mercoledì 31 luglio 2019

Esodo 34,29-35 e Matteo 13,44-46
Una vita fatta di tesori e perle!

Il versetto precedente del Vangelo di oggi cita che "allora i giusti (alla fine) splenderanno come il sole nel regno del loro Padre", quasi che la luminosità o radiosità finale della vita dei discepoli - la luce della nostra trasfigurazione - è conseguenza dell'ascolto della Parola della esperienza che ciascuno può fare del "regno dei cieli". Quindi il Vangelo prosegue con le parabole  del "regno dei cieli". Esse ci restituiscono l'esperienza umana dell'incontro con il mistero che è Dio nella nostra vita. Questa restituzione è la scoperta del tesoro nascosto, è l'impegno per investire tutto al fine di "realizzare" una perla di grande valore.
Noi siamo un uomo, che desidera trovare un tesoro, e che ad un certo punto trova un tesoro. Quel tesoro gli cambia le "cose", gli da' senso nuovo e vero. Allora, ecco che quell'uomo compra il campo ... Ma non sarà lo stesso campo in cui è seminata la parola? Forse si, forse no, ma certamente la scoperta del tesoro porta quell'uomo a cambiare lo stile della sua vita a diventare proprietario non solo del desiderato tesoro, ma di tutto il campo ... Quel tesoro fa di quell'uomo un contadino del "regno dei cieli".
Ma ciascuno è anche messo di fronte all'esperienza di chi, mercante nella vita, non è estraneo alle cose belle (le perle), e la bellezza spesso è oggetto dei suoi traffici, ma ... L'incontro con il mistero è come la scoperta della "perla bellissima", quella che supera ogni aspettativa. Ed ecco, non ha più dubbi - è un mercante - sente di volerla possedere, per cui cosa fa? Investe tutto ciò che ha per entrarne in possesso, per fare di sé stesso parte di quella perla bellissima, di quel mistero di novità e di vita.
Il regno dei cieli, non è una realtà aliena, esterna che su cala dall'alto. Essa è forse meglio indentificabile come scoperta, come novità, come bellezza ... Ma tutto questo parte dall'ascolto della parola e dalla vita, è questa la combinazione radiosa/luminosa.

martedì 30 luglio 2019

Esodo 33,7-11;34,5-9.28 e Matteo 13,36-43
Alla presenza del Signore.

Spiegazione della parabola, non è certo la prima volta che di fronte alle Parole del Maestro e alle parabole, i discepoli chiedono una spiegazione. Questa volta senza altri commenti, la parabola è interpretata con estrema oggettività, ogni elemento con una sua corrispondenza. Questa interpretazione ci aiuta certamente a non deviare verso altro, e a mettere attenzione alla stretta unità tra il regno di Dio e il mondo; tra Gesù e la realtà concreta, tra i discepoli e la vita di tutti i giorni. La quotidianità non è semplicemente la scena in cui si interpreta il dramma della creazione attraverso l'agire dei figli della luce e quelli delle tenebre (particolare che richiama la comunità di Qumran), ma la realtà è ciò che la parabola descrive, è la semina del buon seme e del suo lottare per portare frutto, così come anche è esperienza di zizzania e di fragilità. Ma è pur sempre, la realtà, esperienza del manifestarsi di Dio. La prima lettura di oggi, in un modo tutto suo, ci riporta proprio a questa percezione: Dio scende nella colonna di nube e dialoga con Mosé nella tenda del convegno e sul monte. Il senso della presenza è sconvolgente: "Il Signore parlava con Mosè faccia a faccia, come uno parla con il proprio amico". Di sé il Signore dice: "Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà, che conserva il suo amore per mille generazioni ...".
A volte vorremo sfuggire la nostra quotidianità, a volte per le scelte fatte male o non appropriate la vita di tutti i giorni non corrisponde a ciò che desideriamo veramente o che speravamo. Eppure lo sguardo del discepolo sul reale non può essere solo il giudizio, ma deve fare attenzione alla "Presenza", anzi, non dubitare della presenza di Dio; "Il Signore scese nella nube [sul monte Sinai], si fermò là presso di lui  ..."

lunedì 29 luglio 2019

1 Giovanni 4,7-16 e Giovanni 11,19-27
Dio è amore ...

La prima lettera di Giovanni non ha dubbi: attraverso Gesù, Yhwh non è più il Dio unico, assoluto e onnipotente, di cui si percepisce solo la trascendenza. Gesù ci restituisce una esperienza di Dio come di Padre; una esperienza fatta di conoscenza e di relazione umana buona. Ecco che il linguaggio dell'uomo svela il mistero; non è forse l'esperienza dell'amore l'alfabeto che meglio traduce la nostra esistenza, la forza della vita e la prospettiva dell'eternità?
Nella prima lettera di Giovanni, tutto questo è contenuto nella espressione "Dio è amore!". Dio manifesta e condivide sé stesso nell'amore e nell'amare. Sono le nostre rigidità, le nostre inconsistenze, le nostre ferite a rendere impraticabile, non navigabile, il fiume incontenibile dell'amore. Che cosa permette all'uomo di scoprire e vivere il "Dio amore"? Esiste un'unica risposta: la chiave per entrare e dimorare nell'amore, e quindi in Dio, è solo Gesù. Ciò non significa che chi non conosce non crede in Gesù non possa fare esperienza di amore, anzi, ma non fa esperienza di quella chiave di accesso che gli rivela Dio nel modo in cui Dio stesso ha voluto rivelarsi, cioè attraverso il Figlio. Gesù è l'amore incarnato! L'amore che diviene carne, concretezza e persona!
Credo che questa espressione renda l'evidenza di quanto dico: "se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri. Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi. In questo si conosce che noi rimaniamo in lui ed egli in noi: egli ci ha donato il suo Spirito."
Ma se credo realmente, o se devo credere realmente, che Dio è amore, che cosa cambia in me, nelle mie relazioni, nel mio modo di essere? Che cosa cambia nel mio modo di amare? 

domenica 28 luglio 2019

Gen 18,20-32; Sal 137; Col 2,12-14; Lc 11,1-13
La preghiera della Chiesa

"Quando pregate dite ..." Un plurale insidioso; un plurale provocante, un plurale Ecclesiale.
È un plurale che ci ridicolizza quando pensiamo di avere assolto agli obblighi personali della preghiera dicendo qualche formula o qualche pio pensierino prima di addormentarci; oppure al risveglio mattutino ... Ci hanno insegnato così e nell'immaginario collettivo forse è ancora cosi; se non fosse che in questo nostro mondo e anche nella Chiesa, ben pochi ormai pregano. Il desiderio di Gesù invece è fare della sua preghiera lo spazio della comunità, della comunione. La condizione in cui tutti sentendosi in relazione al "Padre che è nei cieli" si riconoscono tutti come figli e quindi come fratelli. Tutti fratelli, senza esclusione, in piena accoglienza?!?!
È un plurale che ci provoca; provoca la preghiera “personale” come coscienza della nostra missione, perché - come per la preghiera di Abramo - ciò che Gesù insegna è in realtà una grande ed universale intercessione per la santità della Chiesa e del mondo. Non è una formula, ma sono le parole che descrivono, di fronte al Padre la realtà della vita quotidiana, lo spazio del vivere, quello delle relazioni, come pure la condizione irrinunciabile della solidarietà e della fraternità.
È un plurale Ecclesiale. Non posso pensare di pregare da solo, o che la mia preghiera abbia un valore assoluto; è la preghiera di tutta la Chiesa che attraverso ciascuno risuona in modo assoluto. Non so se abbiamo mai pensato a quella espressione che diciamo spesso al termine della recita del rosario: "Preghiamo secondo le intenzioni del papa …"; ebbene non preghiamo per i suoi desideri, ma come egli steso ci ha fatto capire, la sua preghiera è prima di tutto la preghiera di tutta la Chiesa, per tutta la Chiesa e per tutto il mondo. La nostra è sempre un pregare comunitario e nella comunione di tutta la Chiesa. Altrimenti non è la preghiera come Gesù ci ha insegnato. 
Ecco che la nostra preghiera di discepoli, è straordinaria se capita ...
Allora cerchiamo di capire il cuore del pregare insidioso, plurale ed ecclesiale, capire perché Gesù ci fa pregare il Padre?
Il padre è la parola sorgente, parola degli inizi, e dell’infanzia; è il nome della vita. Pregare il Padre è come dare del Tu a Dio, gli si dice papà … con tutta la tenerezza di cui i bambini sono capaci. Non è un Padre della liturgia e della genialogia, ma è l’immagine di un padre che abbraccia, è una figura di casa e di famiglia, è immagine affettuosa, calda a cui ci si accosta con confidenza per chiedere e ricevere il bene per la vita.
Altra immagine al cuore della preghiera è la parabola che esprime il divenire del pregare il padre! Pregare genera il servire l’amore e servire con amore …


sabato 27 luglio 2019

Esodo 24,3-8 e Matteo 13,24-30
Un inaspettato crescendo ...

Siamo sempre sulla stessa barca, a pochi metri dalla riva, sul lago di Galilea, da dove rivolto verso la costa, la Parola si fa ascoltare. La parola viene seminata in una naturale diffusione, tutti, in quella condizione riescono ad udire e intendere. La descrizione serve a motivare anche il crescendo che Gesù impone alle parabole. Dopo aver raccontato il "regno dei cieli" come il seminatore che semina ma parola, ed essere arrivati a comprendere la diversità dei terreni e la straordinari possibilità del terreno buono, ecco che la narrazione viene rilanciata mediante un punto di svolta. Il terreno che produce non è una condizione a "lieto fine", ma è il mondo stesso che accoglie il "regno dei cieli" attraverso la Parola ed è un mondo capace di produrre; ma se prima il maligno rubava l'ascolto della Parola, ora il nemico non è vinto nel suo agire, anzi continua a contrastare il regno.
Ed ecco che Gesù disillude chi pensa di sedersi a contare il 30, il 60 o il 100.
Lo sguardo che Gesù ci mostra una visuale inaspettata, quella della perseveranza e della fiducia nella potenzialità della Sua Parola, che non viene sconfitta mai, neppure dalla "zizzania" che contestualmente è seminata anche nel terreno buono. Per noi umani, vivere il "regno dei cieli" è una lotta, e dobbiamo viverla fino alla mietitura, quando Lui, dirà ai mietitori di raccogliere la "zizzania", in fasci, per bruciarla. Il "regno dei cieli" resta Parola efficace, proprio perché è di Gesù e non si arrende, ma lui, ci invita a lavorare al servizio della Parola stessa per raccogliere al momento opportuno.

venerdì 26 luglio 2019

Esodo 20,1-17 e Mateo 13,18-23
L'ascolto della parola in noi ...

"Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore. Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore". Il maligno è molto più "attento" di noi alla Parola di Gesù di quanto immaginiamo. Lui, ruba l'ascolto del cuore, ruba l'ascolto dalla nostra vita. L'efficacia del maligno è proprio il causare il non ascolto, perché subentra il vuoto, l'inerzia, l'indifferenza. Essere discepolo del Signore significa custodire e coltivare una relazione, un rapporto a partire dall'ascolto della Sua parola; ciò è vero per allora, quando parlava dalla barca, ma è vero anche oggi! Quando il maligno ci sottrae l'ascolto della parola, è come toglierci l'aria per respirare, toglierci l'acqua per soddisfare la sete. Come fa il maligno a rubare l'ascolto della Parola? È molto semplice, è lui che parla e si sostituisce al Signore; lui ci fa ascoltare non ciò che ci fa bene, che serve alla crescita della nostra umanità (il Vangelo), ma ciò che ci piace e che soddisfa il gusto delle nostre fragilità. È un ascolto che alimenta la nostra ipocrisia, il nostro orgoglio; magari un ascolto che ci giustifica nel pregiudizio e nella pigrizia rispetto alla responsabilità che abbiamo come uomini e donne, come figli e figlie di Dio. Quando il maligno ci ruba l'ascolto la conseguenza diviene quella di un ascolto con la facilità di un immediato entusiasmo, a senza quella pazienza dell'ascolto che permette di mettere radici; oppure senza il vero ascolto la Parola viene soffocata dal nostro stesso "io". Il maligno è più furbo di quanto immaginiamo, robandoci l'ascolto, svuota il nostro essere di Gesù.

giovedì 25 luglio 2019

2 Corinzi 4,7-15 e Matteo 29,29-28
Festa di San Giacomo Apostolo
Il nostro tesoro più grande ...

Negli ultimi versetti del Vangelo di oggi, risuona la memoria del discorso di Gesù nell'ultima cena, dopo aver lavato i piedi ai discepoli. Se infatti per un ebreo ciò che rende puri davanti e per Yhwh è il bagno rituale, il mikveh, Gesù porta a compimento l'istituzione rituale conformando e proponendo sè stesso come evento di "purità", ma non rituale e formale, ma attraverso l'immersione nel servire il fratello nell'amore. È in questo modo che i riti antichi tornando alla loro originalità, ripropongono la piena verità ... e quel lavare i piedi ci riporta a chi ci ha lavato i piedi, il Signore, dicendoci di fare la stessa cosa gli uni gli altri. Questo comando supera ogni formalismo legale ed infrange ogni sterile ritualità. Il nostro tesoro, non è una ricchezza come l'oro; non è neppure una particolare sapienza, come non è una qualsiasi cosa preziosa; il nostro tesoro è il Signore a risorto. Chiunque ha fede in lui lo possiede, e Gesù si lascia possedere nell'amore. Chiunque ha fede lo custodisce, per farne dono, in ogni atto di amore e in particolare di amore fraterno: "portiamo sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo."
Il nostro vaso di creta, la nostra umanità, quando è dimora del Signore, rappresenta quella particolare comunione nella quale ci ammaestriamo all'obbedienza e al fare la "volontà del padre"; ha bere, pure noi dello stesso calice di Gesù. Ma è questa comunione che rende autentico ogni gesto di amore, anche quello di servire a ogni fratello, indistintamente.

mercoledì 24 luglio 2019

Esodo 16,1-15 e Matteo 13,1-9
Piovve pane del cielo ...

Quale suggestione in queste Parole, che come buon seme "è seminato" indistintamente sul terreno della vita, cosi allo stesso modo erano le parole donate a un popolo, a uomini e donne che nel deserto ben raramente hanno goduto della pioggia e in quei giorni ancora più raramente si nutrirono di pane. L'esperienza che ne deriva è proprio quella del dono gratuito di Yhwh. Dio si prende cura del suo popolo, a partire anche dalla sua mormorazione, Yhwh non reagisce con l'ira o con il castigo pedagogico, a cui siamo spesso abituati, ... no! Dio risponde con benevolenza è presa in carico della una necessità per supplire alla tentazione di una "dolce schiavitù", "quando eravamo seduti presso la pentola della carne, mangiando pane a sazietà ..."
Ecco, chi fronte alla mormorazione e alla amarezza della distanza dal cuore del popolo, pone un segno che supera la semplice soddisfazione del bisogno (la fame) con una espressione di per se strana: "avvicinatevi alla presenza del Signore ..."
Avvicinatevi, non tenetevi distanti; nonostante la fatica del cammino nel deserto, nonostante la tentazione di tornare indietro, avvicinatevi con il cuore, lasciate che Yhwh, bagni con la pioggia del pane del cielo, l'aridità di cui fate esperienza. Questa immagine suggerisce una visione straordinaria della mensa del Signore, dove il pane del cielo è il suo corpo spezzato, la sua carne! È il pane che "... Signore ci ha dato in cibo!"

martedì 23 luglio 2019

Galati 2,19-20 e Giovanni 15,1-8
Santa Brigida, patrona d'Europa
Questione di fede ... Questione di tralci e potature ...

"E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio ..."
Iniziamo questa giornata con le parole di San Paolo della lettera si Galati. Cosa significano queste parole? Di che vita parla? Di quella biologica? Di quella spirituale? Paolo ha una profonda coscienza e consapevolezza che la sua vita è stata travolta e trasfigurata dalla presenza di Gesù. La sua vita ad un certo punto è quella del discepolo, che non scioglie il legame col maestro, ma lo sente condizione indispensabile per vivere. Questo vincolo di amore/amicizia permea tutta l'identità di Paolo, al punto che la vita nel corpo, senza la relazione con Cristo risulterebbe vuota, insignificante. La coscienza di Paolo arriva a percepire il suo atto di fede ben altro e di più che una scelta, una adesione intellettuale. La fede di Paolo si esplicita, cioè prende consistenza nell'adeguarsi alla fede obbediente del Figlio di Dio. È la fede di Gesù che irradia tutta la bellezza e forza da cui Paolo trae la sua nuova identità. Per noi deve essere la stessa esperienza! Attraverso la Parola, attraverso la fedeltà all'ascolto del Vangelo, permettere alla fede del Figlio di Dio di permearci e rendere così la nostra vita adatta alla vita del discepolo: idonea alla missione di essere suoi testimoni di fronte agli uomini. Letto in questa prospettiva il Vangelo dei tralci e della vite, esprime pienamente cosa succede nel momento stesso in cui la fede del Figlio di Dio è la linfa che scorre attraverso la vite ai tralci: ecco che i tralci diventano discepoli.

lunedì 22 luglio 2019

Cantico 3,1-4 e Giovanni 20,1-2.11-18
Festa di Santa Maria Maddalena 
La donna che ha fatto subito problema ...

Maria Maddalena, come dice lo stesso nome, Maria da Magdala, una città ritrovata tra Cafarnao e Tiberiade, sulle rive del lago di Galilea. La traduzione evangelica ci parla di lei come la donna che fu liberata da sette demoni (Mc 16,9-15). Nel corso dei secoli, per vari accostamenti e interazioni con testi apocrifi del III secolo, questa donna ha accolto nella propria identità varie figure femminili: la peccatrice del capitolo ottavo di Giovanni, l'adultera in casa di Simone il Fariseo nel capitolo sette di Luca. Giovanni, testimone oculare dei fatti dalla crocifissione alla tomba vuota, ci riporta una immagine che se la vogliamo accogliere, dobbiamo liberarla da tate stratificazioni, fantasiose e ideologiche del passato e anche del presente.
Maria di Magdala, una discepola fedele. Quanti sono coloro che dopo aver incontrato Gesù, essere stati guariti, o comunque trasformati dalle sue parole, ne diventano discepoli; lo seguono. Maria lo ha seguito ben oltre la croce, lo a seguito per sempre. Questa fedeltà, questa amicizia, non è forse la condizione che ciascuno di noi desidera come manifestazione di amore al Signore?
Maria di Magdala, la testimone del giorno dopo il sabato. È a questa donna - a cui si da poco credito - che Gesù affida il compito di annunciare la risurrezione. Di andare dai discepoli per dire loro che il Signore è vivo! Non è questo l'annuncio che ciascuno di noi ha accolto e custodisce come tesoro geloso nella propria vita?
Maria di Magdala rappresenta un modello maturo di relazione e amicizia con il maestro. Gesù non si sottrae al pieno coinvolgimento, quando trova un cuore libero e privo di morbosità. Dobbiamo esserlo noi oggi, liberi e alieni dalle morbosità per lasciarci accostare dalla sua vicinanza risorta!

domenica 21 luglio 2019

Gen 18,1-10; Sal 14; Col 1,24-28; Lc 10,38-42
Le tracce del visitarci di Dio

Corriamo ogni giorno freneticamente tra un impegno e l'altro tra il lavoro e le mille attività che accompagnano la quotidianità, senza accorgerci della presenza di Dio. Ben lontani dalla mentalità di un migrante come Abramo, forse siamo anche privi di quella attenzione al mistero che permette ad Abramo di correre incontro all'avvicinarsi di Dio alle Querce di Mambre nell'ora più calda del giorno. Ma tutto questo non importa, perché nel mentre non se lo aspettava Dio è accanto a Lui e Abramo non esita ad accogliere il suo Signore.
Accogliere il suo Signore ... Anche Maria, fuori da ogni lettura fuorviata dalla mentalità pratica Cristiana, come anche da una spiritualità miope, altro non fa che accogliere il suo Signore.
Come accogliere Dio nella vita? Abramo non ha dubbi, la sua attenzione alla ferialità alla quotidianità gli permette di intuire immediatamente che quei tre stranieri son Dio stesso che viene a lui. Abramo non esibisce la sua diffidenza a che arriva nel momento meno adatto era l'ora del riposo, l'ora più calda ...
Dio giunge a noi nei momenti meno adatti, nei tempi meno opportuni ... Lo fa per celare senza sottrarre il mistero, per lasciarci nella libertà, per renderci protagonisti della scoperta di Lui. Abramo corre da Sara, va al gregge, ordina e dispone per l'accoglienza e ritorna dall'ospite sconosciuto per stare in sua compagnia.
Stiamo in sua compagnia, nella preghiera, nella parola, nella intimità di noi stessi e scopriremo, affinando i nostri sensi, il suo venire, il suo accostarci quotidiano.
Quando noi credenti, premettiamo il giudizio, la preclusione, l'ostilità significa che siamo troppo presi dalle logiche del mondo attorno a noi, e che stiamo completamente sbagliando la "parte migliore a cui accostarci", significa che non stiamo scegliendo Gesù e la sua vita.      

sabato 20 luglio 2019

Esodo 12,37-42 e Matteo 12,14-21
Vivere il presente di generazione in generazione ...

Il senso di queste parole, non sta nella ripetitività rituale, ma nella possibilità di unire il tempo presente, scendendo nella storia dell'umanità collegando ogni strato, ogni fase precedente e successiva. Questo ti porta a scoprire non tanto un punto di origine, ma soprattutto la relazione continua con il mistero di Dio.
Ciò che ha sperimentato Israele in 430 anni di "schiavitù" in Egitto è infatti di più dei lavori forzati. Il loro uscire è una esperienza di liberazione che si unisce alla identità di un popolo che sempre nomade, ha ascoltato la voce di Dio attraverso i propri padri, attraverso Abramo, Isacco, Giacobbe, ... Giuseppe ... Mosé! Ecco che la Pasqua diviene memoriale è condizione di un presente che continuamente proietta nel suo immediato futuro. Ecco che tutto è spazio della epifania di Yhwh. È in questa prospettiva che la stessa incarnazione del Figlio di Dio diventa qualcosa di straordinario, ma non per essere un evento fori dalla natura e dallo logica della scienza, ma perché diventa il centro del tempo, l'origine dell'universo; rappresenta il senso di una storia di salvezza che è anche storia degli uomini. Personalmente tutto questo da una grande consolazione e comprensione del memoriale eterno che è la vita nel tempo del Signore. È di questo memoriale che come discepoli siamo chiamati a custodire gli eventi che si succedono, fino anche alla passione, morte e risurrezione ... Ecco, ora possiamo ascoltare le parole del profeta Isaia: "Ecco il mio servo, che io ho scelto; il mio amato, nel quale ho posto il mio compiacimento. Porrò il mio spirito sopra di lui e annuncerà alle nazioni la giustizia. Non contesterà né griderà né si udrà nelle piazze la sua voce. Non spezzerà una canna già incrinata, non spegnerà una fiamma smorta, finché non abbia fatto trionfare la giustizia; nel suo nome spereranno le nazioni".

venerdì 19 luglio 2019

Esodo 11,10-12,14 e Matteo 12,1-8
Il Signore del Sabato!

Non avete letto? Ecco che un profondo imbarazzo prese i farisei ascoltando le parole di Gesù ... ÈlL'imbarazzo di chi non aveva mai ascoltato ... e ormai aveva disimparato. L'imbarazzo di chi negli anni, le Scritture le aveva solamente lette, anche ripetutamente, ma senza il vero ascolto del cuore.
La scrittura va ascoltata affinché entrando per le orecchie si diffonda in tutta la persona.
L'ascolto è una esperienza di stabilità che corrisponde all'essere alla presenza del Signore. Non so se mi capite cosa intendo?
Ascoltare è alzarsi di buon mattino, prendere la Scrittura del giorno e metterla al primo posto delle cose che si faranno. Ascoltare è custodire nella quotidianità la  Sua presenza come normale condizione di vita. Ascoltare è fare tutto con l'attenzione a colui che sussurra sottovoce ciò che vuole condividere con te, ciò che mette in comune/comunione con te. Ascoltare è trasformare lettura nel memoriale, rendere l'ascolto una esperienza concreta e non solo una possibilità potenziale.
Quindi è per tutti leggere: "Non avete letto quello che fece Davide, ..."; oppure: "... non avete letto nella Legge che nei giorni di sabato i sacerdoti ..."; ma è per i discepoli l'ascolto della Parola di Gesù : "Ora io vi dico che qui vi è uno più grande del tempio. Se aveste compreso che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrifici, non avreste condannato persone senza colpa. Perché il Figlio dell’uomo è signore del sabato". Con la lettura saremo semplicemente nella liturgia sacra del settimo giorno, ma con l'ascolto siamo entrati nel "sabato del Figlio dell'uomo". Sono parole importanti, perché ci introducono nel riposo di Dio, cioè stare alla sua presenza.

giovedì 18 luglio 2019

Esodo 3,13-20 e Matteo 1,28-30
Imparate da me ...

Gesù il maestro, ci invita a imparare da Lui! Imparare, perché?
Per avere maggiori conoscenze? Per possedere il mistero di Dio? Per essere veri discepoli?
Credo che l'invito abbia una motivazione ancora più intima, più personale: "Imparare da me per essere voi stessi!"
Che cosa è importante nella nostra vita? Non è forse la coscienza di se stessi, la consapevolezza del proprio senso esistenziale? Ma il senso di se stessi da cosa nasce, da cosa dipende?
Per molti, tutto risiede nella capacita dell'intelletto, nella stima di sé nella maturità umana ed affettiva ... Per Gesù, tutto nasce da Lui. Gesù guardando a ciascuno di noi dice se vuoi essere te stesso, realmente te stesso, guarda a me e impara da me!
Che presunzione! Che vicinanza! È qui che si percepisce come il mistero di Dio è ben più di una sensazione spirituale, ma è una volontà esistenziale che entra in relazione autentica e personale con ciascuno ... e allora ... occorre mettersi in ascolto, in attenzione con il mistero che facendosi carne diviene accessibile.
Pochi versetti prima, l'evangelista Matteo ci riportava le parole del Signore che ci umanizzavano pienamente, ci facevano piccoli, per poter accogliere con fiducia e disponibilità quella pace che è "la conoscenza di Lui". Ora quella condizione si dispiega nel dono della sua presenza che rende chiara la nostra identità: nel nostro affidarci ci riconosciamo figli; ora è questa relazione figliale che impariamo da Gesù; è a partire questa relazione che inauguriamo un modo nuovo di vivere, che ci impratichiamo in un'etica nuova. Se capisci qualcosa che il Signore ti insegna, è quella cosa che ti cambia la vita! La Chiesa e i credenti sono costantemente coinvolti in questa conversione di sé alla luce della Parola, che è il suo insegnamento. Capito tutto questo, fa meno problema il suo "giogo", fa meno problema "l'umiltà e la mitezza"; impariamole ...

mercoledì 17 luglio 2019

Esodo 3,1-6.9-12 e Matteo
Ci sono ancora tante cose nascoste ...

A volte capita proprio ..., anche a tutti noi è certamente capitato di esternare in modo spirituale. Questo avviene quando permettiamo alla presenza di Dio di rivelarsi in noi. È in tali esperienze che risuonano parole come: "Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli." La lode a Dio, perché ci si sente piccoli, e nel palmo della sua mano! Vera esperienza di affidamento alla Sua volontà. Dio ti chiama a vivere queste esperienze di risonanza della sua presenza. Esse rappresentano i momenti in cui puoi, finalmente  togliere le scarpe e velarti il capo, perché sei in "Terra Santa" .... ed è questa coscienza che permette di immergersi nel mistero, del Dio che ci ha creato, amato e salvato. Non è forse questo ciò che ha sperimentato Mosé quando esule cercava ... e cercava ... e ha trovato la "presenza" che non si consumava? Ha trovato non per caso, ma ha trovato ciò che gli si rivelava! Ecco che in quel momento è normale togliere i sandali dai piedi e chinarsi, prostrandosi sulla terra, perché, finalmente si è alla presenza di Dio. Occorre lasciarsi toccare dal Dio dei Padri, per poter guardare, con stupore il roveto che arde e non brucia. Lo stesso Signore, gode nella sua umanità, di questa possibilità che gli è data: poter stare alla presenza del Padre.
"Anche io, oggi, Signore Dio, di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, ti rendo lode, perché l'incontro con questa Terra Santa ha rappresentato qualcosa di unico; venire qui in questi anni ha sempre accompagnato le tappe del mio essere sacerdote e ogni volta è stato una scoperta nuova; un pellegrinare nell'incontro; un lasciarsi visitare dal mistero di amore, da quel Dio che è fedele di generazione in generazione e che ti ama in Cristo suo figlio."

martedì 16 luglio 2019

Esodo 2,1-15 e Matteo 11,20-24
Guai a te Corazin, guai a te  Cafarnao!

Continua a interrogarmi questa espressione tra lo scontroso e il deluso che Gesù lascia filtrare tra le molte altre parole. Eppure è vero! Nel tempo in cui il Signore, sceso da Nazareth al lago, per abitare a Cafarnao, non poche sono state le risposte negative ricevute. Anche lui ha sperimentato la fatica di annunciare il Vangelo, di vivere ciò che annunciava di fronte a gente che ride di lui e delle sue parole; di fronte a chi si ritrae e si chiude a riccio, e con durezza lo abbandona; sorprende anche che altri educatamente lo invitino ad abbandonare il proprio territorio. È facile allora confrontare questo Vangelo con la fatica di ciascuno nel vivere la fede e testimoniarla, nella vita di tutti i giorni e soprattutto all'interno della Chiesa e delle nostre comunità. Sembra strano ma la ribellione di Gesù non è fuori luogo, come non lo è la nostra. Ecco che certe espressioni diventano una esplicita denuncia di una "missione bloccata", di una Chiesa rinchiusa e preoccupata della sua "differenza". Ma le parole di Gesù non sono solo condanna di una situazione, esse rappresentano un invito a un cambio di mentalità che a Tiro e Sidone è avvenuto pur solo come piccolo segno, ma sufficiente per innescare un vero processo di conversione; sono parole di provocazione per distoglierci dalla tiepidezza e dalla facile convinzione della salvezza: "Perché, se a Sòdoma fossero avvenuti i prodigi che ci sono stati in mezzo a te, oggi essa esisterebbe ancora!"
Il messaggio è chiaro, occorre vivere nel cambiamento, nel rinnovamento che sempre porta il Vangelo. Non è sufficiente e non si può pensare di cambiare solo alcune "cosine", e neppure accogliere il Vangelo nell'ordine della convenienza o della necessità.

lunedì 15 luglio 2019

Esodo 1,8-14.22 e Matteo 10,34-11,1
Discepoli prima del resto ...

Una cara persona mi citava questo proverbio: "la carne al diavolo e le ossa al  Signore" ... Essere discepoli rischia i essere l'esperienza conclusiva della vita, come l'eventuale apice al termine del percorso esistenziale. Tanto è vero che nel nostro quotidiano, la fede, il senso religioso sono relegati sempre più nella sfera del personale e privato, del riservato.
L'esperienza di Dio viene esiliata attraverso le moderne schiavitù del materialismo, dell'edonismo e dell'indifferenza. Le cose materiali riempiono i miei pensieri, e corrispondono ai miei bisogni; il piacer delle esperienze e delle persone è l'unico mio interesse; Dio è senza sapore, non mi serve, non serve a nulla. Tutti rischiamo di rendere la vita uno spazio di schiavitù dove produrre mattoni di fango e paglia per costruire - anche inconsapevolmente - città per altri. Una esperienza di profonda tristezza, solitudine, povertà e disumanità. Il discepolo di Gesù, impara, ogni giorno a immergersi, attraverso le Parole del maestro nella immanenza - presenza - di Dio. Dio non è l'oppio (la droga) per i poveri, e neppure la risposta alle mie fragilità.
Gesù mette il discepolo di fronte a una scelta di Dio, lascia sconcerti. L'esperienza di Dio richiede il contatto con la realtà, con la vita, consapevoli delle possibili incomprensioni; l'esperienza di Dio necessita di amore, non è un Dio dei precetti e della ragione, ma Dio si manifesta nell'amare, se non non è Dio; l'esperienza di Dio ci propone ogni giorno la croce come spazio di incontro tra Divino e umano, come esperienza estrema tra il discepolo e il maestro. Scegliere la croce è scegliere Gesù che ha fatto della croce il segno della radicalità dell'amore a Dio, del suo seguire la volontà del Padre fino in fondo, cioè farla liberamente sua.

domenica 14 luglio 2019

Dt 30,10-14; Sal 18; Col 1,15-20; Lc 10,25-37
Legge della compassione! È la legge del prossimo!

Nessun comandamento, nessuna legge potrà mai generare una autentica conversione del cuore e della vita. L'esperienza del popolo di Israele (Scribi e Farisei) insegna come quando una legge e un comandamento sono assunti a criterio e a motivazione della conversione a Dio, non si ottiene ciò che si spera, ma solo un irrigidimento del cuore che genera altre leggi, norme e precetti. Si corre il rischio di illudersi di essere giusti, di essere buoni, di essere santi in forza di una obbedienza alla "legge", che per maggior sicurezza attribuiamo alla volontà di Dio.
Ma obbedire alla voce del Signore è ben altra cosa che sottomettersi a una legge! Osservare i suoi comandamenti è ben altra cosa che ripetere ogni giorno una professione di fede! Convertire il cuore è ben altro che fissarsi nell'idea di amare Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la forza.
A questo punto occorre entrare nel superamento di noi stessi, dei nostri schemi delle nostre buone abitudini umane e di educazione, pure anche delle convenzioni spirituali.
Un superamento che parte da quanto rivela la lettera ai Colossesi: "Cristo Gesù è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili"
Esiste una relazione originaria e originante tra tutto ciò che esiste, tra noi e Cristo, uomo e figlio di Dio; questa relazione introduce ciò che è invisibile nella realtà visibile. Ecco che la legge, la realtà concreta vivono di invisibilità, che è il mistero stesso del figlio di Dio: "È piaciuto infatti a Dio che abiti in lui tutta la pienezza e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose ..."
Questo mistero invisibile è la compassione, espressione della Misericordia di Dio. Il cuore di Dio, è traboccante di compassione, perché è un cuore di misericordia.
Non vi sono esitazioni in Gesù: "Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?. Quello rispose: Chi ha avuto compassione di lui. Gesù gli disse: Va’ e anche tu fa’ così". Meglio di ogni legge, meglio di ogni obbligo è convertirsi alla compassione come modo in cui si impara ad essere come Gesù, si impara ad avere i suoi stessi sentimenti, quelli che ci permettono di aver in noi la sua vita ... Ma ecco che dalla compassione come grazia invisibile, nasce un comandamento concreto, una domanda che accompagna la vita: "Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?"
Chi è il prossimo? Non posso rispondere se mi svuoto, se mi privo della compassione di Gesù.

sabato 13 luglio 2019

Genesi 49,29-50,26 e Matteo 10,24-34
Dio verrà certo a visitarci ...

La conclusione della "saga di Giuseppe" ricapitola tutte le vicende umane come storia di salvezza. Non c'è nulla, nemmeno il male tramato, che non possa essere occasione perché si compia il disegno di salvezza. Questa consapevolezza ci può anche disturbare,perché ci obbliga a entrare in quella logica misteriosa che è il "pensiero di Dio", mettendo in evidenza tutta la nostra "umana fatica" nel crescere nell'affidamento al mistero stesso. Ma in realtà sia Giacobbe,  sia Giuseppe, sono condotti alla soglia dell'eternità e prima di essere riuniti ai loro Padri, fanno atto di questo abbandono confidente attraverso una "strana" consolazione: "Io sto per morire, ma Dio verrà certo a visitarvi e vi farà uscire da questa terra, verso la terra che egli ha promesso con giuramento ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe".
Le promesse di Dio sono stabili ore sempre, immutabili come l'esperienza sovrumana del Suo visitarci. È questa visita di Dio a cui non siamo "abituati" e in cui dobbiamo esse "addomesticati", questo rappresenta la condizione di svolta della nostra esistenza. La Sua presenza costante e silenziosa si apre a esperienze puntuali di "visitazione". Sono quelle le esperienze incontenibili della gioia spirituale e del gustare la sua presenza, la sua gloria. Tutto questo è un "addomesticare" il nostro temperamento umano - alquanto selvatico - alla divina presenza, questo avviene di visita in visita, di gioia spirituale in gioia spirituale, evitando di distrarci eccessivamente dalle desolazione.
È questa la condizione di ogni conformazione al maestro, a Gesù! Desiderare di essere come Gesù, rappresenta, ora per noi, l'esperienza sufficiente della vita del discepolo. Non è annullamento e rinuncia, ma affidamento al visitarci di Dio, è piena disponibilità a seguirne la traccia indelebile; una traccia che vi salva!

venerdì 12 luglio 2019

Genesi 46,1-7.28-30 e Matteo 10,16-23
Di generazione in generazione ...

La storia di Giuseppe non solo si conclude con un lieto fine, ma con un gesto che vuole riconciliare la sofferenza e il dolore, di una ingiustizia subita con una immersione profondissima nell'amore di un padre che non ha mai cessato di sperare e amare il figlio che gli era stato portato via. Non è solo un genere letterario, ma tenere insieme la vicenda di un Clan famigliare nel suo migrare a causa della carestia o anche di altro, e il cammino umano che quel Clan è chiamato a fare per imparare la fedeltà al patto che Dio ha sigillato con Abramo, Isacco e ora in Israele viene ancora rinnovato: "Io sono Dio, il Dio di tuo padre. Non temere di scendere in Egitto, perché laggiù io farò di te una grande nazione. Io scenderò con te in Egitto e io certo ti farò tornare."
Anche Gesù, non nasconde la pericolosità di inviare i discepoli come "agnelli in mezzo ai lupi", non illude nessuno circa le prove che si potranno subire, eppure per tutti è la certezza che lo Spirito del Padre si rivelerà come forza e soccorso.
Come percepire, sentire e riconoscere la presenza di Dio in modo così esplicito, certo è consolante?
Non è raro provare confusione e smarrimento, oggi soprattutto  la vita riserva sorprese e amarezze; ma la fedeltà di Dio e a Dio, si rivela proprio nel non cedere totalmente il campo a una realtà priva di mistero. È necessario come discepoli che la nostra quotidianità sua spazio di confronto con la realtà, ma pure spazio in cui la realtà si confronta con la Parola di Dio, con la preghiera, con i segni della fede. Rinunciare a questa prospettiva significa rinunciare a essere discepolo di Gesù, "... rinunciare alla salvezza, per la perseveranza!"

giovedì 11 luglio 2019

Proverbi 2,1-9 e Matteo 19,17-29
San Benedetto, patrono d'Europa
Noi che abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito ...

"Tutto ciò che abbiamo, lo doniamo a te ..." Sono le parole di un canto abbastanza famoso, un modo per esprimere ben di più che il desiderio di povertà, o di sobrietà della vita. Sono parole cariche di fede, di abbandono, ma soprattutto di amicizia.
È difficile anche per chi vive lo stile di una comunità staccarsi da tutto per amore di Cristo, per l'amicizia con lui ... figuriamoci quanto questo può essere complesso per chi non ha il soccorso di una regola di vita e di una comunità che cammina nello stesso desiderio e ideale.
Eppure le parole del Vangelo Gesù non le dice a caso - non sono il coronamento di una regola comunitaria - egli risponde a una domanda di Pietro che è estremamente carica di urgenza: "E noi ... che per questa amicizia ti abbiamo seguito nonostante le resistenze famigliari, e abbiamo messo a rischio il senso della famiglia, del lavoro, della casa ... della vita stessa ...?" Tutto da una parte e l'amicizia con Gesù dall'altra ...
A pensarci un attimo o c'è una amicizia vera, che ti prende, che ti impegna ... oppure quel tutto non esiste proprio, ma non ne esiste neppure una "parte".
Non si dona tutto perché si è preti o religiosi, o neppure per un senso battesimale di appartenenza ... Si può dare "tutto", e realmente tutto con un "giusto senso di rinuncia" solo se si è disposto a vivere l'amicizia con il Signore, un'amicizia che si rivela essere amore. Ecco che il tutto non è, e non può essere un contraccambio, ma è la scoperta più bella che un discepolo può fare: "Per amicizia col Signore ... Tutto!"

mercoledì 10 luglio 2019

Genesi 41,55-42,24 e Matteo 10,1-7
Identità e appartenenza?

Il libro della Genesi rappresenta qualcosa di veramente unico e straordinario, perché, se a una prima lettura sembra una raccolta di miti e di racconti famigliari, in realtà ci obbliga a entrare nella vita dell'uomo di 4000 anni fa - e anche di più - per capire cosa quei nostri fratelli ci testimoniano del mistero di Dio. Occorre essere veramente umili e mettersi in ascolto della vita di tanti che ci hanno preceduto. Ed ecco che allora tutto acquista un particolare spessore, spirituale, umano, morale. La Genesi non ha nessuna intenzione di fare la cronaca di alcune vicende di Clan e tantomeno di metterci a conoscenza di cosmogonie mesopotamiche rielaborate. Il libro della Genesi, attraverso alcune domande esistenziali, testimonia il cammino di un popolo che si è identificato nella storia di alcuni di loro, che diventano nello specifico i Patriarchi. L'identità non si concretizza solo nella discendenza genealogica, essa di compone di vita, di prove, di scelte ... L'identità descrive in questo senso una trama che coinvolge tutto ciò che è umano. Al cuore di questo processo di scoperta, alla genesi di questa differenziazione troviamo il misterioso rapporto tra uomo e Dio. Troviamo la domanda del "Dove sei?" del creatore rivolta all'uomo che si nasconde a sé stesso e al creato. Identità è quindi un processo di scoperta umana, che significa scoperta del senso religioso e spirituale dell'esistere, scoperta del senso religioso della grande storia, ma anche dei singoli avvenimenti. So che per molti questo è assurdo, ma lo è solo in una prospettiva che nega il mistero di Dio come origine della natura stessa dell'uomo. Non è forse partecipazione al mistero di Dio, la chiamata dei discepoli a stare con Gesù? Espressione identitaria previ legata ... Non è forse partecipazione al mistero di Dio agire in relazione all'annuncio del regno? Non è forse identità prendere consapevolezza del mistero di cui siamo parte? Scoprire la propria identità è parte del necessario processo di maturazione a cui siamo soggetti, ed è scoperta dei vincoli di appartenenza che in modo sorprendente ci costituiscono.

martedì 9 luglio 2019

Genesi 32,23-33 e Matteo 9,32-38
Il riscatto della benedizione ...

La storia di Giacobbe diviene "interessante" a partire dalla vicenda della primogenitura, che si conclude con una benedizione ottenuta con un inganno, ma pur sempre una benedizione che accompagnerà la vita del figlio di Isacco.
La vita turbolenta e contrastata di Giacobbe trova, nel momento in cui Giacobbe vuole tornare nella Terra delle Promesse fatte ad Abramo, la concretezza della lotta interiore (e non solo) che il racconto di Genesi prefigura nella lotta di tutta la notte con questo sconosciuto, che si rivela essere Dio. È appunto a Dio che Giacobbe chiede ciò che non può più ottenere con l'inganno. Dopo aver faticato e lottato ... in un corpo a corpo, senza risparmiarsi, all'estremo chiede di essere Benedetto. Giacobbe sente, ha bisogno di legare la sua vita alla Benedizione di Dio. Cosa significa tutto questo?
Ben di più di un "sacramentale" come lo intendiamo nella sacramentaria cattolica.
La benedizione stabilisce infatti una stabilità di relazione e di identità. Se fosse cosa da poco, nessuno avrebbe preso seriamente la Benedizione di Isacco fatta a Giacobbe come "primogenito". Ora Giacobbe chiede ciò che nessuno avrebbe mai potuto concedergli, neppure con mille trucchi o inganni, chiede a Dio di benedirlo, di rendere la sua vita capace di esprimere e di conformarsi alle Promesse che Dio ha fatto ai Padri, ad Abramo e ad Isacco ... Con la Benedizione, Dio investe Giacobbe della dimensione esistenziale della Promessa, per questo possiamo dire: "Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto!"
Nel nostro lottare quotidiano, si cela una benedizione che ci rende "primogeniti", cioè destinatari dell'amore di Dio. Ecco che la nostra esistenza ripiena della fedeltà di Dio diviene una vita da discepolo di Cristo. Benedici Signore il nostro essere discepoli del tuo Figlio!

lunedì 8 luglio 2019

Genesi 28,10-22 e Matteo 9,18-26
La vita è luogo di memoria ...

Quanto è importante la memoria nella nostra vita, non solo per catalogare gli avvenimenti e per evitare di abbandonarli alla dimenticanza. La memoria di ciò che accade trasforma l'esistenza nel rimanere nell'esperienza dei fatti ... Ed ecco che la nostra vicenda personale al pari della grande storia diviene "storia di salvezza", ovvero di salvati nell'incontro col mistero di Dio.
Giacobbe, nel racconto della Prima Lettura, riconosce in quella promessa lo stesso Dio che ai Padri, aveva promesso la terra e la discendenza. Giacobbe non si sente al di fuori di quella storia in cui il Dio Altissimo, si era fatto conoscere come colui che nella promessa si rivela; si fa compagno di cammino perché la meta diventi certezza, e non solo speranza. Ed ecco allora che questo avvenimento diviene memoria indelebile, attraverso la celebrazione di quel luogo: "La mattina Giacobbe si alzò, prese la pietra che si era posta come guanciale, la eresse come una stele e versò olio sulla sua sommità. E chiamò quel luogo Betel".
Anche noi normalmente celebriamo e consacriamo luoghi, spazi e i tempi della nostra vita. Luoghi che eleviamo a "santi", spazi che esistenziali che percepiamo come "sacri"; tempi e momenti che si configurano come "eterni" per intensità e verità.
La memoria personale, è ben altro che l'applicazione di ricerca che ti riporta al presente un fatto, o esperienza del passato, la memoria è la rete di esistenza che congiunge in modo stupefacente ogni attimo dell'esistenza partecipando al mistero eterno di Dio. Ogni momento della vita è, allora, esiste per essere consacrato al Signore.

domenica 7 luglio 2019

Is 66,10-14; Sal 65; Gal 6,14-18; Lc 10,1-12.17-20
La missione genera la gioia!

Chi di noi si sente in coscienza di dire a Gesù: "Signore ho seguito il tuo invito e sono andato per città e villaggi. Chi realmente sta facendo suo l'incarico che Gesù affida ai settantadue? Credo che molti di noi si nascondino dietro a quel "designò" ... quasi a giustificare sé stessi rispetto alla sordità alle sue parole. Quell'investitura rischia di essere l'ostacolo alla missione, all'essere Chiesa in uscita.
Quando smarriamo lo sguardo sul mondo che ha Gesù, siamo dei discepoli nei guai.
Gesù vede ogni uomo e donna, una moltitudine che è come la "messe è molta" e si interroga: "chi se ne cura?"
La pace, chi la porta, chi la condivide?
L'accogliere reciprocamente; il fare casa come disponibilità a superare il pregiudizio e le divisioni, chi lo insegna?
Della consolazione e del conforto a chi soffre, che deriva dalla misericordia e dall'amore di Dio, chi se ne fa carico?
Chi è disponibile alla lotta contro il male e alla vittoria come conseguenza della vicinanza di Dio alla vita dell'uomo?
Quando il nostro cuore si indurisce e lo sguardo si fa miope, sono le fragili logiche umane che prevalgono.
Il Vangelo ovviamente prefigura una condizione della realtà in cui il Signore agisce e si coinvolge, sconvolge e provoca i discepoli rispetto all'annunciare il regno, che diviene il loro agire, nelle stesse condizioni del maestro: "vi mando come agnelli in mezzo ai lupi ...; in ogni città dove stava per recarsi ...; consapevoli di non essere sufficienti, per questo occorre pregare: il numero inadeguato garantisce la forza dell'azione di Dio".
Ma la comprensione da parte dei discepoli, di questo invio, non risiede nelle parole del mandato, ma si acquisisce nell'esperienza di essere mandati. Ecco il punto di svolta, fintanto che non accolgo e sperimentato il mio essere designato e inviato, fintanto che non ne faccio esperienza non mi renderò conto del senso profondo e necessario che è portare agli uomini il regno dei cieli, quel regno vissuto da Gesù. Occorre fare esperienza per gustare e riconoscere: "I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome".
Certamente è una esperienza ai limiti, come è ai limiti essere "agnelli in mezzo ai lupi", ma questo non importa se ciascuno di noi percepisce la gioia che è "Vedere Satana cadere dal cielo come una folgore. (...) camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli". La gioia della missione, della Chiesa in uscita è la gioia della conversione dei discepoli, quella gioia che deriva dal sentirsi parte del regno dei cieli, di essere parte viva dello stesso annuncio.

sabato 6 luglio 2019

Genesi 27,1-29 e Matteo 9,14-17
Invece delle toppe, meglio un vestito nuovo!

La lettura del Vangelo di Matteo suggerisce immediatamente alcune situazioni irrinunciabili della vita cristiana, così come le intende Gesù. Attenzione non come le elabora la morale cristiana e la teologia della fede; ma come Gesù le comunica direttamente; come Lui intende il modo di vivere dei suoi discepoli.
Ecco allora che Gesù disse loro:
- "Vivete come invitati a nozze ..."
Siate raggianti della gioia che si sprigiona in voi come è la gioia che si sprigiona dall'amore di due sposi! Essere discepoli ha a che fare con la gioia!
"Non siate come se foste in lutto ..."
Non siate compassati, trattenuti, tristi, composti e sofferenti come se la sofferenza vi contagi togliendovi la speranza!
"Non mettete un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio, ..."
Non siate un vestito vecchio, fori moda, stinto, stropicciato, unto, consumato ... Perché ogni tentativo di rigenerarlo è inutile, sarebbe un rattoppo, con le conseguenze drammatiche del rattoppo!
- "non siate otri vecchi, altrimenti si spaccano gli otri e il vino si spande e gli otri vanno perduti".
La vita del discepolo deve essere costantemente un otre nuovo; ogni giorno capace di contenere quel vino nuovo che è l'amore del Maestro.
Il discepolo ogni mattino si sveglia nel nuovo giorno riconoscendo prima di tutto che è un nuovo giorno; l'aurora inaugura tutta la novità di Dio che in Gesù raggiunge la nostra vita. La novità del quotidiano fa parte di una certezza ma soprattutto del'atto di fede che ogni discepolo rinnova al suo Maestro. Occorre che ci ricordiamo ... Ogni nuovo giorno ... che siamo discepoli di colui che è vino nuovo e vita nuova!
Vino che dona gioia e vita come esperienza di salvezza.

venerdì 5 luglio 2019

Genesi 23,1-67 e Matteo 9,9-13
Spessore umano ...

La straordinaria forza di Gesù risiede nella "radicalità" delle sue parole. In quel tempo, era infatti diffusa una "ipocrisia" nei Sadducei (sacerdoti), negli scribi e farisei, e nelle classi agiate: il vivere alla romana ricercando gli agi e il lusso, lo stile del "vivere bene" accompagnato da una scrupolosa osservanza delle leggi e dei precetti giudaici: bagni rituali, lavaggi, offerte ecc ... Nessuno avrebbe potuto giudicare nulla, circa l'osservanza dei comandamenti.
Ma proprio questo stile mette in risalto il plagio della legge, lo svuotamento rispetto alla relazione autentica con Dio, trasformando la legge non in una occasione di relazione umana ma in una osservanza esteriore.
Gesù è radicale perché non si piega e tantomeno si adatta alla "convenzione sociale", come pure non cerca di sovvertirle o di creare un contrasto violento.
Il Vangelo testimonia come per Gesù la Legge va vissuta come stile non come precetto. Ma appunto il primo precetto è l'amore a Dio e al prossimo. Il contatto con i peccatori, diviene lo spazio normale in cui farne esperienza. I peccatori non sono i "cattivi" o una categoria svantaggiata, essi rappresentano la normalità dell'uomo che è chiamato, attraverso la legge, dare senso, a mettere ordine nella propria umanità, seppur ferita. La Chiamata di Matteo è prima di tutto lo sguardo su un uomo, che ha bisogno della tenerezza di Dio Padre, per imparare la tenerezza verso i fratelli, e smettere di considerare gli altri uomini lo strumento per la propria convenienza.
Mettere la misericordia al centro significa per Gesù rivelare il senso autentico della legge di Dio. Significa superare l'osservanza esteriore a favore di quella interiore che colma e riempie ogni disumana frattura. Ogni mancanza di misericordia è espressione di disumanità. La misericordia, non è superiore alla Legge, ma ne è proprio il cuore il senso più autentico e vero.

giovedì 4 luglio 2019

Genesi 22,1-19 e Matteo 9,1-8
Non occorre neppure offrire ciò che si ama!

Questo Monte, anche oggi rappresenta ciò che dice Abramo il luogo dove "Dio si fa vedere", Dio si mostra, si rivela, a chi lo cerca. Cercare Dio o lasciarsi cercare?
Abramo nella sua vita ha percorso la strada della fede, partendo da un politeismo di famiglia; per poi arrivare a dare la decima al sacerdote Melkisedec (sacerdote del Dio Altissimo); fino a riconoscere la presenza di Dio nelle vicende più intime della sua vita: il dono del figlio Isacco. Il cammino di fede di Abramo è realmente una progressione compresa all'interno della Benedizione, ma è anche espressione di come Abramo tenta di legare a sé Dio attraverso la promessa che Dio stesso gli fa. Dio ha promesso la moltitudine, la paternità, a terra ...
È strano ma il Monte rappresenta il nostro estremo tentativo di sacrificare comunque qualcosa a Dio.
Abramo stesso per garantire queste promesse, cerca di legare a sè Dio. Quando Dio gli chiede di sacrificare Isacco, Abramo non può rifiutare, pur in un conflitto intestino, in un profondo dramma umano, non può rifiutare perché ciò avrebbe significato rinunciare alla possibilità di disporre di Dio. Abramo si sente in un vicolo ceco, in una situazione obbligata, anche se la riconosce ingiusta, inadeguata; è una condizione che non è secondo verità ...
Ma è proprio questa consapevolezza che rappresenta il vertice della maturazione umana e spirituale: Dio non lo si può trattenere mai, neppure offrendogli ciò che si ama. Semplicemente Dio non lo si possiede, non serve, non occorre!
Dio si fa vedere per ciò che è, come Dio che provvede al nostro limite, che cammina con la nostra fragile umanità senza scandalizzarsi. È un Dio della fede, del credere unico; come anche della fedeltà sue alle promesse; ma sopratutto è un Dio che si rivela attraverso le esperienze di amore. Abramo tocca con mano quanto l'amore per il figlio Isacco rappresenta l'esperienza più importante per riconoscere Dio. Vivere amando permette di riconoscere Dio nell'esperienza di amore.

mercoledì 3 luglio 2019

Efesini 2,19-22 e Giovanni 20,24-29
Festa di San Tommaso Apostolo
Una pietra tra tante pietre ...

È sorprendente come ogni pietra di Gerusalemme racconta la sua storia. Ciascun angolo di questa città affonda le sue origini in un intreccio di avvenimenti umani di una complessità sorprendente; questo non solo per il passato, ma resta una costante anche per gli avvenimenti più prossimi e per quelli attuali. Di fronte a questo possono sorgere due atteggiamenti, uno di rigidità, di timore di perdere il contatto con la verità; l'altro di relativismo per cui si abbandona la verità per la ricerca di un compromesso tra le molte voci. In tutto questo occorre invece umiltà. Sì! L'umiltà rispetto agli avvenimenti, alle vicende, alla politica, alle esperienze, l'umiltà nell'accostare ogni singola pietra. Occorre rinunciare a ogni pregiudizio e prevenzione. Ecco allora che questa umiltà (che non è rinuncia) dispone al riconoscimento del modo in cui ogni singola pietra si accosta all'altra per dare forma alla verità (ma non è sincretismo o relativismo). La verità, si comprende non come qualcosa di altro, di esterno, ma come manifestazione a partire dal reale. La verità si impone e compone da sè!
Detto questo, Gesù non è una pietra angolare per mettere in ordine autiritativo in tutto il resto, annullando il senso del resto. Anzi, è proprio accostando ogni altra pietra al suo essere angolare, si genera il riconoscimento e l'edificazione di un edificio che è il suo corpo e che è la Chiesa ... Ci vuole umiltà ... Ci vuole ascolto ... Ci vuole coraggio di rinunciare al pregiudizio ...
Anche Tommaso deve accettare l'umiltà di accostarsi a Gesù risorto senza pregiudizio. Solo allora, toccare il segno dei chiodi e la ferita del costato cessa di essere una prova di verità ma il modo per avvicinarsi al Signore e vedere come la sua passione morte e risurrezione da origine alla vita vera. "Mio Signore ... mio Dio!" Rinunciando da ogni pretesa, scopro l'umiltà di accostarmi a te ...

martedì 2 luglio 2019

Genesi 19,15-29 e Matteo 8,23-27
Segni di Dio ... e sua presenza

Il racconto di Genesi circa la distruzione di Sodoma e Gomorra, le due città della valle del Giordano dove trovò ospitalità Lot e che Abramo vede distrutte, lascia sgomenti per la desolazione che suscita: un giudizio di Dio che non conosce appello; una definitività assoluta; un coinvolgimento di Abramo e Lot che segna profondamente la loro vita.
I nostri tentativi di interpretazione sono molteplici, ma ugualmente rischiano di essere delle forzature, come ad esempio una rilettura morale che voglia identificare l'omosessualità come peccato, e la condanna delle città come castigo per la conseguente pratica è violenza verso gli ospiti di Lot. Ciò che viene raccontato in questo capitolo affonda le due radici nella storia antica e nelle vicende, anche geologiche, che hanno caratterizzato la trasformazione della valle del Giordano e la depressione del Mar Morto. È in questo contesto che si inseriscono le esperienze di vita di coloro che abitavano questi luoghi. Tutto questo nel tentativo di fare un discernimento circa il mistero di Dio che si rendeva evidente attraverso la quotidianità degli avvenimenti. Non è forse questo lo stesso atteggiamento che noi stessi poniamo di fronte alle calamità naturali, terremoti, alluvioni, tsunami, che a volte sconvolgono il nostro tempo?
Credo che spesso, per nostra necessità, vogliamo attribuire senso e significato in modo strumentale e giustificativo rispetto ai fatti. Forse occorre accogliere una realtà fragile della creazione; occorre riconoscere una inadeguatezza umana che si mostra come "caduta morale" (non solo omosessuale); occorre perseverare nella fede come Abramo e Lot. Abramo contempla da lontano, io aggiungo con tremore e stupore, stando nel luogo in cui egli era alla presenza di Dio. Non possiamo avere la pretesa di capire e conoscere sempre tutto, occorre l'umiltà di fidarsi e di stare comunque alla presenza del Signore; è quello stare alla presenza che supera e da pienezza oltre la nostra fragilità oltre il nostro limite.
Il Mare di Galilea è in burrasca, la paura dilaga nel cuore di tutti sulla barca ... Ci resta solo in grido "Salvaci, Signore, siamo perduti!" ... Ma è proprio questo grido il nostro stare alla presenza del Signore.

lunedì 1 luglio 2019

Gen 18,16-33 e Matteo 8,18-22
Seguimi ...

Questa espressione spesso equivocata dalla propaganda vocazionale, per Gesù ha un vero senso esistenziale, seguire Lui è il punto di partenza per la scoperta del senso vero della vita. Ciascuno di noi, ascolta il Maestro, si accosta al Vangelo, lo medita e lo interiorizza e poi ... E poi o si converte al Signore oppure resta uno scriba, un esperto di Scritture, ma resta uno fermo in se stesso. Seguire Gesù significa accogliere il dinamismo, il movimento esistenziale che la Parola del Vangelo comporta.
Le Parole del Vangelo di oggi, ci presentano (lo suggerisce Silvano Fausti sj) il miracolo che deve capitare in noi, il passaggio dall'essere scribi, maestri di noi stessi e delle scritture in cerca di un maestro più competente, migliore; all'essere uomini e donne che avendo trovato il Signore, e avendo ascoltato le sue Parole, riconoscono che è Lui il centro del loro amare, il cuore della loro vita.
Trovare Gesù significa spogliarsi dalla necessità delle "tane da volpi" e del bisogno dei "nidi da ucceli"; seguirlo fino al vertice estremo dell'offrirgli la vita come spazio di una esistenza che sempre si converte è sempre si rinnova, di una vita che non si preoccupa più di ciò che è mortifero. Seguire Gesù, non solo quando io sono disposto a farlo ma provare anche quando è Gesù che "ordina di passare all’altra riva". Solo dall'altra riva, dall'altra parte il seguirlo rivela tutta la sua possibilità esistenziale.
Seguirlo allora non si esaurisce nel mettersi in un cammino insieme a lui per imparare dalle sue parole non basta volerlo conoscere come maestro; non basta neppure volergli bene, per seguirlo occorre essere disposti a una obbedienza nell'amore a Lui (Pietro è dispiaciuto che ore la terza volta Gesù gli chiedesse se lo amava), ma è solo l'amore che ci permette di vivere fino in fondo il "Seguirlo". Il discepolo che seguire il maestro è quindi un uomo o una donna che costantemente e continuamente impara ad amare Gesù. Lo si ama stando sui suoi passi, vivendo dei suoi sentimenti, pensando con i suoi desideri, perché solo Lui amandoti ti coinvolge totalmente nel tuo amarlo. Amare apre alla vita, superando ogni vincolo mortifero (lascia prima che vada a seppellire mio padre), quei legami che ci fanno morire e che ci trattengono nell'esperienza di amare.