo significa fare nostra e aderire alla vita di Cristo. Ciò che anche Gesù percepisce dopo la moltiplicazione del Pane è che la gente lo segue non perché ha compreso le sue Parole e si sente parte di quel Segno (lo ha visto), che rivela la vicinanza del Padre, ma solamente perché ha mangiato e masticato il Pane moltiplicato e si è saziata.
Il passaggio dal pane, al pane della vita, non è immediato, meccanici o automatico.
Gesù chiede di prendere coscienza della nostra carne, della nostra fragilità umana, per realizzare la nostra insufficienza e inadeguatezza rispetto alla vita eterna. Per l'uomo la vita eterna resta un desiderio esistenziale di cui non ha la soluzione a disposizione.
Gesù rivendica per la sua vita una dimensione di assoluta diversità. La sua è la vita del figlio di Dio. Non è la vita del figlio di Giuseppe - come pochi versetti prima gli viene rinfacciata - ma è quella del figlio di Dio: "... solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna".
Mangiare masticare con fede, significa proprio questo: desiderare di assimilare la vita del figlio di Dio, così cime umanamente si è manifestata. Questa assimilazione è una esperienza di prossimità e famigliarità con il pane; come anche di continuità (santificazione del quotidiano), non di occasionalità (partecipazione a qualche esperienza rituale). "In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna"; il credere non è generico, ma è il credere in Lui e a Lui. Nelle parole del Signore dobbiamo accogliere il segno di cui lui stesso è sacramento e visibilità: la sua carne, la sua vita sono il segno concreto della carne e della vita del figlio di Dio, che rivela il Padre. Ecco perché quel pane che viene spezzato dalle Sue mani è la sua vita eterna condivisa e donata.

mercoledì 29 aprile 2020

1 Giovanni 1,5-2,2 e Matteo 11,25-30
Festa di Santa Caterina da Siena patrona d'Italia
Lo Spirito di Dio e del mondo

La fragilità, le ferite che portiamo in noi e che spesso accompagnano la nostra vita sono il frutto dello scontro/confronto tra lo Spirito di Dio e quello del mondo, che avviene in noi, in forza della libertà di cui disponiamo. In questo giorno in cui ricordiamo Santa Caterina da Siena, è a lei che affidiamo la nostra vita Spirituale. Che non è dimensione incarnata nella nostra esistenza dello Spirito di Dio.
Che cosa anima la vita dello Spirito? Non certo e solo il nostro impegno di preghiera! Prima di tutto il riconoscersi in quella straordinaria esperienza che il Vangelo descrivere a partire da Gesù: "Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza". Gesù rende grazie del dono relazionale e di amor che lui stesso sperimenta, e che gli rivela la vicinanza del Padre. La conoscenza non è anagrafica, ma relazione di amore, ed è immanenza dello Spirito di amore. Noi tutti siamo parte di questa benevolenza di Dio, ciascuno per sua partecipazione, e secondo il dono ricevuto. È questa relazione donata che ci precede, il motore della vita Spirituale.
Ma come rispondiamo nella nostra libertà e umanità? Il limite che introduciamo per natura ci sottrae al giogo dell'amore di Dio, finanche a rinunciare a quell'invito straordinario di Gesù che sarebbe, se accolto e vissuto, la nostra piena felicità: "Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero".
Che cosa ci permette di corrispondere all'invito del Signore?
Nella vita cristiana, la confessione del peccato, quando non è vissuta come elencazione delle colpe, ma come riconoscimento e offerta a Dio delle nostre ferite - perché è in quella condivisione, al Padre si chiede la guarigione -, cioè una sublime forma di integrazione nella vita; ebbene questa confessione ci apre il "cammino nella luce, come egli è nella luce, allora siamo in comunione gli uni con gli altri, e il sangue di Gesù, il Figlio suo, ci purifica da ogni peccato"; ci attesta la prima lettera di Giovanni.

martedì 28 aprile 2020

Atti 7,51-8,1 e Giovanni 6,30-35
Io sono il pane della vita ...

Questi versetti del Vangelo di Giovanni vanno al cuore, essi sono una sintesi straordinaria di tutte e tre le domande che ieri abbiamo messo all'inizio della lettura e meditazione del capitolo sesto del Vangelo.
Chi è Gesù, quale pretesa di identità: "Io sono" (Yhwh); "il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo".
Quale è il senso di queste sue parole: sono dono diretto del Padre; "è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero".
Quale pretesa ha questo pane donato: "Io sono il pane della vita ..."
La conseguenza della triplice comprensione del Pane è il superamento del segno come evento straordinario di popolo: la moltitudine che ha mangiato; non è quel consenso molteplice che imprime significato; il superamento del segno come elemento esclusivo e preferenziale per qualcuno, il pane del cielo è la vita del mondo, non è come la manna, che era solo per Israele. Il superamento del Segno diviene ancora più evidente nella percezione delle parole di Gesù come il suo coinvolgersi con la vita collettiva di tutti e personale di ciascuno.
Essere Lui il Pane, cioè il nutrimento per la vita del mondo, significa centrare in pieno la rilevanza cristologia rispetto a ciò che esiste e rispetto a noi stessi.
Se oggi, assistiamo alla messa a margine della esperienza di fede, considerata meno del bisogno di tabacco, e che questa mentalità comune, si è diffusa ed esprime una irrilevanza che appartiene anche a moltissimi cristiani; essere il pane della vita non è semplice riferimento alla presenza reale nell'eucaristia ma esprime la rilevanza di Gesù nella vita. Essere Pane, dice l'urgenza del Vangelo come motore delle scelte e della propria vocazione. Se Lui è il Pane della vita, mangiando quel Pane, io stesso divento con Lui Pane della vita.

lunedì 27 aprile 2020

Atti 6,8-15 e Giovanni 6,22-29
Il cibo che rimane per la vita eterna ...

Il capitolo sesto di Giovanni è tutt'altro che facile; occorre prima di tutto capire se ci sono delle chiavi di lettura per muoversi dentro un discorso che si prolunga per circa cinquanta versetti. Una lettura affrontabile propone tre domande per stare di fronte al tutto:
1) Chi è Gesù, questo uomo che moltiplica il pane, cammina sulle acque ecc... e che ci parla di Dio?
2) Quale senso ha credere il Lui, per ciascuno di noi; crede che quelle sue parole incidono sul senso e sul perché della nostra vita, presente e futura?
3) Perché una pretesa (insistenza) così grande per il segno del pane, al punto di porlo quasi come discriminante rispetto all'essere con Lui o all'andarsene via da Lui?
Dare le risposte a queste domande significa entrare nella logica di questo lungo discorso di Gesù così come lo presenta Giovanni.
Lasciando a ciascuno le prime due domande, mi limito a cercare un po' di luce per la terza. Cosa è quel pane della vita che tanto sta a cuore a Gesù?
Quel pane condiviso, nel segno della moltiplicazione del pane, forse anche una moltiplicazione della condivisione, è già l'amore del Padre per ciascun. In quel lame c'è l'amore dei fratelli; in quel pane c'è la vita eterna. Se non comprendiamo cosa è quel pane, se non sappiamo cosa sia, e non tanto cosa rappresenta, quel pane non è nulla e si riduce alla sua composizione di acqua e grano macinato, o alle sue qualità esteriori. Gesù parte proprio da questo: abbiate cura, cercate, operate per il pane della vita ... Non per un cibo qualunque che alimenta, perché il pane, se è quello della vita eterna, è lui stesso in noi, come dono del Padre per vivere la comunione fraterna. Quel pane è una priorità ... Questo un po' tutti - preti compresi - dovremmo ridircelo, non è uno strumento di comunione, ma è la comunione e la presenza della vita eterna che dimora nella nostra vita. Nutrirsi di quel pane è nutrirsi di Cristo, nostra vita.

domenica 26 aprile 2020

At 2,14.22-33; Sal 15; 1Pt 1,17-21; Lc 24,13-35
Solo un cuore che arde di amore spezza il pane della vita

Sono due le situazioni che oggi, il Vangelo ci propone per dare luce alla nostra quotidianità, a quanto stiamo vivendo.
La prima situazione è proprio all'inizio del Vangelo: "Ed ecco, in quello stesso giorno [il primo della settimana] due dei [discepoli] erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo."
Si tratta dell'accostarsi di Gesù e del caminare con noi. Gesù ci accompagna e ci precede ... Sempre. Un accompagnarci umile e discreto ... Mi piace!
Non è invadente, Gesù; è rispettoso di noi, e "carico" di desiderio di dare luce.
Oggi, di fronte allo scoraggiamento, alla frustrazione, alla rabbia per la privazione di tanto. Di fronte alle difficoltà economiche che incombono e che ci fanno paura ... Che cosa possiamo fare?
Dobbiamo lasciarci avvicinare da Gesù ...
Lui non stravolge i discepoli, non ribalta miracolosamente le situazioni, ma si accompagna e cammina con loro. Lasciamo che Gesù cammini con noi anche in questa prova. Sarà il più grande atto di affidamento che mai abbiamo fatto in tutta la nostra vita, ma sarà l'occasione per vedere nella fede.
Ma sarà anche, per noi, l'occasione di imparare la mitezza e l'umiltà del camminare accanto e insieme ai fratelli. Nessuna corsa in avanti, ma insieme, questa è la comunità dei discepoli.
Poi, una seconda situazione è quella che si realizza quella alla sera arrivati a casa ... Si prova il desiderio di custodire la relazione con chi ha camminato con noi (Gesù) ... Quale desiderio abbiamo di custodire?
Chi tra noi non ha mai provato in questi giorni il desiderio di lui?
Un desiderio che porta in sé un dono immenso: Lo riconoscono nello spezzare il pane. "Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista." Non siamo di fronte al gioco mi vedi, non mi vedi ... Il pane spezzato è ciò che si vede e quel pane spezzato richiama in loro il pane della vita che è Gesù. Quel pane spezzato sulla tavola risuona delle parole: "Io sono il pane della vita". Basta questa immagine per aprire i loro occhi.
Ogni volta che spezziamo il pane, non solo quello sull'altare, ma quello nelle nostre case, quello della solidarietà, che nutre la fame dei poveri e dei diseredati; ebbene ogni volta che il pane viene spezzato si realizzano le parole di Gesù che dice: "Io sono il pane della vita".
Ci può ardere il cuore nell'ascoltare il Vangelo, così come arse il cuore dei due discepoli di Emmaus, ma non basta solo ascoltare, occorre spezzare il pane e mangiare il pane della vita.
È il pane spezzato che genera la vera vita. È l'eucaristia che alimenta tutti noi e alimenta in noi la vita di Dio, quella eterna. È il pane spezzato il vincolo di fraternità che sperimentiamo in famiglia e nella comunità cristiana. È il pane spezzato della generosità e della carità gratuita che nutre il nostro umano di un amore senza condizioni e genera vera fratellanza.

sabato 25 aprile 2020

1 Pietro 5,5-14 e Marco 16,15-20
San Marco Evangelista
Mandati per annunciare.

Le parole conclusive del Vangelo di Marco sono: "Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano". Quali sono i segni che accompagnano la parola annunciata? 
Marco ne elenca alcuni: "... nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno!"
In questo nostro tempo, quale sono i segni che accompagnano la nostra predicazione?
Proprio ieri, come esternazione di chi certamente non crede o non ha in simpatia i cristiani, un tale diceva: "... ah proprio proprio ..., si vede quanto conta il vostro dire delle messe e pregare ..." Dentro una realtà così complessa - ma forse nemmeno quella dell'inizio della predicazione lo era -, di fronte alla realtà quale segno accompagna il mio vivere il Vangelo? Il mio annunciare il Signore Risorto?
In cosa consiste quel germe di bene che guarisce e conforta; dove è la forza per scacciare il demonio e Sconfiggere il peccato? Quale parola posso pronunciare perché si apra la durezza del cuore, e Cristo possa prendere dimora nella vita dei fratelli?
Pietro nella prima lettura diceva: "(...) rivestitevi tutti di umiltà gli uni verso gli altri, perché Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili. (...) riversando su di lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi. (...) Resistetegli (al diavolo) saldi nella fede (...)."
È ancora una volta l'imitazione di Gesù umile e discreto, che rende efficaci i segni di Dio e la sua Parola. Non occorre angustiarsi, occorre solo imitare Gesù. La fede in lui non è "convinzione, certezza, assenza di dubbio", ma è imitazione anche della sua umiltà e discrezione: Quanta umiltà e discrezione, Gesù mostra nell'accostare il cuore delle persone!

venerdì 24 aprile 2020

Atti 5,34-42 e Giovanni 6,1-15
La Galilea di Gesù

È in Galilea che Gesù rivela apertamente se stesso, si mostra dentro il suo contesto di vita, di relazioni; nei luoghi che gli sono famigliari, e soprattutto attorno a quel Lago che aveva scelto come casa, come luogo della sua vita. In realtà quel Lago, visto dalle alture intorno, è veramente suggestivo, raccoglie e mostra  la vita dei villaggi dei pescatori; dei mercati sulla via del mare; dei traffici di carovane e mercanti; delle città con strade strette e case vicine ...
Quel lago così calmo e placido quando il sole lo accarezza dandogli un caldo splendore, diviene imperioso e aggressivo quando si scatenano le foce della natura e tutto in lui ribolle. Gesù non solo torna in Galilea, ma vive in Galilea, nella sua terra e da quella terra e con quelle persone condivide tutto ...
Quel giorno - ci dice Giovanni -, Gesù, alzati gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: "Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?" Ecco dove trovare ciò che è necessario per la vita di tutti? Dove comprare il pane per sfamare tanta gente?
La risposta di Filippo è ingenua ed elementare: "C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?"
A Tabga, vicini a Cafarnao, dove la tradizione (non solo) segna il luogo della moltiplicazione dei pani, nella raffigurazione del mosaico, i pani non sono più cinque, ma ne sono stati rappresentati quattro.
Oggi vorrei sottolineare questi particolari: "c'è un ragazzo che ha cinque pani d'oro e due pesci". Gesù sta per compiere uno dei segni più belli: dare a tutti del pane da mangiare, dare a tutti, come fece Mosè nel deserto, il pane per la vita, il segno del pane del cielo. Un gesto che Lui compie a partire da noi, da quel ragazzo che ha cinque pani d'orzo. Quanto Gesù compie di bello e di straordinario, che suscita meraviglia, non parte dal nulla, ma parte dal nostro coinvolgimento. Noi stessi siamo pane che Gesù moltiplica per essere dato a quella "gente affamata", che ha bisogno di pane per vivere.
Ma di quei cinque pani, uno sparisce ... Dove è finito il quinto pane?
Questo solo chi crede può capirlo. Il quinto pane, quello necessario per dare senso e pienezza al segno è Gesù stesso, è quel pane che Lui stesso pone sulla mensa per essere mangiato ogni volta che la Chiesa, fede al suo comando dice: questo pane è il mio corpo dato per voi. I quattro pani non sono sufficienti per la moltiplicazione, ne occorre un quinto. Gesù per compiere il segno prende i nostri cinque poveri pani, ma uno di quei pani è lui stesso che si offre ..., che di dona ... Se non c'è lui, i nostri quattro pani sono insufficienti. Tutto questo avviene in Galilea.

giovedì 23 aprile 2020

Atti 5,27-33 e Giovanni 3,31-36
Un parole tostissime!

Di fronte alle parole di Gesù, sembra che Nicodemo svanisca … si riduca a una semplice comparsa, ma non è così. Nicodemo durante quell'incontro notturno con Gesù, in realtà, diventa un tutt’uno con le parole del maestro. Nicodemo sparisce perché è completamente preso dalle parole di Gesù. Nicodemo si è lasciato prendere per mano da Gesù, e il Signore lo ha condotto con sé, mostrandogli come la realtà è vista attraverso lo sguardo di chi viene dall'alto, dal cielo. Nicodemo non è sparito, ma è spiazzato;  non ha domande, perchè vede la realtà, che solo se è dall'alto ha un senso compiuto, e tutto rinasce nella salvezza che Gesù realizza attraverso la sua vita innalzata.
Forse è vero che ciò che manca oggi ai discepoli di Gesù (a noi) è il coraggio di andare da lui di notte, e come Nicodemo, lasciare sfogo alle domande più profonde, per lasciare che il Signore ci conduca in alto, in cielo, nella volontà del padre. È infatti a partire dalla volontà di Dio che ogni uomo rinasce nella verità, nell'amore e nella umanità redenta dal peccato.
Questa condizione, questa esperienza è causa dello stupore di Nicodemo e del suo tacere. Lui non ha più parole per esprimere domande, ma solo il silenzio e lo stupore per l'unica parola ascoltata dal maestro.
Nicodemo, si arrende alle parole di Gesù, perché non solo le percepisce adeguate e vere, ma anche perché quelle parole gli rivelano il vero volto dell'unico Dio. Da quell'incontro Nicodemo comincia a mettere la sua fiducia in Gesù al punto che la sua vita inizia a rinascere dall'alto, da colui che viene dall'alto; la sua vita inizia a prendere forma e ispirazione dalla vita del maestro. È così che per Nicodemo si origina il sentirsi figlio di Dio; come Gesù è il figlio di Dio. È da questa esperienza che Nicodemo percepisce il senso della vita come eternità; e quindi, che cosa è la vita eterna se non la vita vera, di cui si fa esperienza nel vivere da figlio, quindi da fratelli, la vita eterna è esperienza di amorevolezza.
Ecco che noi impariamo a vivere eternamente prendendo gusto all’arte di amarci tra di noi. Si impara l'arte di amare a partire da piccoli gesti di amore, dall'amicizia, dalla comprensione, dalla gioia e dal desiderio di felicità … anche in tempo di epidemia.

mercoledì 22 aprile 2020

Atti 5,17-26 3 e Giovanni 3,16-21
Dio non può non amarci ...

C'è chi, questo tempo, lo vuole ad ogni costo collegare al giudizio di Dio; l'epidemia sarebbe il castigo per le colpe commesse dall'umanità che si è allontanata dal creatore. Una sorta di pedagogia dell'antico testamento, che viene riproposta ogni volta che una qualche catastrofe si abbatte sulla nostra autoreferenzialità mettendo in evidenza fragilità, limiti e strutture di peccato.
Non credo vero tutto questo, perchè il Dio, Padre di Gesù, quello che Gesù ci ha fatto conoscere nelle parabole, nei discorsi, nei segni della sua presenza, non ha nulla a che vedere con un Dio osservatore esterno e giudice implacabile, neppure per le colpe commesse dall'uomo. È un Dio che giudica, ma a partire da se stesso, e non dalla nostra pretesa di giudizio e di giustizia.
Il nostro punto di partenza non può non essere: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, (...) Dio infatti non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo ma perchè il mondo sua salvato per mezzo di lui". E in quale modo Dio salva il mondo? Mediante la morte del Figlio.
La radice violenta che la celebrazione della Pasqua custodiva, come sacrificio, espiazione e come sterminio dei nemici di Israele, diviene per Dio lo spazio del ribaltamento del giudizio. Lui stesso si fa sacrificio, si fa vittima di espiazione per supplire a ogni tentativo umano di compensare la "colpa" con qualcosa che sia opera dell'uomo.
Gesù innalzato sulla croce, in quella celebrazione della Pasqua, rappresenta la certa e concreta manifestazione dell'amore di Dio Padre che salva l'uomo dal nulla della morte, occupando lo spazio della morte con l'amore più grande che Dio può donare: la vita stessa del Figlio unigenito. Nel morire di Gesù la nostra morte è riempita della sua vita donata; questo è amore totale e puro, nella condizione esistenziale.
È questo Dio che ribalta ogni giudizio sulla storia e sull'uomo, insegnando che esiste un modo di comprendere la salvezza di tutto, a partire da Dio e non da noi stessi e dalla nostra presunta e umana capacità di discernere.
Come Nicodemo, legato alle tradizioni, e all'osservanza della Legge e delle Scritture, rimase meravigliato dalle parole di Gesù, così oggi anche noi possiamo meravigliarci della manifestazione dell'amore di Dio.

martedì 21 aprile 2020

Atti 4,32-37 e Giovanni 3,7-15
Vi racconto solo una cosa del cielo!

Il dialogo notturno con Nicodemo diviene sempre più profondo. Il desiderio di conoscere; il fascino di quel maestro; la novità dei suoi ragionamenti,  coinvolgono,  anzi stravolgono il pensiero ordinario del "bravo" Nicodemo.
Come è possibile rinascere, cosa è questo amore dall'alto?
"Ma come, tu che sei maestro in israele non conosci queste cose?" 
È una sottile ironia, quella di Gesù, che vuole mettere in evidenza che anche tutto quello che l'uomo può comprendere e capire attraverso la Scrittura, la Legge e I Profeti, non è sufficiente per arrivare a comprendere quanto ora Lui viene a rivelare. "E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il figlio dell'uomo".
Per noi, a differenza di Nicodemo, l'innalzamento del Figlio dell'uomo ha un'evidenza senza scuse: è Gesù Crocifisso, che rappresenta il passaggio alla vita nuova. Tutto cio che Gesù rappresenta, perchè lo ha vissuto, è innalzato sulla croce affinchè tutti vedendolo abbiano da lui la vita. È questa la rivelazione delle cose del "cielo".
La croce per tutti i discepoli di Gesù cessa di essere segno di morte, di peccato e sofferenza per divenire segno di amore pieno e totale, un amore che è vita.
Lo Spirito ti fa "rinascere" perchè quel vento di vita, è il soffio dell'ultimo respiro di Gesù sulla croce; è quell'amore che ti fa nascere ad una vita nuova.
Le parole che Gesù consegna a Nicodemo, forse per lui restarono mistero, perchè erano "cose del cielo",  incomprensibili per chi vive delle cose belle buone della terra. Credo che il senso di quelle parole si svelarono pienamente a Nicodemo solo quando sotto la croce, prima di prendere fra le braccia il corpo morto del Signore, ha guardando in alto e ha visto chi era inchiodato sul legno della croce: il suo maestro, il suo amico; colui che lo ha amato senza nulla pretendere, e colui che anche Nicodemo ha imparato ad amare ...
Quando la relazione con Gesù è vera - fino a guardarlo crocifisso - la sua stessa vita ha generato una vita nuova in noi, e il soffio di Dio ci spinge senza sapere dove ... ma questa è la vita nuova di chi nasce dallo spirito.

lunedì 20 aprile 2020

Atti 4,23-31 e Giovanni 3,1-8
Come può rinascere un uomo?

Cosa fa Nicodemo? Va da Gesù di notte? Che cosa ha nel cuore? Quali domande, quali pensieri e desideri, quali risposte diventano ulteriori interrogativi?
Credo che sia tutto questo il quadro umano di Nicodemo - come lo definisce Giovanni -, "uno tra i farisei, un capo dei giudei". Questo suo ruolo non gli impedirà di diventare amico del Signore, il maestro, di ascoltare le sue parole; di lasciarsi affascinare da ciò che Gesù faceva; e di essere insieme a Giuseppe di Arimatea nel momento della sepoltura al corpo martoriato di Gesù, dopo la morte in croce.
Cosa cerca Nicodemo? Un senso nuovo alla sua vita. Nicodemo non si accontenta di ciò che è, non gli basta il ruolo raggiunto nella società, non è gratificato dal potere ecc... Le parole di Gesù hanno aperto in lui nuove possibilità di senso, ed è in questa ricerca di senso che Nicodemo decide di andare da colui che solo, poteva dare compimento al suo cercare.
Che cosa dice Gesù a Nicodemo?
Il discorso riferito da Giovanni, sul nascere di nuovo, sul nascere dall'alto, sul nascere dall'acqua e dallo Spirito, si possono tradurre in una sintesi ideale: "Forse hai messo i comandamenti al primo posto; prova a metterci l’Amore, cambierà tutto". Per il fariseo Nicodemo, non si tratta di aggiungere capitoli nuovi alle conoscenze antiche: si tratta di "nascere di nuovo". Non basta vivere dell’insegnamento già imparato da tempo (il catechismo appreso fin fa bambino), ma Gesù gli rivela come Dio Padre lo guarda, come Dio centra con la sua felicità. Per essere felici bisogna essere, ogni giorno persone nuove, uscite inedite da un grembo che genera vita. Quel grembo è l'amore del Padre; è la tenerezza di Dio per ciascun uomo, anche dentro la fatica più grande che viviamo.
Anche Gesù rinasce ogni giorno dall'amore del Padre, ed è questa nuova nascita che gli permette di amare; Nicodemo, prima di tutto si sente amato da Gesù, non giudicato, non etichettato, ma semplicemente amato.

domenica 19 aprile 2020


At 2,42-47; Sal 117; 1Pt 1,3-9; Gv 20,19-31
Unica possibilità: uscire col risorto.

"La sera di quel primo giorno", dopo tutto i discepoli si rinchiudono dentro il "cenacolo", lo stesso luogo in cui tutti insieme hanno ascoltato il maestro e condiviso con Gesù la Pasqua. Il Vangelo evidenzia come il "chiudersi dentro" traduce la paura del non comprendere le scritture, come anche il non riuscire a dare concretezza alle promesse di Gesù; rappresenta il comune stato di prostrazione, di limite invalicabile. Chiusi dentro... Circondati dalla loro paura, dal timore per ciò che è accaduto e che può accadere.
È in tutto questo che Gesù risorto si manifesta vivo ... Gesù risorto si contrappone alla paura. Credere al risorto è il modo per reagire alla paura e smettere di sbarrarsi dentro il cenacolo. Quel cenacolo, in cui è nata la Chiesa è il luogo del memoriale.
Non si può solo ricordare i segni compiuti, le parole ascoltate, su quelle esperienze non si fonda la fede.
Gesù risorto vivo chiede ai discepoli terrorizzati, di attraversare con lui la sua morte in croce e di lasciare la paura del sepolcro dietro sé stessi e aprirsi la vita, alla realtà che li attende.
Per credere alla risurrezione occorre toccare la carne del risorto, occorre vedere e toccare il foro dei chiodi, la piaga del costato ... Solo chi non si scandalizza della passione può vedere e riconoscere il risorto, e uscire con Lui dal sepolcro; venire fuori essere con Lui risorto nel mondo.
Per vedere Gesù occorre non scandalizzarsi del peccato, della povertà, della sofferenza, perché è con quelle piaghe che egli si mostra risorto, ai discepoli e anche a Tommaso.
Non dobbiamo avere paura di quanto accade oggi, non dobbiamo lasciare che la paura sbarri la porta del nostro essere con il Signore. Per toccare il risorto occorre abbracciare l'umano e spezzare i vincoli e le catene che ci tengono ben sbarrati dentro il cenacolo.
Questa crisi mondiale cosa ci sta insegnando?
Solo l'isolamento gli uni dagli altri, o ci permette di dare nuovo valore a ciò che è veramente necessario e vero?
Il valore della vita prima di tutto e degli interessi economici. C'è chi all'inizio e anche durante la pandemia si è difeso dietro la "immunità di genere", per salvaguardare il portafoglio di qualcuno, a discapito di anziani, operatori sanitari e degli strati più deboli della popolazione, la massa lavorativa.
La salute è un bene comune, nel senso che concorre alla felicità di ciascuno. Ma è chiaro che garantire la salute a tutti ha un costo ...
E qui si vedono le differenze ...
Il creato non è un supermercato a nostra disposizione, ma che siamo chiamati a prendercene cura, rispettando i cicli naturali e gli equilibri degli ecosistemi.
E in ultimo la povertà: anche in questa tragedia umana c'è chi si arricchisce sulla pelle dei disgraziati e dei poveri.
Toccare il risorto, significa toccare le piaghe della nostra storia e convivenza umana. Nella verità che emerge, riconosceremo l'uomo, e riconosceremo il risorto. E sempre in quella realtà rinnovata faremo esperienza della fede vera che nasce dall'amore di Cristo.
Toccare il risorto è anche uno stimolo a non abituarci a una comunità virtuale, a una Chiesa virtuale, a una Messa virtuale si Sacramenti virtuali. Lo ha richiamato anche papa Francesco venerdì mattina: "questa pandemia ha fatto che tutti ci comunicassimo anche religiosamente attraverso i media, attraverso i mezzi di comunicazione, anche questa Messa, siamo tutti comunicanti, ma non insieme, spiritualmente insieme, (...) stiamo insieme, ma non insieme. Anche il Sacramento: oggi ce l’avete, l’Eucaristia, ma la gente che è collegata con noi, ha soltanto la comunione spirituale. E questa non è la Chiesa: questa è la Chiesa di una situazione difficile, che il Signore permette, ma l’ideale della Chiesa è sempre con il popolo e con i sacramenti. Sempre. (...) "Stiamo attenti a non viralizzare la Chiesa, a non viralizzare i sacramenti, a non viralizzare il popolo di Dio. La Chiesa, i sacramenti, il popolo di Dio sono concreti.
È vero che in questo momento dobbiamo fare questa familiarità con il Signore, in questo modo, ma per uscire dal tunnel, non per rimanerci.

sabato 18 aprile 2020

Atti 4,13-21 e Marco 16,9-15
Resta con noi, Signore!

Il Vangelo di Marco, secondo una parte dell'esegesi storici critica, si concluderebbe con l'incontro tra il "giovane seduti nel sepolcro", e le donne; con l'invito: "andate, dite ai discepoli di Lui e a Pietro, che vi precede in Galilea, là lui vedrette come disse a voi"; e quindi con la fuga e la paura mista a timore è stupore, tale che nulla dissero.
Dopo il versetto 9 del capitolo 16 si possono individuare nelle fonti, due finali diverse (una breve è una lingua), esse cercano di armonizzare le varie tradizioni presenti e conosciute di ciò che accadde dopo la risurrezione. Con questo non si vuole affermare che ci sino dei falsi storici, e cronache inventate, ma che le tradizioni sul risorto hanno una loro autonomia, e non sono riducibili a una unica fonte. La diversità depone a favore della veridicità e della autorevolezza delle varie tradizioni, come quella Giovannea che dopo alle due apparizioni nel cenacolo, depone tutto a favore delle apparizioni galilaiche; oppure alle varietà delle tradizioni sinottiche e di Atti.
Incontrare il Risorto, non è ascrivibile a un fatto di cronaca che può semplicemente essere raccontato. Incontrare il Risorto significa entrare in relazione col mistero della vita nuova, che è la risurrezione dalla morte. Significa per il Risorto, affidarsi a coloro ai quali si manifesta. Solo in questo affidarsi, donarsi, Gesù vivo entra nella loro vita, con discrezione e umiltà, senza violare e forzare la loro libertà. È forse in questo spirito che dobbiamo leggere anche questa parte della conclusione lunga del Vangelo di Marco: Gesù ha chiesto di andare ad annunciare a tutto il mondo che lui è vivo a coloro che non hanno creduto ai primi testimoni della risurrezione. Il Vangelo di Marco lascia senza parole: l'annuncio del risorto è affidato alla inaffidabilità del gruppo, di coloro che egli ha scelto. Ecco allora che l'apparizione del Risorto che cosa è se non l'esperienza del "Resta con noi, Signore, perché viene la notte. Resta con noi che siamo così spesso rattristati da tutte le notizie che vediamo e ascoltiamo. Resta con noi che non sappiamo leggere il senso delle cose più semplici, che abbiamo tra le mani. Resta con noi e trasforma in gioia le nostre amarezze e la nostra sfiducia, i nostri scetticismi e le nostre paure. Resta con noi, tu che sei risorto e ci doni la grazia del tuo Spirito. Resta con noi e insegnaci a trasformare il cuore del mondo". (Carlo Maria Martini)

venerdì 17 aprile 2020

Atti 4,1-12 e Giovanni 21,1-14
Venite a mangiare ...

In tutta questa vicenda accaduta sul lago di Galilea, tra apparizione e riconoscimento, tra iniziativa di lavoro e miracolo di una pesca più che abbondante; ciò che emerge come apice è un invito: "venite a mangiare!"
Gesù non è un fantasma, la sua manifestazione come il Risorto non si limita a una presenza da venerare nella distanza della barca nel mare. Così come all'inizio del Vangelo, di fronte alla curiosità di molti, alcuni si sentono chiamati: "venite e vedete"; oppure come di fronte alla gente si percepisce un venire a Gesù come attrazione verso un "mistero buono", che affascina e sazia come il pane e i pesci moltiplicati sulla stessa spiaggia del lago; ora su quella spiaggia, quella esortazione, quell'invito è esplicito riferimento a una comunione con Lui, a condividere quella esperienza portando sé stessi e la propria vita. Quando il discepolo, quello amato (Giovanni) esclama è Gesù, Pietro immediatamente si rivesta e si getta in mare perché era nudo ..., cerca di rendersi  presentabile e, ... e forse cerca di raggiungere Gesù camminando sulle acque ...
Ci sono immagini che nella memoria risuonano come situazioni di vita vissuta: le pesche abbondanti; il Gesù che cammina sulle acque; Pietro che preso dall'entusiasmo vuole seguire Gesù e affonda; le notti di fatica in barca in mare; Gesù che dorme nella barca; la moltiplicazione del pane e del pesce sulla spiaggia ... I pensieri si rincorrono e l'emozione cresce nel percepire quell'iniziale sconosciuto come il Signore!
Tutto questo si addensa in una nuova esperienza: "Venite a mangiare!"
Esortazione, invito, desiderio, condivisione ... Tutto questo fa parte del modo in cui il risorto si rivela e manifesta. La sua risurrezione si offre a noi come concretezza nella quotidiana fatica, nel quotidiano affaccendarsi ... E dento questa quotidianità è concretezza dello stare con lui, dell'essere a tavola con lui. Anche questo invito, esplicita un fatto già accaduto e inciso bella memoria: quella Pasqua nel cenacolo a Gerusalemme. Il "venite a mangiare", ripropone il: "prendete e mangiate questo è il mio corpo". Ecco che la nostra "comunione" e concretezza del nostro essere con il risorto.

giovedì 16 aprile 2020

Atti 3,11-26 e Luca 24,35-48
Perché siete turbati?

Il nostro turbamento o la nostra abitudine al risorto, ci rendono refrattari alle conseguenze della Risurrezione. Le conseguenze della Risurrezione, dell'incontro con Gesù vivo, prendono forma nelle parole di Pietro, nella prima lettura di oggi:"Convertitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati e così possano giungere i tempi della consolazione da parte del Signore ed egli mandi colui che vi aveva destinato come Cristo, cioè Gesù".
Convertitevi? Ancora ..., credevo di essere già in uno stile di vita convertita!
Siamo troppo abituati a pensare la conversione come un atto straordinario e formale. Come uno spartiacque tra un prima e un dopo. Forse lo è anche, ma ciò che la vita da discepolo suggerisce è la conversione permanente; cioè il conformarsi a Gesù, e a Gesù risorto. Non solo giorno per giorno, ma vivere con normalità la nostra giornata con l'attenzione a vincere la propria autoreferenzialità,  la quale ignora l'accostarsi di Gesù.
Vivere con Gesù accanto non è vivere come dei sorvegliati speciali, ma è vivere una scoperta: "il suo essermi accanto" è una presenza buona, che valorizza la parte migliore di me stesso, e il mio desiderio di verità e di amore. Gesù Risorto non è un controllore eterno, ma è colui che riscalda il mio cuore, è colui che nello spezzare il pane mi mostra come la risurrezione è l'esperienza di una vita piena di dono, di gratuità e che genera amorevolezza e condivisione. La testimonianza dei due discepoli di Èmmaus, non parte dalla "convalidante dottrina", ma dall'esperienza di dialogo amicale, dalla presenza vicina, e dal dono del pane spezzato che alimenta la vita ... che è lui. In quel segno, non hanno più dubbi: "l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane".

mercoledì 15 aprile 2020

Atti 3,1-10 e Luca 24,13-35
Impediti a riconoscerlo ...

In tutte le apparizioni del risorto una costante è la incapacità o difficoltà nel riconoscerlo. Sembrerebbe quasi che Gesù si traveste, si camuffa si nascente per sottrarsi all'immediato riconoscimento. Perché? Non lo so! Certamente in chi lo incontra dalle donne ai discepoli, il riconoscimento non è una evidenza, ma una conseguenza.
Generalmente lo si riconosce nel farne esperienza, cioè nel dialogo, nello scambio di parole, nell'intreccio degli sguardi ecc...
L'esperienza dei due discepoli che stanno tornando a Èmmaus si erge a modello di cosa significa farne esperienza: si parte dalla vicinanza; Gesù si accosta e cammina con loro. La risurrezione non è un evento e tantomeno un avvenimento per le cronache del tempo. Essa si innesta e si lega alla quotidianità, si accompagna con la normalità della vita. Risurrezione è l'esserci, con noi, del risorto, con la sua presenza umile e discreta; Dio non fa rumore, non lo ha mai fatto. La seconda esperienza è la Parola. Il risorto ripropone ai due discepoli la sua Parola, la stessa parola già udita in precedenza, ora quella parola si propone al loro ascolto. Quale differenza? Credo che quando Gesù parlava con loro, prima della passione e morte, essi erano meravigliati e affascinati, e pieni di stupore erano invaghiti dalle parole ma non le facevano proprie, non entravano, non convertivano. Ora, dopo la passione e morte, quelle parole hanno la forza del tuono e l'incisività del grido di Gesù sulla croce ... Ora udire le parole scuote e apre all'ascolto; ciò non è innamoramento, ma è fare spazio alla Parola dell'altro, nel caso specifico a Gesù. Per questo i discepoli commentano: "Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?"
La terza esperienza si focalizza sulla tangibilità:  il toccare il suo corpo, o la concretezza dei segni, come quello del pane o dei pesci; il mangiare con lui. Lui ora è realmente la luce della vita, l'acqua viva e il pane di vita: chi mangia di lui vivrà per mezzo di Lui; Lui è la vita stessa!