venerdì 30 novembre 2018

Romani 10,9-18 e Matteo 4,18-22
Festa di Sant'Andrea Apostolo
A causa loro, la parola corre per il mondo ... Corre al cuore!

La nostra fede si manifesta in testimonianza! Se non lo fa' non serve a nulla! La nostra fede - San Paolo lo dice ai Romani - è espressione di come il Signore attraverso l'ascolto della "Parola" ha preso dimora nel nostro "cuore", cioè abita la nostra vita, e se la abita, (indipendentemente dalle inadeguatezze), la fede diventa parte delle nostre parole. La Parola si unisce ugualmente alla nostra pochezza e al nostro limite, per essere annunciata, per essere testimoniata. È una pretesa un nostro annuncio privo di imperfezione, è quasi una giustificazione per non credere e anche presunzione dell'altrui perfezione.
Si evangelizza di "conseguenza"! Un discepolo di Gesù evangelizza, cioè annuncia il Vangelo, non per un incarico particolare, ma per la fede che custodisce nel cuore, in sé stesso. Ecco allora l'importanza di aver cura del dono della Parola, essa è seme che accolto, germina e produce frutto a sua volta, produce seme che a sua volta cerca di radicare nella vita di chi ascolta. È questa l'esperienza della Testimonianza, è questa l'esperienza della Nuova Evangelizzazione.
Tutto il nostro essere di Cristo nasce dall'Ascolto: "Chiunque crede in lui non sarà deluso ...", ed è per questo che per tutta la terra, e a partire dalla Testimonianza "... è corsa la loro voce, e fino agli estremi confini del mondo le loro parole ...".
Ascolto, Fede, Testimonianza, Annuncio ... Queste parole sono sufficienti per ricordarci chi abbiamo nel cuore? Cosa e chi è all'origine della nostra appartenenza? Chi è il Signore della nostra vita? Come la nostra vita lo rivela e manifesta? Quanto attraverso di noi la Parola si condivide si dona all'altro, cioè evangelizza?

giovedì 29 novembre 2018

Apocalisse 18,1-2.21-23; 19,1-3.9 e Luca 21,20-28
Attenzione! (Scusate, ma oggi la meditazione è impegnativa ...)

Occorre fare attenzione per non correre il rischio di capire fischi per fiaschi!
Non lasciamoci prendere dall'ansia di saper se i segni descritti corrispondono agli eventi del nostro tempo.
Come ho già più volte detto, il linguaggio apocalittico ed escatologico è fatto di immagini che dipingono e traducono un genere letterario che non ci appartiene più, è un linguaggio difficile per noi che viviamo in una epoca in cui la virtualità è capace di affermare vera l'irrealtà.
Innanzi tutto il Vangelo di Luca testimonia un fatto non una fantasia virtuale: l'assedio e la caduta di Gerusalemme ad opera dei romani nel 66 dC. Un fatto accaduto, di cui descrive la crudeltà e la drammaticità con le parole e me immagini che da sempre accompagnano e descrivono le ripetute cadute della città Santa. La domanda che si intravede è: perché tutto questo accade? Perché la città di Dio è persa? La risposta è: la causa di tutto è il male e le nostre scelte di male. Il male distrugge ... La caduta di Gerusalemme non è una condanna, un giudizio, ma diviene una immagine della conseguenza del male che distrugge. Ma la radicalità di questa lotta, non è annunciata solo da Luca (storico) nel suo vangelo, le immagini apocalittiche attribuite a Gesù, sono anticipate da Marco 15/20 anni prima della caduta di Gerusalemme. Questa lotta è parte della storia umana e trova nella stessa vicenda di Gesù la sua fine. La lotta tra bene e male, tra vita e morte, trova il suo epilogo nella morte e risurrezione del Signore. È questa la "pietra come macina da mulino" che scagliata nell'universo rappresenta il compimento del Giudizio di Dio (confronta il testo di Apocalisse di oggi).
Ma attenzione, il brano della Apocalisse di oggi, nel suo genere cosi pittoresco, descrive una liturgia celestiale, in cui l'immagine estrema è la mensa eucaristica la festa delle nozze dello sposo che è giunto; ecco la festa a cui i figli di Dio sono accreditati: "Beati gli invitati al banchetto di nozze dell’Agnello!" È questo l'evento di connessione, il segno sacramentale della salvezza.

mercoledì 28 novembre 2018

Apocalisse 15,1-4 e Luca 21,12-19
A causa del tuo nome ...

Prima di chiederci perché a noi, dobbiamo chiederci perché contro Gesù si è scatenata la rabbia, il rifiuto e il desiderio di male e di morte del suo popolo? Perché contro i discepoli di Gesù da subito si scatena la persecuzione?
Non c'è una riposta razionale, non esiste una logica giustificazione del perché di fronte ha una parola di amore, a una proposta di tenerezza, a una esperienza di misericordia - come è la Parola del Vangelo e come è stata la vita di Gesù - si scatena una reazione di ostilità e di odio così grande da essere causa la morte del Signore? Perché Caino uccide ancora Abele, e anche oggi un fratello si scatena contro il fratello/sorella arrecandogli la morte?
Non possiamo negare la realtà del male e del peccato; essa c'è, corrompe ed agisce nel cuore dell'uomo. Ma la redenzione non è forse l'azione del Padre che converte e rigenera il cuore dell'uomo. Non è forse il discepolo di Gesù un uomo che toccato da tanto amore, sente che la sua carne appartiene a Dio e non a se stesso, che la sua vita non è più come quella di tutti, ma è una vita salvata! La nostra testimonianza di salvati e amati da Dio rivela e manifesta la perseveranza dell'amore nonostante il male del mondo. "A causa del tuo nome ..." Gesù ... non ci nascondiamo, non ci vergogniamo, ma poniamo la nostra esistenza come segno in cui il tuo amore ci raggiunge. Di fronte al male solo il tuo amore resiste e redime: "il verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo noi".

martedì 27 novembre 2018

Apocalisse 14,14-19 e Luca 21,5-11
La perseveranza 

É nella fede che si compie il tutto! Questa mattina di fronte alle immagini che la Parola suscita, ci percepiamo in tutta la nostra fragilità e debolezza, eppure siamo parte di quel compimento, la falce affilata è gettata e ..."vendemmia i grappoli della vigna della terra, perché le sue uve sono mature", perché le uve non vadano perse; poi l'angelo "rovesciò l’uva nel grande tino dell’ira di Dio". Non siamo spettatori della vendemmia, siamo grappoli vendemmiati, raccolti e versati nel tino del giudizio del Padre. La vendemmia conduce alle piena rivelazione del mistero della Croce, quindi alla piena manifestazione dell'amore di Dio che trasforma le uve della terra nel vino nuovo che il Signore berrà per appagare la sua sete dell'uomo. In questo "mistico e reale" modo di partecipare alla creazione, a ciascun discepolo di Gesù, viene proposto di essere "fedele fino alla morte, dice il Signore, e ti darò la corona della vita" (Ap 2,10), esso mostra come la perseveranza della fede supera ogni tentazione di comprende in modo meramente umano "il tempo è vicino". Questa vicinanza non è per come la vogliamo noi, e nemmeno perché la vogliamo noi. La perseveranza nella fede conduce ai "grappoli maturi" e determina l'esperienza della vita in modo da "non lasciarci ingannare".

lunedì 26 novembre 2018

Apocalisse 14,1-5 e Luca 21,1-4
Vedovanza e Sponsalità 

La parola "vedova" in greco porta in sé il contenuto e il significato di "privazione", colei che è privata, del marito (le manca la sua parte, quella parte dalla quale lei stessa è stata tolta), dell'amore della sua vita, di ciò che da pienezza alla sua esistenza ecc...
La vedova era quindi privata di una appartenenza, essa non apparteneva a nessuno, la sua vita (quella biologica, nella concretezza del tempo) non era di nessuno.
In realtà tutta la nostra esistenza non è altro che un ricercare e consolidare la nostra appartenenza, perché è nella relazione feconda e amorevole che troviamo la pienezza, il compiersi della nostra natura umanità. Essere di nessuno, "essere vedove" è in un certo modo non esistere. Ciò che fa questa vedova è l'atto estremo, l'estremo tentativo di recuperare la sua sponsalità, raccoglie tutto ciò che è, tutto ciò che rimane della sua vita priva di pienezza e la porta, la offre, a colui che è capace di "redimere" una esistenza (vita) priva di senso, rendendola parte (ridonandogli il ruolo di parte) nel tesoro di esistenza che è la vita che appartiene a Dio.
Fintanto che la nostra appartenenza a Dio si misura attraverso la superficialità, e ciò che è superfluo, non sperimenteremo mai la stringente necessità di offrici come il nostro necessario; il superfluo in realtà continua ad appartiene solo a noi stessi e mai a Dio, solo il necessario, offerto, appartiene a Dio.

domenica 25 novembre 2018

Daniele 7,13-14 / Salmo 92 / Apocalisse 1,5-8 / Giovanni 18,33-37
Festa di Cristo Re dell'universo
Al servizio del gran Re!

La scena descritta dal Vangelo di Giovanni è veramente strana: un uomo che è stato fatto prigioniero, oltraggiato, percosso, avvilito, viene portato davanti al governatore per essere giudicato, portato ai piedi della potenza di Roma ... Eppure solo pochi giorni prima lo avevano osannato come re.
Pilato il governatore (correttamente infirmato dei fatti accaduti) chiede: "Sei tu il re dei giudei?"
È quasi inverosimile ... Può essere un re, quell'uomo, in quelle condizioni?
Per Pilato, la situazione è molto scomoda, e lui personalmente non riesce a capire perché il popolo  e i capi di Israele si siano così accaniti contro chi per tanti è il re dei Giudei.
Per certi aspetti Pilato vorrebbe approfondire, vorrebbe conoscere la verità e chiede a Gesù "dunque tu sei Re?"  ... Ma poi in tutta questa vicenda, preso dall'evolversi della situazione e dal timore, anche lui si arrende e tutto ciò che resta della regalità di Gesù è l'iscrizione sulla croce "Gesù nazareno il re dei Giudei".
Quel titolo, per gli occhi del mondo, rimane però il segno inciso in modo indelebile e innalzato sull'umanità intera: Quell'uomo inchiodato è il Re!
Sotto la croce, sotto i piedi inchiodati del Re, gli uomini hanno avuto i più svariati atteggiamenti: pianto, afflizione, gioia, soddisfazione, ingiuria, invocazione, odio, affidamento e tradimento ... Per noi Cristiani oggi, ancora una volta sotto al Cristo crocifisso,  non ci basta più contemplare - per quanto la contemplazione sia necessaria - non basta fare ammenda dei errori e dei peccati commessi ... No, non basta ... 
Sotto la croce dobbiamo chiederci se è quello il Re che vogliamo servire!
Vuoi servire un Re umiliato che continua ad essere umiliato anche oggi dalla prepotenza di questo mondo?
Vuoi servire un Re oltraggiato, torturato, vilipeso, che continua ad essere oltraggiato nel l'umanità di tanti perseguitati e diseredati?
Vuoi servire un Re rifiutato dai suoi parenti, dalla sua casa, dal suo popolo e abbandonato - profugo - nelle mani dei nemici?
Vuoi servire un Re sofferente, di una sofferenza straziante e lacerante, un dolore che oggi si rinnova in tanta carne umana?
Vuoi servire un Re dimenticato scartato come inutile agli occhi delle logiche di mercato e del profitto della finanza?
Vuoi servire un Re il cui buon nome è stato infangato da quegli uomini che per primi gli hanno giurato fedeltà e obbedienza?
Vuoi servire un Re il cui regno non è di questo mondo, e che in questo mondo è solo profezia del regno che verrà?
Vuoi servire un Re che non ha nessun potere se non la forza dell'amore, quando quell'amore trova una breccia nell'amore dei fratelli?
Chi vuoi servire? Vuoi servire questo Re, o te stesso, rinnegando il Re dei Re, il Re dell'universo?
Oggi noi cristiani non concludiamo semplicemente nel rito un anno liturgico, ma rinnoviamo il nostro contratto di servizio al Re, al nostro Re!
Ecco il giuramento, ecco il contratto che oggi sottoscriviamo nel sangue, sì perché promettiamo di essergli fedeli e di dare testimonianza fini allo spargimento del sangue!
"Mi ami tu più di costoro"?? È questa domanda l'unico nostro impegno, l'unica condizione vincolante che ci unisce  inscindibilmente al nostro Re. E la risposta è semplicemente quella di Pietro, "Signore, tu sai che ti amo!" Le condizioni di un tale amore, ovvero un tale contratto di servizio, sono a vantaggi di tutti!

sabato 24 novembre 2018

Apocalisse 11,4-12 e Luca 20,27-40
DNA divino ...

Una immagine, quella dell'Apocalisse, non facilmente decifrabile, una immagine che suscita paura e nello stesso tempo angoscia: è la trascrizione di una immagine di ingiustizia, iniquità ... Il modo rifiuta e si ribella alla Parola del Padre, che è mandata per riportare ogni uomo nel cuore del Padre. Quella parola di vita che può condurre l'uomo alla verità viene sistematicamente rinnegata dal ragionamento di questo mondo. Non è semplicemente una difficoltà del nostro tempo, essa è una costante della storia umana. L'Apocalisse non descrive quindi i tempi della fine e neppure profetizza ciò che deve accadere; in realtà essa racconta la lotta tra il bene e il male, tra la vita e la morte, tra l'amore e il disprezzo, tra Dio e l'uomo. Racconta la difficile relazione tra Dio e la creatura, una difficoltà che nasce dalla fatica di essere umanamente figli e come tali, necessariamente riconoscere un Padre. Fintanto che ci ostiniamo nell'essere figli di questo mondo, ci ostiniamo a "generare" (prendono moglie e prendono marito) per perpetuare questo mondo; ma quando la Paola del Padre fa breccia di fronte alla nostra presunzione di dominio di questo mondo, solo allora ricordiamo la tenerezza di un Padre che ci ha già fatto figli della risurrezione, figli di Dio! La crisi della fede non è crisi dei principi o dei valori morali - che restano per certi versi ampiamente condivisibili -, ma è dimenticanza della risurrezione come parte del nostro DNA divino. DNA divino ... Se siamo figli di Dio, nostro Padre è il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe ...

venerdì 23 novembre 2018

Apocalisse 10,8-11 e Luca 19,45-48
"... pendeva (era sospeso/ appeso) dalle parole delle sue labbra "

Che cosa è il Tempio per Gesù? Come per tutti gli ebrei è la casa di Dio, così come è espresso nel desiderio del Re Davide, realizzato da Salomone. È la casa di Dio sulla terra, in cui ogni ebreo, appartenente all'alleanza in Abramo può stare alla presenza di Dio; in ascolto della Paola (Ascolta Israele ...), appeso alla Parola. L'ascolto della parola per un ebreo è sempre ben di più che un momento dell'intelletto. L'ascolto è condizione di conformazione della vita alla Parola; l'ascolto è esperienza di preghiera, nel quale ci radicalizziamo, cioè mettiamo radici e prendiamo consapevolezza del nostro essere di Dio. In questo senso la radicalizzazione non è negativamente un estremismo. Dal brano del Vangelo riceviamo questa immagine: tutti sono nel Tempio di Dio, proprio tutti: Gesù, i Sommi sacerdoti, gli Scribi, i Notabili, e il Popolo ... Nessuno è escluso dall'ascolto della Parola di vita, perché esso è fonte della vita che ci è donata attraverso l'Agnello immolato. Questo ascolto è dolce e affascinante (condizione della bocca) ma quando entra nella vita reale provoca amarezza(condizione delle viscere).
La dolcezza della Parola ci rivela la bellezza, la tenerezza e la bontà del Padre; la Parola porta a Lui, porta alle sue dimore. Senza mangiare della Parola, non gusterò mai la Sua presenza, non mi consolerò mai nel fare memoria, ogni giorno delle sue Parole.
L'amarezza della Parola è la conversione della vita, è la necessaria fatica di chi passa dall'Ascolto al Comprendere; dalla vita per sé alla vita per il Signore, è una amarezza che serve a crescere in umanità e Santità. 

giovedì 22 novembre 2018

Apocalisse 5,1-10 e Luca 19,41-44
Vidi un Agnello ...

L'immagine dell'Apocalisse si lega all'immagine del pianto di Gesù, un accostamento che mette in relazione il compimento della realtà storica dell'uomo alla presenza pasquale "dell'Agnello come immolato ..."
Un Agnello sacrificato (immolato, cioè offerto in sacrificio) che, così come il suo sangue fu capace di liberare dalla morte i figli di Israele (schiavi in Egitto), così ora nella gloria è capace di dischiudere il libro della vita, il libro dei sette sigilli, perché i figli di Dio siano riscattati per la vita eterna.
Il modo di leggere questa pagina, ci sfugge, ma d'altronde alla nostra idea di sacrificio non appartiene più la condizione del gesto religioso sacrificale. La nostra espressione religiosa è al confronto troppo povera per potersi identificare in quel segno liberante e glorioso. Questa distanza e insieme identificazione, tra realtà e mistero rivelato, è il motivo della reazione di Gesù alla vista di Gerusalemme: il suo pianto avvolge l'incapacità della città di accogliere l'Agnello che verrà sacrificato, come pure tutta la vicenda umana di Gerusalemme che sta per precipitare nel vortice distruttivo degli eventi della storia. Nessuno deve dimenticare che passato, presente e futuro, nell'accostarsi di Cristo, Agnello incarnato, immolato e risorto, sono unificati e concatenati nell'unico disegno salvifico del Padre. Non è forse questo il modo cristiano di fare discernimento alla luce della Parola? Non siamo noi a dare il senso alle cose, ma sono le cose a ricevere senso attraverso la partecipazione al mistero di Dio.

mercoledì 21 novembre 2018

Apocalisse 4,1-11 e Luca 19,11-28
Davanti a tutti salì a Gerusalemme 

"Dette queste cose Gesù andava avanti salendo a Gerusalemme". Questa immagine riassume in sé la certezza che tutto ciò che precede questo momento è con Gesù nel suo andar a Gerusalemme, nel raggiungere il compimento.
Ciascuno di noi, appartiene alla storia della salvezza ed è con Gesù in questo avvicinamento alla pienezza che deriva dalla Risurrezione. Per Gesù salire a Gerusalemme ha un solo significato: dare compimento a tutta la volontà del Padre in piena libertà e offerta gratuita e totale di sé stesso, per la salvezza eterna di tutti gli uomini. Questo non è lo sfondo rispetto al quale si dispiega la nostra storia fatta di tradimenti, rifiuti, di affidamento di dieci mine, di conteggi di giuste e ingiuste amministrazioni delegate ... Tutto questo non ha come sfondo Gesù e la sua determinazione nel compiere la volontà di Dio; ma tutto quanto noi viviamo si radica in modo fecondo o sterile nel compimento della salvezza.
Non pensiamo che i nostri rifiuti rispetto al bene siano marginali rispetto alle scelte di carità; non pensiamo che il nostro accaparrarci i beni della terra a svantaggio dei poveri sia irrilevante nella manifestazione della giustizia; non pensiamo che la non accoglienza dello straniero non avrà implicazioni rispetto alla chiusura e sterilità di un "occidente" sempre più avaro e sconsolato, preoccupato più del dovuto della sua auto-sussistenza.
Salire a Gerusalemme è come presentarsi al trono di Dio (cfr Apocalisse 4,1-11), che è ora sceso sulla nostra terra, per cui ora la gloria (Dio amore) è accessibile come il frutto delle 10 monete d'oro.

martedì 20 novembre 2018

Apocalisse 3,1-6.14-22 e Luca 19.1-10
Ecco io mando il mio Angelo ...

Le sette lettere alle sette Chiese (comunità apostoliche), forniscono una immagine ecclesiologica importantissima: Dio parla alla Chiesa, e attraverso i suoi messaggeri la sua parola corre veloce (come al tempo dei messaggeri imperiali) per raggiungere ogni uomo che vive sulla terra e invitarlo alla conversione.
Ecco che le sette lettere sono Parola di Cristo, messaggio di Dio per la conversione. Chi è che parla? Parla "Colui che possiede i sette spiriti di Dio e le sette stelle"; "Così parla l’Amen, il Testimone degno di fede e veritiero, il Principio della creazione di Dio".
Ci è inviata quindi una Parola autorevole! Capace di elevare a Dio o di rovinare nella misura in cui non è accolta nella fede. Alla Chiesa di (...) Il messaggero porta l'invito a continuare il cammino, nella perseveranza (non hanno macchiato le loro vesti); alla Chiesa di (...) il messaggero chiede di aprire il cuore a colui che bussa alla porta e di non corrompersi nelle vanità e concupiscenze del mondo.
Alla Chiesa di Gerico e a tutti i "Zaccheo" sparsi sulla faccia della terra il messaggero porta la certezza rispetto al desiderio di incontrare il Cristo: "scendi subito, oggi vengo a casa tua"; "oggi la salvezza è giunta per questa casa ... è giunta per tutti i figli di Abramo"; per chi vuole essere salvato, la salvezza è arrivata ... Non c'è tempo da perdere, nell'immediatezza della sua venuta il Signore ci chiede di non ritardare l'accoglienza. Oggi lasciamo dimorare Gesù i noi! Mettiamo a tacere la nostra voce, i nostri pensieri, i nostri argomenti ... e lasciamoci condurre dall'ascolto della sua Parola che salva i perduti i vari disperi (... anche noi)!

lunedì 19 novembre 2018

Apocalisse 1,1-5;2,1-5 e Luca 18,35-43
Il tempo infatti è vicino!

Iniziamo questa stamattina la lettura del libro dell'Apocalisse, questa volta impariamo a stare davanti a questa parola come se fosse proprio per ciascuno: "è una rivelazione di ciò che deve accadere fra breve; Dio ce la consegna perché noi siamo suoi servi."
Ed è proprio il rapporto, ciò che ci lega a Gesù che ci rende idonei a comprendere queste Parole, affinché custodendole impariamo a fare discernimento della realtà. Allora, alla luce della Parola impariamo a collocare la volontà di Dio non come un di più o qualcosa che sta fuori dalla vita quotidiana, ma come manifestazione a partire dalla realtà.
Il tempo è vicino! Il  kairos è prossimo ed è proprio questa intima vicinanza che interpella ciascuno nel riconoscere Gesù figlio di Davide, cioè messia, cioè colui che ci è stato inviato, dato! Interpella noi, come fossimo la comunità di Efeso, per suggerirci di ricordarci del "primo amore", di quando per la prima volta ci siamo lasciati affascinare da Lui! "Signore, che io veda di nuovo!"
Con le parole del cieco di Gerico, anche noi, per rimetterci in cammino, abbiamo bisogno di vedervi di nuovo, come la prima volta che lo abbiamo visto e riconosciuto come "Colui che Parla" e ci chiama a sé: "come il testimone fedele, il primogenito dei morti e il sovrano dei re della terra!

domenica 18 novembre 2018

Daniele 12,1-3 / Salmo 15 / Ebrei 10,11-18 / Marco 13,24-32
Nel compimento del tempo ...

Tutto è in cammino verso il suo compimento; questa idea accompagna la comprensione anche del nostro cammino personale di vita e di fede. Anche per noi arriva, imminente, il giorno della grande tribolazione, quando saranno sconvolti il cielo è la terra e la nostra vita si confronterà con la parola che non passa, cioè Gesù stesso!
(...)
Mi soffermo solo sulla povertà, considerando la giornata mondiale dei poveri che papa Francesco ci ha affidato.
Essere poveri, essere vicino ai poveri, condividere la povertà è parte della scelta di vita cristiana (forse lo abbiamo dimenticato) e si traduce nel ricercare e vivere la povertà di Gesù. Gesù pone attraverso se stesso una chiave di lettura secondo la povertà.
Esser poveri prima di tutto è una scelta che nasce nell'imitazione di Gesù: come Lui è stato povero.
(...)
Cristo è povero: egli si spoglia di tutto, di se stesso per accogliere la volontà del Padre e darsi ai fratelli. Questo è la vera povertà.
Non è sufficiente dare delle cose ... Riempi solo dei bisogni.
Non è sufficiente fare l'elemosina ... Lasci i poveri (gli altri) fuori dalla tua vita.
Non è sufficiente "confortare" ... Le nostre parole sono inadeguate, sempre.
Se pensiamo di confrontarci con la povertà in questo modo, non abbiamo cristianamente capito nulla!
Se Gesù è povero in senso pieno, chi sono i poveri?
Noi stessi dobbiamo diventare poveri, per poter incontrare la povertà degli altri, non per farli ricchi di cose ma per arricchirli di Dio, allora resteranno poveri per sempre, ma sempre ricchi del suo amore per loro.
Soccorrere gli indigenti, gli affiatati è una esperienza di confronto con la povertà che necessita del dare anche la fede, del contatto di Gesù povero con i poveri, altrimenti non si è Chiesa, ma si è una ONG di beneficenza.
Fare l'elemosina, non può essere una delega in bianco per contrastare la povertà, la mia elemosina deve accompagnare la mia persona a incontrare nella vita la povertà, a mettere in comunione la mia povertà con la povertà dei fratelli.
Consolare i poveri, non costa nulla! Cosa ci perdo! Ci perdo tutto perché le mie parole possono essere delle menzogne se non sgorgano dall'amore per la Parola di Gesù, dalla esperienza della sua povertà, dalla gratuità della mensa del suo corpo e sangue.
Ecco che la povertà ancor prima di essere un problema, sociale, economico e mondiale - e lo è - rappresenta una delle immagini della esperienza viva della Chiesa povera e spogliata di ogni vanità per essere ricca dell'amore del Padre. Gesù ci mostra tutto questo!
Ecco che la chiesa deve assolutamente essere povera e spogliata di tutto per poter mostrare e donate a tutti la sua ricchezza che mai si deve estinguere.
"Una volta i cristiani erano poveri e volevano una Chiesa ricca; oggi i cristiani sono ricchi e pretendono una Chiesa povera!" Caro Cardinal Biffi, avevi proprio ragione!

sabato 17 novembre 2018

3 Giovanni 1,5-8 e Luca 18,1-8
Ma il Figlio dell'uomo, quando tornerà, troverà ancora la fede sulla terra?

Questa frase del Vangelo di Luca risuona come un grido di disperazione!
Cosa intende per fede il Signore, nel suo ritorno?
In una situazione attuale in cui assistiamo, passivi, alla conclusione di un travaglio epocale circa la fine della cristianità, cioè di un cristianesimo di massa, di convenzione sociale, che si dissolve nella globalizzazione e nella liquidità impersonare della società e dello svuotamento di senso e dei principi dell'etica teologicamente fondata, cosa possiamo intendere per fede?
È comunque interessante rileggere questa pagina per capire come la fede, Gesù la lega alla esperienza della preghiera, alla perseveranza del domandare ... Alla condizione svantaggiata di essere una vedova ...
Occorre apprezzare la vedovanza, come spazio umano in cui si sperimenta la provvidenza e la misericordia di Dio. Ciascuno deve riservare parte di sé per offrirsi a Dio in una relazione che è amorevole dialogo e integra vicinanza. Essere "vedova" è sperimentare questa condizione svantaggiata agli occhi del mondo, sempre desiderosa di essere colmata e sempre segno di un affidarsi a qualcun "Altro".
È in questa dinamica che possiamo riconoscere la fede come apertura al mistero, discernimento di se stessi, e spazio di umana conversione nell'imitazione di Gesù.
San Paolo ci testimonia la fede come dono, un dono che però non è di tutti ... specialmente in questo nostro tempo e in questa nostra cultura disgregata.

venerdì 16 novembre 2018

2 Giovanni 1,3-9 e Luca 17,26-37
Senza paura, ma saldi nella fede ... stiamo nel mondo

Arrivati in prossimità della fine dell'anno liturgico la liturgia della Parola propone i vangeli in chiave escatologica, essi pongono dei contenuti e delle visioni certamente non semplici o immediate. Quale è il senso di queste parole i Gesù? Credo sia quello di imprimere nei discepoli la consapevolezza che la sequela del maestro non è semplicemente una "fede morale". È estremamente facile ridurre tutta l'esperienza della fede alla "cristianità": contenuti, principi, tradizioni che ci riportano a Gesù, senza per altro generare in noi l'incontro con lui.
La lettura della Parola si pone di fronte a tutto quanto accade in questo nostro tempo, e come per altri tempi, ci conduce a prendere coscienza della fine del tempo e del fine del tempo; della manifestazione dell'anticristo e della mancata adesione fedele all'unico comandamento necessario, ricevuto, quello di vivere nell'amore di Dio e dei fratelli.
Fine e compimento rappresentano la fase conclusiva dell'esperienza della fede. Sono i cardini di una dinamica umana che comporta costantemente la maturazione del cammino di umanizzazione, ma anche di adesione al Signore. Sono lo sfondo in cui siamo chiamati a fare discernimento nello Spirito Santo: non una comprensione della realtà (seppur difficile e complessa), ma l'assunzione attraverso la realtà che ci è data, della piena volontà di Dio - Ecco signore io vengo per fare la tua volontà -.

giovedì 15 novembre 2018

Filemone 1,7-20 e Luca 17,20-25
E' stato "scoperto" il regno di Dio!

Falsa illusione quella di un regno che renda giustizia a certe nostre attese: di riscatto dell'esperienza della fede; di riconoscimento del ruolo sociale della Chiesa; di nostalgia per una considerevole adesione all'annuncio di Gesù ...
Ma dove è questo regno, che cosa è questo regno ... ci potrebbero chiedere in tanti?
Giunti al termine dell'epoca della cristianità si inaugura la nuova evangelizzazione! Il regno di Dio è in mezzo a noi! Si, esso si rivela nella novità di vita di chi nella fede sceglie Cristo. Paolo, a ragione, dopo tanta fatica nell'annunciare Il Signore risorto,  potrebbe dubitare della vicinanza del Regno, ora che in prigione è prossimo alla condanna a morte. Ebbene la sua fede, proprio in prigione è stata capace di generare alla vita in Cristo il suo servo. Questa esperienza di prossimità permette a Paolo di riconoscere e affermare come l'amore di Gesù per ciascuno rende evidente il Regno nella sua prossimità e concretezza. Il regno è in mezzo a noi e si manifesta per la potenza di Dio nella nostra testimonianza di amore al Signore. Questa è la nuova evangelizzazione, il post cristianesimo, il lampo che brilla da un estremo del cielo all'altro estremo ...
Occorre che ciascuno di noi si convinca che il regno di Dio si fa vicini nella misura in cui permetto la prossimità tra Gesù e la mia vita, questa esperienza che è fede, necessità della testimonianza, cioè della visibilità della scoperta.  

mercoledì 14 novembre 2018

Tito 3,1-7 e Luca 17,11-19
La fede guarisce (salva) la vita

La fede non è l'atteggiamento religioso e neppure l'atto di adesione alla verità rivelata ... C'è nella esperienza della Fede qualcosa che ci sfugge!
Credere ogni giorno che Dio è salvatore nostro e che per misericordia abbiamo la vita eterna ci garantisce dall'appropriarci dell'atto di fede con l'orgoglio di chi si sente bravo nel rispondere alla proposta di Dio.
Un tempo - dice San Paolo -  eravamo insensati e disobbedienti, ma in realtà questa condizione rischia di rinnovarsi ogni mattina e se non ritorniamo al Signore a rendere grazie del battesimo che mi immerge nello Spirito che ci risana dalle fragilità dalle nostre "odiose" fragilità.
La fede è esperienza della grazia, della misericordia; una esperienza che si rinnova di giorno in giorno come gratitudine rispetto all'amore che "ha pietà di tutti noi".
Il samaritano a differenza degli altri nove, vive con gratitudine l'esperienza di aver incontrato misericordia; quando il mistero di Dio, diventa esperienza della nostra umanità è stupendo riconoscerne le conseguenze. Ecco perché la fede non è un atto per sempre, ma un rinnovare per sempre, ogni attimo della vita l'esperienza di essere stati salvati, diversamente ce ne dimentichiamo immediatamente come i nove lebbrosi.

martedì 13 novembre 2018

Tito 2,1-8.11-14 e Luca 17,7-10
Chi è fuori è fuori e chi è dentro ... è dento!

Il Vangelo di oggi risulta una provocazione alla radice dell'essere discepolo di Gesù, una provocazione che stride con la logica contrattualistica perbenista  e con l'ansia da prestazione che spesso viviamo nella comunità. "Mi impegno tanto, ho fatto questo e quest'altro ..." Come anche: "se non ci fissi io come farebbero mai? Fortuna che ci sono io a fare queste cose!"
Le parole del Vangelo vanno lette proprio come provocazioni per quelli che sono in cammino verso Gerusalemme. Arrivati, insieme a Gesù, non può più esserci spazio per una mentalità  ecclesiale troppo umana.  A Gerusalemme siamo condotti a scoprire, da una parte, un rapporto schiavo/servo con il padrone nella logica del servo/amico, del primo che è l'ultimo è il servo di tutti; dall'altra alla comprensione dell'essere a servizio gli uni degli altri, per essere dono gli uni agli altri della grazia di Dio.
Non è forse questa la comprensione paolina delle parole affidate a Tito? "Egli ha dato se stesso per noi ..." Questa prospettiva ci immette nelle conseguenze di essere toccati e serviti dal Maestro, dal Signore, dal Servo: "siamo dentro o fuori dalla grazia (dono e salvezza) che ci è affidata in Cristo?" Se siamo dentro, possiamo essere sua parte, suo popolo!

lunedì 12 novembre 2018

Tito 1,1-9 e Luca 17,1-6
Tra ... "state attenti a voi stessi" e ... "aumenta la nostra fede " ...

Cosa c'è in "mezzo" a questa affermazione e a questa domanda? C'è un abisso! L'abisso della nostra fragilità e della nostra fatica quotidiana! La nostra esperienza di Lui, quando si rivela come dialogo, come stare alla sua presenza, diviene meravigliosa perché mette in evidenza il mistero del Dio fatto uomo. Veramente la nostra carne diviene lo spazio della sua presenza e della sua vicinanza; questa realtà è luce! L'attenzione a noi stessi non nasce quindi dalla paura, dalle cattive azioni, dagli scandali che ci chiamano in causa ... non è una velata minaccia, ma un invito esplicito a donare attenzione a come Lui ci suggerisce, si rivela, parla dentro la nostra vita: stiamo attenti a noi stessi per comprendere ciò che lui vuole che facciamo della nostra vita, e non tanto di aiutarci a realizzare ciò che noi vogliamo fare della nostra vita! In questo percorso di umanità: "Signore, dacci una fede come un granello di senapa", una fede così piccola che possa essere portata è contenuta nella nostra debolezza! Eppure tutto questo è la grandezza dell'incontro con il Signore! Quell'incontro che ci rende servi di Dio e apostoli di GesùCristo! Servi attenti alla parola per essere apostoli cioè uomini e donne che vivono della fede per generare la fede.

domenica 11 novembre 2018

1 Re 17,10-16 / Salmo 145 / Ebrei 9,24-28 / Marco 12,38-44
Io cosa sono disposto a mettere in gioco?

Il cardinale Biffi diceva: "una volta i cristiani erano poveri e volevano che la Chiesa fosse ricca, oggi che i cristiani sono ricchi pretendono una Chiesa povera. Una volta i cristiani rendevano la chiesa ricca con la loro povertà oggi la vogliono povera spogliandola delle sue possibilità e libertà".
Alla luce di questa provocazione stiamo davanti alla Parola di questa domenica.
Una Chiesa ricca del dono di tutti è stata capace nei secoli di generare cultura; custodire il sapere; soccorrere i malati; assicurare a tanti contadini il sostentamento della terra; difendere i diritti degli indifesi; dare prospettiva e futuro ... La Chiesa ricca del dono dei suoi figli non è sempre stata un "male", lo è stato solo quando il dono gratuito di tutti è stato assoggettato alle logiche di scribi e farisei che da sempre "amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere".
Ache oggi ci può essere nella Chiesa, cioè nella comunità cristiana, cioè tra di noi chi:
- si veste bene la domenica per andare a messa solo per farsi vedere! Forse c'è ancora?
- ama farsi spazio per conquistare del potere, delle amicizie che contano!  Si esistono ancora! Ma soprattutto esistono ancora cristiani che cercano quelli che amano passeggiare in lunghe vesti ... per avere qualche favore personale ...
- vuole scalare la società in cui vive per raggiungere i posti importanti, quelli che vivono per la carriera come obiettivo da raggiungere! Si, anche questi ci sono ancora!
Ma ciò che è più grave è che esistono cristiani che usano della fede per i propri interessi.
È per questo che non siamo credibili, perché il nostro vivere cristiano scende sempre a compromesso con le nostre debolezze! Non ci fidiamo della proposta del Vangelo e ricerchiamo una sicurezza nel mondo!  Ma soprattutto non siamo disposti a giocare noi stessi nella proposta del Vangelo!
Il Vangelo di oggi ci dice che Gesù Guardando a una vedova ... ne rimase affascinato!
Chiamo i suoi discepoli per condividere con loro ciò che stava scoprendo di se stesso e che voleva che anche loro capissero e imparassero a vivere.
La vedova viveva uno stile sconvolgente! Fuori da ogni possibile convenzione umana e sociale.
Gesù vede che la vedova getta "tutto"nel tesoro del tempio, quel gesto non è generosità, ma è il modo in cui ci viene proposto di "uscire dalla logica del calcolo e delle nostre pretese", a volte anche di falsa sobrietà e povertà.
Gesù scopre nella vedova, lì ne tempio di Dio, il suo stesso desiderio di offrirsi totalmente al Padre. Questo stile fuori dalle logiche del mondo è lo stile che Gesù sceglie per se stesso, per donare il suo corpo per tutti e versare il proprio sangue ore la libertà dal peccato e dal male, da ogni povertà. Alla fine il discepolo di Gesù deve ammettere, suo malgrado, che c'è anche dell'altro da guardare! C'è un modo nuovo di comprendere la realtà: "il divino si cela in un gesto gratuito di una donna; l'annuncio del regno di Dio si nasconde nel dettaglio di due monetine".
Il dono di se stessi è l'immagine che Gesù edifica agli occhi di tutti i discepoli. Questo è lo stile di Gesù: "anche io offro la mia vita senza riserve e garanzie" è la offro per voi e per tutti in remissione dei peccati ... La offro ora, come sacrificio che supera e sovrasta ogni sacrificio. Ecco che la vita di Gesù offerta gratuitamente e totalmente è superiore a tutto ciò che posso immaginare! Non rimaniamo ancorati alle solite logiche economica; se come la vedova siamo disposti a dare qualcosa di più (che è già il tutto) rispetto alla nostra regolare spilorceria, allora impareremo che la povertà è la più grande ricchezza della Chiesa ricca del dono di tutto e di tutti.

sabato 10 novembre 2018

Filippesi 4,10-19 e Luca 16,9-15
Non è il vostro dono che io cerco ...

Di fronte alle nostre elemosine, donazioni e calcoli circa l'economia della comunità, a volte più una spilorceria che un segno di carità, Paolo mette in luce come tutto nella vita delle comunità è strettamente e relazionalmente legato. Se non fosse stato per i Filippesi, la sua missione sarebbe stata ampiamente compromessa; ora la gratitudine di Paolo verso il Signore e loro stessi (i Filippesi) non è la conseguenza del dono ricevuto, ma è il frutto dello stupore di come la grazia di Dio ha operato in lui, come in loro.
Il fondamento delle nostre elemosine non è la contingenza dei bisogni, ma è l'urgenza della predicazione, affinché non venga meno la "predicazione del Vangelo"; affinché risuoni nel nostro mondo il Kerigma, l'annuncio di salvezza. Ogni sforzo, ogni elemosina deve coronare la Parola nell'edificare la Chiesa corpo di Cristo. Questo è vero sempre, altrimenti tutto si trasforma in una beneficenza e si svuota di significato, cioè del nostro agire in Cristo. Anche in questo si comprende la diversità tra dell'agire cristiano rispetto all'agire di un uomo buono! Il nostro agire ha sempre Cristo come inizio, come contenuto e come fine.
È questo lo sguardo di Gesù, Paolo ne rivela tutta la luminosità; essa evidenzia gli umani attaccamenti alle ricchezze di questo mondo (tutte le ricchezze, grandi e piccole; materiali e virtuali ...). L'uso delle cose del mondo non è allora per colmare i bisogni, ma prima di tutto per generare una amicizia (servire Dio) capace di accogliere ed esprimere la "Parola" che redime "il mondo abominevole agli occhi di Dio".

venerdì 9 novembre 2018

Ezechiele,47,1-12 / Salmo 45 / 1 Corinzi 3,9-17 / Giovanni 2,13-22
Festa della dedicazione della Basilica Lateranense
Il Suo corpo ...

Nel Vangelo di Giovanni per due volte l'evangelista introduce con l'espressione "era vicina la Pasqua dei giudei", precisamente:
- nel capitolo secondo, il brano della cacciata dei mercanti dal tempio ecc... ( il brano di oggi) ;
- nel capitolo sesto, il brano della moltiplicazione del pane e dei pesci e del discorso di Cafarnao sul pane della vita.
Ma utilizza la stessa formulazione per concludere anche il capitolo undicesimo, il brano della risurrezione di Lazzaro, ovvero anche la conclusione di quella parte del Vangelo comunemente definita il libro dei segni.
Il segno del corpo del Signore è il segno per eccellenza, il Suo corpo, per Giovanni rappresenta la vicinanza di Dio come incarnazione che trasfigura la realtà rendendola abitata dal mistero del Padre e dimora di quella vita eterna che è la vita del Risorto. Il suo corpo è quindi qualcosa di assolutamente straordinario; il memoriale della Pasqua lo rende Suo corpo presente e attuale nel mio quotidiano. Tutto mi dice per la fede che la mia carne può fare esperienza dei Dio, della sua carne, del Suo corpo mistico e reale.
Il Suo corpo unifica e sintetizza tutto l'annuncio del Vangelo, perché mi parla di una prossimità che devo ricercare come modo di Dio per farsi riconoscere, accogliere e donarsi.
La consapevolezza della Chiesa, e di qualsiasi comunità di fede, è allora realmente quella di Paolo: "Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?" Nell'analogia paolina, il mio corpo e il Suo corpo; il corpo Ecclesiale e il Suo Corpo, realizzano una intimità pari all'essere una unica carne come esperienza di amore e conseguenza dello Spirito Santo.

giovedì 8 novembre 2018

Filippesi 3,3-8 e Luca 15,1-10
Conversione: mi interessa Cristo!

Cristo è il mio interesse; Cristo è il mio guadagno!
Quando mai ho desiderato realmente conoscere il Signore? Cosa vuol poi dire questo conoscere? Significa studiare teologia? Leggere e rileggere i vangeli? Essere obbediente ai comandamenti? Paolo nella lettera ai Filippesi ci racconta un po' della sua storia giovanile, di quando tutto di sé era impegnato nella "conoscenza" di Dio: "circonciso all’età di otto giorni, della stirpe d’Israele, della tribù di Beniamino, Ebreo figlio di Ebrei; quanto alla Legge, fariseo; quanto allo zelo, persecutore della Chiesa; quanto alla giustizia che deriva dall’osservanza della Legge, irreprensibile"; questo era il suo modo di conoscere Dio! Ma tutto ciò su cui aveva riposto certezze e sicurezze, tutto ha "voluto" perdere per poter conoscere il Signore. Ha voluto, perché ha dovuto!
La conversione è una trasformazione radicale della moralità, preceduta da una conoscenza che occupa lo spazio dei propri desideri e interessi.
Occupa i desideri, perché è un incontro provocante: il Signore non è passività ma scuote la pigrizia; il Signore ti cerca per tutta la casa; ti scova dai tuoi nascondigli e luogo di "perdizione"; ti porta sulle sue spalle per stare con te ...
Diventa il tuo interesse: orienta la tua ricerca e il compimento dell'essere e dell'agire, ma è anche il frutto, il ricavo, il guadagno. Questo interesse riflette il grande guadagno della conoscenza di Cristo: "Anzi, ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore". Ecco che la conversione è veramente tale e non moralismo, quando è relazione intima con Gesù.

mercoledì 7 novembre 2018

Filippesi 2,12-18 e Luca 14,25-33
Quando risplendiamo come astri nel mondo?

La comunità di Filippi, come la nostra, risplende della luce di Cristo; Paolo ne è talmente consapevole che esprime una evidenza: (cfr) "io offro me stesso come sacrificio che rende sacra la vostra fede nel Signore". È una esperienza particolare quella di Paolo; è l'esperienza di chi ha speso tutto si sé per generare la fede in quelle "persone" (persone di Filippi), e ora vede come la stessa fede della comunità rivela l'intimo legame che si è realizzato con e attraverso Cristo con Dio Padre. Paolo ora, può vantarsi davanti a Dio (può offrire) di come questa comunità "opera secondo il disegno della volontà di Dio".
Questa situazione, è realtà, non è un raccontare qualcosa che sarebbe bene che si realizzasse! Questa comunità è esistita e da qualche parte esiste anche oggi! Certamente qualcuno, animato dalla stessa passione di Paolo, sta seguendo Gesù con un desiderio pari a chi (cfr) "viene a Lui e ama il Signore, più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita ... come colui che porta la propria croce e va dietro a Cristo per essere suo discepolo".
È il desiderio, di Paolo, di essere discepolo del Signore e della comunità di Filippi di essere discepola del Signore che fa la differenza! Tutto sono stati disposti a offrire pur di essere discepoli di Gesù! La domanda sorge spontanea: "io voglio essere tuo discepolo, Signore?"

martedì 6 novembre 2018

Filippesi 2,5-11 e Luca 14,15-24
Svuotare noi stessi

Per molto tempo mi sono chiesto cosa significasse avere gli stessi sentimenti di Gesù, e per molto ho pensato che si intendesse una conformazione della nostra umanità alla sua, dei nostri moti interiori ai suoi ... quindi: mitezza, umiltà, gratuità ecc...
Ora leggendo ancora - non dico bene, ma ancora - mi sembra che il sentimento di Gesù sia il suo desiderio di lasciarsi riempire da Dio, dalla sua volontà! Per fare questo Gesù ha fatto spazio al Padre, ha dovuto svuotare se stesso per riempirsi di quella misericordia e amore per l'umanità che è causa del "donare anche suo figlio". Svuotare sé stesso per essere dono, dono con la sua stessa vita! Fintanto che non lasciamo spazio a Dio in noi, non riusciremo mai a essere dono per i fratelli!
Ecco che in questo svuotare noi stessi si genera la beatitudine del Vangelo: "Beato chi prenderà cibo nel regno di Dio!"
Prendere cibo è fare la volontà di Dio, ma questa si fa se gli si lascia posto; se non si è riempito tutto, comprando "campi, buoi e mogli ..." il mondo intero! (... e ne saremmo anche capaci) Se riempiamo tutto quale spazio resta?
Fare spazio al mondo di Dio Padre, è lo sguardo a ciò che è attorno, "al contorno" di una umanità che è costantemente ferita e umiliata: poveri, ciechi, zoppi, storpi ... Per quanto è faticoso, perché, per stare per le strade di questo mondo, occorre continuamente svuotarsi e riempirsi di Dio.

lunedì 5 novembre 2018

Filippesi 2,1-4 e Luca 14,12-14
Una consolazione fuori misura!

Che cosa deve accomunare tutti i fratelli in Cristo? Domanda fuori da ogni possibilità di risposta, perché da subito ne comprendiamo la difficile se non impossibile risposta. Paolo dice di mettere davanti a noi ciò che Gesù ci propone, cercando di attuare lo stile del Signore non per volontarismo ma per adesione e imitazione. È da questa imitazione che emerge inaspettatamente, come conseguenza, la novità della vita spirituale e intima con Lui; dell'impegno di carità; dell'operare l'unità è la condivisione; dell'agire di compassione. È misurandosi con la sua proposta che sperimenteremo il superamento del nostro limite, della nostra fragilità. Quale meravigliosa esperienza riconoscere la gioia che nasce come conseguenza della vita secondo il Vangelo.
Quel fariseo che aveva invitato Gesù a pranzo, offrendogli un bel posto d'onore tra tutti i commensali, viene provocato prima da quella Parola che mette tutti a disagio: "mettetevi all'ultimo posto"; poi personalmente dal sentirsi smascherato nel suo intento: "quale vantaggio cercava nell'invitare Gesù?"
Gesù mette in luce ogni piega dei nostri ragionamenti e del nostro ingenuo modo di strumentalizzare le situazioni. Il Vangelo ti suggerisce di generare comunione, condivisione con i tuoi amici (poveri), con i fratelli (storpi), con i parenti (zoppi) e con i ricchi (ciechi) ... e sarai beato perché troverai la consolazione che viene da Lui. È di questa consolazione che a fatica ci fidiamo!

domenica 4 novembre 2018

Deuteronomio 6,2-6; Salmo 17; Ebrei 7,23-28; Marco 12,28-34
Vicini e lontani dal Regno di Dio ...

Come facciamo a dire quanto siamo vicini o lontani dal regno di Dio?
Gesù per farcelo capire ci conduce attraverso l'esperienza di amare.
Amare è condizione imprescindibile (non possiamo farne a meno) della nostra natura umana. Amare è un cammino di maturazione.
Un bambino ama? Un bambino si sente amato e ama, senza porsi domande; per lui amare è una condizione di fatto, quasi scontata, come dire non può non essere così, non può esse diversamente.
Un adolescente, un giovane, ama nella espressione più radiosa, violenta ed esuberante dell'esperienza di amare, fino alla sua espressione passionale.
Un adulto ama in modo stabile, ama nella gratuità e nel dono fedele e totale di sé stesso.
Un anziano ama? Certo, ama oltre e più a fondo dei propri sentimenti, ama come affidamento e abbandono alla persona amata e a chi ha attorno.
Questo significa evidentemente che amare non è un sentimento volubile ma è una esperienza dell'esistenza che cerca concretezza.
Per questo amare non può significare solo un sentimento; sentire "trasporto"; desiderio dell'altro; passione fino alla carne; erotismo e piacere; dono gratuito di sé stessi.
Difficilmente saremo capaci di dire con esattezza cosa significa amare, forse anche perché il nostro amare è una esperienza di fragilità, di umanità, di sofferenza e di peccato che si fondono insieme nella complessa realtà delle nostre relazioni.
Uno dice di amare e poi si sente rifiutato ... Che succede? Uno dice di amare e poi è causa di delusione fin nelle più piccole aspettative ... Che succede? Uno dice di amare e quell'amore di trasforma in odio ... Che succede?
A questo punto posso solo dire che nessuno di noi è capace di amare ...
Ci si prova e ... non ci si riesce ... Quando con impegno ci si riesce ... non dura nel tempo ... La questione è talmente complessa e complicata che spesso in molti di noi nasce una convinzione assurda: "quella che non conviene amare!"
Meglio non amare ... meglio difendersi dalle conseguenze dell'amore!
Gesù allo Scriba della Legge dice che deve imparare ad amare e imparare dentro l'esperienza della vita, iniziando coll'amare il prossimo:
- Amare è una carezza di tenerezza ... Tutti la capiamo;
- Amare è il soffio caldo del mio sussurrare la parola ti amo ... Tutti la desideriamo;
- Amare è la vicinanza di colui che ti possiede ... Tutti la aspettiamo;
- Amare è sentirsi importante per qualcuno che non è per caso ... Tutti lo speriamo;
- Amare è perdere se stessi e annullarsi nel cuore di un altro ... dolce naufragio;
- Amare è uno spazio di eternità, per non smarrire mai sé stessi per sempre ... È dare senso alla vita.
Ma la nostra esperienza di amare non trova origine in noi. Gesù dice che trova origine in Dio: occorre scoprire e custodire questo amore che è da Dio.
Amare Dio con tutta l'anima, con tutto il cuore, la mente e la forza cosa significa?
È obbedire a delle regole, a dei precetti?
È uno sforzo di volontà?
È andare a messa tutte le domeniche?
È pregare ogni giorno?
Amare Dio ... Per amarlo dobbiamo diventare tutti un po' mistici, degli ingenui sognatori. Educare la nostra vita alla mistica.
Dio ci ama con una passione sovrumana, quella di Gesù che per amore si consegna per offrici la sua stessa vita, il suo sangue, il suo corpo sulla croce.
Amare Dio è esperienza mistica cioè spirituale, sentimentale, sensibile e di fede della croce ...
Don Fabio sei pazzo! È impossibile oggi giorno tutto questo?
No! È possibile e deve tornare ad esserlo, altrimenti ci dobbiamo accontentare di amare solo umanamente, con tutto il limite dell'umano e senza lo slancio del mistero di un Dio che ha tanto amato il mondo da dare il suo figlio, da dare a noi Gesù Crocifisso.
Se mi avvicino al crocifisso, imparo ad amare il suo corpo, che è di Dio e anche dei fratelli; imparo a desiderare quella corona di spine che esalta l'amore del cuore dei sentimenti; imparo ad aprire le mie mani per stringere i chiodi che fissano l'amore nella mia mente; imparo a lasciarmi trafiggere come condizione necessaria per un amore che assorbe tutte le forze.
Solo in questa vicinanza e intimità col Cristo Crocifisso scoprirò quanto è appagante amare come ama Dio.

sabato 3 novembre 2018

Filippesi 1,18-26 e Luca 14,1.7-11
Umiliazione ed esaltazione

Noi siamo fatti così, sperimentiamo l'avvilimento di fronte alle umiliazioni e non conteniamo la superbia nell'esaltazione. La nostra umanità percepisce più facilmente l'aspetto peggiorativo dell'umiltà (umiliazione) e dell'innalzamento (vanità). Ma per noi umiltà e innalzamento vanno vissute come virtù, a partire da noi stessi e fuori di noi stessi. Paolo ci parla del suo innalzamento a partire dalla sua umiliazione per Cristo: vilipeso, oltraggiato, rifiutato per Cristo agli occhi della superbia mondana; ma proprio in quella umiliante condizione è glorificato Cristo nella sua carne; nella sua esperienza"Cristo sarà glorificato nel mio corpo", ed è così motivo di lode e innalzamento da parte di chi crede.
Lo sguardo della fede, supera sempre la contingenza del mondo! Cosa ci importa essere grandi, essere importanti, essere ricchi, se questo desiderio muore in noi senza darci la gioia autentica della vita? L'innalzamento è essere con Gesù partecipi della sua gloria (croce e risurrezione); umiliazione è essere di Gesù, perché "Cristo venga annunciato" in questo mondo che lo ha rifiutato fin dal principio.

venerdì 2 novembre 2018

Giovanni 6, 37-40; Matteo 25,31-46; Matteo 5,1-12a
COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI

Commemorazione, dal latino commemorare, è una derivazione di "memorare" ossia "ricordare", a cui aggiungiamo il prefisso "cum" cioè "io commemoro", ovvero "io ricordo insieme" in modo pieno e in forma solenne o religiosa; quindi io ne celebro il ricordo con una liturgia con una solennità.

Ma che senso ha il ricordo?
Ricordare il passato, gli avvenimenti di cui io sono stato partecipe e anche ciò che mi ha preceduto o accompagnato, tutto percepisco come una esperienza rispetto alla quale nulla posso più agire. Il ricordo non rende attuale ciò che è passato, non mi riporta nel presente l'avvenimento che è oggetto del mio intelletto. Sembrerebbe proprio un inutile sforzo ... Una "attività" che non produce nessun benefico frutto.
Ricordate anche le persone che sono morte, allora non serve a nulla, la loro esperienza resta imprigionata nel tempo che non è più, quindi in quell'abisso di dimenticanza che tutto assorbe e distrugge nel divenire e progredire del tempo e della storia. È proprio in questo che si rivela la potenza distruttiva del male e della morte. Per cui il morire non è solo un processo biologico della progressiva decadenza della vita, ma il morire mira alla dissoluzione dell'esistenza, cioè dell'esserci, per rivendicare solo il nulla come condizione di senso, ma anche come negazione di Dio.
Ecco che di fronte alla morte, nessuno di noi può resistere, nessuno di noi può mettere una contro proposta se non Dio solo.
Solo Dio rappresenta la "controproposta della morte", anzi la fede ci rivela pure che il nulla è l'inganno del demonio per fiaccare, scoraggiare e vincere in noi il desiderio di Dio. Un nulla assoluto, vincente, significa la mia attuale non esistenza, il non senso della mia vita, dei miei sentimenti di amore, del mio desiderio di bene, della mia volontà di maturare e progredire umanamente e spiritualmente. Il nulla significa inutilità di ogni progetto che abbia come sguardo e orizzonte il momento successivo al presente.
Commemorare i defunti è l'affermazione dell'esistere rispetto al nulla!
Esistere, è il nome di Dio: quando Dio di rivela a Mosé dice il suo nome, "io sono colui che esiste accanto a te" ... Ed è Dio dei viventi non dei morti, cioè Dio di coloro che esistono e non di coloro che sono nulla.
Ecco che la fede, ci spalanca la mente e il cuore (cioè la nostra natura umana) rispetto al senso dell'esistere in relazione a Dio.
Di questo i vangeli di oggi fanno chiaro riferimento:
1) L'intima comunione con il Signore Gesù, permette di fare nel tempo esperienza della vicinanza di Dio Padre e dell'esistere come spazio di appartenenza al mistero di amore che è l'eternità di Dio.
2) Giudizio e vigilanza, non contrapposizione di una logica umana e "legalista" ma come discernimento e comprensione del senso del tempo e della creazione. L'esistenza come opportunità di vivere l'amore e di edificare (dare pienezza) se stessi attraverso l'amore.
Vigilare, ben lontano dall'essere volontarismo, è stare e vivere l'esperienza di amare.
3) Esistere richiede concretezza nel presente. La certezza di esistere è il presente, per ciò che rappresenta. Ecco che le Beatitudini sono il modo in cui il cristiano, l'uomo di fede, può esistere nel tempo. Il presente come espressione di una esistenza Santa, ci corrisponde umanamente, e ci permette di commemorare secondo la fede: cioè partecipare con tutto e tutti al mistero di Dio.

giovedì 1 novembre 2018

Apocalisse 7,2-14 / Salmo 23 / 1 Giovanni 3,1-3/ Matteo 5,1-12a
SOLENNITA' DI TUTTI I SANTI
Scopriamo i santi (testimoni) della porta accanto! 

I santi della porta accanto ... papa Francesco, nella Esortazione "Gaudete et Exultate" ci ricorda che i Santi non sono quelli già beatificati o canonizzati. Lo Spirito Santo riversa santità dappertutto nel santo popolo fedele di Dio, perché «Dio volle santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo, che lo riconoscesse secondo la verità e lo servisse nella santità».
Da questa espressione deduciamo che il germe della santità è parte del DNA umano, delle caratteristiche irrinunciabili del popolo di Dio. La nostra natura umana è caratterizzata dal gene divino della santità!
Per questo possiamo dire che la santità non rappresenta un sigillo di perfezione ma il segno del dono della salvezza.
Noi dobbiamo riconoscere che il fine di Dio è la salvezza, e che la salvezza di esprime nella santità della vita!
La storia della salvezza, è la narrazione nel tempo e attraverso la creazione, del modo in cui Dio porta a perfezione la nuova creazione. In un certo modo è la storia della santità di vita degli uomini che nella Fede accolgono al mistero di Dio Padre.
Perciò nessuno si salva da solo, come individuo isolato, ma Dio ci attrae tenendo conto della complessa trama di relazioni interpersonali che si stabiliscono nella comunità umana: Dio ha voluto entrare in una dinamica popolare, nella dinamica di un popolo, santo, del Suo popolo.
Dice ancora il papa: Mi piace vedere la santità nel popolo di Dio paziente: nei genitori che crescono con tanto amore i loro figli, negli uomini e nelle donne che lavorano per portare il pane a casa, nei malati, nelle religiose anziane che continuano a sorridere. In questa costanza per andare avanti giorno dopo giorno vedo la santità della Chiesa militante. Questa è tante volte la santità “della porta accanto”, di quelli che vivono vicino a noi e sono un riflesso della presenza di Dio, o, per usare un’altra espressione, “la classe media della santità”.
Non una santità alta, né bassa, ma media … quasi mediocre … cioè si accontenta della nostra possibilità di essere Santi!
È in questa santità da “classe media” che spiccano i testimoni che come ci ricorda san Paolo VI (altro testimone): l'uomo di oggi non vuole sentire dei maestri, ma dei testimoni, e se vuole dei maestri è perché sono dei testimoni. Abbiamo bisogno di partire da lì, dai testimoni.
Dice il papa: Lasciamoci stimolare dai segni di santità che il Signore ci presenta attraverso i più umili membri di quel popolo che «partecipa pure dell’ufficio profetico di Cristo col diffondere dovunque la viva testimonianza di Lui, soprattutto per mezzo di una vita di fede e di carità». Pensiamo, come ci suggerisce santa Teresa Benedetta della Croce, che mediante molti di loro si costruisce la vera storia: «Nella notte più oscura sorgono i più grandi profeti e i santi. (...)
La santità è il volto più bello della Chiesa. Ma anche fuori della Chiesa Cattolica e in ambiti molto differenti, lo Spirito suscita segni della sua presenza, che aiutano gli stessi discepolo di Cristo a incarnare come ideale, orientamento e possibilità della propria vita le “Beatitudini”.

Gesù ha spiegato con tutta semplicità che cos’è essere Santi, e lo ha fatto appunto quando ci ha lasciato le Beatitudini. Esse sono come la carta d’identità del cristiano.