venerdì 31 luglio 2020

Geremia 26,1-9 e Matteo 13,54-58
Ed era per loro motivo di scandalo

Così come Gesù è scandalo per gli abitanti di Nazareth, in ugual misura i suoi discepoli devono essere scandalosi. In realtà lo scandalo di Nazareth cosa significa?
Quella reazione descrive la loro rigidità, la loro refrattarietà rispetto al nuovo. Dice che il percorso di conversione, non si genera per simpatia o per affinità, tantomeno per una sorta di fraternità paesana; ma per una vera e propria adesione a ciò che Gesù propone, indipendentemente dalla rigidità dei nostri giudizi.
La domanda che questa pagina di Vangelo rimanda è: "chi è dunque questo Gesù?"
"Non è quello che già conosciamo dal catechismo?"
"Non abbiamo forse mangiato il suo pane?"
"Non abbiamo ricevuto una sua proposta di vita?"
Eppure non ci siamo coinvolti, non abbiamo risposto ai suoi inviti. La nostra quotidiana esistenza funziona anche e a prescindere dalla sua Parola, anche se affascinante e capace di stupirci.
Non è forse anche oggi, motivo di scandalo una certa proposta cristiana che trova all'interno della stessa Chiesa una sorta di rigidità, che tanto sembra quella degli stessi Scribi e Farisei.
Essere discepoli di Gesù, non significa essere buoni e obbedienti, ma capaci di suscitare quello scandalo che è la conseguenza del perbenismo e della ipocrisia dell'atto di fede, quando questo non è intimità della vita in Cristo.

giovedì 30 luglio 2020

Geremia 18,1-6 e Matteo 13,47-53
La "conseguenza" del regno dei cieli 

La rete gettata nel mare dice che il regno dei cieli non esclude nessuno. Non si riconosce il regno a partire dai buoni, ma il regno è una esperienza che coinvolge tutti.
Se il regno fosse a priori esperienza di scarto, cioè fosse solo per coloro che sono buoni,  non sarebbe espressione della misericordia del Padre. Ecco allora una immagine adeguata, simile alle altre parabole: il regno dei cieli è generato nella esperienza della misericordia. Così come la comunità dei discepoli, e come la Chiesa nel mondo fa esperienza e vive di misericordia, e in quella misericordia racconta la premurosa vicinanza di Dio, così il regno dei cieli diviene la proposta di un Dio vicino e accanto a ogni uomo, indipendentemente dal suo essere buono o cattivo. È la misericordia il principio per il quale tutto si può convertire alla bontà. Il regno dei cieli è quindi una rete di misericordia inclusiva verso tutti gli uomini. Solo alla fine si farà la distinzione circa buoni o cattivi; cioè sull'esperienza della misericordia; su come il precedere di Dio la nostra storia genera la nostra conversione al suo amarci.

mercoledì 29 luglio 2020

1 Giovanni 4,7-16 e Giovanni 11,19-27
Memoria di Santa Marta
Eppure era suo amico ...

Che cosa è l'amicizia? Molti di noi faticherebbero a riconoscersi nella modalità ed espressione di amicizia vissuta a Betania, nella casa di Lazzaro, di Marta e Maria. Faticherebbero perché, per molti la parola amicizia significa: simpatia, reciprocità, compensazione, affetto ecc ... Tutte dimensioni di una relazione valutata nell'ordine del bisogno e della socialità. Era questa l'amicizia di Betania?
Mi provo a immaginare quale fosse il tenore di amicizia di Betania; a partire dal dialogo tra Gesù e Marta. Non voglio dire che l'amicizia non avesse a che fare con la natura umana, ma credo con certezza che, accogliere, conoscere Gesù abbia permesso di percepire la verità dell'amicizia e di sperimentare nell'amico "l’amore che Dio ha in noi. Dio è amore; chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui".
Ecco che l'amicizia a a che fare con l'amore di Dio per noi! Nelle nostre relazioni andiamo oltre alla dimensione di empatia e cerchiamo di intravvedere l'amore di Dio per noi?
È quel mistero di amore, a cui ciascuno può affacciarsi nell'amicizia, che fa sì che ogni distanza si riempia di "perdono" cioè del dono gratuito di sé. Che cosa dice Marta quando vede Gesù arrivare, quando si sente raggiunta dall'amico, quando finalmente la sua umanità è toccata dall'amore dell'amico? Gli dice: "Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!" L'esserci dell'amico garantisce la presenza dell'amore di Dio Padre che precede ogni nostro bisogno e desiderio, precede anche il nostro vuoto esistenziale.

martedì 28 luglio 2020

Geremia 14,17-22 e Matteo 13,36-43
Il seme buono

Nell'intimità del gruppo, rientrati in casa, le parabole risuonano ancora nelle loro immagini e i discepoli chiedono di entrare nel loro mistero. Non si tratta di una semplice spiegazione allegorica ma di trasformare l'immagine in una esperienza di vita vissuta.
Il seme buono sono i figli del regno ... In queste parole tutti i discepoli vengono coinvolti nel comprendersi parte della parabola. Se loro sono i figli del regno, il figlio dell'uomo li sta puntando in quel campo che è il mondo, affinché mettano radici e producano il loro tutto: "Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro".
Non è un richiamo alla moralità, o una prospettiva escatologica, o meglio anche se vi fossero questi riferimenti, non sono questi essenziali e non rappresentano il cuore dell'insegnamento in parabole. La parabola è esercizio di apertura e di ascolto, ascolto della parola in parabole, ascolto del mistero del Padre e della sua volontà di salvezza e misericordia.
Per rendere quindi la parabola del seminatore efficace nella realtà, ciascun discepolo deve assumere il ruolo del buon seme del regno dei cieli. Identità che si genera nell'ascolto del maestro: si è seme buono se si è anche parola di Gesù: "Chi ha orecchi, ascolti!"

lunedì 27 luglio 2020

Ger 14,1-11 e Matteo 13,31-35
Il seme del regno 

L'immagine della parabola ci affascina; apre sempre prospettive di possibilità insperate e generalmente di ampio respiro. La parabola non è però immagine per una suggestione interiore, e non avendo una morale di carattere educativo, non è direttamente valutabile rispetto alle scelte che si fanno in coscienza. Le parabole si ascoltano e ci lasciano liberi di fronte alla possibilità di interpretarle e di farle nostre, cioè di dare alla nostra vita quel gusto delle cose di Dio che la parabola lascia come traccia del regno in noi. Ma allora queste parabole del regno a cosa servono? Perché Gesù parlava in parabole?
Là parabola è uno spazio di rivelazione e di piena libertà. La risposta sul senso e sul parlare in parabole è proprio nella citazione profetica dell'evangelista: "Tutte queste cose Gesù disse alle folle con parabole e non parlava ad esse se non con parabole, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta: Aprirò la mia bocca con parabole, proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo".
La parabola rivela un mistero antico quanto la creazione. Ma di che mistero di tratta?
Che cosa è il mondo se non l'espressione della passione di Dio per l'uomo? Quella passione che ha reso Dio, figlio è piccolo seme gettato nel campo del mondo e dove germinato e cresciuto, è diventato l'albero della croce; segno di misericordia e di amore per tutti, tanto che a nessuno è preclusa la possibilità di trovarvi dimora. Tutte le parole di Gesù che risuonano nelle parabole sono rivelazione del grande mistero di amore che avvolge la realtà fin dalla fondazione del mondo.

domenica 26 luglio 2020

1 Re 3,5-12Sal 118Rm 8,28-30Mt 13,44-52
Il regno dei cieliil tesoro, un mercante, una rete ...

Mi piace pensare che oggi, Gesù ci voglia attrarre a sé, ci voglia affascinare con la sua parola, per cui, quale migliore esperienza di paragone, se non quella che anche noi da bambini abbiamo fatto pendendo dalle parole della narrazione di una favola?
Premesso che a Parabola non è una favola, resta comunque l'intento da parte del Signore di entrare nel nostro cuore, come nel cuore di ogni uomo, per lasciarvi il fascino del mistero di Dio: "il regno dei cieli".
Che cosa c’è quindi, di più affascinante che trovarsi di fronte a un tesoro nascosto sottoterra, nel proprio campo o giardino? Un tesoro scoperto improvvisamente e senza alcuna aspettativa?
Che cosa cè di più avventuroso del girare per il mondo, senza altro pensare se non a ricercare la bellezza? A passare di bellezza in bellezza?
Che cosa c’è di altrettanto coinvolgente che partecipare realmente a una pesca abbondantissima, al punto che le reti si riempiono di ogni genere di pesci?
In tutto questo susseguirsi di immagini, al discepolo Gesù chiede di lasciare spazio alla nostra voglia di cercare nella profondità del cuore, come anche alla libertà di andare per il mondo senza vincolise non quello di riconoscere e trovare l'amore di Dio (la vera bellezza); e di non lesinare Ia fatica di essere pescatori - magari di uomini – e di partecipare alla loro gioia.
Gesù nella narrazione delle Parabole non tralascia nulla nei particolari, come anche una particolare e indispensabile condizione: il coinvolgimento del contadino, del mercante e del pescatore.
Le Parabole non sono belle favole per bambini, ma sono la storia della narrazione della salvezza in cui ciascuno di noi è partecipe perché figlio del Regno dei cieli in quanto il Padre ci ha chiamato ad essere suoi figli. Noi ci rivestiamo pienamente di questa figliolanza che ci rigenera, attraverso l’ascolto delle parabole del regno dei cieli.

sabato 25 luglio 2020

2 Cor 4,7-15 e Matteo 20,20-28
Festa di San Giacomo, apostolo, il maggiore
Berremo il tuo calice ...

Oggi vorrei proprio partire da questa immagine, così suggestiva. Quando consacro il vino nella Messa, quando ripeto le parole di Gesù e sollevo in alto il calice, ogni pensiero si fissa in quell'immagine che tu stesso tieni fra le mani, e che è il sangue che Gesù ha versato in croce per "condividere la sua vita donata": "... ; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti". Che in parole più semplici, significa che Gesù in quel vino - nel suo sangue - ci dona la sua vita, il suo amore, la sua volontà, la sua forza, la sua divinità. Gesù prese fra le mani una coppa di vino e diede a tutti da bere la sua stessa vita, tutto ciò che lui è; dando a tutti in anticipo il dono della vita crocifissa. Così il discepolo inizia la sua sequela - ben oltre le sue intenzioni - quando la sua vita inizia ad avere il gusto di chi è grande perché servo; di chi è primo, perché ultimo, cioè il gusto del suo Signore.
La madre di Giacomo e Giovanni, pensava a come dare ai figli dignità, e una vita sicura; Gesù dona realmente di condividere la sua vita di figlio di Dio, questo ci offre dignità e la certezza della vita salvata!

venerdì 24 luglio 2020

Geremia 3,14-17 e Matteo 13,18-23
Come custodire il seme della parola

La parola di Dio, il buon seme gettato i noi per farci portare frutto nella vita, porta in sé la  forza di germinare di essere produttiva; ma ugualmente richiede la nostra operosità nel custodire il dono ricevuto. La parola seminata in noi, infatti, viene "rubata" nella dimenticanza e nell'indifferenza anche incolpevole. La parola accolta nella entusiasmo di un momento, cade presto nel logorio causato delle varie ed altre attrattive; non regge al fascino di ciò che è nuovo. La parola ascoltata senza mettere a tacere il nostro quotidiano guazzebuglio, presto si trova schiacciata dal peso della realtà, non solo da quello della ricchezza ... La parola seminata in noi, e accolta con la consapevolezza di custodirla, produce frutto certo. Custodire significa prendercene cura. Occorre non dimenticare che ogni giorno la parola di Dio dice qualcosa alla nostra vita; anche cose che non sempre, subito, apprezziamo. Occorre riconoscere una priorità alla parola, una priorità che significa lasciarci precedere "dalla sua voce"; una priorità che genera e sostiene in noi l'ascolto. Ed ecco che il nostro prendercene cura, il nostro custodire la parola, produrrà frutto: "il cento, il sessanta, il trenta per uno"; ovvero il nostro cambiamento, cioè smetteremo di farcela rubare, "dimenticare"; eviteremo di "soffocare" e non forzeremo la parola logorandone la "grazia".
Custodire non è una operazione di conservazione, ma è agire rispetto all'ascolto e quindi è un operare in sintonia con la parola stessa, lasciando alla parola il suo primato di precedermi.

giovedì 23 luglio 2020

Galati 2,19-20 e Giovanni 15,1-8
Festa Santa Brigida (in Emilia Romagna: San Apollinare)
Discepoli nell'ascolto ...

Il nostro essere in Cristo da cosa dipende, da cosa è mediato?
Ma cosa significa essere uniti a Cristo come i tralci alla vite?
Il Vangelo di oggi ci offre questa chiave di lettura: "Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli".
Essere uniti a Cristo si esprime nell'esperienza del "rimanere", ciò significa essere perseveranti nel custodire la memoria e ciò che è Gesù.
Custodire la memoria del fascino delle sue parole e della gioia di averlo incontrato e toccato; ma soprattutto richiamare costantemente quelle sue parole, che attraverso l'esperienza dell'ascolto, declinano nella nostra quotidianità il confronto costruttivo che ci edifica come "suoi discepoli".
Portare frutto è conseguenza inevitabile del diventare "suoi". A volte siamo tentati di tradurre i frutti con le opere di carità, quei gesti che con bontà - e non sempre con gratuità - ci lasciano nella possibilità di sentirci in coscienza apposto, di avere fatto quanto dovevamo fare. Ma questo in realtà non è diventare suoi discepoli, perché tutto è centrato su di noi; si diventa discepoli nella sequela a partire dall'esperienza dall'ascolto. In questo senso il rimanere si può proporre con l'immagine di chi seduto ai piedi di Gesù non si stanca di lasciarsi permeare dalle sue parole. A volte si può essere stanchi, a volte distratti, a volte ribelli; ma lo stare stabili davanti a lui, nell'ascolto, diviene l'esperienza del "rimanere".

mercoledì 22 luglio 2020

Cant 3,1-4 e Giovanni 20,1-2.11-18
Memoria di Santa Maria Maddalena
Dentro la risurrezione di Cristo

Il ventesimo capitolo di Giovanni, ci racconta le reazioni delle donne e dei primi discepoli alla scoperta del sepolcro vuoto; di per sé la cosa potrebbe considerarsi conclusa. Nulla lascerebbe intendere una aggiunta narrativa ed esplicativa agli eventi della risurrezione.
In verità i versetti che hanno come protagonista la Maddalena spostano il "focus" dalla scoperta del sepolcro vuoto, all'incontro col risorto. La tomba vuota ha un valore molto relativo rispetto all'evento della risurrezione. La tomba vuota dice assenza di un corpo, ma non ci comunica la certezza del risorto vivo e glorificato.
I versetti 11-18 invece sono un vero evento di consolazione e di annuncio evangelico: Cristo, morto in croce è vivo!
Maria afflitta, piange; Maria sconsolata, chiede; Maria disperata, ascolta ... e nell'ascolto riconosce la voce di Gesù, la voce di un vivo, la voce del maestro amato. Lei sola, ora, può testimoniare di averci parlato, di averlo visto vivo, e di avere un messaggio per i discepoli e per ogni uomo: "Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: “Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro!"
Non sono espressioni teologiche o di circostanza, esse esprimono la vicinanza storica degli avvenimenti, la prossimità del risorto ai discepoli e a coloro che lo hanno amato e conosciuto. La risurrezione non separa Cristo dalla nostra vita, anzi la comunione con il padre, porta con se anche la nostra passibilità di essere con il padre, che è ora in modo assoluto "nostro" ...
Essere dentro la risurrezione significa scoprire nell'intimità quel legame di amore che ci tiene legati a Cristo - siamo suoi fratelli - e riconoscere in quell'evento ciò che stravolge le lacrime, l'afflizione e la tristezza del mondo. Le parole del risorto sono infatti per tutti i discepoli di tutti i tempi!

martedì 21 luglio 2020

Michea 7,14-15.18-20 e Matteo 12,46-50
È per me fratello, sorella e madre.

Il brano del Vangelo, ci riporta un fatto che attraverso il confronto con gli altri vangeli, mette in luce un disagio da parte dei famigliari di Gesù, nel gestire il loro rapporto con questo "nuovo" maestro. Per la sua famiglia Gesù è pazzo, è fuori di sé e vorrebbero andare a prenderlo, per sottrarlo allo scandalo.
Questo fatto si accompagna alla massima espressione delle difficoltà che il Signore incontra nella sua azione (missione) in Galilea. 
Ma lo sguardo che Matteo ci invita ad avere, è rivolto a come Gesù considera i suoi discepoli e le persone che sono a lui vicine: "Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?"
È sulla scia di questa domanda, e sulla conseguente risposta che possiamo comprendere come Gesù sentisse i discepoli e la gente come a sua famiglia. 
Sono loro mia madre ... sono loro i miei fratelli ... 
Ogni discepolo diviene famigliare di Gesù; ogni uomo diventa madre, fratello e sorella.
Questo allargamento ci coinvolge e ciò rimanda al nostro rapporto con il Signore, che non si può giocare nella formalità della religiosità,ma nella famigliarità di una relazione in cui il vincolo ci riconosce fratelli di Dio!
Essere fratelli, significa avere ma stesso sangue, la stessa vita, quella di Dio, che è il suo Spirito di amore. L'amore di Gesù si esprime e comunica nelle sue parole e nei suoi gesti, che sono il modo di portare a compimento la volontà del Padre nella vita. Quell'amore che è in Gesù, e che Gesù manifesta, ci appartiene, proprio in quanto suoi "fratelli ... sorelle e madre"; quell'amore, allora, si manifesta anche per noi quando facciamo la volontà del padre.

lunedì 20 luglio 2020

Michea 6,1-4.6-8 e Matteo 12,38-42 
La pretesa dei segni ...

Oggi nelle Chiese dell'Emilia Romagna si ricorda anticipatamente Santa Brigida, patrona d'Europa, perché il 23 luglio ricorderemo Sant'Apollinare patrono della Regione; ma ugualmente nel commento alle letture seguiamo la liturgia ordinaria.
"Da te vogliamo vedere un segno..."; proprio da te, da altri forse non ci interesserebbe, ma da te lo vogliamo vedere, un segno che sia una conferma, un segno che ci stupisca e ci convinca ...
Ma i segni non servono a questo, i segni rivelano la vicinanza di Dio, e il suo rivelarsi nella realtà che viviamo, attraverso la vita di Gesù, il suo figlio incarnato. I segni sono quindi spesso riconoscibili, proprio perché si ha la pretesa che questi corrispondano alle nostre attese. Di fronte alla pretesa, Gesù mostra cosa impedisce di vedere in lui il segno di Dio Padre:
- una generazione malvagia ... Indifferente agli appelli di amore che Gesù continuamente gli ha rivolto, è disponibile a tramare il male, soprattutto verso di Lui, nel cercare come ucciderlo;
- una generazione adultera ... L'infedeltà, è principio di idolatria e soprattutto di quel peccato originale che è l'arroganza umana verso Dio.
Di fronte a ogni pretesa, resta il segno fragile di Giona profeta; ma proprio questo segno fragile si accompagna per il susseguirsi delle vicende umane.
Cercare il segno di Giona nella nostra storia personale, significa trovare in noi, nel nascondimento, il Cristo mite e umile di cuore, che deposto dalla croce, rappresenta il segno concreto e vero delle nostre esperienze di amare.

domenica 19 luglio 2020

Sap 12,13.16-19; Sal 85; Rm 8,26-27; Mt 13,24-43
Ma tutto è nelle parabole?

A che cosa è simile il regno dei cieli?
Ecco a cosa è simile ... Gesù cerca di fare conoscere una realtà di cui tutti parlano ma di cui nessuno a consapevolezza; egli cerca di mettere nel cuore dei discepoli e della gente la sana inquietudine dell'amore di Dio, parla loro con immagini che in realtà, sia la gente che i discepoli, capiscono a loro modo ...
Gli stessi discepoli, che cosa hanno capito della parabola del buon seme? Non è che hanno pensato di dover sradicare ogni male, menzogna e scandalo e dare origine alla comunità dei puri e dei giusti?  Forse anche noi cerchiamo immediatamente una spiegazione alle parabole, ma come abbiamo compreso la scorsa domenica, occorre essere prudenti nel volere per forza spiegare queste immagini.
Stiamo ai tre segni che Gesù ci offre: del buon seme ... la piccolissima Senape e del lievito ...
Logicamente la parabola si esprime attraverso una narrazione, ma se ora fissiamoci sull'immagine … che cosa vedo?
Mi vedo come un seme, vedo il suo germinare e crescere fino a produrre una spiga matura che viene mietuta ... Perché questo è il senso e il fine del seme gettato e seminato nel campo del mondo: è produrre un ricco raccolto, per il granaio di Dio. Ma se poi riprendo la spiegazione di Gesù, il seme buono sono i figli del regno ... Sono i discepoli del Signore, siamo noi oggi... seminati in questo nostro mondo.
Vedo un piccolissimo seme, di una pianta, per giunta, normalmente infestante, eppure questo seme ha una caratteristica unica: la possibilità di essere una pianta accogliente per gli uccelli del cielo che vi fanno il nido, mettono su casa tra i suoi rami. Accogliere, dare conforto e sicurezza, anche questo oggi è la manifestazione del regno di fronte allo scarto e al rifiuto dell'altro, di fronte alla indifferenza e all’egoismo imperante.
Vedo una quantità di circa 40 kg di farina e una piccola quantità di lievito che impastate insieme da una donna di casa ... essa resta stupita e in attesa della lievitazione per fare dell'ottimo pane per tutti ... È tanto il pane, questo non va sprecato, va condiviso, va mangiato. Il lievito è origine dei processi, non occorre raggiungere l'obiettivo, occorre avviare dei processi buoni ... questi arriveranno al loro buon fine. Questo c'è lo dice a Chiesa nella sua dottrina.
Il regno dei cieli stravolge le nostre ottiche miopi e perbeniste; svela i nostri scandali, cioè tutti i nostri tentativi di non aderire al Vangelo con la vita, perché quello è lo scandalo. 
Il regno dei cieli ci mette di fronte alla realtà, e al fatto che essa non si identifica col mio modo di pensarla, determinarla e deciderla ... Ma che ugualmente io ne sono parte ... per cui, se voglio posso essere quel seme che nel campo arriva a maturare anche e nonostante la zizzania.
Il regno dei cieli ci mette di fronte alla straordinarietà dell'avviare dei processi capaci di portare frutto ... Cioè ci chiede di essere noi stessi capaci di quella novità che Gesù ha inaugurato col Vangelo, e che ora ci è data nelle nostre mani, nella nostra vita.

sabato 18 luglio 2020

Michea 2,1-5 e Matteo 12,14-21
Bello agli occhi suoi...

Per i Farisei Gesù è ormai insopportabile, al punto che decidono che è meglio toglierlo di mezzo; l'evangelista Matteo a fronte di questa decisioni contrappone la profezia di Isaia che descrive il Servo di Yhwh.  Ciò che viene affermato del "servo" ci svela lo sguardo di Dio Padre su Gesù. Non vengono espresse considerazioni e opinioni comuni, raccolte dal sentire della gente, ma si fa riferimento a una fonte di autorità che non è discutibile: la profezia. Quelle parole, allora, risuonano che una comunicazione per ogni uomo e in particolare per ogni discepolo. Quel Gesù che vogliono eliminare, uccidere, è in realtà il figlio amato, colui che gode della piena fiducia e della stima di Yhwh. La scelta che Dio fa, corrisponde in questo ad una elezione ovvero una predilezione, che come è irrevocabile per il popolo di Israele, lo è anche per Gesù. Ma non si esaurisce in un riportar una opinione divina, o una scelta; le parole profetiche dispiegano la loro forza in una dimensione di progetto e programma che coinvolge non solo Israele ma tutto il mondo, tutte le nazioni. In questa profezia si possono leggere i tratti di una cristologia nel suo nascere, e della dimensione simbolica e sacramentale della persona del Cristo, ovvero del servo di Yhwh.

venerdì 17 luglio 2020

Isaia 38,1-6.21-22.7-8 e Matteo 12,1-8
Nel segno della tenerezza ...

A volte non cogliamo le sfumature dei testi della Sacra Scrittura; a volte li irrigidiamo con la nostra logica e moralità. Ma quando ci lasciamo condurre dalla narrazione, ecco che dal testo emergono immagini, situazioni e situazioni nuove e non spesso dissipanti con una logica ordinaria. È il caso di Ezechia, di fronte alla sua sofferenza e malattia, la logica del orienta Isaia, interpreta il senso comune, per cui per il re di Giuda è necessario prepararsi a morire in modo degno. Ma è proprio in questa determinazione che si inserisce la tenerezza di Dio: "Ho udito la tua preghiera e ho visto le tue lacrime; ecco, io aggiungerò ai tuoi giorni quindici anni. Libererò te e questa città dalla mano del re d’Assiria; proteggerò questa città". Non è semplicemente una guarigione, o un esaudire una ire ghiera. Siamo di fronte alla incursione della tenerezza di Yhwh, nella vita di un re che sempre ha cercato nel rapporto con Dio il fondamento del proprio agire. Ed è proprio questa relazione consolidata che genera la possibilità di una tenerezza che permette di ridisegnare le vicende e la storia. La profezia si tinge di umana comprensione e Donà di nuovo Spirito alle aspettative e speranze sopite: quando tutto è perso, solo Dio resta; ma di Dio resta il suo amore di Padre, appunto la sua tenerezza.

giovedì 16 luglio 2020

Isaia 26,7-9.12.16-19 e Matteo 11,28-30
Memoria della B.V del Monte Carmelo
Le conseguenze del dialogo di amore

"Di notte anela a te l’anima mia, al mattino dentro di me il mio spirito ti cerca (...). Signore, ci concederai la pace, perché tutte le nostre imprese tu compi per noi."
Con queste parole di Isaia iniziamo questa giornata; parole che descrivono dove si pone il nostro cuore. La nostra relazione con Gesù non potrà mai esaurirsi in un atto di fede, o in una formale aggregazione alla Chiesa. La relazione con il Signore, per un credente sarà sempre nel contesto di un amore donato, che suscita un moto di risposta. È la tensione che vive chiunque è stato innamorato, e "nella notte" non si spegne il desiderio dell'amato. Non sino suggestioni sentimentali, ma si tratta della centralità cistologica nella vita del discepolo; è il dimorare di Dio in noi che evidenzia la tensione di amorevole reciprocità. È in questo dialogo di amore spirituale e reale che possiamo rileggere i versetti di Matteo di oggi: "venire a me ..., prendete di me ..., il giogo buono ..., il carico leggero ..."
Gesù propone nel sostituirsi alla fatica del quotidiano, e all'oppressione delle preoccupazioni del mondo, non certo una facile soluzione; ma per la forza del dialogo di amore, ci invita a imparare da Lui, dal suo modo di caricarsi con mitezza e umiltà del "giogo" e dei "pesi"; è la mitezza e l'umiltà che converte i gioghi della fatica in qualcosa che è "buono"; e apre la possibilità di svuotare ogni oppressione per inserirvi la leggerezza della novità del Vangelo.

mercoledì 15 luglio 2020

Isaia 10,5-7.13-16 e Matteo 11,25-27
Ma a noi Gesù si è rivelato!

A volte si ha l'impressione che Gesù si sia rivelato ad altri, ai piccoli, agli umili, a qualcuno che è altro rispetto a noi, rispetto alla nostra inadeguatezza.
Cerchiamo di andare più a fondo in questi versetti di Matteo. Il tenore di questo passaggio è molto diverso da ciò che precede e da ciò che segue, per cui, dobbiamo intenderlo come contenuto a sé stante, anche se nel momento in cui entra nella redazione del testo interagisce con il testo stesso.
Il tono del versetto 27 è tipicamente giovanneo, e rivendica l'autocoscienza di Gesù circa il suo essere figlio di Dio. Ma non solo, questi versetti sembrano proprio esprimere nel contesto del Vangelo di Matteo, una rivelazione particolare della persona di Gesù. L'intenzione sembra quella di non raccontarci solo segni, miracoli e parole, ma una testimonianza inedita di Gesù stesso. Da una parte è un testo che dice l'intimità della preghiera di Gesù, come dall'altro viene espressa la sua autocoscienza.
In un momento di crisi, dopo l'inizio incoraggiante della predicazione, Gesù fa sgorgare dal suo cuore un inno di lode gioiosa e convinta a Dio: "Riconosco te, o Padre, Signore del cielo e della terra ...". Gesù si rivolge a Dio con una confidenza unica: lo chiama “Padre”, in aramaico “Abba”, perché in questo nome sono racchiusi per Gesù la tenerezza, l’amore e la misericordia. Dio è Creatore e Signore del cielo e della terra, è l’Altissimo, ma il credente lo riconosce in una relazione di intimità paterna, carica di sentimenti d’amore.
Credo sia questo il cuore della rivelazione che Gesù fa di Yhwh, del Padre suo. Non ci si limita a trasmettere una rivelazione antica, o una dottrina fatta di leggi e di precetti, ma Gesù condivide l'intimità del suo rapporto con il Padre, e lo fa con i discepoli, perché pure loro scoprano il Padre. Questa intimità diviene per l'evangelista Matteo la chiave di lettura del "mistero del regno dei cieli" raccontato in parabole. Come pure, diviene anche il punto di partenza del riconoscimento della coscienza e volontà divina di Gesù. I piccoli, i poveri, quali interlocutori del mistero, sono tutti i discepoli, sono i figli, che si accostano a questa intima esperienza del maestro e desiderano farla propria e comprendono che occorre entrarvi per poterla discernere e viverla.

martedì 14 luglio 2020

Isaia 7,1-9 e Matteo 11,20-24
Anche Gesù si arrabbiava!

Immagini stereotipate di Gesù sempre sul pezzo, sempre perfetto e misurato nel comportamento e nelle parole, si infrangono di fronte a certe pagine del Vangelo. Ma questo non toglie nulla alla possibilità di essere il figlio di Dio. La sua umanità alterata dice il mostro reale di una incarnazione rispetto alla natura umana.
Che cosa genera questa reazione così pungente? Forse semplicemente la percezione della indifferenza da una parte e della durezza di fronte alla esigenza della conversione.
Ciò che stupisce il Signore è proprio questo, a Cafarnao, dove più di ogni altro luogo Gesù ha abitato, ha compiuto segno e miracoli, e dove certamente ha speso molte energie nella "predicazione" cioè nel comunicare la proposta del Vangelo, ebbene, proprio in quel luogo Gesù sperimenta ma prima e bruciante "sconfitta": la gente dopo l'iniziale entusiasmo è ritornata alla consueta e abitudinaria pratica di vita. Un po quanto anche noi oggi sperimentiamo con estrema puntualità.
È l'umanità delusa di Gesù che fa breccia nella pagina del Vangelo; però ora, occorre non fraintendere la reazione di Gesù come un giudizio di condanna, quasi una piccola vendetta personale. La reazione di Gesù è la lettura della realtà, è stupore per l'incredulità, è tristezza per la durezza di cuore e la mancanza di desiderio. 
Ma in tutto questo, cosa dobbiamo ricordare? Ebbene a Cafarnao e a Betsaida, in firma della "predicazione" e delle relazioni famigliari, nascono le prime comunità dei discepoli di Gesù. Nascono le Domus Ecclesiale (case chiesa), non tutto è stato vano, perché è da queste comunità che ha origine la Chiesa che Gesù promette e fonda su Pietro. 

lunedì 13 luglio 2020

Isaia 1,10-17 e Matteo 10,34-11,1
Il di più in un bicchiere di acqua fresca ...

Presi i dodici, Gesù, non risparmia le parole circa la fatica che saranno, e che sono chiamati a fare rispetto alla scelta di seguirlo.
Prima di tutto l'incomprensione di quelli vicini, della propria famiglia. Ma non è così anche oggi, anche in famiglie dette "cristiane", dove la scelta di seguire la vocazione di consacrazione, oppure scelte che mettono il primato del Vangelo e del Signore davanti a tutto, suscitano sentimenti variabili tra il turbamento e l'opposizione? Il Vangelo non è male, seguire Gesù non è male ... ma sono i nostri attaccamenti e i nostri progetti che vanno ad occupare la possibilità di essere per Gesù e per il Vangelo, rendendoci inadatti e inadeguati ... cioè pongono in noi una rigidità e una indifferenza che limita la nostra vita nella capacità di novità.
Il primato di Cristo in cosa si traduce oggi?
Credo di poter dire che questo primato si traduce nella sua rilevanza! Di fronte alla irrilevanza culturale del cristianesimo di oggi in occidente, è la vita dei cristiani in altre parti del mondo che testimonia ancora come la rilevanza cristologica si traduce in scelte e modi di vita che esprimono il precederci di Gesù. È proprio questa apertura, questa disponibilità della nostra esistenza che dice il donare la vita per averla in pienezza.
Ed è questo il cuore della nostra incompiutezza esistenziale. Di fronte alla criticità e fatica della scelta, e delle scelte, la pienezza di senso ci rivela quel di più che è solo Gesù, ma rivela e mostra anche come essere degni di Lui.

domenica 12 luglio 2020

Is 55,10-11; Sal 64; Rm 8,18-23; Mt 13,1-23
La parabola per la nostra vita!

Oggi come allora, sulla riva del lago, queste parole uscite dalla bocca di Gesù, ci riportano alla fonte della Parola, al cuore e alla rivelazione del Padre. Gesù non è un cantastorie, e neppure un maestro che inventa un racconto per facilitare la comprensione agli studenti distratti e svogliati. Queste Parole rappresentano il messaggio esplicito di Dio, la sua Parola, rivestita con i panni della quotidianità, con i tratti della vita di quel tempo. Ma sono i panni e i tratti per cui, oggi, le stesse parole possono rivestirsi di attualità e prendere a prestito la nostra storia per fare risuonare le Parole di Dio.
Prima di tutto impariamo che, di fronte alla Parola, Gesù insegna l'ascolto, non occorre capire e cercare in ogni modo le corrispondenze, anche perché corriamo il rischio di stravolgere la Parola, e di fargli dire ciò che noi vogliamo.
La gente che era sulla riva del Lago, ascolta, e si lascia condurre nella immaginazione dalle Parole di Gesù ... Se non mi metto in un vero ascolto, quasi un arrendermi di fronte alle Parabole, il mio tentativo di capire diventa l'esperienza dell'incomprensione: "Udrete, sì, ma non comprenderete, guarderete, sì, ma non vedrete".
All'interrogativo che quasi inevitabilmente si genera in noi: "che terreno siamo?"
Le parole di Gesù, nell'ascolto danno questa risposta: "Siamo tutti duri, spinosi, feriti, opachi, eppure la nostra umanità imperfetta è anche una zolla di terra buona, sempre adatta a dare vita ai semi di Dio". Sempre nella possibilità di dare frutto ...
È questo il senso profondo della semina costante e che mai si arresta, neppure nella difficoltà. la Sua (del Padre) Parola è seme che poco o tanto, gettato nella nostra storia, seminato nella nostra vita, ha una sola certezza, quella di produrre frutto. Forse poco, ma produce frutto; o forse tanto, fino a centro volte!
Ma ciò che è straordinariamente affascinante è che la semina, è opera di Dio, non dipende da me! Il frutto è forza stessa del seme e della mia vita, anche se dura e sterile, come pure se fertile e produttiva. Oggi imparo a stupirmi della Parola e di come, quando si lega alla vita, tutto sboccia in una realtà nuova in cui tutti, il Padre e noi sperimentiamo l'abbondanza del raccolto. I frutti abbondanti della Parola sono i segni del Vangelo nella vita, sono le esperienze che di amore, di accoglienza, di comunione, di solidarietà che nascono come conseguenza del nostro accogliere la Parola. In questo modo superiamo i nostri schemi moraleggianti, pedagogici ed educativi, a vantaggio della potenza della Parola del Signore.
Ecco che la Parola seminata, dal Seminatore è presenza reale del Signore. È lui stesso nella Parola, per cui la relazione con la Parola è esistenziale. Quando l'evangelista interpreta la parabola, Gesù stesso afferma che il seme coinvolge la vita e produce un frutto insperato, solo in una vita che tutta diviene buona ... E capace di Custodire la Parola!

sabato 11 luglio 2020

Proverbi 2,1-9 e Matteo19,27-29
San Benedetto patrono d'Europa
Cento volte tanto ... a chi mi segue!

"Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna", sembra uno slogan pubblicitario, o una promozione per la ripresa di un settore in crisi. 
Se non fosse che a differenza degli slogan, che si fondano spesso su una promessa illusoria, ovvero su un compimento che non trova poi riscontro e che lascia delusi o disattesi, la promessa fi Gesù è introdotta da una formula di garanzia: "In verità, io vi dico ...". Quell'io è a fondamento della veridicità  della promessa di seguire il maestro.
Ma questo significa anche che, in ogni momento della vita posso verificare il premio o l'interesse maturato dal mio seguire Gesù, ovvero il 100 volte tanto ...
Quando non raggiungo la quota cento, quando la vita eterna perde di fascino e di attrazione, devo subito andare a verificare se è soddisfatta la prima e la seconda condizione: "voi che mi avete seguito" e "chiunque avrà lasciato ..."
Il senso dl seguirlo, si realizza prima di tutto nell'accoglierlo; Gesù non cerca uomini e donne che seguano dei precetti, ma uomini e che accolgano la sua proposta di vita: fare dell'amore del padre il criterio per dare senso e pienezza alla propria vita. Forse allora non è poi così scontato il seguire, e non possiamo pensare di risolverla con la solita appartenenza ecclesiale di facciata.
Il senso del lasciare, ci prende in quelle parole di Gesù che ci richiamano a un amore più grande: "chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me ...".
Ecco allora che il lasciare nulla a a che fare con la rinuncia o la separazione, ma è un invito a possedere sempre di più, perché è il Signore il di più che ci porta a pienezza, ovvero a cento volte tanto. È in questa pretesa del Signore che riconosco che la mia vita, già ora ha il sapore della eternità.

venerdì 10 luglio 2020

Osea 14,2-10 e Matteo 10,16-23
Ritorneranno a sedersi alla mia ombra ...

La lettura continua di Osea ci permette di gustare la tenerezza di Yhawh. Quando Efraim, cioè Il regno di Samaria, è ormai prossimo alla distruzione, le parole profetiche sono ben oltre la consolazione di fronte alla crisi. Dio non si limita a consolare, cioè ad accompagnare nella fatica, o nella sofferenza, ma la consolazione si unisce alla speranza e alla fedeltà. È in un contesto di crisi che trova spazio la fede nella fedeltà di Yhwh: "Io li guarirò dalla loro infedeltà, li amerò profondamente, poiché la mia ira si è allontanata da loro."; è quando tutto crolla che trova spazio la speranza nelle realtà rinnovate: "Ritorneranno a sedersi alla mia ombra, faranno rivivere il grano, fioriranno come le vigne, saranno famosi come il vino del Libano".
La consolazione di Dio si imprime nel vissuto dell'uomo provocandolo nella fede; "quel io sarò" e quel "ritorneranno" - parole profetiche che risuonano della parola di Yhwh - diventano la stabilità dove parte la risposta dell'uomo alla fede. È in questa intima realtà, di crisi e di fedeltà, che l'uomo matura il senso della sua fragilità e della sua creaturalità, ed è da questa coscienza che per fede può dire: "non chiameremo più 'dio nostro' l’opera delle nostre mani, perché presso di te l’orfano trova misericordia".
Il frutto della consolazione è la scoperta della paternità di Dio: non siamo orfani!

giovedì 9 luglio 2020

Osea 11,1-4.8-9 e Matteo 10,7-15
Più li chiamavo è più si allontanavano ...

L'amore che non è amato! È questa la dinamica umana più diffusa e che si traduce nella esperienza comune, ancora di più che quella dell'amore ricambiato. È proprio questa immagine-esperienza che si nasconde nelle parole del Profeta Osea. Ma è Dio che ama, e per questo all'amore non amato corrisponde: "Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione".
Questa immagine, che supera ogni possibilità umana di un amore gratificato e corrisposto, anticipa da sempre il mistero della misericordia di Dio che si manifesta e realizza nell'amore donato al mondo nel figlio di Dio, in Gesù.
Collocare nella nostra esistenza l'amore gratuito di Dio permette di mettere a nudo la nostra fragilità e di curare le nostre durezze, con l'esercizio della pazienza (li chiamavo e si allontanavano da me), della vicinanza (come chi solleva un bimbo alla sua guancia)e della compassione (perché sono Dio e non uomo).
Ecco che nel Vangelo alla immagine di questo amore viscerale, si accompagna il "gratuitamente".
Il Vangelo come annuncio, come esperienza e condivisione della vita, si differenzia da una sapienza, da una filosofia, o da una dottrina proprio per questa sua genesi: "Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date!"
Ma cosa abbiamo ricevuto "gratuitamente?" 
Gesù Cristo il verbo del Dio Benedetto! La misericordia del Padre fatta carne!

mercoledì 8 luglio 2020

Osea 10,1-3.7-8.12 e Matteo 10,1-7
È tempo di cercare il Signore!

Due immagini accompagnano la Parola di questo giorno.
La prima immagine è conseguenza della crisi epocale che il profeta Osea, vive, legge e riprende prima della distruzione del Regno di Samaria (Israele). La realtà che siamo chiamati a vivere, mette in luce la falsità del cuore: Yhwh non è più il "cuore di Israele". Ma che cosa rappresenta quella infedeltà, quella vergogna e quel peccato di idolatria. È in questo contesto che non viene meno anche la certezza che "Dio ha visitato il suo popolo", per cui ancora risuona l'invito profetico "dissodatevi un campo nuovo, perché è tempo di cercare il Signore, finché egli venga ...". Ed ecco che il suo venire non si lascia attendere.
La seconda immagine che risponde a questa certa speranza, che si manifesta attraverso il vangelo: l'agire di Gesù, dal quale diviene anche quello degli apostoli, costituiti tali e inviati, è continuità e attualità della venuta del Signore. Il fare, l'agire del maestro, condiviso con gli apostoli, imprime nella realtà la novità salvifica: "diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità". 
Non si tratta di taumaturgi girovaghi che compiono prodigi, ma di segni concreti della salvezza come conseguenza del diffondersi del Vangelo. Dio manifesta il suo esserci - il regno dei cieli è vicino - nei segni di coloro che Gesù manda a continuare, e a realizzare, la pienezza della venuta del Signore, la salvezza.

martedì 7 luglio 2020

Osea 8,4-7.11-13 e Matteo 9,32-38
Vedendo le folle ...

Quel girare da una città all'altra, da un villaggio ad un altro, diviene per Gesù la condizione indispensabile è necessaria per condividere la vita di quella gente vera e concreta. Gesù non è un maestro di nuove dottrine, neppure un trascinatore di popolo, egli si percepisce nella immagine del pastore. Il suo guardare è attento e premuroso. Egli coglie immediatamente le loro malattie e infermità, egli fa proprie le loro fatiche.
Forse troppo abituati a pensare a un Gesù "crocerossina", non percepiamo il senso della sua compassione per l'uomo: "perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore"; il suo essere pastore.
Anche il nostro guardare come discepoli, il nostro stare nella realtà, deve essere animato dalla stessa compassione per la fragilità umana che Gesù ha vissuto. La compassione non fa parte della mistica della sofferenza o di una sorta di deviazionismo ottocentesco; nelle parole di Gesù la compassione è comunione con i fratelli che si fa consapevolezza e preghiera. La compassione permette il coinvolgimento libero e responsabile. La compassione è un moto sensibile che permette alla mia vita di essere unita sensibilmente alla vita di un amico, o anche solo dell'altro. Gesù percepisce in se stesso la forza di questa comunione.

lunedì 6 luglio 2020

Osea 2,16-18.21-22 e Matteo 9,18-26
Nella fedeltà conoscerai il Signore!

La bellissima immagine di Osea - che ha come sfondo la sponsalità -, viene applicata in modo suggestivo alla relazione tra Dio e il popolo di Israele. Dopo il tempo della infedeltà, lo stesso profeta sperimenta una rinnovata relazione di amore, che parte dall'iniziativa divina (Yhwh, mai abbandona a sé stesso il popolo di Israele): "Ecco, io la sedurrò, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore".
La risposta a questa seduzione non si fa attendere. La sposa subito risponde come chi è condotta dalla passione giovanile dell'amore, in un concedersi pieno di fiducia e di attesa. Questa immagine divine il sigillo della fedeltà di Yhwh: "Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nell’amore e nella benevolenza,
ti farò mia sposa nella fedeltà e tu conoscerai il Signore".
Nella dinamica della elezione, cioè della scelta sponsale, non si intuisce solo una preferenza, ma tutto ciò che dal vincolo di amore si genera nella esperienza del vivere quotidiano si dilata nell'esperienza della giustizia e il diritto, che possono ben rappresentare la Legge come ambito di libertà e di concretezza del Patto. L'amore e la benevolenza, possono invece rappresentare il riferimento alla costante novità della Profezia nel progredire della storia. Ma ciò che diviene esperienza totalizzante è infine il "ti farò mia sposa nella fedeltà". L'esperienza del Dio fedele diviene il presupposto unico-necessario e generante, del vincolo Sponsale. Ma è proprio questa fedeltà che permette di "conoscere", non certo intellettualmente il Signore. L'immagine infatti si carica del contenuto più esplicito della conoscenza "biblica", cioè come esperienza di amore pieno.

domenica 5 luglio 2020

Zaccaria 9,9-10; Salmo 144; Romani 9,9.11-13; Matteo 11,25-30
Un giogo di mitezza e umiltà ...

Il Vangelo di oggi ci mette di fronte a una immagine inedita di Gesù. Il Signore ci mostra i suoi sentimenti, me sue fatiche la sua delusione, come anche la sua fiducia nel Padre.
Ma che cosa è successo?
Se leggessimo qualche versetto prima, ci accorgeremo che Gesù è alquanto irritato, forse arrabbiato, per il disinteresse, la lontananza e il rigetto di alcune città del Lago, nelle quali era andato ad annunciare il Vangelo. Dopo tanti successi, infatti, arrivano i primi rifiuti, le prime prese di distanza. È questa crisi, me mette Gesù di fronte alla necessità di andare a fondo rispetto alla propria missione, alla propria vocazione al proprio rapporto con il Padre.
Quale è l'atteggiamento di Gesù? Come reagisce alla crisi? In che modo il maestro propone e vive la crisi come una occasione di soluzione?
Ecco che di fronte al No inatteso e ingiustificato della gente, Lui pone ancora il suo Si fedele a Padre. Noi spesso di fronte alla crisi, di fronte ai No della vita e delle persone, ci trinceriamo in una sorta di autodifesa, ci rifugiamo in "avventino"; nella peggiore delle situazioni abbandoniamo il tutto e ci defiliamo.
Gesù invece esordisce in un "Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli ..."
Non è solo una espressione di preghiera, ma è un vero e proprio riconoscimento di come Gesù sente l'agire del Padre nella storia.
Ci sono uomini e donne che non riescono a vedere Dio neppure nei miracoli, ci sono uomini e donne, invece, che nella semplicità del loro cuore, della loro vita, gioiscono della presenza di Dio.
È questo lo straordinario del cristiano, che si alimenta dallo sguardo fiducioso che Gesù ha della realtà. Gesù ancora una volta si sente gratificato da come il Padre si rivela e si manifesta nella vita di chi è povero è semplice.
A chi è povero è semplice, Gesù condivide una sorta di felicità o benedizione, cioè la predilezione del Padre. Egli stesso sperimenta come la mitezza e l'umiltà sono vie preferenziali per il manifestarsi della presenza di Dio. A chi vive lo scandalo della fatica del vivere, a chi è scartato dalla società a chi non ha prospettive per il futuro ...
Gesù dice, che in quelle fatiche, nell'essere scartati, in quella mancanza di futuro ... Dio è Padre, ed è presente, e si carica insieme a noi di quel giogo pesante per dirci come la mitezza e l'umiltà sono il modo e lo strumento per vivere la prova; ci dice come la mitezza è rinuncia a ogni pretesa violenta o ad ogni orgoglioso senso di giustizia; ci dice cine l'umiltà è mettere sempre l'altro davanti a sé come fine e come compimento. 
Solo i piccoli e i poveri riconoscono in questo stile di vita "il ristoro promesso", cioè il legame (giogo) con Cristo che ci renderà felici.

sabato 4 luglio 2020

Amos 9,11-15 e Matteo 9,14-17
Conservare il vecchio e il nuovo ...

" Ecco, verranno giorni – oracolo del Signore – in cui chi ara s’incontrerà con chi miete e chi pigia l’uva con chi getta il seme ...".
La Profezia si accompagna alla fatica di chi ara e di chi getta il seme, fino a raggiungere la pienezza del percorso umano che trova nella mietitura e nella pigiatura. la ricompensa del duro lavoro.
E' una bella immagine che anticipa un Dio che accompagna la storia dell'uomo; un Dio che partecipa della quotidianità - che nulla disprezza -, ma che sembra gustarne il senso e il fine: "Li pianterò nella loro terra e non saranno mai divelti da quel suolo che io ho dato loro", cioè vivere della Promessa. L'immagine dell'incontro, dell'abbraccio è il simbolo della gioia ma soprattutto della pienezza e della sintesi.
La stessa immagine di pienezza accompagna le parole circa la Sponsalità profetica di Gesù. Lui è lo Sposo cioè la pienezza di ogni attesa. In lui trova unità il vino del tempo passato, con il suo corpo robusto e il suo aroma definito; come anche il mosto pigiato di nuovo, ancora acerbo perchè forte e spumeggiante.
Oggi Gesù, ci porta con sè per fare sintesi delle promesse antiche, per sentirne la solidità fondata sulla fede di chi ci ha preceduto - di quella fede ne gustiamo il gusto maturo-; ma ci immette anche nella novità e nell imprevedibilità, dove sarà la nostra fede a corrispondere alle promesse di Dio e a portare a maturazione i nostri giorni. Questo è il gusto provocante del vino nuovo, tutto da immaginare nel suo formarsi. Siamo nel tempo che prepara la festa di nozze, siamo nel tempo in cui desideriamo e attendiamo l'abbraccio; profezia del giungere dello Sposo.

venerdì 3 luglio 2020

Efesini 2,19-22 e Giovanni 20,24-29
Festa di San Tommaso Apostolo
Le nostra fondamenta

Paolo nella lettera agli Efesini, descrive con queste parole il legame che nei secoli tutti unisce a Cristo: "... edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti".
Ma come vanno comprese queste parole? Nella vicenda storica i Israele, il fondamento è la rivelazione di Yhwh ad Abramo, ad Isacco e Giacobbe; come anche la rivelazione che Dio fa a Mosé dal roveto ardente. A questo fondamento esistenziale si arriva fino a idealizzare il fondamento del popolo di Isrsele nel tempio di Yhwh a Gerusalemme. Esso rappresenta la costruzione perfetta, composta di grandi pietre, nel cui "Santo dei Santi" trova dimora la gloria di Dio, la sua presenza. Questa immagine, in un gioco di parallelismo, la ritroviamo all'origine dell'elezione del nuovo popolo di Dio: il gruppo degli apostoli, e a seguire tutti i martiri e i predicatori del Vangelo, che rivestono il ruolo profetico dell'annuncio. Anche il Tempio di Gerusalemme trova una sua piena identificazione nel corpo risorto di Cristo, unito a noi, che si edifica nel nuovo è perfetto tempio, la dimora dell'amore del Padre, ovvero della sua vita divina. Non è solo un gioco di parallelismi, ma è la rappresentazione concreta della vita cristiana. Non siamo di fronte a un pensiero ideologico, a una forma di conoscenza, ma al mistero della vita di Dio e del suo essere fondamento e insieme intimamente unita alla vita dell'uomo.

giovedì 2 luglio 2020

Amos 7,10-17 e Matteo 9,1-8
La profezia in tempo di crisi

Anche noi, credo, percepiamo questo tempo come tempo di svolta; come un tempo dal quale debba nascere qualcosa di nuovo. Gli sconvolgimenti a livello globale in ordine al clima, la precarietà e instabilità politica nei vari continenti, l'emergere delle conflittualità sociali, la povertà globale, i dissesti economici e in ultimo anche la pandemia ... tutto conduce a ritenere questo tempo come transitorio; ma lo è realmente?
Il brano di Amos (prima lettura) già ci porta a ricollocare la storia e gli eventi nella loro criticità, certamente dimostrano come il tempo porta con se un'impressionante susseguirsi di avvenimenti positivi e meno, e come nel dispiegarsi di questi si collocano gli uomini di fede, i profeti dell'Altissimo. Ecco che chi ha fede, chi riesce a congiungere la propria vita, il proprio esistere innestato nel tempo all'esperienza della fede, divine in forza della sua collocazione un Profeta di Dio. Dice Amos: "Non ero profeta ...; ero un mandriano ... Il Signore mi prese, mi chiamò .... Il Signore mi disse: Va’, profetizza al mio popolo Israele". Il senso è il contenuto della Profezia derivano dall'esperienza della vita e dallo sguardo che si ha sulla storia, sugli avvenimenti, alla luce della fede. Non è forse questa la profezia che vive oggi la Chiesa. La vita dei discepoli di Gesù, è oggi più di ieri, occasione di profezia, lì, nelle città, nel lavoro, nei legami di affetto, in tutti gli ambiti esistenziali. Essa o è profeticamente significativa o è una contro testimonianza della fede; un discepolo se non è profeta mostra l'assurda fragilità della sua fede sottoponendosi all'inclemente giudizio  di tutti. Oggi la Chiesa, nel magistero più alto che può esprimere e nella fedeltà alla chinata di Dio, nonostante le ferite che porta con sé, è profezia in tempo di crisi, e i discepoli del Signore, sperimentano nel rigetto del mondo la forza germinale della testimonianza della fede. Questa Crisi è propedeutica alla profezia!

mercoledì 1 luglio 2020

Amos 5,14-15.21-24 e Matteo 8,28-34
Gesù liberatore dal male

Gran parte della vita pubblica di Gesù si svolge nel territorio del Lago di Galilea; dalla sponda di Ghenèsaret, Cafarnao, Betsaida, fino alla sponda opposta nel territorio della decapodi, quindi come specifica il Vangelo, a Gadara (Gadareni). Altri riferimenti dei vangeli presentano il riferimento con Gerasa, ma questo sposterebbe ad oltre 50 km l'incontro narrato; forse siamo di fronte alla fusione di fonti diverse. Indicativamente siamo all'interno nell'attuale territorio Giordano. Nessuno è escluso dalla predicazione del maestro, nemmeno quei territori ritenuti pagani e impuri dagli ebrei della Galilea, che a loro volta erano considerati molto discutibili circa l'osservanza della Legge. Se questo è lo sfondo del contesto narrativo, la vicenda degli indemoniati e dei porci, non rappresenta solo un avvenimento narrativo ma pone una chiara attenzione al confronto tra Gesù e il male. Il male che che non è semplicemente la possessione demoniaca, ma il male che si accompagna con la vita delle persone al punto di possederne gli spazi di libertà e di azione; il male che si insinua nel gli interessi della vita quotidiana, come anche in quelli economici; il male che ci fa preferire il nostro usuale modo di vivere rispetto alla  novità rappresentata da Gesù. Gli uomini indemoniati sono esclusi dalla convivenza sociale, si aggira per i sepolcri e grida la loro disperazione  e con una furia furibonda rifuggendo la propria salvezza. Gesù rappresenta l'unica soluzione al male che ci insidia, perché il bene, la verità è la vita, non sacrificano mai l'uomo, ma sono il fondamento della libertà, ovvero la salvezza.