domenica 28 febbraio 2021

Guardare attraverso gli occhi della trasfigurazione

Gen 22, 1-2.9a.10-13.15-18; Sal 115; Rm 8,31b-34; Mc 9,2-10

 

Ciò che accadde sul monte è qualcosa di unico, per Pietro Giacomo e Giovanni; vedere Gesù trasfigurato, cioè risorto-glorioso, rappresenta toccare per un attimo la pienezza della bellezza, della gioia, della felicità. Che dono!!!

Quel monte, come luogo, d'altronde dice tutto il suo mistero! Da quel monte si vede tutto ... con un orizzonte nuovo e vasto.

Un monte che fin dall'antichità era ritenuto "sacro", un monte in cui ci si avvicina a Di; il monte che si erge quasi a essere il cuore della Galilea.

È questo monte il luogo della Trasfigurazione; ed ecco che si sale sul monte per vedere  il volto di Dio: la gloriosa luminosità del figlio e il fascino della sua parola.

Anche Pietro, salendo con gli altri sul monte, non riesce a non riconoscere la bellezza di quel mistero che lì si fa accanto alla vita degli uomini.

Salirono con Gesù sul monte, quasi anticipando in quella salita la sofferenza degli uomini, carico della croce, che a breve anche Gesù avrebbe fatto ... Salire sul monte è preludio al farsi partecipe all'esperienza drammatica del male e della fragilità di ogni uomo. Ma sembra propri che solo toccando la fragilità, questa venga trasfigurata ...

C'è una realtà gravida di ferite, di fragilità di sofferenza, eppure tutto questo tende a cercare una libertà una redenzione, una salvezza vera ... Dove si trova questa possibilità?

Per Gesù, salire sul monte, significa caricarsi del male dell'uomo. Ma ugualmente sale e sperimenta nel dialogo con Mose e con Elia, il costo e il sacrificio della libertà (Mosè liberatore) come anche la fatica della prova e della fedeltà (Elia profeta perseguitato). Ma tutto quello che accade è fonte di pienezza, è luce, è gioia al punto che Pietro dice: è bello per noi essere qui ... con te ...

Essere con te è fonte di gioia e di felicità, da colore alla vita, da un sapore inaspettato e un calore che avvolge il freddo della nostra umanità. Salire sul monte con i nostri problemi, e stare con te, è come lasciarsi condurre nella luce di un mistero che trasfigura anche il presente. La trasfigurazione ci testimonia un amore reciproco tra il Signore e i tre discepoli. Una relazione che dice a ciascuno come ogni essere umano è fatto in modo tale che non si realizza, non si sviluppa e non può trovare la propria pienezza «se non attraverso un dono sincero di sé». La trasfigurazione non è semplice estasi di una immagine bella. Ma è la conseguenza trasfigurante dell'esperienza di amare.

È da questa intima gioia e bellezza, è stando con Gesù, che a partire dal cuore, l'amore crea legami e dilaga nell’esistenza.  L'amore fa uscire la persona da sé stessa verso l’altro. Siamo fatti per l’amore e c’è in ognuno di noi «una specie di legge: quella di uscire da noi stessi per trovare negli altri un accrescimento di essere». 

È questa forza inaudita che sgorga come luce dal volto di Gesù trasfigurato. E ci dona occhi per vedere un orizzonte completamente nuovo, nella vita e nella storia.

Infatti se la trasfigurazione per noi è contemplazione del Cristo, per cui non è tanto la dura realtà che cambia, quanto la capacità e possibilità di vedere dei discepoli, i quali stanno nella trasfigurazione con tutto il peso della prova, dell'essenzialità e dello spogliamento; noi portiamo nella trasfigurazione le prove che la vita ci propone che non possono lasciarci indifferenti e che incidono su di noi, ma il nostro sguardo non è come prima, ora è bello per noi stare qui con te.

sabato 27 febbraio 2021

L'amore è la radice

Deuteronomio 26,16-19 e Matteo 5,43-48



Per tutti i credenti in Gesù, è chiaro che l'amore ai nemici e al prossimo è un precetto fondamentale dell'esperienza cristiana. Ma ugualmente, poi, si pongono i tanti impedimenti e le troppe giustificazioni i per limitare la nostra adesione a questo modo di essere.
Non c’è per nulla naturale amare i nemici; sentiamo tutta la fatica di pregare per chi ci perseguita, ma è proprio in questo stravolgimento di ciò che ci ingabbia nelle giustificazioni della legge, la possibilità di portare a pienezza la nostra umanità.
Pregare per i propri persecutori, amare i propri nemici diviene ben più di un precetto, di un atto buono, di una buona azione, dalla quale si spera sempre di ottenere una qualche ricompensa. C'è in gioco molto, molto di più. Nella "Fratelli tutti", il papa ci accompagna al cuore della fraternità universale, e ci mostra come la nostra umanità ferita è schiacciata dalla sua incapacità di darsi una vera redenzione. L’Enciclica, mostra come solo nell'esperienza di amare è data la possibilità di uscire dal proprio egoismo. In forza dell'amore, la nostra umanità,  si innalza e diviene lo "spazio buono" del nostro compimento. Amare i nemici, non è quindi una buona azione, o un modo di superamento del limite, ma amare è il ritorno all'origine della nostra natura per rigenerarla e costruirla in una novità che in realtà era fin dal principio; ecco perché l'amore ci appartiene e ne percepiamo tutta la radicalità e radice.

venerdì 26 febbraio 2021

Non entrerai nel regno dei cieli ...

Ezechiele 18,21-28 e Matteo 5,20-26


Come si entra nel regno dei cieli? Se non supereremo nella giustizia Scribi e Farisei non ci entreremo mai. Ma a quale giustizia fa riferimento Gesù?
Scribi e Farisei sono tutti coloro che conoscono bene la legge è la osservano; sono cristiani DOCG (denominazione origine controllata e garantita); agli occhi di tutti sembrano le persone più adeguate per entrare nel regno dei cieli, cioè persone degne di poterne fare parte; ma agli occhi di Gesù, questa "giustizia" non è sufficiente per entrare!
La giustizia più grande è quella che non si limita all'osservanza delle leggi. La giustizia più grande la si rifinisce nello stile di vita secondo il Vangelo. Le parole successive dell'angelo di oggi svelano il senso della giustizia più grande.
La cura della fraternità, vivere le relazioni i con tenerezza e amorevolezza fraterna, è espressione di una giustizia più grande. La fraternità esprime quel vincolo di fratellanza che sta alla base del mistero della riconciliazione e del perdono; come anche la fratellanza ricompone ogni dissidio e ogni distanza che per le nostre fragilità si creano. La giustizia per Gesù significa vivere come "giusti", non significa osservare delle Leggi e delle norme. Ecco allora che la giustizia è il cuore nuovo, che è frutto dell'ascolto e accoglienza intima di ciò che il Vangelo ispira e chiede di vivere: "l'amore come fondamento e come criterio". Il cuore nuovo in noi partecipa del cuore stesso di Gesù e dei suoi sentimenti. Quando il nostro cuore è sensibile alla fraternità, a rapporti fraterni con gli altri, non per un obbligo di un comandamento ma per via della libertà che nasce dall'amore, ecco che quella "giustizia" è ciò che ti lascia entrare nel regno dei cieli.

giovedì 25 febbraio 2021

Le nostre pietre e serpi ...

Ester 4,17k-u e Matteo 7,7-12


Siamo sempre noi, siamo noi il riferimento delle parole del Vangelo. Siamo noi che non bussando più, non chiedendo più ... in realtà siamo solo capaci di dare pietre e serpi a che ci chiede un pane o un pesce, a chi bussa non aprirmi e a chi cerca nascondiamo.
Siamo noi che di fronte al bussare di un amico, poniamo davanti il nostro interesse, la nostra indisponibilità, le nostre voglie ... Siamo noi che del nostro ego-ismo facciamo il criterio della nostra risposta e lo strumento di misura delle nostre relazioni. Per questo non riusciamo più a dare una risposta adeguata neanche a un amico, come neanche al bisogno di pane di un figlio, cioè di condivisione di ciò che è essenziale; o di un pesce: al bisogno dell'amore che è indispensabile per rendere le nostre relazioni sorgente di vita. 
Forse non ci sentiamo più figli, non avvertiamo più in noi il bisogno di bussare alla porta del cuore di Dio, per chiedere e ottenere. Quando l'ego-ismo prevale sull'essere figlio, ecco che non riconosco più l'amico e il fratello che bussano alla porta del mio cuore per chiedere un minimo di amore.
Non bussiamo più né alla porta del cuore di Dio, e neppure alla porta del cuore di chi ci vuole bene; siamo presuntuosi, siamo orgogliosi, siamo indisponibili ... Certi sempre di garantire quella individualità personale che altro non è che egoismo: aridità e sterilità ...
Quanto invece bussare è amore umile; chiedere è tenero desiderio; cercare apertura al dono da chi speriamo. Oggi mi pongo desideroso di chi busserà alla mia porta ... Ma anche io oggi dovrò bissare al cuore di qualche mio fratello!

mercoledì 24 febbraio 2021

Il Segno mancato ...

Giona 3,1-10 e Luca 11,29-32


La predicazione di Giona fu la causa della conversione di Ninive, e "Dio si ravvide riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece". Ma tutte le altre generazioni, compresa la nostra sono: "è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona. Poiché, come Giona fu un segno per quelli di Nìnive, così anche il Figlio dell’uomo lo sarà per questa generazione".
Di fronte a queste parole lette oggi, si fatica a comprendere come il Segno di Dio, sia sempre qualcosa di estremamente "sotto traccia", sia un segno quasi impercettibile. Lo è stato per tutta l'antichità il segno che è Israele; lo è stato per tutto il primo secolo il segno che è Gesù. Infatti se Gesù entra nella scena della storia, fino ad oggi, è grazie all'agire di condivisione dei suoi discepoli, non certo per valenza della cronaca storica della sua esperienza e della sua vita. Alla luce di questa chiave di lettura cerchiamo di accogliere il Vangelo di oggi.
Vivere il segno che è Gesù nella sua piccolezza, gustarlo nella sua fragilità; cercarlo nel suo silenzio; aderirvi anche nel nascondimento ... Se non riusciamo a fare questo, anche noi saremo una generazione "malvagia".
La realtà stessa nella quale viviamo è segno della vicinanza di Dio,  della presenza del Padre, lo è sempre stato; Dio pone nella storia dell'uomo il segno che è il suo amore.  
Ma ogni generazione risulta malvagia, cattiva, maligna ... perché non crede ai segni di Dio, e non si affida all'amore come espressione concreta del suo esserci e del suo salvarci. Gesù è il segno in pienezza, perché è l'amore di Dio donato fino al suo pieno manifestarsi nella passione, morte e risurrezione. 

martedì 23 febbraio 2021

Pregare ...

Isaia 55,10-11 e Matteo 6,7-15

"Non sprecate parole come fanno pagani ..."
La preghiera non può essere un dialogo tra sordi: tra un uomo che parla senza ascoltare, e un Dio muto che resta silenzioso. Forse non può essere neppure ripetere a Dio, le cose che già sappiamo. Questa è la preghiera di chi è pagano, essa è frutto delle labbra e del proprio convincimento. Pregare come ritualità non è naturale, non è una esperienza spontanea. Come anche non può essere il frutto della necessità, di un bisogno o della disperazione.  Anche se il dramma è la fragilità umana, sono un motivo del pregare. Allora cosa è la preghiera? A volte diciamo che la preghiera è dialogo, è relazione ... Credo che la preghiera sia un suggerimento provocato nella fede, cioè dall'intima presenza di Dio in noi. La preghiera sgorga da dentro di noi, dal nostro cuore in cui il Signore ha preso dimora. Allora la preghiera è la risposta al risuonare in noi della Parola del Signore? Dice Isaia che cosa vuoi provocare in noi con la tua Parola? Quale desideri hai da condividere? Ma perché ti ostini a Parlare nel nostro vuoto; perché ci mandi ancora la tua Parola? Dio non si stanca di noi, non si stanca del nostro silenzio e delle nostre parole spesso vuote o ripetitive. Dio è come un Padre che con pazienza attende che i suoi figli sappiano riconoscere ed accogliere nelle parole ricevute l'amore donato nella gratuità. Verrà il tempo in cui il figlio si rivolgerà a Dio chiamandolo Padre, ma per arrivare a questo ci vuole pazienza, occorre saper attendere! Forse attendere anche tanto, tantissimo ... Alla fine, quel Padre nostro non sarà una formula imparata, ma la risposta del cuore alla Parola che il Padre ha ripetuto con amore.


lunedì 22 febbraio 2021

Partecipi di una amicizia vera ...

1 Pietro 5,1-4 e Matteo 16,13-19

 Festa della Cattedra di San Pietro

La Festa della cattedra di San Pietro, nel percorso quaresimale ci riporta immediatamente alla originalità di ciò che è fondamento anche della nostra quaresima.
Non siamo di fronte all'investitura, quasi un cavalierato medievale, ma siamo testimoni di un vincolo di amore dal quale è nata la Chiesa. "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa ..."
Sono parole di una forza enorme di una potenza cosmica perché esprimono un amore l'enorme di Gesù verso il pescatore di Galilea. Pietro è chiamato da Gesù, ad essere prima di tutto amico e a legare a Lui, nella amicizia la vita ...
Non siamo di fronte a dei sentimenti volubili, o a una questione di empatia a pelle, ma alla verità di una amicizia, come espressione di una chiamata: "Ti chiamo ad essere mio amico!"
A questa chiamata di Gesù, Pietro risponde con la disponibilità a fare spazio nella sua vita, uno spazio che è per sempre, anche quando Gesù non sarà più il compagno di ogni giorno: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente". Questa risposta significa, tu sei "l'amico" che da senso alla mia vita. 
L'amicizia tra Gesù e Pietro, rappresenta lo spazio bello di una relazione che da senso alla vita, e che genera una esperienza di vera condivisione, di felicità e di salvezza che è la Chiesa: la possibilità per tutti gli uomini di essere amici di Gesù, amici di Dio padre, grazie all'amore che l'amicizia è capace di esprimere. Sulla cattedra di San Pietro non è salito sono il principe degli Apostoli, ma un amico intimo del Signore.

domenica 21 febbraio 2021

Tentati!

 Gen 9,8-15; Sal 24; 1 Pt 3,18-22; Mc 1,12-15

Parlare di tentazione ci fa arricciare il naso, quasi che essere tentato sia una cosa scandalosa. In realtà come successe a Gesù, il Diavolo, il divisore tenta sempre coloro che cercano e fanno le scelte di bene. Il senso della tentazione è distogliervi dalla via di Dio, dalla via del bene, dell'amore e pirateria nella via dell'egoismo, del male dell'indifferenza. Se siamo tentati è segno che stiamo seguendo - o almeno ci stiamo provando - Gesù. 

Il brano del Vangelo - due versetti, in Marco - ci mostra come Gesù esce vincitore dalla tentazione e dalla sua perseveranza inizia la missione di rendere vicino il regno di Dio, attraverso l'esperienza della conversione del cuore e della vita. Vincere la tentazione è superare le bramosie che nascono dal proprio egoismo, il bisogno di possedere, cose, persone, finanche Dio stesso. La tentazione si vince con la vicinanza, la compagnia del Padre, con la povertà, quella di Francesco (fatta di mitezza e di essenzialità); con il servizio inteso come disponibilità al dono gratuito di se stessi, il non tirarmi indietro, il rendere me stesso un dono per i fratelli; con l'umiltà di chi non pretende di giudicate ma si sforza di capire e di comprendere secondo la Parola di Dio.

Ecco che la tentazione, in realtà appartiene alla nostra natura ferita ed esprime la fragilità frutto delle esperienze e delle scelte che abbiamo fatto e che facciamo nella vita.
Anche Gesù vive per quaranta giorni la tentazione del Satana, del divisore. Allora in che cosa consiste la tentazione? Sollecitazione dei sensi? Messa in discussione delle certezze? Forse, potrebbe essere tentazione il dubbio: "sei sicuro che Dio voglia la tua riuscita, la tua piena realizzazione?"

Credo che la tentazione più grande che abbia subito Gesù, sua quella di dubitare dell'amore del Padre, sia quella di metter in dubbio la dea relazione come figlio verso colui che gli è Padre.

Nel Padre Nostro, insieme al Signore, chiediamo a Dio Padre di non abbandonarci nella tentazione, ma di essere nostro compagno nel compiere la sua volontà. Ma queste parole passano attraverso il cuore di Gesù e la sua vita, non sono un semplice invito di preghiera; Gesù riconosce la necessità di non essere abbandonato, egli chiede al Padre di stargli vicino, per poter vincere la tentazione del demonio.
Detto questo, allora forse si intuisce che deserto e tentazione ...così come Gesù stesso ha vissuto, non sono espressioni, luoghi e concetti di altri tempi ... Esse esprimono lo spazio e le dinamiche della vita spirituale e della vita reale. Il deserto, riconducendo tutto all'essenziale ci recupera alla nostra dimensione spirituale, quella che si genera nella relazione con Dio, quando la tentazione di mettere a margine il Signore viene superata dal desiderio di essere con lui.

La tentazione invece che è esperienza di disgregazione, mette a nudo le nostre fragilità, ci conduce nella strada della disgregazione, dove prevale la sfiducia il dubbio rispetto all'affidarsi a Dio e ai fratelli.

Confrontarsi con la tentazione, subire la tentazione, lottare con la tentazione significa vivere la quotidianità, significa non sottrarsi alla battaglia di ogni giorno con lo spirito del male, che è anche in noi.

Oggi, viviamo anche o articolati tentazioni; Papa Francesco, ci mostra quelle che possono essere oggi le tentazioni che feriscono la nostra umanità e

che ci conducono nella strada della disumanità:

- la tentazione dello scarto: Certe parti dell’umanità sembrano sacrificabili (...). Ma non siamo anche noi i primi che usiamo lo scartate! Scartare chi non mi soddisfa nei miei bisogni ecc... Lo scarto è spesso il criterio per raggiungere i miei fini.

- la tentazione che viene dalla ricchezza, non solo là tentazioni di volersi arricchire, ma anche quella di assumere la ricchezza come criterio per giudicare e misurare le persone e la realtà. FT 21 (...) È aumentata la ricchezza, ma senza equità, e così nascono nuove povertà.

- la tentazione di negare i diritti: FT 22:  una parte dell’umanità vive nell’opulenza, un’altra parte vede la propria dignità disconosciuta, disprezzata o calpestata e i suoi diritti fondamentali ignorati o violati».
La tentazione obbliga a immergersi nella propria coscienza per giungere a smascherare le nostre ipocrisie.

Il Vangelo di Marco è molto sintetico, ma è indubbio che al vincere le tentazioni da parte di Gesù corrisponde la vicinanza del regno di Dio.
Ogni tentazione, propone un mondo, una realtà che si vuole sostituire a Dio e al suo amore. Per questo ogni vittoria sulla tentazione si  può intendere come prossimità del regno di Dio, del suo amore che riconduce tutto nella volontà del Padre. Per noi quindi, lottare con le tentazioni può essere l'occasione di andare oltre la superficialità dei giudizi e delle scelte fatte; oltre la frenesia delle cose da fare, sempre di corsa e senza sosta.
Non abbandonarci alla tentazione di cedere, di arrenderci nel ricercare la verità e il  bene di fronte all'incalzare del male. La tentazione è lo spazio in cui il regno di Dio mostra come tutto sta per compiersi. La lotta alla tentazione è possibile perché il regno si avvicina, così come il Vangelo di Marco ci ha detto: "Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo".

sabato 20 febbraio 2021

Il cambiamento del cuore ...

Isaia 58,9-14 e Luca 5,27-32

Convertire il cuore, ... cambiare il cuore ... Come è possibile? Come è possibile superare i vincoli che ci tengo legati alle nostre fragilità; come sciogliere gli affetti e le nostalgie con i nostri peccati abituali; come passare da una istintività di fondo alla possibilità di un ideale di verità e pienezza? A volte, spesso, sperimentiamo quanto siamo bloccati all'interno degli schemi della quotidianità. Anche Gesù si confronta con questi schemi: "Come mai mangiate e bevete insieme ai pubblicani e ai peccatori?" 
Come uscire da questi schemi? Se fosse solo una questione di volontà, sarebbe solo una sconfitta, perché tutti sappiamo quanto fragile è la nostra capacità di stare fedelmente di fronte agli impegni, chi più, chi meno.
Gesù entra nel cuore di pubblicani e peccatori! Per generare il cambiamento non basta auspicarlo, predicarlo, ma occorre viverlo, occorre entrare nel cuore e nella vita dell'altro, nel cuore di amici, di chi amiamo ma non solo. Il modo di entrare è l'amore che gli dimostriamo. "Perché mangi con pubblicani e peccatori", perché li amo, perché sono tutti miei fratelli, questa è la risposta del "medico" celeste. Entrando nella vita dell'altro, sarà questa compagnia che sosterrà e proporrà costantemente il cambiamento, e la conversione.
Gesù chiama Levi (Matteo) a seguirlo, ma non lo chiama da esterno, da fuori, egli lo chiama da dentro, da dentro il suo cuore Gesù chiede a Levi di essere invitato a mangiare con gli altri pubblicani e peccatori. La conversine del cuore parte da chi dimora nel cuore. Proviamo a individuare dei volti: Chi lasciamo dimorare nel nostro cuore?

venerdì 19 febbraio 2021

Il sapore del digiuno

Isaia 58,1-9 e Matteo 9,14-15


Che cosa è il digiuno ... La prima lettura, il testo di Isaia, approda a una visione del digiuno molto diversa da quella vissuta e praticata: "Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti?"
Il digiuno effettivamente ha un valore esistenziale molto più ampio del segno penitenziale che esprime. Privarsi del cibo, come esperienza di mortificazione del corpo per risvegliare la consapevolezza di noi stessi, certamente è una gran cosa, ma non per compiere semplicemente un gesto di ascesi, bensì per ricercare una pienezza che si genera solo nell'amore. Ecco che il digiuno deve diventare fame di amore.
Non ha caso il digiuno più importante è quello dal nostro egoismo; scrivevo mercoledì: "Digiuno: cerchiamo di ridurre il nostro egoismo; cerchiamo di essere sempre più disponibili, accoglienti, semplici, mettendo sempre gli altri prima."
Gesù non ha mai digiunato a caso, o per semplice pratica religiosa; è per questo che i discepoli di Giovanni, gli Scribi e Farisei, per colpire lui, accusano i suoi discepoli di non osservare il digiuno. Per Gesù il digiuno è il modo attraverso cui raggiungere una pienezza: "il digiuno garantisce il ritorno dello Sposo". È pienezza, è compimento, il senso  più vero di ogni rinuncia. Ecco perché la rinuncia al nostro egoismo, come rinuncia alla "pienezza autoreferenziale", ci apre alla possibilità di riempirci di ciò che è altro, dello sposo, dei fratelli. È l'amore che da compimento e che soddisfa ogni desiderio è bisogno di pienezza. Oggi, se vissuto così, il digiuno ha un altro "sapore"!

giovedì 18 febbraio 2021

La vita un intreccio misterioso

Deuteronomio 30,15-20 e Luca 9,22-25


Questo brano di Vangelo si trova tra la testimonianza di Pietro: "Tu sei il Cristo di Dio" e la manifestazione del regno di Dio nella Trasfigurazione sul monte.
Il filo che lega queste due esperienze che fanno i discepoli, è il pensiero stesso di Gesù che mette in evidenza il manifestarsi del suo mistero e le conseguenze per la vita dei discepoli.
La nostra vita è lo spazio privilegiato per gustare l'intima relazione con Gesù. Più spazio (croce) gli diamo, più senso (gloria/trasfigurazione) riconosciamo. La sofferenza del Figlio dell'uomo, allora, non è solo quella evidenza storica che porta alla morte di croce. Esiste una sofferenza di Gesù (del Cristo di Dio), che si rinnova nella sofferenza innocente, che trova risonanza nell'uomo umiliato, scartato è rifiutato; una sofferenza difficilmente sopportabile quando è tradimento degli affetti, dell'amicizia, dell'amore. Ma tutto questo è anche nostra esperienza, ecco allora che il discepolo impara a riconoscere nella fragilità umana lo spazio che "il Cristo di Dio" percorre per salvare tutto e tutti nella morte di croce e nella risurrezione. Il discepolo impara a dare alla propria storia, alla propria vita quotidiana un valore straordinario perché vi riconosce il mistero di Gesù uomo che si rinnova ogni giorno. Ecco che quel: "chi vuole salvare la propria vita", non è solo riferibile all'atto di fede o alle scelte morali personali che producono il dono di una vita piena - perché nessuno può aggiungere un giorno solo alla propria vita, figuriamoci se abbiamo la forza di salvarla -, ma quel salvare la vita si riferisce alla adesione della nostra vita alla vita di Gesù. Quanto il nostro vivere è intrecciato, ispirato, vicino alla vita di Gesù tanto più la nostra vita è intima alla salvezza che è Gesù risorto. La trasfigurazione rappresenta, nell'immagine il compimento della vita di Gesù in noi; rappresenta la conseguenza del negare la vita fatta solo del mio IO per aprirmi al TU di Gesù.

mercoledì 17 febbraio 2021

Anche Gesù ha vissuto la penitenza "quaresimale"



Gioele 2,12-18 e Matteo 6,1-6.16-18
Mercoledì delle sacre Ceneri

Siamo sempre ben disposti a dare consigli e a far fare agli altri itinerari di conversione che magari noi, non abbiamo mai fatto, e che mai faremo. Altre volte prendiamo la "ricetta" del Vangelo: "preghiera, digiuno, elemosina" e la rigiriamo come fosse un assegno in bianco come consiglio penitenziale per tutti.
Oggi mi prende una strana suggestione, quella di pensare che questa pagina di Vangelo è stata ispirata da Gesù dopo che Lui stesso ha sperimentato, la preghiera, il digiuno e l'elemosina. Gesù ha vissuto il suo stare "appresso" al Padre, nella preghiera quotidiana - al mattino presto quando ancora era buoi ... -; nel digiuno, cioè ritagliando in sé stesso sempre uno spazio per l'altro, mostrandosi positivo, accogliente, disponibile, ... offrendo tenerezza; nell'elemosina, attraverso l'esperienza della gratuità del donare e del donarsi.
Credo che Gesù abbia vissuto in modo molto esistenziale, oltre che concreto, queste tre dimensioni della penitenza, e questo è stato per lui occasione di grazia: "lo Spirito del Sognore è su di me ... Lo Spirito mi ha consacrato ... Lo Spirito mi ha mandato ..."

Nel messaggio per la quaresima Papà Francesco ci suggerisce - rivisitata - la classica triade proposta anche nel Vangelo: preghiera, digiuno ed elemosina. Ci dice: "... ogni tappa della vita è un tempo per credere, sperare e amare”. Un appello a vivere la Quaresima come percorso di conversione, preghiera e condivisione dei nostri beni. Occorre lavorare sulla fede che viene da Cristo vivo, sulla speranza animata dal soffio dello Spirito e sull'amore la cui fonte inesauribile è il cuore misericordioso del Padre.

Occorre lavorare ... Ecco allora lasciamoci condurre dalla Parola nell'ascolto fedele e costante, che animerà la nostra preghiera; rinunciamo (digiuno) ai nostri egoismi per avere fame del bene dei nostri fratelli e sorelle; diamo in elemosina soprattutto la nostra tenerezza e amorevolezza (quella che il Signore ha seminato con abbondanza nei nostri cuori).

Buon cammino!



Gioele 2,12-18; Sal 50; 2 Cor 5,20-6,2; Mt 6,1-6.16-18

È quaresima, fratelli ...

 

“Vi supplichiamo, lasciatevi riconciliare con Dio”, dice Paolo ai Corinto. Ma lo dice anche a noi oggi, proprio in questo Mercoledì delle Ceneri. Un tempo di grazia e di penitenza ma in un modo nuovo!

Questo Mercoledì delle Ceneri partiamo dall’invito a vivere la conversione non come atteggiamento morale e distruttivo, ma come inizio di un processo costruttivo dall'intimo al tutto, dal personale alla realtà.

Nel messaggio per la quaresima Papà Francesco ci suggerisce di rivestire la classica triade proposta anche nel Vangelo: preghiera, digiuno ed elemosina di uno slancio costruttivo e nuovo. Ci dice: "... ogni tappa della vita è un tempo per credere, sperare e amare”. Un appello a vivere la Quaresima come percorso di conversione, preghiera e condivisione dei nostri beni.

Occorre lavorare sulla fede che viene da Cristo vivo, sulla speranza animata dal soffio dello Spirito e sull'amore la cui fonte inesauribile è il cuore misericordioso del Padre.

La fede, si alimenta a partire dalla relazione intima con Gesù e nella preghiera; la speranza apre alla possibilità del nuovo, superando il limite del fare le solite cose; la carità come esperienza di riscatto rivolta ai fratelli, sempre da ricercare, volere e generare.

Ecco che la Fede si genera quando ci si lasciarci raggiungere della Parola di Dio, che non è un nostro sforzo di intelletto, ma è lasciare che Dio che ci raggiunga e ci riempia di sé, di verità. Fede è la scoperta che nasce dal ricevere Dio nella nostra vita: si prende coscienza che lui vuole prendere dimora presso di noi.

La Speranza nasce dal sentire l'appartenenza a Gesù, e scoprirsi testimoni “del tempo nuovo”, in cui Dio “fa nuove tutte le cose”.

C'è un nuovo per cui occorre sperare, nonostante tutto, nonostante i nostri errori, le nostre violenze e ingiustizie e nonostante il peccato che crocifigge l’Amore. Il tempo di Quaresima è fatto per sperare, per tornare a rivolgere lo sguardo alla pazienza di Dio, che continua a prendersi cura di noi e della sua Creazione. Una cura fatta di tenerezza, misericordia, vicinanza, fino a vivere una Pasqua di fraternità.

La Carità, cioè l'amore che è prendersi cura di chi si trova in condizioni di sofferenza, abbandono o angoscia anche a causa della pandemia virale. Nel contesto di grande incertezza attuale lo sguardo di carità permette di cogliere la dignità dell'altro e del povero.

Oggi diamo inizio la quaresima, proprio con questo triplice impegno di conversione:

- della Fede: lasciando ogni giorno spazio alla Parola;

- della Speranza: vincendo le chiusure, affidandomi a ciò che di nuovo l'altro mi offre;

- della Carità: vivendo una vicinanza qualcuno, o a qualche situazione particolare di solitudine, di afflizione, o di bisognoso del mio amore.

Sarà in questa conversione del cuore che scoprirò cosa significa Fratellanza … cosi come ci ricorda papa Francesco al n. 8 della Fratelli tutti!

 

(...) in questo tempo che ci è dato di vivere, riconoscendo la dignità di ogni persona umana, possiamo far rinascere tra tutti un'aspirazione mondiale alla fraternità. Tra tutti: «Ecco un bellissimo segreto per sognare e rendere la nostra vita una bella avventura. Nessuno può affrontare la vita in modo isolato […].

C'è bisogno di una comunità che ci sostenga, che ci aiuti e nella quale ci aiutiamo a vicenda a guardare avanti. Com’è importante sognare insieme! […]

Da soli si rischia di avere dei miraggi, per cui vedi quello che non c'è; i sogni si costruiscono insieme». Sogniamo come un’unica umanità, come viandanti fatti della stessa carne umana, come figli di questa stessa terra che ospita tutti noi, ciascuno con la ricchezza della sua fede o delle sue convinzioni, ciascuno con la propria voce, tutti fratelli!



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martedì 16 febbraio 2021

Non comprendete ancora?

Genesi 6,5-8;7,1-5.10 e Marco 8,14-21


Non capite ancora? Questa domanda/constatazione di Gesù si accompagna con una serie di domande molto importanti, per chi come noi vuole da domani iniziare un cammino di conversine nel tempo di quaresima.
"Perché discutete che non avete pane? Non capite ancora e non comprendete? Avete il cuore indurito? Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite? E non vi ricordate, quando ho spezzato i cinque pani per i cinquemila, quante ceste colme di pezzi avete portato via?"
Gesù sembra dirci che possiamo cercare anche tutte le risposte esatte a tutte le domande, ma è tutto inutile se poi non riusciamo a capire l'evidenza del segno: Lui, il Signore è con noi, nella nostra vita di tutti i giorni. Il segno del pane che anche noi abbiamo mangiato in cinquemila e in quattromila, non è stato sufficiente, per riuscire a riconoscerlo, eppure Lui era con noi. Gesù rimane al di là del segno, rimane nell'amore che sentiamo gli uni per gli altri, rimane nella Parola che ascoltiamo; rimane nella misericordia che generiamo perdonandoci.
Nella quaresima siamo come sulla barca che attraversa il lago, verso la sponda nuova della risurrezione, e Gesù è con noi in questa barca! 

lunedì 15 febbraio 2021

Nessun segno ...

Genesi 4,1-15.25 e Marco 8,11-13


Si può chiedere un segno dal cielo, da Dio? I farisei chiedono insegno dal cielo ... Ancora una conferma, ancora un miracolo che susciti meraviglia ... Ma questa insistenza sulla riprova dei fatti, non è semplicemente la conferma della loro indisponibilità ad aprirsi al Vangelo, a convertire il cuore? Chiedere un altro segno, e poi ancora un segno ... E poi ... E poi la vita, come non è cambiata fino ad ora, non cambierà neppure dopo. Non dimentichiamo che per scribi e farisei i segni che Gesù compie sono segni del demonio; egli agisce in nome di Belzebù.
La reazione è di Gesù sembra quasi istintiva, sembra addirata, sembra offesa dalla ostilità presuntuosa e arrogante dei farisei. "Li lasciò, risalì sulla barca e partì per l’altra riva". In realtà tutta la nostra vita è fatta di segni: il nostro comunicare è fatto di segni: la parola sono segni; il nostro amare si esprime in segni di conferma; le nostre relazioni sono segni (+/- significative); ecc ...
Ma il segno non è solo una evidenza, il segno implica una adesione, una partecipazione. Il segno non agisce in se stesso: se io non conosco una lingua, i suoi segni restano muti; se io non desidero essere amato i segni di conferma cadono nel nulla; se io non apro la porta all'altro, ogni segno relazionale resta disatteso.
Il segno che Gesù compie c'è ed è ben chiaro, è il segno del pane; il problema è l'indisponibilità ad esserci per quel segno. Se siamo indisponibili verso Gesù, non c'è segno che possa aprire il cuore. Gesù se ne va, dopo aver sentito nella profondità del suo cuore un abisso che non trova appiglio nella possibilità di quei farisei, dopo il segno del pane, c'è solo il segno di sé stesso, e quello proprio non lo vogliono prendere in considerazione.
Quale segno oggi Gesù mi offre attraverso se stesso?

domenica 14 febbraio 2021

Incontrare la fragilità.

 Lev 13,1-2.45-46; Sal 31; 1 Cor 10,31-11,1; Mc 1,40-45



Una immagine quella del Vangelo che ci precipita nel cuore della misericordia: un uomo lebbroso, nascosto al mondo, bendato per non mostrare l'orrore del suo male, che porta a Gesù la sua umile voce ... "Se vuoi puoi purificarmi ..."

Nessuna pretesa solo la voce di un uomo umiliato e ferito dal male, da un male che uccide; ma soprattutto un uomo scartato escluso. È quella voce che commuove le viscere del Signore al punto di porgergli la mano e a toccarlo. Le Parole di Gesù sono chiarissime: "lo voglio, sii purificato ..."

Gesù non rimane indifferente di fronte alla supplica dell'uomo, e il Suo desiderio è quello di corrispondere alla preghiera. C'è in Gesù il desiderio di riconsegnarlo alla sua vita, alle sue relazioni umane.

Ma procediamo con calma, occorre che esercitiamo il nostro sguardo a rileggere la quotidianità alla luce del Vangelo.

"Se vuoi puoi guarirmi?": chi sono i lebbrosi oggi? Sono quelli che sono scartati dalla società, dalla economia, dalla pandemia e dal progresso, sono quelli che hanno perso gli amici, la casa e il lavoro ... Sono tutti quelli che subiscono la cultura della marginalizzazione e che non riescono a stare al passo perché sono considerati non utili ai vari interessi e al sistema. La lebbra uccide: essere scartati è come morire ... È da questa zona di ombra del mondo che si eleva un grido dimesso: "se vuoi puoi guarirmi". Il lebbroso quel grido lo consegna a Gesù, a Dio ... Oggi quel grido passa anche per le nostre orecchie.

Possiamo fare finta di non sentirlo, ma quel grido è voce che non si estingue. E risuona nella nostra vita. "Puoi guarirmi" ... Aiutami a non morire in questa solitudine e disperazione.

"Lo voglio": la risposta di Gesù, è la risposta di Dio, è la risposta della compassione e quindi della misericordia. Lo voglio! Cosa significa questo volere; cosa comporta?

Credo prima di tutto, sia espressione di una vera apertura del cuore e dei sentimenti. Significa aprirsi al lebbroso e scendere a contatto con la sua fragilità. Come San Francesco d’Assisi, che li abbracciava e baciava.

Siamo bravi nel fare l’"elemosina", ma raramente ci facciamo carico direttamente coinvolgendoci, mettendoci la faccia.

Ma quel io lo voglio, implica una assunzione diretta e personale, non un demandare. Occorre che impariamo di nuovo a commuoverci, a provare compassione e a chinarci sulla fragilità e sui limiti dei fratelli, così come anche io verrei che qualcuno si chinasse sulle mie fragilità. Lo voglio, per ciascun discepolo è l’educazione della volontà.

"Si guarito": e la gioia accompagna il nostro agire di misericordia, una gioia che non si riesce a contenere per ciò che è accaduto. Fare esperienza della gioia dei fratelli, quando sono risollevati nella misericordia ricevuta e dalla compassione che è amorevole fraternità.

Un lebbroso allora non è uno sventurato colpito da una infame malattia, ma sono tante vittime dei nostri sistemi e feriti dalla durezza della quotidiana esperienza umana.

Come discepoli non possiamo non essere attenti ai sentimenti e ai gesti di Gesù: Tendere la mano come Comunità è l’unico modo per creare occasioni, per rigenerare relazioni feconde e vere. Tendere la mano è un gesto semplice che ci aiuterebbe a vincere certe nostre classiche ipocrisie che nascono dalla paura di chi scartiamo.

Si vince lo scarto e la paura con l'esercizio dell'inclusione, in questo si alimenta la naturale esperienza della fraternità che è fondamento del nostro essere persone, e figli di Dio.

sabato 13 febbraio 2021

Una seconda moltiplicazione del pane.

Genesi 3,9-24 e Marco 8,1-10


A Tabga sul lago di Galilea, nei pressi di Cafarnao, la tradizione ci consegna il luogo della prima moltiplicazione del pane e dei pesci, così come già attestato da Egeria (pellegrina egiziana del IV secolo). Ma sia Marco che Matteo ci riportano anche una seconda moltiplicazione del pane; come considerarla? Un duplicato redazionale, con sfondo catechistico per riaffermare la centralità eucaristica nella vita dei discepoli?
Non mi addentro in tutte le teorie redazionali e le posizioni esegetiche. Nella lettura che stiamo facendo del Vangelo seguiamo il filo narrativo, anche quando il passaggio da Tiro e Sidone, fino alla zona della decapodi e alla sponda nord-est del Lago, sono uno spazio molto ampio da colmare: sono giorni e giorni di cammino. A me piace ricordare come Gesù a Simone e gli altri che lo cercano, dica il desiderio di andare altrove, di villaggio in villaggio per annunciare il Vangelo. È in questa prospettiva che possiamo leggere, dopo una certa delusione circa la predicazione in Galilea, l'andare verso le zone circostanti pagane. Certamente il modo di porsi di Gesù non è cambiato, il Vangelo non è per un gruppo di eletti, perché il Vangelo è ciò che si genera nell'incontro con il Signore.  Ciò che spinge Gesù a compiere questo gesto (miracolo della moltiplicazione o come piace a me sottolineare, della condivisione, è sempre la compassione, il suo muoversi per incontrare la vita di uomini e donne feriti e umiliati dalla durezza degli eventi e dalla prepotenza dei fratelli. 
Il messaggio del Vangelo non cambia: Gesù si presenta anche ai pagani come colui che sazia, che porta a pienezza. Lui è il pane che nutre la vita e la stanchezza del quotidiano. 

venerdì 12 febbraio 2021

Gesù e i pagani

Genesi 3,1-8 e Marco 7,31-37


Continua il cammino di Gesù fuori dai confini della Palestina, un andare di città e villaggi che coinvolge anche il territorio pagano: la regione di Tiro e di Sidone.
Che cosa racconta il Vangelo, o meglio il Vangelo vissuto e generato in Galilea che cosa diviene quando Gesù - giudeo osservante - entra in terra pagana e con la sua quotidianità genera il Vangelo anche nell'incontro con quegli uomini che non appartengono alla tradizione ebraica? Credo che qui si mostri l'intento, non solo dell'evangelista, ma il pensiero originario di Gesù: abbattere la barriera tra il popolo di Israele e i popoli pagani; infatti ormai è la fede e non l’appartenenza fisica alla discendenza di Abramo la via della salvezza. Questo pensiero di fratellanza universale è certamente origine della azione missionaria di Paolo e dei discepoli delle origini.
È in questo contesto che possiamo rileggere il miracolo della guarigione del sordo-muto, e raccoglie quella provocazione che pone la fede come esperienza della relazione con Dio. Gesù compie gesti che si accompagnano con la fede di una comunità pagana che si pone in ascolto, ma è proprio quell'ascolto che, capace di accogliere i gesti di Gesù, si apre alla possibilità di capire il mistero e di annunciarlo a sua volta. La Fede non è mai una conseguenza razionale, o una accettazione fondata su una verità accettata, la fede è veramente il dono che nasce dall'ascolto e dall'incontro tra Gesù e ogni uomo. Questo dono, accolto, custodito, alimentato e amato è la "vita di fede" che è la vita di chiunque accoglie la Parola e la vive. 

giovedì 11 febbraio 2021

La fede prima di tutto ...

Genesi 2,18-25 e Marco 7,24-30


Tiro è una città pagana, prossima all'attuale confine con il Libano; al di fuori dei territori tradizionalmente riconosciuti come terra di Israele. Marco non ci dice perché Gesù esce dalla Galilea per spingersi anche verso la costa del mediterraneo e verso la zona siro-fenicia. Anche se Marco "prudentemente", non lo dice, così come Gesù entra nel territorio della decapodi, così allarga il raggio di azione e del suo andare per città e villaggi oltre quella frontiera storica, culturale e psicologica che è la terra di Israele.
Nel Vangelo di Marco, tutti gli studiosi, riconoscono il tema trasversale del "segreto messianico", come dire, tutti sanno che Gesù è il messia, ma questa evidenza sarà palese a tutti solo sulla croce e nella resurrezione. Ma se questa consapevolezza nascosta caratterizza la predicazione in Galilea e Giudea, per Marco, quando Gesù entra nei territori pagani, Gesù è cercato e riconosciuto nell'esperienza della fede.
La dinamica della fede è "forse" la chiave di lettura per superare un paradossale vincolo che gli evangelisti pongono sulle labbra di Gesù in ordine alla predicazione del Vangelo: predicare alle le ire perdute della casa di Israele e di non andare tra i pagani.
Un vincolo che viene comunque smentito dagli stessi evangelisti nel mandato missionario: "Andate e fate discepoli tutti i popoli".
Ci sono tensioni, contrapposizioni circa il modo di intendere e vivere ma missione. Un po' come oggi, quando dobbiamo intendere l'andare alla periferia del mondo, aprirci a chi è lontano e scartato.
Il Vangelo di oggi rappresenta una chiave interessante perché esprime prima di tutto il primato della fede in relazione all'incontro con il Signore, quale condizione prioritaria rispetto a qualsiasi progetto o prospettiva missionaria e di annuncio. Dove c'è la fede c'è una relazione che apre alla verità e alla salvezza.

mercoledì 10 febbraio 2021

Da dentro viene tutto ...

Gen 2,4-9.15-17 e Marco 7,14-23


Che cosa rende impuro l'uomo? Cioè che cosa causa quella condizione che impedisce all'uomo di essere gradito a Dio, e di compiere quegli atti di culto che esprimono la comunione con Yhwh? Nella tradizione religiosa ebraica ogni situazione di peccato, ogni condizione e trasgressione di leggi e precetti che genera peccato rende impuri, cioè non idoneo alle attività sacre. Questa impurità era talmente sentita che sono tantissimi i ritrovamenti archeologici riferiti a "mikveh" (bagni/vasche rituali) necessari per immergersi ed essere riabilitati nello stato di purità. Una vera gabbia, fatta quindi di prescrizioni e di divieti, ma anche di scrupoli e di un moralismo portato fino ai minimi aspetti della vita. Forse adesso riusciamo a capire la reazione fortissima, quasi arrabbiata di Gesù. Egli si scaglia contro questo tradizionalismo che trasforma il rapporto con Dio in una formalità morale che annulla la misericordia come fondamento della relazione tra uomo e Yhwh. Il tradizionalismo ebraico sembra dimenticare che Yhwh è "misericordioso e pietoso, lento all'ira e grande nell'amore".
Il formalismo morale, è capace di mettere in silenzio la voce del cuore ... Per quanto il cuore sia il guazzebuglio dei nostri sentimenti; sia la contrastante reazione alle situazioni che viviamo e possa farci anche soffrire e suscitare dubbi o confusioni; tutto questo è meglio che una vita imbrigliata da precetti e scrupoli di coscienza. Essere puri davanti a Dio, è il frutto di una amorevole cura che ciascuno è chiamato a fare di se stesso, alla luce dell'amore e della Misericordia che si sperimenta come prossimità di Dio. Non si è puri perché si è impeccabili, si è "puri" nel momento stesso in cui siamo capaci di discernere la nostra "complessa interiorità" - Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo - con quell'amore che è l'unica forza sovrumana necessaria e utile per la conversione del cuore.

martedì 9 febbraio 2021

Di cose simili ne facciamo molte ...

Genesi 1,20-2,4 e Marco 7,1-13


L'eco della Galilea è giunto anche a Gerusalemme. Al cuore di Israele, e soprattutto nel centro della religiosità: la città santa dove si trova il tempio di Dio, il Santo dei santi, l'altare del sacrificio. Ma tutta questa sacralità è declinata nel rigorismo della legge e dei precetti. Tutto è codificato, nulla è lasciato alla spontaneità del fedele. Scribi, Farisei, dottori della legge, e Sacerdoti, sono i garanti di un sistema religioso-politico, che ha come fine la tutela dell'identità ad ogni costo, anche a costo di trasformate la fede di Abramo in una ritualità piena di segno è vuota di vita e di Dio.
Ecco che Gesù è subito percepito come una minaccia al sistema, come una voce dissonante, e d'altronde, egli non evita lo scontro è a parole, anche ora in Galilea, non risparmia un affondo che gli costerà una immediata ostilità: " Bene ha profetato Isaìa di voi, ipocriti, come sta scritto: Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini”. È facile anche per me cadere nella logica dei farisei: sforzarmi di essere corretto, rivestirmi di una immagine formalmente migliore di tanti altri. Ma Gesù in questo brano del Vangelo mi fa capire che la tradizione e le regole non servono a niente se sono fini a se stesse, perché prima di tutto c'è il mio cuore. È ciò che ho nel cuore che poi diventa pensiero, parola, azione: questi sono pieni e densi di significato solo se il mio cuore rimane vicino a Dio. Gesù mi invita a stare presso di Lui, a imparare da Lui e ad amare con il cuore. Quanto è difficile liberarmi dal peso degli occhi degli altri e lasciare che sia l'Amore di Dio a guidare le mie azioni ...


lunedì 8 febbraio 2021

Prende forma il Vangelo.

Genesi 1,1-19 e Marco 6,53-56


Da Cafarnao verso Gerasa; poi ritornarono a Cafarnao e ora diretti a Betsaida, fanno deviazione verso Genesaret ... Il lago rappresenta lo spazio vitale di Gesù, ma anche le occasioni di incontro e di Vangelo."Andiamo altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto". Era questa la conclusione del Vangelo dove Marco  descrive una giornata di Gesù a Cafarnao. "Sono venuto per predicare il Vangelo". Ma a che cosa serve il Vangelo? C'è chi lo  pensa come la cronistoria di Gesù, ma in verità è ben altro! Vangelo sono le parole di vita eterna, parole che ci portano ad accogliere il dono la fede in Dio,  nel quale solo crediamo, ma anche possediamo la vita eterna, in cui vedremo, ameremo e saranno realizzati tutti i nostri desideri. Per fare esperienza di Vangelo si impone il contatto, la relazione, l'andare verso gli altri. Gesù non è un maestro che sta in cattedra e attende che i discepoli vengano a lui, desiderosi di apprendere il suo sapere. Gesù è venuto per andare di città in città, di villaggio in villaggio. Quel Lago ora è ben di più di un luogo geografico, rappresenta lo spazio vitale ed esistenziale dove il mistero di Dio - che vuole essere "con noi" -, incontra realmente la vita degli uomini, al punto che essi stessi non si limitano ad ascoltare; essi vogliono toccarlo, vogliono mangiare il suo pane, vogliono gustare la sua compagnia, finanche potersi dire suoi amici. Il Vangelo non è predicazione ideologica, insegnamento catechistico, ma prende forma a partire dalla vita quotidiana, sono i fatti di tutti i giorni che diventano occasione di novità e di vita vera; è la quotidianità lo spazio che accoglie le provocazioni che Gesù introduce per scuotere e per liberare dalla gabbia del "si è sempre fatto così".

domenica 7 febbraio 2021

Essere i profeti desiderati e attesi.

2 Re 5,1-15 e Luca 4,24-30


Perché tanto sconcerto e sdegno a Nazareth? Forse perché erano state deluse le loro aspettative. Gesù stesso ci dice, fra le righe, quanta delusione di fronte alle sue parole e alla sua persona. Delusione per le sue parole che non sono rivolte esclusivamente a coloro, che si riconoscono gli eletti. Ma come al tempo di Elia, la Parola di Dio diviene vita per una vedova di Sarepta di Sidone - una donna pagana - così oggi la Parola sfugge agli eletti ... è come ci ricorda il papa nella "Fratelli tutti": "Il paradosso è che, a volte, coloro che dicono di non credere possono vivere la volontà di Dio meglio dei credenti" (FT n. 74).
Delusione per la sua persona, come la delusione dello stesso Naman, il comandante dell'esercito del re di Aram, che di fronte a Eliseo, rimane deluso per la "normalità del suo intervento" taumaturgico. Il profeta, uomo di Dio, ma soprattutto che il profeta che è in Israele, in quel popolo che il Signore ha scelto come segno per tutti i popoli.
Gesù riconosce nell'atteggiamento degli abitanti di Nazareth lo sdegno per la delusione; è una reazione sproporzionata che corrisponde alla loro fragilità: non sono i soli destinatari della parola di Yhwh. Essere una primizia non è un privilegio esclusivo, ma è anch'esso un dono di amore. Essere il popolo prescelto non per merito, ma per misericordia, permetterebbe di non cadere nella delusione ma di gioire della Parola, anche quando è profezia di salvezza per ogni uomo; permetterebbe di riconoscere come Dio è padre nella quotidianità dei piccoli segni, delle piccole attenzioni, della normale accoglienza; che chi è "privilegiato" è profeticamente chiamato a esercitare.

La quotidianità di Gesù e la nostra.

Gb 7,1-4.6-7; Sal 146; 1 Cor 9,16-19.22-23; Mc 1,29-39


Quanto è vera la quotidianità di Gesù! L'evangelista Marco ci racconta tra le righe molto di più di quanto riusciamo ad immaginare. Gesù è a Cafarnao già da un po' di tempo; egli si era messo a frequentare quel gruppo di pescatori, quasi suoi coetanei, e al porto e in varie circostanze si sta facendo conoscere. Quel sabato - giorno del riposo -  Gesù va i Sinagoga e lo abbiamo ascoltato domenica scorsa, in compagnia di Giacomo e Giovanni, ma con loro non c'è né Simone, né Andrea. Un particolare per dire che Simone e Andrea non sono stati con gli altri in Sinagoga a compire ciò che il sabato occorreva osservare. Eppure Gesù non disdegna nemmeno quei due pescatori, meno praticanti di Giacomo e Giovanni. Forse in verità erano rimasti a casa a fare altro, e per stare accanto alla suocera malata ... Chi può dirlo con certezza! Marco ci racconta che Dopo la Sinagoga, Gesù vuole raggiungere anche gli altri due e va a casa loro. Li, gli parlano della suocera malata di Simone. Con un gesto silenzioso, senza parole e clamore la guarisce. Dobbiamo ricordare che di sabato era vietato compiere ogni attività ...
Gesù non si lascia imbrigliare dai 1521 precetti della legge. Ma poi peggio ancora, in quella casa quella donna inizia a lavorare e a servirli ...
Ecco il vero miracolo che accade in quella casa: mettersi a servire! La casa di Simone, un po' alla volta diviene la "base", in Galilea, di Gesù e dei discepoli, è icona della Chiesa.
Già da subito lo stile di Gesù si scontra con la religiosità bigotta, e con quelle norme, o imparaticci umani, che rendono l'uomo schiavo, ma in realtà in quella casa accade qualcosa di ancora più importante: si generano relazioni nuove, si recupera il senso profondo della persona, l'umanità si avvicina al Dio con noi, e vivono la stessa famigliarità la stessa fratellanza. Da quel giorno Pietro inizia a trattare Gesù come un vero amico, senza distanza. Quella casa non è più la casa di Simone e Andrea, in quella casa si sta formando la Chiesa, una comunità, la famiglia di Dio, dove nel giorno di sabato, il riposo si sposa con la vita: la gloria di Dio è la salvezza dell'uomo, e l'ascolto della parola è motivo del giorno di festa. Da quel momento in poi, quel luogo diventa segno per tutta la città, tanto è vero che al tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Quella porta segna il passaggio per entrare nella Chiesa... 
La densità degli avvenimenti e ciò che Gesù vive, ci danno il senso di quanto anche il nostro quotidiano possa essere gravido di bellezza, di novità di senso!
Oggi celebriamo in Italia la giornata per la vita. Certamente verremo criticati come oscurantisti e ci verrà obiettato che l'aborto è una conquista di civiltà ... 
Ma noi certi dell'insegnamento di Gesù sappiamo che la vita è dono di Dio e mistero. 
Questo la Chiesa lo ha imparato vincendo quella mentalità fatta di precetti per i quali l'osservanza dell'obbligo era più importante della vita delle persone.
La nostra quotidianità oggi deve risuonare e trasudare della fratellanza che da più parti si vorrebbe cancellare, per dare spazio di nuovo a certe forme di egoismo e di intolleranza raziale e culturale.
Il papa ci ricorda che "la fratellanza è la nuova frontiera dell’umanità. O siamo fratelli o ci distruggiamo a vicenda".
Oggi non c’è tempo per l’indifferenza. Non possiamo lavarcene le mani, con la distanza, con la non-curanza, col disinteresse. O siamo fratelli, o crolla tutto. (...) Fratellanza vuol dire mano tesa; fratellanza vuol dire rispetto. Fratellanza vuol dire ascoltare con il cuore aperto. Fratellanza vuol dire fermezza nelle proprie convinzioni. Perché non c’è vera fratellanza se si negoziano le proprie convinzioni. Siamo fratelli, nati da uno stesso Padre. Con culture, tradizioni diverse, ma tutti fratelli. E nel rispetto delle nostre culture e tradizioni diverse, delle nostre cittadinanze diverse, bisogna costruire questa fratellanza. La fratellanza non è frutto di compromessi ma è espressione dell'amore all'altro.

sabato 6 febbraio 2021

Relazione vera ...

Ebrei 13,15-17.20-21 e Marco 6,30-34


I dodici sono andati in "missione", secondo la parola di Gesù, sono stati accolti, hanno condiviso il Vangelo, quello che loro stessi avevano vissuto insieme a Gesù, ed ora tornati dal maestro raccontano la loro esperienza. Prima di tutto hanno riconosciuto come si sono fidati della parola di Gesù, e di esseri messi in gioco senza nessuna garanzia di successo e di riuscita.
Che cosa è stato vincente in questa prima esperienza missionaria?
Ciò che ha fatto la differenza è stata la loro relazione con il Signore, una relazione che ora si mostra in tutta la sua capacità di rigenerare e di custodire il vissuto: "egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’". È infatti Gesù stesso che si prende cura dei dodici, se ne occupa e li ristora dalla loro fatica. La Parola ascoltata, non è quindi solo questione di insegnamento, e neppure di esperienza fatta insieme, è relazione umana, affettiva, è condivisione e ascolto/accoglienza intima. Entrare in relazione con Gesù - lo era per i dodici, ma lo è oggi anche per noi - permettere alla sua parola di essere riferimento certo e protagonista nella nostra vita. 
La novità di questo maestro, si è rivelata è diffusa attraverso i suoi discepoli, al punto che la gente non si accontenta di un ascolto, ma vuole essere parte attiva della esperienza/relazione: "Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero."
È a partire dalla nostra relazione con Gesù che dobbiamo interpellare oggi il nostro essere suoi discepoli; dobbiamo riconoscere la nostra nostra capacità di essere dono, insieme alla gratuità che nulla pretende in cambio; senza dimenticare la povertà e il limite che noi siamo. "... il Signore nostro Gesù, vi renda perfetti in ogni bene, perché possiate compiere la sua volontà ...", Ebrei 13,21.

venerdì 5 febbraio 2021

Un racconto che non è narrativa

Ebrei 13,1-8 e Marco 6,14-29


La vicenda di Giovanni Battista; i vangeli sinottici (Matteo, Marco e Luca) la collocano nel  periodo della vita di Gesù in Galilea, e in particolare come premessa alla moltiplicazione dei pani e dei pesci. Al di là dello studio della redazione dei vangeli e dell'origine delle fonti, questa collocazione è importante per dare, a questo punto, una lettura univoca sulla persona di Gesù.
Cosa sta suscitando nel pensiero comune la predicazione del maestro di Galilea? Quale rapporto si sta generando tra i discepoli di Giovanni e i discepoli di Gesù? Cosa rappresenta in tutto questo la morte di Giovanni Battista, che oltre tutto è cugino del Signore?
Alcune risposte e sfumature sono importanti e ci testimoniano come l'agire di Gesù si colloca in parallelo a quello di Giovanni, e questo pone domande evidenti sulla loro messianicità, cioè sulla venuta imminente del messia. D'altronde entrambi predicano la conversione e la vicinanza del regno di Dio.
Lo sfondo interessato di Erode, permette di allargare l'orizzonte alle domande che tutti si stavano facendo; domande che sono, sotto certi aspetti, le stesse che erano state rivolte al Battista dagli inviati dei sacerdoti di Gerusalemme. Certamente in Galilea, prima il Battista e poi Gesù, aprono e preparano una forte domanda messianica. La vicenda storica di arricchisce poi, del dramma consumato nella fortezza di Macheronte, dove secondo la tradizione venne rinchiuso e decapitato il Battista.
Ma tutto questo, ci viene raccontato dentro una continuità dell'agire di Gesù. Le domande che tutti si pongono su Gesù; il crimine compiuto (uccisione di Giovanni), pesano nel dire che il tempo del messia è compiuto, ed è quello il regno di Dio che viene. 
Venuta e compimento del regno di Dio: ecco come il mistero del Dio con noi si colloca e si rivela nella moltiplicazione dei pani e dei pesci, per dilatarsi nel ministero in Giudea e a Gerusalemme ... fino alla morte in croce, alla risurrezione e poi ancora alla Chiesa.

mercoledì 3 febbraio 2021

Missione impossibile?

Ebrei 12,18-19.21-24 e Marco 6,7-13


La "missio" che Gesù affida ai dodici, oggi ci sembrerebbe quasi impossibile. Certamente il contesto di vita di quel tempo, e lo stile condiviso fatto di essenzialità e spesso di precarietà, ma accompagnato dal precetto dell'ospitalità, permetteva anche un invio dei discepoli nella certezza di una accoglienza spontanea, che era garantita appunto dalla sacralità dell'ospite, ovvero l'ospitalità come condizione normale ma soprattutto importante. Il Nuovo Testamento; l'esperienza stessa di tutto Israele; come anche la cultura Mesopotamia e Greco-Romana, testimoniano l'ospitalità come condizione appartenente al senso comune della vita sociale.
A volte ci soffermiamo solo sulla essenzialità, sulla provvidenza che i dodici inviati sperimentiamo nel condividere il Vangelo, ma credo che la condizione previa sia proprio l'ospitalità. Dove infatti si viene accolti, in una qualsiasi casa, la benedizione (dicono altri testi) scenderà sulla casa, ma dove non si sperimenta l'ospitalità, scuotete anche la polvere dei sandali. Ecco allora che si evidenzia come Vangelo e Accoglienza (ospitalità), vanno insieme. Il Vangelo non è una pratica spirituale o una teoria teologica, il Vangelo è condivisione di una esperienza viva e di vita. Essere ospitali, essere accoglienti non è una conseguenza del Vangelo ascoltato, ma è parte dell'esperienza del Vangelo.
Chiuderci in noi stessi; segregarci in casa; rifiutare l'approdo ai migranti; disinteressarci dei profughi; volgere lo sguardo a occidente, all'Oceano Atlantico, incuranti della rotta balcanica e delle barche nel mediterraneo ... Non è solo una questione di disinteresse sociale, in gioco c'è proprio la "missio" che il Signore anche oggi ci affida: generare il Vangelo nell'esperienza fraterna dell'ospitalità e della accoglienza.
La mia accoglienza, la mia ospitalità si gioca a partire dai sentimenti che esprimo nei confronti di chi vive accanto a me. Non siamo ipocriti, le nostre acidità, le mostre rigidità e durezze, negano l'accoglienza e l'ospitalità nel nostro vissuto.

Il velo della incredulità

Ebrei 12,4-7.11-15 e Marco 6,1-6

Il rientro in patria di Gesù, tra stupore e scandalo; sull'eco della Parola e dei miracoli, evidenzia che il nuovo Gesù, non è di certo lo stesso che conoscevano a Nazareth. Detto questo, dobbiamo osservare come anche a Nazareth, Gesù, ora, si comporta come a Cafarnao e come si comporta in ogni città e villaggio dove si reca: il sabato insegnava nella sinagoga. L'evangelista Marco non ne parla, ma da Luca sappiamo che quel sabato gli fu dato il rotolo di Isaia e Gesù lesse: "lo spirito del Signore è su di me, per questo mi ha consacrato con l'unzione ..."
Il rientro a Nazareth è un vero "fiasco", la peggiore reazione dopo la richiesta dei geraseni di allontanarsi dalla loro territorio; slanci meravigliati e pregiudizi; rifiuto e commiserazione; tutto questo corrisponde della reazione di Nazareth. Di fronte a tutto questo la sintesi di Gesù è: "E si meravigliava della loro incredulità". Che cosa è l'incredulità?
Quando le orecchie ascoltano ma non sono disposte a fare entrare la Parola; quando  il cuore - cioè gli affetti della vita - si vincola ai ricordi, diventando impermeabile cambiamento; quando l'incontro con Gesù non va oltre l'apparenza del religioso, generando quel velo di separazione da lui che impedisce di varcare la soglia del mistero. Tutto questo è anche nostra incredulità! A Nazareth, solo pochi riescono a oltrepassare quel velo. Per molti, Gesù resta vincolato a vecchie immagini, come le foto d'epoca, belle per raccolte e mostre in sua memoria, ma inutili alla novità dell'annuncio.

martedì 2 febbraio 2021

Portarono Gesù al tempio per offrirlo ...

Malachia 3,1-4 e Luca 2,22-40


Il lungo brano di Vangelo di oggi, denso di situazioni che si susseguono incalzanti e di forti contenuti teologici, rischia di essere inteso solo come, da una parte un evento rituale e dall'altra una vicenda narrativa riferita al bambino Gesù dopo la nascita.
Ciò che mi colpisce sempre è invece il profondo legame con la storia di Israele, con le sue origini, quando la liberazione dall'Egitto è segnata dal sacrificio dei primogeniti, e dal riscatto dei primogeniti del popolo di Israele. Un segno fortissimo: da un lato per la sua efferatezza, dall'altro espressione assoluta di predilezione a parte di Yhwh come anche di consacrazione, appartenenza e offerta da parte di un intero popolo. 
Mi soffermo quindi sulla espressione: "Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore."
La vita dell'uomo è sacra al Signore, e Dio stesso entra nella vita umana, perché è anche sua, e la riempie di sacralità, cioè appartiene al mistero dell'eterno. Ciò che Maria e Giuseppe compiono, va oltre il gesto rituale di una sottomissione alla legge di Mose e alle tradizioni di Israele, quel rito anticipa e rappresenta il segno della liberazione (dalla schiavitù) e del riscatto di una vita per una eredità di pienezza (la terra promessa). Offrire quindi sé stessi a Dio cosa vuol dire? Non è godere già nella vita presente del dono della libertà dei figli per vivere il tempo presente come cammino verso il pieno compimento della nostra chiamata alla vita di Dio, cioè appartenergli? Quando oggi accenderemo quella candela, e vivremo il sacrificio della eucaristia, offriamo noi stessi al  Padre senza esitazioni ...