giovedì 28 febbraio 2019

Siracide 5,1-10 e Marco 9,41-50
Non attardarti a convertirti al Signore ...

Prendendo spunto dalla conclusione del Vangelo di oggi, anche noi sperimentiamo il sapore del sale: "Buona cosa è il sale; ma se il sale diventa insipido, con che cosa gli darete sapore? Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri".
La Parola di Dio trova nella Scrittura la modalità di comunicarsi e di offrirsi all'uomo, essa rappresenta un costante richiamo per imparare a gustare "il sapore" della sapienza di Dio. Come i bambini quando vengono svezzati, sono abituati a riconoscere i sapori, anche noi attraverso la Parola siamo educati al gusto della Sapienza. Il gusto della Sapienza è come il sale: come il sale rende i cibi gustosi, similmente la Sapienza, rende gustosa la vita di fede e quindi desiderabile il mistero di Dio. 
È in questa prospettiva ogni invito alla conversione! Se la conversione è la conseguenza della paura per il giudizio rispetto al peccato commesso, tutto si esaurisce nella sterilità di una vita soggiogata dalla legge morale. Ma la Sapienza di Dio, prende dimora nell'intimo del cuore di chi ascolta, e suscita in un cuore anche ferito, il compimento della legge morale. La Sapienza illumina le nostre paure, i nostri timori, attraverso il superamento e la cura delle inclinazioni del cuore. Questo superamento è un "costruire da dentro", dall'interno una prospettiva umana in cui i sentimenti, le inclinazioni, i desideri, non sono in lite tra loro, non fanno guerra alla coscienza morale. Essa (la Sapienza in noi) rivela tutta la bellezza è l'opportunità che deriva dal cambiamento, cioè alla conversione.

mercoledì 27 febbraio 2019

Siracide 4,12-22 e Marco 9,38-40
La sapienza si cura dei suoi figli ...

In una espressione estremamente riduttiva: Dio si prende cura dei suoi figli e li educa alla Sapienza e tramite la Sapienza.
Il libro del Siracide, ben 51 capitoli, trova la sua collocazione nel canone della Bibbia Cattolica, forse, proprio in ragione della estrema diffusione ed utilizzo di questo libro nelle prime comunità, tendenzialmente vicine al mondo ellenistico. L'idea della Sapienza e la sua personificazione, si accosta e interagisce con la teologia del Logos preesistente e incarnato. L'accoglienza nel Canone Cattolico, non è correlata alla sua appartenenza al Canone Ebraico, infatti, pur essendo molto diffuso e commentato nell'antichità, non ne fa parte. Tornando alla pagina di Siracide, la Sapienza educa l'uomo - una cura in cui il vero plasmatore è Dio - ma insieme l'uomo è educato alla Sapienza di Dio. Martin Buber (filosofo Ebreo), riporta questo insegnamento rabbinico: "Voglio indicarvi il modo migliore per insegnare la Torah. Bisogna non sentire più affatto se stessi, non essere niente di più di un orecchio che ascolta ciò che il mondo della Torah dice in lui. Ma non appena si cominciano a sentire le proprie parole, si cessi". L'ascolto della Sapienza, corrisponde all'agire di Dio in noi, fino alla comprensione dei propri segreti, conoscenza intima e profonda del mistero di Dio e dell'uomo. Anche solo la risonanza di questi versetti, invita ad uscire in silenzio da se stessi, per mettersi in religioso ascolto.

martedì 26 febbraio 2019

Siracide 2,1-13 e Marco 9,30-37
Per servire il Signore...

"Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti". E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: "Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato".
Il modo in cui oggi la Parola diviene luce è straordinario; infatti alla rivelazione del Libro del Siracide, corrisponde la fragilità della nostra umanità che misteriosamente e indegnamente è spazio per accogliere il Padre, "... non accoglie me, ma colui che mi ha mandato".
Alle esortazioni di Siracide: "abbi un cuore retto ..."; "sii unito a lui senza separartene ..."; "accetta quanto di capita, sii paziente ..."; "affidati a lui ... raddrizza le tue vie ..."; tutto allora si concentra e condensa nel "voi che temete (servite) il Signore, amatelo!"
La sapienza eterna del Padre, quella sapienza che partecipa alla creazione dell'intelligenza divina (la sua stessa Gloria, Doxa, Kabod, Scekiná), si manifesta nel timore del Signore, nell'esperienza umana che corrisponde all'amore, per cui diviene un imperativo esistenziale: "amatelo"!
"Se vuoi servire il Signore" ... "Se sarai il servo di tutti", sarai indubbiamente il primo (come Il maestro che ci precede) nell'amare. È l'esperienza dell'amore che trasuda dal nostro metterci a servizio, diversamente accogliamo solo noi stessi; ma amare non è mai un ritornare su se stessi.

lunedì 25 febbraio 2019

Siracide 1,1-10 e Marco 9,14-29
La sapienza in Israele ...

Non è facile definire cosa sia la Sapienza; il libro del Siracide che oggi iniziamo ad ascoltare  - perché di ascolto abbiamo bisogno -, ci conduce rapidissimamente a considerare la Sapienza come l'esperienza stessa di Dio creatore che pone la sua presenza e potenza (gloriosa presenza, Kabod e Shekinà) in tutto ciò che ha creato, svelando e manifestando attraverso la realtà una intelligenza divina, universale.
La Sapienza è percezione di Dio! La Sapienza è il mistero di Dio che viene rivelato, condiviso, conosciuto. Ecco che la "Sapienza" si manifesta come intelligenza delle cose create, per cui non esiste una casualità fortuita, un accadere senza motivo, un esserci senza volontà.
Lo sguardo umano, il vedere e contemplare come creatura è riconoscere questa bellezza originaria, questa fonte di intelletto e verità. Lo stupore e la meraviglia ci partecipano alla rivelazione della sapienza di Dio. Il sapore della verità delle cose di Dio, si percepisce nell'amore che riconosciamo come rivelazione dell'atto creaturale stesso di Dio, del quale oltretutto siamo parte.
Ciò che svela, e permette all'uomo di gustare e decifrare la sapienza come esperienza è la fede. Il Vangelo di oggi dilata l'esorcismo e, a partire dalla liberazione dal male mostra l'orizzonte della fede come condizione del riconoscimento del mistero di Dio (Sapienza) che attraverso Gesù si vuole condividere, si offre e partecipa alla nostra realtà e condizione umana, dandovi la luce che deriva dalla preghiera: Ed egli disse loro: "Questa specie di demòni non si può scacciare in alcun modo, se non con la preghiera".

domenica 24 febbraio 2019

1 Samuele 26,2-23 / Salmo 102 / 1 Corinzi 15,45-49 / Luca 6,27-38
Che cosa succede se ...

Chi è disposto ad ascoltare queste parole di Gesù, sa bene che si pone in una situazione particolare, quella di colui che crocifisso,dalla croce dice: "Padre perdonali, perché non sanno quello che fanno!"
Gesù ha il coraggio di chiedere ai suoi discepoli non un amare a condizione, non un amore in proporzione, ma di amare con un amare che non conosce confini.
Ma non solo che non conosce confini, è inoltre un amore che prende sempre e per primo l'iniziativa, senza rimbeccare: "sono sempre io che devo iniziare ..."
Ecco questo è il nostro problema, un amore per primi e senza confini, quando invece è semplicemente più facile amare a “macchia di leopardo”, e circoscrivendo le esperienze e le situazioni. Si ama quel giusto per rassicurarci in coscienza.
A noi, che a fatica superiamo le contraddizioni delle nostre abitudini relazionali ... queste parole sono macigni impossibili da sopportare.
Amare il nemico, amare non è solo: non rifiutare, non scartare, non ignorare, non allontanare, non essere indifferenti, freddi e senza misericordia ...
Amare il nemico è una esperienza unica e generativa della nostra nuova umanità ... Creati a immagine di Dio, segnati e feriti dal peccato, l'amore, cioè l'arte di amare, sprigiona e dischiude la nostra nuova immagine di Dio, quella immagine che è rivelazione ed espressione del Figlio Gesù che prende forma dalla nostra carne, dai nostri sentimenti, dalla nostra vita umana. Quale grande mistero è l'amore, quale potenza di cambiamento e pienezza è amare!
(...) Caro Gesù amare richiede proprio un vero sconvolgimento dei nostri sguardi, delle nostre ovvietà ...  Dice il papa: “Il Vangelo è una novità. Una novità difficile da portare avanti. Ma è andare dietro a Gesù”: “‘Padre, io … io non me la sento di fare così!’ – ‘Ma, se non te la senti, è un problema tuo, ma il cammino cristiano è questo!’. Questo è il cammino che Gesù ci insegna. ‘E cosa devo sperare?’. Andate sulla strada di Gesù, che è la misericordia; siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso. Soltanto con un cuore misericordioso potremo fare tutto quello che il Signore ci consiglia. Fino alla fine. La vita cristiana non è una vita autoreferenziale; è una vita che esce da se stessa per darsi agli altri. E’ un dono, è amore, e l’amore non torna su se stesso, non è egoista: si dà”.
Gesù ci chiede di essere misericordiosi, di non giudicare, di amare chi non ci ama e di aiutare chiunque è nel bisogno ...
Queste parole del Signore rappresentano la più totale opposizione agli ideali e alle proposte di vita del mondo di oggi. Il Vangelo è realmente rivoluzione degli schemi ...
Gesù venendo nel mondo, non ci dà un esempio irraggiungibile, ma un esempio giusto che ci permette di raggiungerlo, dove lui è! Ecco perché nella lavanda dei piedi ha concluso quel gesto di amore chiedendo di fare come ha fatto lui, dicendoci "vi ho dato un esempio ..." Fare ciò che Gesù dice ci cambia la vita, fosse non risolverà magicamente ogni situazione scomoda, ogni divisione, ma certamente cambierà a ciascuno la vita ... saremo finalmente liberi e liberati dall'amore, saremo insieme a Gesù artefici dell'amore.

sabato 23 febbraio 2019

Ebrei 11,1-7 e Marco 9,2-13
Per fede ...

Teologicamente identifichiamo la fede come l'opzione fondamentale; ma le grandi "parolone" sono insufficienti per rappresentare una realtà che di per sé non si comprende solo con categorie razionali o di ragionevolezza.
La fede è anche una intuizione, un fascino, un desiderio di infinito. La fede di cui parla la Lettera agli Ebrei è proprio una esperienza che prende forma, sensibilità e origine dall'esistente, a partire dal vivere dei nostri antenati: Abele, Enoc, Noè. Essi non sono solo esempi di come vivere nella fede, ma esprimono proprio la fede come esistenza in Dio.
Noi partiamo sempre da questa idea: io, che ti annuncio un contenuto circa Dio, e tu in piena libertà esprimi una adesione, fai proprio il contenuto; questo processo è di estrema ragionevolezza e razionalità.
Ma la fede è altro! La fede, dice Ebrei è: "... la fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede". E la speranza non è solo un desiderio, atteso e non ancora realizzato. La speranza è esistenza trasfigurata dal proprio mistero (che lascia intravedere il mistero). Esistere nel presente come eternità, è esprimere la nostalgia di quella stessa vita verso la quale tendiamo con desiderio, con fame spirituale. È attesa ... come tensione, cioè estensione di sé stessi nell'avvolgere ciò che si desidera e percepisce come essenziale. La fede rivela e mostra un dinamismo, che non è fantasia, ma che è superamento dei limiti esistenziali. È certezza che la realtà creata, non è inclusa nel suo limite fisico e razionalmente provato, ma che tutto ciò che esiste partecipa di altro, esiste in ragione di altro. Ecco allora che la fede è connaturale all'uomo, all'essere creatura. L'atto di fede è una formula, la fede invece è esistere, e percepire l'esistere come spazio di Dio.
La trasfigurazione non è per questo superamento della ragione, e immersione nel mistero dell'eternità? La "gloria" della trasfigurazione (presenza, Kabod, Shekinà) è un altro modo di intendere la fede.

venerdì 22 febbraio 2019

1 Pietro 5,1-4 e Matteo 16,13-19
Festa della Cattedra di San Pietro
Amo la Chiesa

Amo la Chiesa: Una, Santa, Cattolica e Apostolica!
Se Gesù, dice a Pietro: "... tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa", io come non posso amare questa Chiesa?
Oggi molti dicono che la Chiesa è scandalosa, che è macchiata del peccato della pedofilia; che è complice degli interessi economici a scapito delle politiche migratorie e dei contributi; che è incapace di intercettare il vissuto della gente e che è chiusa nelle sue anacronistiche regole morali ... Ma si dice anche tanto altro ...
Chi poi parla "male" della Chiesa siamo proprio noi, i battezzati, i cristiani, i preti.
Oggi voglio ascoltare cosa Gesù ha detto a Pietro. Non lo ha messo al riparo da errori di sorta, né dallo scandalo rispetto al mondo; ma gli ha detto che attraverso di lui e sopra lui, avrebbe fondato, costituito, la Sua Chiesa ...
Perché questo sbilanciamento?
Credo che per dare una risposta occorre conoscere, o immaginare quanto amore avesse Pietro per Gesù. Non siamo abituati a leggere attraverso il Vangelo questa situazione in Pietro, ma invece occorre mettere nel nostro sguardo questa possibilità. Pietro si è anche lui interrogato su chi è Gesù per lui ... e nel suo intimo a sentito tutta la forza e "violenza" delle parole "vattene dietro a me ... Mi sei di scandalo, mi sei come satana ..."; quelle parole mettono in evidenza un affetto umano, una stima, una considerazione, un legame direi esistenziale tra Gesù e Pietro. Pietro ama il Signore, con il suo "caratteraccio da ruvido pescatore"; ama il signore con le lacrime che sgorgano dal pentimento quando tradisce; ama il Signore quando Gesù gli chiede di essere ricambiato: "mi ami tu più di loro ..."
La chiesa non è una istituzione benemerita, neppure un mostro proteiforme della religiosità umana, complice e colpevole di tante oscure vicende umane. La Chiesa è generata dall'amore di Gesù, ed è fondata nell'amore di un Pescatore per il suo Signore; vive e si propaga nell'amore del popolo di Dio. Ecco perché oggi posso trasformare il mio atto di fede in un atto di Amore: "amo la Chiesa Una, la amo Santa, la amo Cattolica e la amo Apostolica". Amo la Chiesa di Cristo!

giovedì 21 febbraio 2019

Genesi 9,1-13 e Marco 8,27-33
Ricominciare ogni giorno ...

Leggiamo oggi come Dio creatore, dopo il diluvio, pone tutta la "Nuova Creazione" nella nuova promessa e nella benedizione a Noè e ai suoi figli. Non si tratta di una ripetizione di quanto detto nel primo capitolo della Genesi, ma possiamo rilevare alcune variazioni ed approfondimenti di contenuto. Tutto assume il tono di un patto unilaterale di Dio nei confronto dell'uomo, della nuova umanità. Un patto il cui segno è l'arcobaleno. Un segno naturale per ricordate a Dio il suo patto, non all'uomo. Saranno altri i segni per ricordare all'uomo la fedeltà al patto con Dio (la circoncisione, il sabato). L'arcobaleno è un fenomeno fisico legato alla creazione che esplicita non semplicemente una Legge, un obbligo, ma che realizza una parola, come dire: ciò che Dio dice è la sua volontà che riversandosi nell'atto della nuova creazione, la genera nella fedeltà alla parola stessa, ed ecco che la nuova creazione dice: "... io stabilisco la mia alleanza con voi e con i vostri discendenti dopo di voi, con ogni essere vivente che è con voi, (...) non sarà più distrutta alcuna carne dalle acque del diluvio, né il diluvio devasterà più la terra."
Da queste parole si genera la vita nuova e la sua sacralità: "Del sangue vostro, ossia della vostra vita, io domanderò conto"; in particolare per quanto riguarda la vita dell'uomo che rappresenta l'immagine di Dio, anche la sua stessa vita: "... e domanderò conto della vita dell’uomo all’uomo, a ognuno di suo fratello. Chi sparge il sangue dell’uomo, dall’uomo il suo sangue sarà sparso, perché a immagine di Dio è stato fatto l’uomo". In ultimo il patto esplicita la fecondità, ovvero la molteplicità della creazione:"E voi, siate fecondi e moltiplicatevi, siate numerosi sulla terra e dominatela". La molteplicità e fecondità sono la base per la fratellanza universale e della relazionalità umana fondata sulla comunione originaria.

mercoledì 20 febbraio 2019

Genesi 8,6-22 e Marco 8,22-26
Il nuovo inizio ...

Ancora un salto di intere pagine del racconto di Genesi, la storia del giusto Noè e della costruzione dell'Arca, nonché la salvezza per gli animali nell'Arca, il diluvio ecc..., fino ad arrivare al compimento dei quaranta giorni. Esiste in queste pagine di Genesi la consapevolezza che tutta la storia umana e della creazione procede rispetto al suo compiersi nella volontà di Dio. Ed ecco che trascorsi i quaranta giorni nei quali tutto ciò che era stato creato è immerso nel castigo del diluvio, tutto viene immerso nella de-creazione. La creazione ha percorso un processo inverso di compimento, è tornata al caos primordiale in cui le acque avvolgevano tutto e lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dal riconoscimento di questo compimento rovesciato, rispetto alla storia umana, che ha origine il "Nuovo Inizio". Dio pone un nuovo inizio condizionato al giuramento - oltre che ha una benedizione - un giuramento che garantisce per sempre ciò che sarà oggetto della nuova creazione, un giuramento consacrato nel sacrificio che Noè celebra nel momento in cui riconosce che le acque del diluvio lasciano emergere nuovamente la terra. La terra riemerge dal diluvio come destinataria della promessa divina: "Finché durerà la terra, seme e mèsse, freddo e caldo, estate e inverno, giorno e notte non cesseranno".
In questo nuovo inizio, la discendenza di Noè divine erede della promessa di Dio fatta ad ogni uomo: "Non maledirò più il suolo a causa dell’uomo, perché ogni intento del cuore umano è incline al male fin dall’adolescenza; né colpirò più ogni essere vivente come ho fatto". In questa promessa Noachica, riconosciamo il riaffermare della promessa di benedizione fatta in Adamo, quindi nel Nuovo Inizio, il germe delle promesse che in Abramo avranno compimento attraverso la fede. 

martedì 19 febbraio 2019

Genesi 6,5-8; 7,1-5.10 e Marco 8,14-21
Il Signore si pentì di aver fatto l'uomo ...

Il brano del libro della Genesi che leggiamo oggi, non rende per nulla ragione della Narrazione Biblica e ci priva del legame antichissimo di queste pagine con la storia umana pre-diluviava. Si tratta infatti di un taglia e cuci liturgico per passare dal male che abita il cuore dell'uomo al castigo per il male. Ma in realtà questi capitoli rappresentano e raccolgono nella narrazione delle genealogie, il loro legame con le cosmogonie mesopotamiche (i racconti mesopotamiche della creazione) e le mitologie legate ai vari personaggi che costellano la storia dell'umanità. Il libro della Genesi non è un "raccontino", una "storiella" sulla creazione, ma è il grande libro della "Storia" dell'uomo. La grande Storia, quella che a partire da Genesi 1,28 comprendiamo come benedizione di Dio per Adamo ed Eva. Tutto si sviluppa infatti nella fedeltà di Dio e nella vocazione dell'uomo a questa benedizione. Ma tutto viene anche deformato, anche la stessa benedizione viene trasformata in una sorta di maledizione che coinvolge la creazione e il vissuto di ogni uomo ... Apice di questa deformazione, è questa espressione di desolazione del cuore di Dio: "Il Signore si pentì di aver fatto l'uomo ...". Questa espressione (antropomorfa) che rivela un Dio tipicamente umanizzato nei sentimenti e nell'agire, dice che l'atto di distruzione dell'uomo, non deriva da una fredda e distaccata resa dei conti, ma già preannuncia una nuova grazia in Noè. Il diluvio come elemento di giudizio sulla storia dell'uomo è il riversarsi delle "cataratte del cielo sulla terra", siamo di fronte a un nuovo evento cosmologico e generativo insieme: una nuova creazione alla pari di quella originaria dal caos primordiale e dalle acque.
La lettura di questi testi, non può procedere con facili interpretazioni o intuizioni spirituali. Sono testi che chiedono l'esercizio della contemplazione del mistero di Dio, di quello dell'uomo, e della storia come grazia ... La durezza del nostro cuore, i dogmatismi, l'ignoranza circa le conoscenze storiche ... vizia il nostro rapporto con la Parola di Dio. Ecco che la Parola non è semplice moralismo, ma pulsa di tutta la sua enormità: è evento, celebrazione dell'opera di Dio e del suo amore "irragionevole" per l'uomo. Bene dice Gesù ai suoi discepoli: "Non comprendete ancora?"

lunedì 18 febbraio 2019

Genesi 4,1-5.25 e Marco 8,11-13
Il segno di Caino ...

Alla pretesa di un segno, la risposta è: "nessun segno!" Il segno rappresenta sempre per Dio la gratuità della sua manifestazione, il rimando all'esperienza della sua gloria, ovvero della sua presenza accanto, che opera insieme alla vita dell'uomo. Ecco che il segno non può essere il frutto di una pretesa, soprattutto se con il segno si vuole mettere alla prova Dio stesso. Noi, i segni di Dio, il più delle volte li strumentalizziamo, li manipoliamo ...
Anche nel racconto della Genesi affiora il concetto di "segno di Dio" ... Nonostante la sua colpa, Dio non abbandona Caino alla vendetta (giustizia) per il sangue versato.
Il Segno di Caino non è solo distinzione e differenza, ma è segno di appartenenza. Caino appartiene a Dio, la sua vita è di Dio, il suo sangue è vita, è discendenza. Il racconto del capitolo quarto di Genesi riguarda tutto ciò che accade dopo la cacciata dall'Eden; di quanto accade mondo dell'uomo, alle prese con la sua nuova condizione di estrema fragilità (generazione di figli nel dolore, e istinto e passione; fatica del lavoro del suolo e il ritornare sconsolato alla terra), rivela pure come l'uomo pur nella obbedienza alle parole del creatore si trova a misurarsi con la realtà del peccato. Il primo peccato dell'uomo è il fratricidio, l'uccisione del proprio fratello. Questo evento segna profondamente, ancora una volta, tutta la realtà dell'uomo, anche la sua stessa discendenza successiva ne subisce le conseguenze. È rottura della comunione in senso orizzontale (gli altri uomini), ed è anche negazione della relazione in senso verticale (Dio). In tutto questo, Caino, maledetto per il male che ha accettato e realizzato, vive in sé stesso la condizione che il male produce, ma non il totale abbandono di Dio. Il segno su Caino è il segno che ricorda a tutti quanti e per sempre, non solo l'appartenenza, ma l'immagine e la somiglianza. Il segno è l'immagine, l'impronta del Creatore: richiamo perenne alla sua persistente presenza.

domenica 17 febbraio 2019

Geremia 17,5-8 / Salmo 1 / 1 Corinzi 15, 12.16-20 / Luca 6,17.20-26
In quel tempo in cui si ascoltava ...

Dice Papa Francesco al n. 27 e 28 della Evangelii Gaudium: "Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione (…), che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di “uscita” e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia. (...) La parrocchia non è una struttura caduca; (...), Questo suppone che realmente stia in contatto con le famiglie e con la vita del popolo e non diventi una struttura prolissa separata dalla gente o un gruppo di eletti che guardano a se stessi. La parrocchia è presenza ecclesiale nel territorio, ambito dell’ascolto della Parola, della crescita della vita cristiana, del dialogo, dell’annuncio, della carità generosa, dell’adorazione e della celebrazione. Attraverso tutte le sue attività, la parrocchia incoraggia e forma i suoi membri perché siano agenti dell’evangelizzazione. (…) Però dobbiamo riconoscere che l’appello alla revisione e al rinnovamento delle parrocchie non ha ancora dato sufficienti frutti perché siano ancora più vicine alla gente, e siano ambiti di comunione viva e di partecipazione, e si orientino completamente verso la missione".

Ecco allora che Le Beatitudini sono il nuovo stile di vita, Gesù le ha lasciate alla Chiesa e a ogni discepolo, perché attraverso di esse, il desiderio di Dio, la voglia di Regno del Cielo, l'entusiasmo del fare e la ricerca della felicità non vengano disattese, non vengano mai meno.
Gesù propone un nuovo lifestyle; le beatitudini mi mettono di fronte al modo in cui Gesù ripensa e guarda la realtà; ma mi accorgo che è diverso dal mio?
Lo stile di vita di Gesù non è facile da condividere ma anzi, richiede un lungo percorso.
Beato se sono povero ... Lo stile di povertà è stile di libertà dai condizionamenti, dagli o obblighi, dalle convenienze ... Gesù dice che questo è lo stile che mi rende felice e attore del Regno di Dio.
Beato se ho fame. Sarò felice se ho fame vera, di giustizia, di verità, di amore. Essere sazio, appagato mi porta solo a nutrirmi di me stesso delle "mie cose". La fame di felicità è fame di Dio ... di Eucaristia.
Beato se piango. Si beato se ho lacrime da spargere e da condividere. Le lacrime purificano le durezze, i peccati e le fragilità; le lacrime rendono gli uomini più umani.
Beato quando subisco la prova della fede. Si, sono beato perché solo a quel punto posso sperimentare quanto è "grande" l'amore che Dio a per te ... Si è strano ma nella persecuzione comprendo quanto Dio mi ama e proprio perché mi ama non mi abbandona nella prova.
Il rinnovamento della chiesa, il rinnovamento delle comunità, il rinnovamento di ciascuno passano attraverso il coraggio di mettere sempre in gioco tutto. A volte occorre fare scelte decise, radicali, farle anche come segno di rottura, anche se non comprese fino in fondo, queste scelte servono per avviare processi nuovi!
Esse aprono a nuovi orizzonti, nuovi cammini. L'importante è non fermarsi a contemplare il si è sempre fatto così.

sabato 16 febbraio 2019

Genesi 3,9-24 e Marco 8,1-10
La maledizione non riguarda l'uomo ...

"Dove sei?" Alla voce di Dio che cerca l'uomo, corrisponde la paura irrazionale. L'uomo sopraffatto dal desiderio di mangiare, si nasconde agli occhi di Dio e sperimenta tutta la sua vulnerabilità (fragilità), che nell'essere nudo si percepisce sia nei confronti della donna che del creatore. Diffidare, difendersi è la condizione nuova che il principio di conoscenza (del bene e del male) genera nell'uomo e nella donna; da questo momento l'umanità impara la paura, e sperimenta la condizione di chi si sente minacciato. Saziarsi di conoscenza, non sazia il cuore dell'uomo ma dischiude in esso una lotta continua, la contrapposizione interiore tra bene e male, tra Dio e il Serpente ... E l'uomo si riconosce confuso e nella paura di sé stesso, della sua solitudine esistenziale.
La conseguenza di tutto questo è la parola "maledetto" il serpente perché ha fatto questo ...,  e maledetto il suolo per causa tua (dell'uomo) ...
Non è maledetto il serpente o sé stesso, e neppure l'uomo in sé stesso, ma è maledetto ciò che si sperimenta ora che la relazione con il creatore è stata sottoposta alla tentazione. La maledizione è separazione; è frattura nella comunione che si consuma fino alla radice della creazione, fino all'albero della vita, che ci è precluso nell'esperienza del dover morire.
Questa immagine di Genesi dischiude, in quanto contiene il proto-vangelo: la speranza (buona notizia della risurrezione di Cristo) che quanto introdotto nella creazione possa essere redento. L'albero della vita è infatti ancora custodito nel giardino, e la via per raggiungerlo è difesa dai cherubini di Dio. Al "Dove sei" di Dio corrisponde il suo stesso farsi carico ulteriore della realtà, anche come realtà ferita e umiliata. Il creatore non abbandona l'uomo ma si dimostra ancora creatore nel coprire la nudità umana che viene rivestita con delle pelli. Dio vedendo l'uomo, vede la sua stessa immagine la sua stessa somiglianza: "Ecco, l’uomo è diventato come uno di noi quanto alla conoscenza del bene e del male".

venerdì 15 febbraio 2019

Genesi 3,1-8 e Marco 7,31-37
Profonda nostalgia ...

Il fascino dei racconti della Genesi, risiede nella loro collocazione originaria rispetto alla vicenda dell'uomo, nel loro tentativo di essere risposta alle domande esistenziali; ma soprattutto perché questa narrazione non solo cerca di interpretare attraverso i "miti" la vicenda umana, ma perché attraverso queste immagini penetra sempre più profondamente l'esistenziale dell'uomo, entra sempre più in profondità nel suo conscio/inconscio, rivelando all'uomo sé stesso: la sua vulnerabilità, la sua umanità fragile e nello stesso tempo la sua relazione fondamentale ("Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e conobbero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture.
Poi udirono il rumore dei passi del Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno, e l’uomo, con sua moglie, si nascose dalla presenza del Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino"), quella che lo costituisce, quella con Dio, con il Suo Creatore.
Ecco che il capitolo terzo, dischiude la tematica dell'origine del male, ma va oltre il male; non possiamo infatti limitarla alla trattazione della moralità. Il male apre la visione della novità del serpente e della nostalgia di essere insieme a Dio a passeggiare nella brezza del mattino.
Il serpente, è astuto, non è cattivo, l'astuzia infatti si relaziona alla capacità di comprendere e di scegliere di conseguenza. Il serpente è immagine, quasi controfigura, dell'umano, rappresenta il condensarsi della domanda di senso ("è il più astuto di tutti gli animali"); egli proviene dalla terra ("striscerà sul suolo") e si nutre della polvere del suolo ("la stessa polvere di cui proviene l'uomo"). Non c'è nulla di male nel serpente se non una conoscenza che conduce alla tentazione di essere assolutamente un idolo di Dio ("immagine e somiglianza"). La donna è l'uomo entrano in questa astuzia e ne sono affascinati al punto da dimenticare quella condizione che è relazione fondamentale: camminare con Dio nel giardino ... Cioè essere gli amici di Dio. Questa amicizia però resta nel profondo del cuore umano, al di là di ogni tentazione.

giovedì 14 febbraio 2019

Atti 13,46-49 e Luca 10,1-9
Santi Cirillo e Metodio patroni d'Europa
In missione come Gesù

Dopo l'invio dei dodici, l'evangelista Luca ci racconta un ulteriore invio davanti a sé, quello dei settantadue. Nel capitolo precedente (Lc 9,51), Gesù prende la decisione irrevocabile di dirigersi a Gerusalemme, e da qui si sviluppa tutto il viaggio missionario del Signore, "l'Agnello di Dio", mandato in mezzo ai lupi. Ai settantadue altro non viene detto se non di sentirsi mandati, come si sente un agnello quando è spinto decisamente in un territorio abitato dai lupi: quasi certamente verrà sbranato. I lupi si ciberanno di lui; i lupi esigeranno la sua vita; i lupi lo uccideranno straziando la sua carne. Ci vuole coraggio, è forte determinazione. Come per Gesù anche i settantadue sono resi parte dell'indurimento del volto del Signore (Lc 9,51). È l'esperienza della missione, ieri come oggi, è ancora questa la proposta del Vangelo. Annunciare di casa in casa, che è "vicino il Regno di Dio". Gesù non chiede di spiegare cosa sia il Regno di Dio, ma di vivere cosa sia. Cosa è questo Regno che i settantadue sono invitati a vivere, a condividere e a testimoniare?
Prima dei settantadue, ci furono alcuni che chiesero a Gesù di poterlo seguire nella sua missione, e Gesù replica in modo tassativo e dissuasivo: "Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio" ... Ci vuole coraggio perché prima di andare occorre che noi stessi mettiamo mano all'aratro e facciamo esperienza del Regno di Dio. Il regno passa attraverso l'accoglienza: "In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa!"; il regno passa attraverso la condivisione che si può spingere fino a donare la vita: "... ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi ..."; il regno passa mediante una prossimità fraterna: "Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano ..."
Gesú invia i settantadue, come oggi invia ogni suo discepolo, a rendere ragione del desiderio di essere insieme a Lui, in quel cammino che tutto conduce a Gerusalemme. Quel cammino, è passo dopo passo per la nostra conversione e insieme per ammansire i Lupi; anche loro infatti saranno "toccati" dal dono della nostra vita.

mercoledì 13 febbraio 2019

Genesi 2,4-9.15-17 e Marco 7,14-23
Dio vita del cuore umano ma non padrone

Il secondo capitolo del libro della Genesi, dischiude tutta una serie di interessantissime considerazioni esegetiche circa la natura del testo è la sua origine, ma che non trovano ora il luogo di approfondimento. Certamente spicca l'evidenza circa la creazione dell'uomo  collocata in un contesto estremamente simbolico, "polvere della terra, solo, soffio di vita ..."
All'origine dell'uomo c'è ben oltre l'agire, il fare di Dio, di YHWH, ma il suo esserci. Dio è totalmente coinvolto nell'uomo: YHWH plasma l'uomo. L'esistere dell'uomo si colloca nel "giardino", immagine mesopotamica del paradiso, ma un giardino, nel quale a sua volta trova collocazione particolare "l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male".
Il primo rappresenta un tema molto diffuso nell'antichità medio-orientale, spesso l'albero rappresenta la divinità, forse la stessa presenza di Dio. Come non suggerirci la relazione unica tra la vita di Dio e la vita dell'uomo, l'esistere di Dio e l'esistere dell'uomo.
Il secondo invece, tipicamente biblico, associa a sé il senso morale e che solo Dio è padrone ultimo del vivere e del morire. Ecco che l'entrata in scena del bene e del male diviene l'universo esistenziale delle scelte umane, della responsabilità, della libertà e della sapienza.
Il nostro universo umano trova tutta la sua naturale manifestazione nel "cuore", quale chiave di interpretazione trova migliore espressione in questo passo del Vangelo?
"Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro".
Ciò che Dio chiama a esiste nella libertà, chiede di essere custodito e accudito nella libertà e nell'amore, cioè alimentato dalla vita di Dio, dal suo soffio esistenziale.

martedì 12 febbraio 2019

Genesi 1,20-2,4 e Marco 7,1-13
La Parola che è parte del nostro essere ...

In questa seconda parte della creazione, di giorno in giorno, raccogliendo immagini, situazioni e simboli, anche mitologici (i grandi mostri marini), giungiamo progressivamente alla seconda parte del sesto giorno, nel quale, tutto ciò che è creato si arresta e la dinamica della creazione (Dio creò ...) cessa di essere originata nel fare di Dio, ma nella unicità di un plurale (maistatis o deliberativo), il fare a immagine e somiglianza è un esistere nella immagine e somiglianza del creatore, non nell'esistere nell'azione creatrice  di Dio. È in questa novità di esistenza che si colloca l'uomo!
La narrazione di Genesi è a dir poco innovativa, ma assolutamente stupefacente, è inaudito il senso delle Parole usate che danno da sé stesse origine alla dignità di essere uomo.
L'uomo non trae identità e valore semplicemente dall'agire e dalla volontà di Dio, ma dallo stesso essere Dio, di cui l'uomo rappresenta l'immagine, l'idolo.
Questo essere imagine di Dio, ovvero essere "idolo di Dio", simulacro della divinità del creatore posto nel creato, permette di comprendere il potere su ogni cosa, su ogni essere vivente affidato a questo ultimo protagonista della creazione. L'esistenza dell'uomo colloca nella creazione una relazione unica e rivelativa dell'esserci di Dio. Per noi oggi è quindi possibile dire: "mostrami la tua umanità e io ti dirò chi è il tuo Dio" (Teofilo di Antiochia).
Il settimo giorno è quello del riposo, quello nel quale la Parola cessa di esprimere l'agire di Dio ma che va accolta, meditata e nella quale riporre consolazione e compimento. Nel settimo giorno ci resta proprio solo da contemplare la Parola attraverso il "riposo ..."

lunedì 11 febbraio 2019

Genesi 1,1-19 e Marco 6,53-56
Creati salvati!

Iniziamo con oggi la lettura del libro della Genesi. È sempre affascinante immergerci nel "principio" che chi riconduce all'origine di ciò che esiste, e ci riconduce alla iniziativa di Dio creatore. L'espressione "ln Principio Dio creò", appare come una breccia in una eternità che a fatica comprendiamo, una eternità che rappresenta quasi il "mondo" esclusivi di Dio, il suo modo di esistere. Ma in quel "principio" la libera iniziativa di Dio diventa creazione. Il verbo creare ha sempre Dio per soggetto, e rappresenta di per sé un riflesso dell'idea che creare è opera esclusiva di Dio, è peculiarità della sua esistenza, non del suo fare delle cose. In questo possiamo percepisce la creazione come spazio di esistenza santa e come salvezza. In questi primi versetti si crea ciò che esiste, e vi si mettere ordine. Tutto riconosce il proprio esistere attraverso  la "genealogia cosmica" che è quasi una litania che loda la bontà del creatore, "ed era cosa buona" ... "e fu sera e fu mattina" ... Ogni realtà creata riconosce il proprio esistere nell'agire stesso di Dio, nel fare di Dio, ma non l'uomo; per l'uomo sarà un'altra cosa.
Per l'uomo il rapporto non sarà mai attraverso il creare/fare di Dio, ma per l'uomo tutto è a partire dal creare/essere a immagine di Dio.
In questa peculiarità possiamo rileggere il Vangelo di oggi, dove il mistero di un "uomo" come Gesù rappresenta ancora una volta la memoria del creatore. Il contatto, il toccare Dio è allora fonte di vita, non solo di guarigione da un male fisico, ma è vita, esistenza, è esperienza di salvezza: "e quanti lo toccavano venivano salvati".

domenica 10 febbraio 2019


Isaia 6,1-2.3-8 / Salmo 137 / 1 Corinzi 15,1-11 / Luca 5,1-11
È Gesù che riempie (attira) la barca di pesci 

Da un po' di mesi Gesù si era trasferito a Cafarnao, dove aveva iniziato a farsi conoscere presentandosi di Sabato in Sinagoga; i primi incontri con la gente seguirono nelle vie della città e fino al porto. Forse fu proprio in quel luogo che incontrò Simone e Andrea, e poi anche Giacomo e Giovanni; erano infatti pescatori.
Possiamo, immaginare che tra Gesù e questi giovani pescatori fosse nata una amicizia. Una simpatia a causa delle parole che diceva e dei segni che compiva ... Erano pescatori con il cuore disponibile al desiderio ...
La pesca miracolosa non serve per sfamare la gente sulla spiaggia, ma è una iniziativa di Gesù: "Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca" ... Ed ecco che i pesci quasi accorrono per essere pescati, non per la capacità dei pescatori, ma per la Parola del Signore. Questa immagine della pesca, rappresenta una chiara espressione di cosa deve essere la Chiesa e come la Chiesa sta nel mondo.
La chiesa si genera a partire da Cristo, ogni volta che la fatica supera i risultati, forse occorre guardare se Gesù è in quella Chiesa. Ciò che genera la Chiesa è infatti la sua presenza, vicinanza e la sua Parola.
Quando invece, noi siamo i progettisti, quando noi siamo gli attuatori, quando noi siamo il cuore e la mente della Chiesa e dell'annuncio ... raccogliamo solo la fatica e non si attrae il pesce. I pesci infatti non sono catturati, ma donati attraverso l'incontro col mistero. Se io mi sostituisco al mistero ... La cosa non funziona ... Ci può essere fascino umano, gratificazione, ma in realtà è compensazione ... Ma non ci sarà vita eterna, la sola che è di Dio.
Ecco che questo Vangelo ci invita a mettere sempre Gesù al cuore dei nostri progetti, della nostra azione pastorale, sarà lui allora che la rende feconda, partecipativa e attrattiva. Gesù sempre ci precede in questa direzione, ecco il criterio necessario per ogni azione pastorale.

sabato 9 febbraio 2019

Ebrei 13,15-21 e Marco 6,30-34
"... perché possiate compiere (sempre) la sua volontà."

I versetti conclusivi "Lettera" sono un saluto (vv. 22-24), che ha orientato molti a supporre questo testo come una lettera di ambiente vicino all'apostolo Paolo, ma ormai, da tempo, si esclude la redazione paolina, e anche il genere della lettera, forse, ciò che chiamiamo Lettera, è in realtà un commento teologico, a sostegno della fede di una comunità di discepoli, infiacchita nella perseveranza e testimonianza. L'autore dello scritto ha posto davanti a loro la figura di Gesù, chiedendo di meditare l'uomo e nello stesso uomo la sacralità del sacerdozio, che esprime nella realtà del tempo la mediazione - cioè il legame - capace di salvare la nostra vita, e di alimentare la nostra fede. 
È il nostro amore per Cristo, il nostro riconoscerlo Salvatore, che fa di Lui l'autore della nostra perfezione, cioè, è l'offerta della sua vita, e con Lui della nostra, che ci permette di dire che viviamo in modo "perfetto" e Santo, e che allora siamo graditi a Dio.
Ecco che ai discepoli di Gesù, di fronte alle quotidiane fatiche, viene proposto di guardare a Gesù, tenendo fisso listo guardò su di Lui, che è autore, ed è capace di portare a perfezione la nostra fede (Ebrei 12,2); è in questo coinvolgimento che riconosco la volontà di Dio Padre che si rivela nel dimorare in Cristo, nell'operare per mezzo di Gesù. Lo stesso Vangelo di oggi, porta in questa direzione, l'annuncio affidato ai discepoli, converge e trova compimento nell'essere accanto a Gesù e nella preghiera che con lui riassume e offre come lode a Dio ogni opera compiuta: "Ed egli disse loro: Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’".
Ogni ansia pastorale, ogni affanno non serve a nulla e non trova motivazione sufficiente, se l'agire da discepolo non si radica nella compassione del Cristo. È quella compassione che mi conduce alla volontà del Padre, è quella compassione che fa della mia vita uno strumento santo e di santificazione.

venerdì 8 febbraio 2019

Ebrei 13,1-8 e Marco 6,14-29
"... imitatene e la fede ..."

Con il capitolo 13 la Lettera agli Ebrei volge alla conclusione, e nello stile delle lettere alla comunità, si concentra nei suggerimenti, per tradurre in modo concreto l'ascolto che ha caratterizzato fino a questo punto il discepolo. L'ascolto si fa vita, ed è in questa chiave di attualizzazione che ci conduce questo ultimo tratto della Lettera. Si fa vita, attraverso l'imitazione di coloro che con la loro esistenza si sono resi partecipi alla storia di salvezza, a partire da Abramo e Lot. La memoria dei testimoni è condizione per noi di adeguare lo stile della nostra quotidianità all'amore fraterno, alla ospitalità (accoglienza); alla misericordia verso chi è prigioniero, e chi subisce ingiustizia; non dimenticando che la vita - tutto il nostro esistere sia quello santo che non - passa attraverso la mediazione del nostro corpo di carne. Ecco allora l'esigenza e la necessità di una imitazione non solo nelle idee, o non solo nella esteriorità delle azioni, ma una imitazione a partire dalla fede: "Considerando attentamente l’esito finale della loro vita, imitatene la fede. Gesù Cristo è lo stesso ieri e oggi e per sempre!"
Il punto cruciale ritorna ad essere la fede come risposta all'annuncio che il Cristo il Figlio di Dio è risorto dai morti; in questo riconosciamo il Signore come colui che trasforma la solitudine esistenziale dell'uomo, Dio è l'unico che può colmare il desiderio di pienezza che come l'abisso in noi, mai giunge a misura: "Non ti lascerò e non ti abbandonerò". Così possiamo dire con fiducia: "Il Signore è il mio aiuto, non avrò paura".
La memoria della fede dei testimoni è come l'eco di queste parole (Salmo 118,6), riecheggiarle significa meditarle, significa predisporci ogni giorno all'annuncio di quella Parola del Signore che suscita e alimenta la fede.

giovedì 7 febbraio 2019

Ebrei 12,18-24 e Marco 6,7-13
Ciò che fa la differenza ...

Un poco alla volta, la eterna agli Ebrei arriva al culmine e il capitolo dodicesimo sembra proprio raccogliere la conseguenza di chi, presa consapevolezza della propria chiamata, accoglie Cristo come condizione nuova di esistenza.
Se infatti ci è famigliare tutto ciò che viene richiamato facendo riferimento a Esodo 19: il monte; il roveto; la presenza di Yhwh; tutto questo viene racchiuso nella espressione "non vi siete avvicinati a ...", lasciando tutto immerso nella paura, in un timore disarmante; la nostra ricerca di senso, invece, supera ogni desiderio di dottrina, per dilatarsi e lasciarci avvicinare dal Signore. Che cosa rappresenta Gesù? Il Signore condivide con noi la sua esperienza di "Gerusalemme" come compimento glorioso del suo essere uomo; condivide con noi il dono della sua vita come offerta sacrificale del suo sangue innocente; condivide con noi la sua risurrezione come condizione di eternità rivelata e partecipata nel tempo della nostra esistenza. Gesù condividere con noi tutto ciò che lui stesso traduce, comunica e rappresenta nella "novità" che è il Vangelo. Gesù stesso rappresenta tutto ciò a cui noi ci avviciniamo: "... al monte Sion, alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a migliaia di angeli, all’adunanza festosa e all’assemblea dei primogeniti i cui nomi sono scritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti resi perfetti, a Gesù, mediatore dell’alleanza nuova, e al sangue purificatore, che è più eloquente di quello di Abele". 
Se l'accostarci a Yhwh, lasciava tutti nella paura, l'accostarci a Gesù conduce tutti nella tenerezza della misericordia: non può esistere "paura" per coloro che si accostano a Gesù desiderando di essere amati e di poter amare amore.

mercoledì 6 febbraio 2019

Ebrei 12,4-7.11-15 e Marco 6,1-6
Rafforza l'opera delle nostre mani!

A Nazareth rivedendo Gesù, dopo il primissimo periodo in cui era andato a Cafarnao e aveva dato inizio alla "buona notizia", cioè al Vangelo, vedono solo il "falegname" (tekton) il Figlio di Maria: il termine greco "Tekton" esprime il lavoro di carpentiere e può indicare un operaio del legno, della pietra o del metallo. Questo è l'unico passo del Nuovo Testamento in cui si precisa il mestiere di Gesù. Nulla, e stranamente, si dice del padre (era usanza ebraica identificare un uomo in riferimento a suo padre), forse volutamente per rilanciare per il Signore, oltre ogni ragionevole dubbio, l'assoluta paternità di Dio. È l'unico passo dove Marco precisa anche il nome di Maria.
In realtà a Nazareth tutti hanno ben chiaro di chi si sta parlando, loro conoscono molto bene Gesù ed è proprio a Nazareth che viene data la prima testimonianza vinca il suo insegnamento: "molti, ascoltando, rimanevano stupiti" e dicevano: "Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani?" 
Le mani di Gesù, cessano di essere mani di "falegname", capaci di compiere le opere dell'uomo e vengono riconosciute come mani che compiono le opere di Dio, tanto è vero che "... solo impose le mani a pochi malati e li guarì".
Siamo abituati a caricare il ritorno a Nazareth con un sovrappiù di diffidenza, e a reagire come se nel rifiuto di Gesù si identificasse la diffidenza e il rifiuto che in ogni tempo l'uomo riserva al Vangelo. In realtà a Nazareth avviene il primo vero riconoscimento da parte di coloro che hanno conosciuto Gesù fin dall'infanzia, essi sono i primi che riconoscono l'opera di Dio attraverso le mani di Gesù! 
Ogni discepolo del Signore, ha una paternità che lo lega al padre del Cielo, e in forza di ciò può compiere delle opere che non sono delle sue mani, opere da "falegname", ma può fare le cose viste e fatte dal Signore. Ecco allora che Ebrei bene esprime la nostra nuova condizione: "rinfrancate le mani inerti e le ginocchia fiacche e camminate diritti con i vostri piedi, perché il piede che zoppica non abbia a storpiarsi, ma piuttosto a guarire".

martedì 5 febbraio 2019

Ebrei 12,4-7.11-15 e Marco 6,1-6
Rafforza l'opera delle nostre mani!

A Nazareth rivedendo Gesù, dopo il primissimo periodo in cui era andato a Cafarnao e aveva dato inizio alla "buona notizia", cioè al Vangelo, vedono solo il "falegname" (tekton) il Figlio di Maria: il termine greco "Tekton" esprime il lavoro di carpentiere e può indicare un operaio del legno, della pietra o del metallo. Questo è l'unico passo del Nuovo Testamento in cui si precisa il mestiere di Gesù. Nulla, e stranamente, si dice del padre (era usanza ebraica identificare un uomo in riferimento a suo padre), forse volutamente per rilanciare per il Signore, oltre ogni ragionevole dubbio, l'assoluta paternità di Dio. È l'unico passo dove Marco precisa anche il nome di Maria.
In realtà a Nazareth tutti hanno ben chiaro di chi si sta parlando, loro conoscono molto bene Gesù ed è proprio a Nazareth che viene data la prima testimonianza vinca il suo insegnamento: "molti, ascoltando, rimanevano stupiti" e dicevano: "Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani?" 
Le mani di Gesù, cessano di essere mani di "falegname", capaci di compiere le opere dell'uomo e vengono riconosciute come mani che compiono le opere di Dio, tanto è vero che "... solo impose le mani a pochi malati e li guarì".
Siamo abituati a caricare il ritorno a Nazareth con un sovrappiù di diffidenza, e a reagire come se nel rifiuto di Gesù si identificasse la diffidenza e il rifiuto che in ogni tempo l'uomo riserva al Vangelo. In realtà a Nazareth avviene il primo vero riconoscimento da parte di coloro che hanno conosciuto Gesù fin dall'infanzia, essi sono i primi che riconoscono l'opera di Dio attraverso le mani di Gesù! 
Ogni discepolo del Signore, ha una paternità che lo lega al padre del Cielo, e in forza di ciò può compiere delle opere che non sono delle sue mani, opere da "falegname", ma può fare le cose viste e fatte dal Signore. Ecco allora che Ebrei bene esprime la nostra nuova condizione: "rinfrancate le mani inerti e le ginocchia fiacche e camminate diritti con i vostri piedi, perché il piede che zoppica non abbia a storpiarsi, ma piuttosto a guarire".

Ebrei 12,1-4 e Marco 5,21-43
Teniamo fisso lo sguardo su Gesù!

Abituati a riassumere la nostra esperienza del credere nel cosiddetto "Atto di Fede", abbiamo rinchiuso la nostra Fede negli insegnamenti del catechismo, trascurando invece che la "dottrina" deve essere a servizio della Fede, per descriverla a sostenerla ma non per tradurla. Non si traduce la Fede in gesti e atti formali; significherebbe spegnerla, sarebbe generare una forma di ateismo.
Ebrei, ci dona la testimonianza della vita di uomini e donne che hanno fatto della loro vita lo spazio esistenziale della Fede.
Fede, vita, esistere, tutto esprime nell'insieme il partecipare alla manifestazione di Dio; fare posto, accanto e in sé stessi alla rivelazione del mistero divino della vita eterna. Lo stesso vivere quotidiano narrato nel Vangelo di Marco, oltre agli eventi miracolosi, propone il generarsi della Fede; la proposta di Fede che la persona di Gesù, nel suo venire e accostarsi alla vita di ciascuno, vuole rappresentare! Sono le esperienze del vivere quotidiano che interpellano la Fede nel Signore: le relazioni; il lavoro; gli affetti; l'onestà; la coerenza; la malattia; la benevolenza; l'odio; la sofferenza ecc...
Alla donna malata che tocca segretamente il mantello di Gesù, il Signore le dice: "Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male".
A Giàiro, ormai messo alle strette dalla morte della figlioletta, Gesù chiede: "Non temere, soltanto abbi fede!"
Non abbiamo bisogno di ripetere ogni giorno delle formule di fede "garantistiche"; ma occorre che i nostri giorni li possiamo convertire alla Sua presenza. È Gesù che rende la nostra vita spazio esistenziale della Fede, non siamo noi "credendo" che "facciamo" questo! Gesù ha preceduto la donna emoreissa, ed ha rappresentato in anticipo ogni sua speranza è attesa; ha camminato davanti a lei per farsi da lei raggiungere e toccare. Gesù ha preceduto Giàiro, anzi lo ha raggiunto nel suo passare da una sponda all'altra del lago di Tiberiade, si è lasciato coinvolgere, e ha così toccato la vita di quella famiglia "prendendoli per mano".
Quando la nostra vita tocca Gesù e quando la vita lo riconosce nel suo precederci, allora noi esistiamo in Lui, ed esistiamo nella Fede in Lui.

lunedì 4 febbraio 2019

Ebrei 11,32-40 e Marco 5,1-20
Gli abbiamo chiesto di allontanarsi da noi ...

Il nostro post-cristianesimo ha scelto la mandria di maiali alla Fede nel Signore Gesù. La paura di essere discepoli di Cristo, non sarà mai un atto formale di rottura, o la negazione di qualche verità della Fede, né l'una e né l'altra saranno l'espressione della nostra deriva. Ma il segno della nostra mancanza di Fede sarà semplicemente la paura, la mancanza di quel coraggio che ci porta a rinnegare l'incontro con il Signore, e a trascurare quanto sia determinante per la qualità della vita. Sotto certi aspetti prediligiamo i vincoli celle catene e dei ceppi che ci mantengono nella relazione con il limite, col peccato, con il male che ci rende inadeguati, ma che ci rassicura con qualche consolazione, come quella di possedere dei "porci". L'economia dei maiali, sazia il bisogno della nostra umanità ma non salverà mai nessuno dall'indifferenza che la morte è capace di generare nell'uomo. L'indemoniato liberato dalla "legione", rappresenta tutti, anche noi!
Cosa significa essere testimoni oggi della fede in Gesù, cosa significa annunciare il Vangelo a quelli di casa nostra: "Va’ nella tua casa, dai tuoi, annuncia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ha avuto per te".
"La misericordia che ha avuto per te ..." La Fede nasce da questa consapevolezza; Gesù non disprezza e condanna la nostra fragilità, ma la supera e la trasforma nel suo amore per noi, dandoci la Fede come rimedio alla nostra infelicità.
Ecco allora che la Lettera agli Ebrei, ci porta di fronte a chi attraverso la Fede è stato segno e testimonianza di ciò che il Signore è stato capace di fare in lui: "... essi conquistarono regni, esercitarono la giustizia, ottennero ciò che era stato promesso, chiusero le fauci dei leoni, spensero la violenza del fuoco, sfuggirono alla lama della spada, trassero vigore dalla loro debolezza, divennero forti in guerra, respinsero invasioni di stranieri".
Ma se gli abbiamo chiesto di allontanarsi da noi, come potremo mai essere evangelizzatori? Annunciatori di che cosa? Al massimo saremo mandriani e testimoni dell'attaccamento ai nostri "maiali".

domenica 3 febbraio 2019

Ger 1,4-5.17.19 / Sal 70 / 1 Cor 12.31-13,13 / Luca 4,21-30
Quante scuse troviamo?

"Non è il figlio di Giuseppe?" Alla fine, pure se ciò che Gesù dice e propone, è talmente bello che ne rimaniamo meravigliati pure noi - perché ammetiamolo, il desiderio di giustizia, la possibilità di un vero riscatto, e la gratuità dell'amore attrae pure noi - quelle parole le percepiamo nella loro straordinaria capacità di renderci veramente umani. Eppure quante scuse siamo disposti a trovare per giustificare la pigrizia di crescere in umanità?
A Natareth si aggrapparono a ciò che loro stessi conoscevano, l'origine di Gesù: "... sarà anche un bravo ragazzo, ma è pur sempre il figlio di Giuseppe, il ciappinaro!". A questa sorta di riluttanza e di imbarazzo, Gesù risponde mettendo in risalto la loro chiusura mentale, ovvero la loro paura! Eppure proprio nell'immagine che vi rimanda a Giuseppe -nella tradizione falegname - nel suo essere un manovale capace di tante abilità, cogliamo lo stile di Gesù capace di plasmare e forgiate le "cose" e i cuori per renderle idonee alla loro piena utilità e per renderli idonei a rispondere alla volontà del Padre.
Non sarà proprio questa volontà del Padre a intimorire i pastori di Nazareth?  Gesù si propone come colui che vuole compiere fino in fondo la volontà di Dio, compiere le sue promesse ... Cosa c'è di scandaloso per chi ama Dio e desidera essere riamato, compiere la sua volontà, portare a compimento ciò che il Signore ha promesso? Anzi è proprio nella sua volontà che si partecipa ala piena gioia, alla gratificazione del suo amare. Ma invece spesso alla volontà di Dio rispondiamo con la paura ...
A Nazareth inizia la paura per le conseguenze delle parole di Gesù.
Infatti Gesù fa leva su questa paura per forzare la loro reazione: Dio si prende cura di una vedova di Sidone (una infedele); Dio guarisce un lebbroso di origine siriana (un infedele) ...
Lo scandalo di Nazareth, la paura di donarsi al Signore, nasconde l'ipocrisia dei cristiani ben pensanti e bigotti di oggi che con estrema indifferenza non accettano che il mistero dell'amore di Dio padre passi attraverso la carne dell'uomo, in una immersione piena nella nostra natura. Allora ecco che un Gesù umano scandalizza, come altrettanto scandalizza riconoscere la sacralità dell'uomo, qualunque esso sia.
Ma Gesù ha assunto la nostra carne, il nostro limite, la nostra fragilità affinché tutto ciò che è umano sia spazio di libertà e comunione, non di schiavitù, di umiliazione e oppressione. Per crescere in umanità occorre riconoscere che la sapienza di Dio e la sua potenza si rivela nella carne, nella debolezza e nel limite; è nel limite che si genera la comunione e l'amore, non il dominio sugli altri. 
La fatica di questa crescita umana si deve fare nella quotidiana lotta con il nostro perbenismo, con i nostri interessi personali, con le nostre ideologie di massa sprezzanti della carità. Non vorremo per caso anche noi, rinunciare alla lotta e fare del figlio di Dio il figlio del "ciappinaro" Giuseppe.

sabato 2 febbraio 2019

Malachia 3,1-4; Ebrei 2,14-18; Luca 2,22-40
Festa della presentazione del Signore
Andiamo incontro al Signore ...

Simeone e Anna, protagonisti della pagina del Vangelo, rappresentano la testimonianza della fede e della perseveranza che attende il compimento delle promesse; sono il percorso della vita aperto al mistero, all'ascolto, all'imprevedibile manifestazione della volontà di Dio. Due anziani che ci disilludono rispetto alle scelte facili e comode; per tutta la loro esistenza hanno vissuto uno stile ispirato, anche inconsapevolmente, al Vangelo, cioè all'arrivo della "buona notizia".
Sono immagini ispirate quelle di Simeone e Anna: ispirate significa formate e plasmate dallo Spirito nel tempo di una esistenza, che ora partecipa di quell'abbraccio di tenerezza che deve farci riflettere. Il Figlio di Dio, quel bambino stretto fra le sue braccia, è per Simeone la prima consolazione di Israele. Dio chiede di essere accolto fra le braccia di una umanità che attende la propria salvezza. Siamo sempre pronti a chiedere a Dio di accoglierci fra le sue braccia, ma oggi, attraverso questa Liturgia, lo stesso desiderio di essere amati ci viene richiesto da Dio stesso: per farci partecipi del suo amore, chiede il nostro amore; per poter consolare, chiede di essere consolato; per poter accogliere, chiede di essere accolto tra le braccia. Una immagine di tenerezza che porta a compimento e corona l'avere vissuto per il Signore. Ciò che nella lunga vita è stato costudito segretamente nel cuore, ora diffonde la sua Luce che conduce tutto Israele, tutti gli uomini alla salvezza. Simeone nella tenerezza del Dio bambino riconosce e vede la concretezza della salvezza, il Padre ci salva in quel bambino.
E così la profetessa Anna, dopo aver consacrato tutta la sua vita al Signore, si trova ora a lodare quell'incontro beato, portatore di vita e beatitudine. Solo chi ha scrutato nella vita le promesse di Dio, vede alla Luce Nuova del mistero che ci salva.

venerdì 1 febbraio 2019

Ebrei 10,32-39 e Marco 4,26-34
Noi non crediamo per la nostra rovina  ...

La fede in Gesù, ha la sua manifestazione nel partecipare al sacerdozio del Signore. L'esperienza di credere, della fede, non è infatti frutto dell'intelletto ma del cuore, cioè di una esistenza che "fatta la volontà di Dio, ottiene ciò che vi è stato promesso". È nel cuore, nell'intimo, che "ricevuta la luce di Cristo" ci si accorge del Signore come "... colui che deve venire, verrà e non tarderà".  Questa intima comunione è ciò che costituisce il nostro sacerdozio, è ciò che si manifesta nell'esercizio di tale ministero, è ciò che si celebra nella lode (preghiera personale), nell'ascolto (meditazione della Parola), nell'eucaristia (offerta del sacrificio della vita di Gesù), nella testimonianza quotidiana (evangelizzazione). Ed ecco che tutta la vita di fede è espressione di questo sacerdozio. La lettera agli Ebrei, nella forma dell'incoraggiamento ai credenti che subiscono persecuzione, in realtà apre alla comprensione del mistero della loro fede. Tutto di loro, la loro perseveranza nella lotta (persecuzione sistematica); la diffamazione di fronte agli altri (screditati e umiliati); la sofferenza di chi è privato della libertà e di ogni mezzo di sussistenza (incarcerati e spigliati) ... a tutto questo è riservata una grande ricompensa: "la salvezza della nostra anima"; la vita eterna (esistenza eterna), la vita di Dio in noi.
Gesù è quella lampada che illumina la nostra vita e ci conduce nella volontà di Dio, che nel Vangelo di Marco, Gesù racconta attraverso le parabole ... Immagini di cui ci appropriamo, ma che non comprendiamo se non in Cristo. Fare la volontà di Dio, accogliere il regno dei cieli, è prima di tutto, per noi, esperienza di vicinanza, esistere accanto a ciò che è mistero. Comprendere le parabole è percepire la presenza del "regno", il fascino della Parola; lasciare che il mistero ci contagi ... lentamente: "dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa ...", fino a pienezza, quando ci sarà la "mietitura".