venerdì 30 aprile 2021

Testimonianza di fede.

Atti 13,26-33 e Giovanni 14,1-6


Effettivamente un bel discorso, quello di Paolo ad Antiochia di Pisidia, un discorso che rimanda immediatamente a quello fatto da Pietro, nel giorno di Pentecoste. Che cosa rappresenta questo brano di Atti?
È la più chiara espressione di Saulo, ora Paolo, una riabilitazione di fronte alle comunità dei discepoli che lo hanno conosciuto come persecutore. È una dichiarazione pubblica di fede in Gesù Cristo, messia e salvatore. Paolo testimonia come anche attraverso se stesso, si realizza e compie la stessa parola di salvezza che nei Profeti e in tutta la storia di Israele, ha annunciato la vita, la passione, la morte e la risurrezione del Signore. Non è quindi un semplice fare memoria degli avvenimenti, ma come se a partire dalle scritture, cioè dalla parola detta ai Padri, si inserisce la storia di oggi nello stesso dinamismo di salvezza. Fare memoria del passato serve a Paolo ma anche alla comunità per comprendere il presente. Se non riusciamo a leggere la nostra quotidianità alla luce della storia della salvezza, siamo dei credenti sterili, atei, virtuali, discepoli di una memoria fossile.
Paolo, invece, partecipa pienamente del racconto che fa, che non è un rimproverare e neppure un rivendicare; egli si sente pienamente coinvolto e partecipe dello stesso mistero rivelato ai Padri. Per Paolo, la sua testimonianza è il suo atto di fede, in forma concreta. Quale è il nostro punto fede? Come si esprime concretamente il nostro credere in Gesù Cristo, figlio di Dio.

giovedì 29 aprile 2021

Camminare nella luce ...

1Gv 1,5-2,2 e Matteo 11,25-30

Santa Caterina da Siena Patrona d'Italia 

Cosa significa per noi oggi "camminare nella luce?" Il camminare è un dinamismo sempre diretto verso una meta, anche se nel mondo di oggi, tra immagine  e virtuale, il camminare rischia di non essere più percepito come un protagonismo di tutta la persona ma anche solo come un trasporto mentale o una acquisizione dell'intelletto.
Camminare con tutta la persona o farlo virtualmente non è la stessa cosa! È come passare dalla concretezza della realtà, all'immagine proiettata di un film. Camminare nella luce per un discepolo di Gesù ha, come Giovanni apostolo suggerisce, un significato estremamente concreto. Camminare nella luce vuol dire camminare in santità, riconoscendo e confessando il peccato ogni volta che si cade. Si tratta di un cammino nella Santità, cioè nella luce di Dio; si tratta di venire sempre fuori dalle dinamiche contraddittorie del peccato, attraverso la concretezza dell'agire di misericordia, e di amore. È questo cammino di tutta la persona (testa, cuore e pancia) che ci radica nella realtà concreta con la meta altrettanto concreta dell'eternità. Se non fosse così, anche l'eternità si raffigurerebbe come virtuale. Se fosse virtuale sarebbe legittimo ogni dubbio circa la sua realtà e verità.
Camminare nella luce è allora vivere ogni giorno la santità del quotidiano sulla via che la Parola di Dio ci rivela; significa usare i propri piedi, i propri sentimenti, il proprio cuore e ragionamenti ... tutto ciò che siamo, strettamente uniti, al pensiero, ai sentimenti e all'agire di misericordia di Gesù, parola di Dio che si fa concreta nella nostra storia.

mercoledì 28 aprile 2021

La parola di Dio cresceva.

Atti 12,2424-13,5 e Giovanni 12,44-50


È la Parola la del Padre, che agisce e opera della comunità delle origini. In tutto ciò che accade si percepisce quell'intreccio fatto della libertà di Dio e da quella dei discepoli, un intreccio che segna profondamente il cammino della comunità. Tutto è sempre e comunque accompagnato dalla Parola che come dice in questo inizio di lettura, "cresceva".
Il crescere della parola si lega alla sua fecondità, si esprime nel suo moltiplicarsi attraverso l'opera della condivisione della parola stessa, della comunione come apertura al mondo e della adesione alla fede in Gesù Cristo, Parola di Dio.
Ogni discepolo, se tale è, riconosce a posteriori, cioè quando la Parola accade, l'opera di Dio attraverso quella stessa Parola che il discepolo porta in se stesso e attraverso se stesso. Non sono suoi i frutti, non è merito suo la diffusione della Parola, ma è sempre un l'agire di Dio che precede, conduce e riconduce il tempo dell'uomo nel mistero dell'amore che salva.
Dio nella sua Parola, non parla nelle nostre poche idee, ma nei fatti e negli avvenimenti, a volte positivi, altre volte negativi per il discepolo. È in questo svelamento storico che la parola mostra il suo essere la vera protagonista di ciò che avviene, l'importante è non pure ostacoli, non essere noi coloro che spengono la parola. 
Ecco allora che la parola guida l'agire, e i passi della comunità nel suo essere co-protagonista del crescere cioè del diffondersi nel cuore degli uomini, nel fargli riconoscere la paternità di Dio e nello scoprire di essere figli, e quindi tra loro fratelli.

martedì 27 aprile 2021

Vediamo la grazia di Dio

Atti 11.19-26 e Giovanni 10,22-30


La Chiesa di Gerusalemme, mando Barnaba ... come controllore ... Il quale vide la grazia di Dio! In cosa consiste questa "gloria"?
Barnaba riconosce l'agire di Dio verso i pagani, e come la comunità, la Chiesa, è stata condotta dallo Spirito non solo verso i proseliti (uomini e donne di origine pagana che praticano la fede nel Dio di Abramo), ma anche ai pagani in senso proprio, lontani dalla tradizione giudaica e cin tutta la loro cultura idolatrica e i costumi profondamente diversi. Tale diversità sarà oggetto di profondi confronti, aperture e chiusure nella Chiesa delle origini. Ma è proprio in tutto questo che Barnaba prende atto che "... la mano del Signore era con loro e così un grande numero credette e si convertì al Signore". 
Lo stupore, la meraviglia, prima del giudizio è la condizione che Barnaba sperimenta di fronte al manifestarsi della "Gloria" di Dio. Questa condizione originaria della comunità dei credenti appartiene all'identità della Chiesa. Essa nel tempo non perde questa sua capacità di stupirsi del dove lo Spirito la conduce nella sua opera di annuncio del Regno di Dio. Questo significa riconoscere anche oggi il travaglio del confronto con il mondo, non come scontro in cui, o si vince o si muore, ma come occasione in cui la "Gloria", cioè la presenza di Dio precede il nostro cammino. Nel frattempo spicca un indizio meraviglioso: è in questo "passaggio" che Barnaba incontra Saulo di Tarso, ed ecco che inizia un'altra "storia nuova".


lunedì 26 aprile 2021

Conversione e scandalo.

Atti 11,1-18 e Giovanni 10,1-10


Quella di oggi è una pagina molto densa degli Atti degli Apostoli, rappresenta una chiara descrizione di come la comunità delle origini (che è già Chiesa) si confronta con il mondo. La prima condizione che sperimenta la Chiesa è la necessità della conversione quotidiana, necessaria per non cadere nella rigidità farisaica di coloro che sono super credenti, perfetti, che ostentano a tutti il modo migliore di essere discepoli, un modo che diviene una nicchia e una esclusione degli altri. Un modo fatto di norme e precetti che spesso sono nostre invenzioni; essi iniziarono a travisare il segno della circoncisione, e da allora ... molto altro ...
La Chiesa delle origini, Pietro, sono l'origine dello scandalo ... scandalizzano i perfetti, proprio perché in loro non c'è la quotidiana conversione.
È questa quotidiana conversione che permette alla comunità dei discepoli di Gesù, in ogni tempo, di essere fedele a sé stessa e di vivere le gioie e i dolori, le difficoltà interne e le persecuzioni, la fatica verso l'ignoto e verso ciò che è diverso; come condizione di crescita.
Nel modo in cui Pietro dava scandalo in principio, e il modo in cui il suo successore da scandalo oggi, troviamo la certezza che la Chiesa non si è adeguata alle logiche del mondo e neppure a quelle dei super credenti.
Se da scandalo andare verso i pagani, per poi riconoscere che "anche ai pagani Dio ha concesso che si convertano perché abbiano la vita",allora ben venga il nostro andare oggi, incontro a ogni uomo è ogni donna, senza pregiudizio e senza pretese ... ma solo col desiderio di fare come ha fatto Gesù: che ha scandalizzato tutti con la sua croce, ma che con quella croce a pure salvato tutti. 

domenica 25 aprile 2021

Pregare e Sognare

At 4,8-12; Sal 117; 1 Gv 3,1-2; Gv 10,11-18


Quarta domenica di Pasqua, 58esima giornata di preghiera per le vocazioni! Dal 1963 ogni anno facciamo una preghierina e così ci sembra anche di aver assolto un impegno che Gesù ci affida nel Vangelo: "pregate il padrone della messe, perché mandi operai nella sua messe".

Ma stranamente proprio da quando abbiamo iniziato a pregare, le vocazioni di speciale consacrazione sono iniziate a diminuire fino a raggiungere nella nostra realtà livelli preoccupanti, soprattutto per i vescovi, che si vedono alle strette nel garantire la cura pastorale delle comunità parrocchiali.

Ma tutto non può essere misurato con i criteri di una contabilità, altrimenti è facile cadere nell’aridità impietosa dei numeri, che descrive una crisi che sembra inarrestabile. Infatti solo nel 2018 i preti incardinati nella nostra Chiesa di Imola erano 86, oggi (pandemia permettendo), sono 75, di cui sotto gli 80 anni solo 51... Dati drammatici.

E se invece di fare nostro lo sguardo triste e l’animo sofferente, ci accorgessimo che anche ora, in questo tempo di transizione, il Buon Pastore si sta prendendo cura del suo gregge?

Forse non come noi progettiamo e pensiamo - quasi dovessimo garantire l’immutabilità del sistema Chiesa - ma attraverso il rinnovamento e la purificazione che passa anche in quanto viviamo. Ecco allora che domande come:

Quale prete per la Chiesa oggi?

Quale giudizio incombe sulle giovani vocazioni di questi anni?

Essere prete come lo si è fatto fino ad oggi, serve ed è adeguato per la Chiesa di domani?

Oggi più che mai dobbiamo rimettere al centro della vita delle nostre comunità e Chiese il "Pastore Bello", la cui bellezza è il suo stile è offrire, donare, regalare la vita in un atto di amore; stile che oggi deve recuperare la Chiesa. Se noi tutti che siamo Chiesa, non abbiamo in "stima" a partire da noi stessi, il dono del "sacerdozio" battesimale e ministeriale, come condizione per donare la vita, non capiremo e non imiteremo mai il "Pastore Bello" nel suo donarsi e donare la vita.

Il Buon Pastore, anche in questo tempo di pandemia ci conduce a riconsiderare in profondità la vocazione di consacrazione come la possibilità per donare la vita, coltivare la fraternità e avere cura della comunione, che non sono un semplice anelito pastorale, ma sono le coordinate che ci permettono di individuare, anche oggi l'agire del Pastore Bello, che è colui che appunto offre la vita a favore di tutte le sue pecore … tutte sono per lui preziose, uniche.

Ecco allora che da rettore del seminario mi viene spontaneo lasciarmi andare a un sogno ...

Sogno, non che il Seminario di Imola si riempia di seminaristi, ma che, come sta accadendo, il Seminario apra le sue porte a giovanissimi, giovani, ragazzi e ragazze che vogliono vivere momenti anche prolungati e di vita comune, di autonomia e di ricerca di sé stessi.

Per questo, mi metto umilmente in ascolto e a servizio, cioè senza pretese, solo con la certezza che il servizio è l'accompagnamento della vita cristiana.

Mi fido di una intuizione: il Signore ci precede e ci accompagna anche in questo tempo di grande transizione. La transizione non è il tempo della fatica e delle incertezze, è il tempo della fedeltà di Dio alle sue promesse di amore. Occorre fidarsi! Per questo occorre pregare.


sabato 24 aprile 2021

Facciamo le stesse cose del maestro!

Atti 9,31-42 e Giovanni 6,60-69


Rapidamente il testo di Atti ritorna sulla vita della Comunità e sugli Apostoli, in particolare su Pietro. La nostra attenzione subisce una attrazione immediata verso i miracoli che Pietro - discepolo scelto da Gesù come pietra fondativa della Chiesa - compie e che immediatamente suscita la conversine di tanti, come anche la loro adesione alla comunità dei discepoli. 
I miracoli compiuti da Pietro, ripercorrono per modalità ed espressione, le stesse operate da  Gesù, con una piccola sottolineatura: essi avvengono in nome di Gesù, e rappresentano sempre il segno della presenza di Dio che salva. Questo potere di compiere miracoli, affidato da Gesù ai discepoli, testimonia la continuità nell'agire e quindi essi rappresentano i segni della creazione nuova che annuncia la salvezza universale. Il miracolo pur se fonte di meraviglia e di stupore in realtà rappresenta il segno del servo differente (crocifisso) che si carica dei nostri dolori.
Questa immane che gli Atti degli Apostoli ci condividono, in realtà custodisce anche una realtà che ci sfugge nell'immediato: la cura pastorale. Ecco infatti che Pietro compie miracoli, ma nel contesto del suo andare in visita alle comunità, nel suo incontrare e nel suo prendersi cura della Chiesa nel suo divenire, quindi non solo di Gerusalemme. La Chiesa esprime nella sua quotidianità, attraverso l'agire di Pietro, la premura per una comunione non solo ideale ma effettiva. Quando le comunità sono delle isole, quando i credenti si isolano, inizia la deriva dell'individualismo e dell'egoismo, si spegne l'amore e si rinnega la fraternità. Anche Gesù andava di villaggio in villaggio per prendersi cura e a cuore chiunque incontrava.

venerdì 23 aprile 2021

Io sono Gesù, che tu perseguiti!

Atti 9,1-20 e Giovanni 6,52-59


La conversione di Saulo, si inserisce dopo quella che ha visto il battesimo dell'eunuco, e rappresenta un segno evidente della diffusione del messaggio di Cristo. Gli Atti degli Apostoli, sembrano voler i dire che, convertirsi, è la normalità rispetto alla testimonianza che la Chiesa da' in obbedienza al mandato ricevuto. Quando la Chiesa è fedele alla sua identità e vocazione, anche per i suoi persecutori si apre la possibilità del cambiamento di vita. Nella lettera si Galati in un modo meno idealizzato, Paolo stesso (Saulo) racconta la sua conversione: "Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel giudaismo, come io perseguitassi fieramente la Chiesa di Dio e la devastassi, superando nel giudaismo la maggior parte dei miei coetanei e connazionali, accanito com’ero nel sostenere le tradizioni dei padri. Ma quando colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque di rivelare a me suo Figlio perché lo annunziassi in mezzo ai pagani, subito, senza consultare nessun uomo, senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi ritornai a Damasco".
La conversione di Saulo, è innalzata a modello e, in Atti, proposta come evento straordinario, in riferimento a ciò che Paolo sarà e opererà nella Chiesa delle origini. Ma credo che per ciascuno, rileggere la sua vicenda e le sue parole, serva soprattutto a farci comprendere come le nostre resistenze nel cammino di sequela; come i nostri atteggiamenti persecutori; come le nostre durezze e insensibilità; come i tanti nostri accanimenti, rappresentano i quotidiani ostacoli alla vera conoscenza di Gesù.
Dio non smetterà mai di "chiamarci", come condizione normale del suo amore personale per ciascuno, e in tutto "rivelare suo Figlio". La nostra conversione ci sarà quando le nostre inadeguatezze cadranno di fronte a colui che in tanti modi anche noi facciamo oggetto di persecuzione.

giovedì 22 aprile 2021

Battesimo per gli eunuchi!

Atti 8,26-40 e Giovanni 6,44-51


All'inizio del brano di Giovanni di oggi troviamo: "Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno". Questa espressione di Gesù fa eco alle parole dette dopo l'incontro con i greci: "quando sarò innalzato attirerò tutti a me". Esiste una non esclusione a priori rispetto all'annuncio del Vangelo, alla propria conversione alla adesione a Cristo e quindi anche alla Chiesa. Il brano di Atti di oggi ci raffigura proprio una situazione - il Battesimo dell'eunuco - che oggi sarebbe proprio una situazione di immediato confronto e dibattito nella Chiesa e nel confronto tra Chiesa e mondo.
Un eunuco, chi era? Oltre alle informazioni date dal testo, questo Eunuco è un africano, è un uomo privato della sua virilità, per molti considerato un non uomo; "è un funzionario della corte di Etiopia, ministro delle finanze; inoltre possiede un carro e legge un manoscritto; è quindi potente, ricco e colto. D’altra parte, quest’uomo potente è un eunuco: è, socialmente e religiosamente, un emarginato. La società antica non nasconde né il disprezzo, né gli scherni verso gli eunuchi. Israele considera questi ‘alberi secchi’ (Isaia 56, 3) impuri e non li ammette nelle assemblee; nel recinto del tempio non possono oltrepassare il cortile dei pagani […]. In modo inaspettato, il suo incontro con Filippo e il suo battesimo permetteranno all’eunuco di essere inserito nel popolo di Dio, realizzando così la profezia di Isaia” [AAVV, Commentario del Nuovo Testamento, EDB 2014, p. 595]. "L'evangelizzazione, che non è il nostro catechismo, avviene con l'adesione a ciò che lo Spirito indica, a ciò che sta accadendo, con attenzione alle persone, cominciando da ciò che escluderemo come assurdo, improbabile o impossibile. Lì Dio è presente". (Silvano Fausti).

mercoledì 21 aprile 2021

Prestare attenzione a quale testimonianza...

Atti 8,1-8 e Giovanni 6,35-40

La persecuzione è presentata nel racconto di Atti come una occasione, nella stessa prospettiva è scia di Gesù che innalzato e crocifisso attrae tutti a se, così i suoi discepoli nella persecuzione sono lievito e fermento della Chiesa nel suo nascere. Forse questa visione "ideale" ci provoca e anche infastidisce, perché ci obbliga a tornare a una idea originaria che ci mette completamente in discussione, come anche nel vero confronto con il mondo. Quando infatti la Chiesa testimonia l'amore è la giustizia, così come Gesù l'ha vissuta, in realtà inevitabilmente subisce persecuzione, prospera, cresce, si rinnova; sembra proprio associata alla croce del maestro. Quando invece invece la Chiesa tradisce la sua vocazione e vive per se stessa, facendo le proprie battaglie, cercando il potere e legandosi con i potenti, rinnegando poveri e gli oppressi, invece di crescere si autodistrugge. Una Chiesa mondana non ha nulla da dire, non dona la vita e la salvezza. A memoria di questa vocazione che non può venire meno, nei secoli, sui luoghi del martirio sono state costruite Chiese, e negli altari dove la Chiesa celebra il sacrificio, cioè il dono della vita per il mondo, vengono poste le reliquie dei martiri. 

martedì 20 aprile 2021

Testimonianza di Stefano

Atti 7,51-8,1 e Giovanni 6,30-35


E così Stefano muore, lapidato, e da testimonianza del suo amore a Gesù e alla Chiesa, cioè ai fratelli; perché, anche se a noi post-cristiani suona male, la testimonianza del sangue è sempre stata, e sarà, un gesto estremo d'amore, mai di pura sofferenza.
La descrizione che gli Atti degli Apostoli ci lasciano, è quasi un eco della morte di Gesù,  quasi a voler ripercorrere in tutto la morte del maestro: "Signore Gesù, accogli il mio spirito" (cfr: Padre nelle tue mani consegno il mio Spirito); "Poi piegò le ginocchia e gridò a gran voce: Signore, non imputare loro questo peccato. Detto questo, morì (cfr: Padre perdonali perché non sanno quello che fanno)".
Per quanto l'idea della testimonianza fino al dono della vita ci sia stata insegnata e inculcata attraverso la venerazione dei martiri, in realtà oggi questa tensione, e possibilità della vita cristiana non c'è più. La cultura contemporanea e anche il cristianesimo in occidente ha completamente perso il concetto della testimonianza intesa come atto supremo di amore. La vita come dono nel tempo, assume un tale valore che prevale sempre più il concetto che la vita è da preservare, da conservare e da custodire. Con fatica ci appartiene l'espressione della vita di Gesù riversata nella nostra vita attraverso l'esperienza della sua morte. Tale evento che rappresenta l'inizio della nuova creazione in Cristo risorto, invece noi la raffiguriamo come l'apice della negazione di Dio, del male e della iniquità. Il discepolo di Gesù ha imparato che il morire nell'amore di Gesù, non è mai stato il fine della testimonianza; il discepolo di Gesù è tale quando accetta che nella sua vita si compia lo stesso mistero di salvezza che Dio Padre realizza nel e con il suo Figlio. Ciò che subisce Stefano, allora, non è semplicemente una ingiusta persecuzione, ma in quella esperienza disumana, Stefano ripropone lo stesso mistero di amore e di salvezza vissuto e realizzato da Gesù.
La comunità delle origini, non ha quindi in Stefano una bandiera da mostrare, o un martire da rivendicare, ma un testimone autentico del vincolo di amore che tutti ci unisce a Gesù Cristo.

lunedì 19 aprile 2021

La vita nel quotidiano

Atti 6,8-15 e Giovanni 6,22-29


L'inizio della vita della comunità dei discepoli di Gesù, cioè la Chiesa, si caratterizza per un trend estremamente positivo: l'aumento di coloro che aderiscono alla fede; la stima di molti e tra questi anche di alcuni capi religiosi; il superamento delle divergenze interne con il criterio del discernimento comunitario; la comunione e la condivisione come fondamento della vita in fraternità. Tutto sembra corrispondere alla volontà di Dio che realizza nel tempo il mistero di salvezza operato da Gesù. Ma a un certo punto ecco che nel culmine di questo cammino di comunione, emerge la persecuzione; le prove della vita che sono parte del cammino quotidiano.
Che cosa è la persecuzione e la prova se non lo spazio in cui l'amore ai fratelli e l'amore per Gesù motivano la nostra esistenza?
Stefano rappresenta, nel cammino della comunità, la piena consapevolezza che chi crede in Gesù è spinto dallo stesso amore del maestro per gli altri. Ma non si tratta solo di imitazione, quell'amore permette di compiere in noi, e attraverso noi, lo stesso mistero di Gesù: dare la vita per i fratelli.
Ecco che ancora una volta si manifesta nella comunità delle origini una dimensione, trasfigurata, costitutiva e permanente della Chiesa - "videro il suo volto come quello di un angelo" -che non è una prassi, o una forma istituzionale, ma è una condizione esistenziale della Chiesa stessa: la Chiesa, i discepoli di Gesù devono dare/donare la vita come Gesù l'ha donata. 

domenica 18 aprile 2021

Mangiamo insieme!

At 3,13-15.17-19; Sal 4; 1Gv 2,1-5; Lc 24,35-48


"Cambiate vita", dice Pietro agli abitanti di Gerusalemme ... Loro che avevano tradito Gesù, lo avevano rinnegato e abbandonato nelle mani dei romani.
Ma io perché dovrei cambiare vita? La mia vita che cosa ha poi di così sbagliato perché debba cambiarla?
Ci siamo abituati a vivere così, in questa nostra quotidiana abitudine che diviene quasi una forma di indifferenza: il lavoro, lo studio, il mangiare, il giocare, gli amici ecc ... Anche la pandemia ...
Anche la nostra comunità, in questo tempo di epidemia virale, dopo aver rinunciato alla gloriosa festa popolare conosciuta declamata da migliaia di persone; dopo aver ridotto ogni forma di contato e di incontro che permetteva la condivisione; dopo essersi accorta che si può disertare il Catechismo e l'ACR, che si può pure fare senza i sacramenti della Confessione e dell'Eucaristia; dopo aver smarrito la santificazione del giorno del Signore, e dopo tutto questo ci si è accorti che non sono caduti fulmini dal cielo; sembra quasi che Dio l'onnipotente distrattamente non intervenga ...
Dopo tutto questo la pandemia è ancora qua, passando tra noi e scegliendo chi colpire, ma anche a questo ci stiamo abituando, "uno sarà preso e l'altro lasciato" dice il Vangelo ... Ora poi con il vacino andiamo avanti con la prospettiva delle riaperture, che la politica ci prefigura come ripresa di una normalità ... Ma neanche in questo c'è slancio, come non riemerge il desiderio del ritorno a quella vita di prima, spesso così frenetica, crisi spensierata e anche un po' arroganze e prepotente.
Ci stiamo abituando a vivere anche così, ormai avviliti e sconfitti dalla realtà quotidiana che non riuscivano a modificare, non riusciamo neppure a immaginare cosa sia una vita diversa ma soprattutto a che cosa serva una vita diversa.
Lo stesso Papa Francesco all'inizio di questo anno diceva: "Fin dall’inizio è parso infatti evidente che la pandemia avrebbe inciso notevolmente sullo stile di vita cui eravamo abituati, facendo venire meno comodità e certezze consolidate. Essa ci ha messo in crisi, mostrandoci il volto di un mondo malato non solo a causa del virus, ma anche nell’ambiente, nei processi economici e politici, e più ancora nei rapporti umani. Ha messo in luce i rischi e le conseguenze di un modo di vivere dominato da egoismo e cultura dello scarto e ci ha posto davanti un’alternativa: continuare sulla strada finora percorsa o intraprendere un nuovo cammino”.
All'invito di Pietro a cambiare vita, oggi fanno eco le parole del suo successore: occorre "intraprendere un nuovo cammino".
I discepoli di Emmaus, dopo l'amarezza e la sconfitta, riconoscono Gesù perché Lui si fa riconoscere e dà loro la forza e l'entusiasmo di intraprendere ancora il cammino che li riporta a Gerusalemme, per dire che il Signore è vivo, che è risorto.
In tutto quello che stiamo vivendo, come quotidiana amarezza di una sconfitta, non riconosciamo anche l'occasione per riappropriarci della nostra esperienza cristiana. O forse per la prima volta nella nostra vita, di prenderne coscienza.
Non è questa prospettiva il risorto in mezzo a noi?
Cosa significa essere di Cristo oggi? Come mostrare la mia vita cristiana? Come narrare che il Signore è risorto ed è vivo e che vuole dare senso anche a ciò che viviamo oggi.
Come quel giorno, nel cenacolo, nella suggestione e paura di molti discepoli, Gesù chiese prima di tutto di essere accolto come un amico che torna da lontano, come un caro amico da abbracciare con gioia. Non come un fantasma spirituale da invocate, da ricordare, e celebrare, ma come un amico da toccare, da abbracciare e da amare.
Oggi capiamo che possiamo ancora mangiare insieme e fare comunione, possiamo toccare le tue piaghe, che sono le ferite del nostro mondo ma, che non dobbiamo solo subirne il dolore, ma che possiamo anche prendercene cura.
Stare con lui, mangiare con lui, ascoltare le sue parole ... Ed ecco che succede una cosa nuova, mi scopro capace di ascoltare la Parola di Dio e di riuscire a vivere questo nostro tempo, anche se difficile. Mi accorgo di avere in me quella intelligenza che mi rende capace di guardare in profondità, riconoscendo con stupore i semi buoni che ancora sono gettati tra le zolle della nostra terra; mi scopro capace di una gioia che è la gioia di Gesù, mi sento accarezzato dalla amorevolezza che ha verso di me e verso tutti. Scopro quanto è importante e necessario, per cambiare vita, valorizzare la vita dei fratelli, e soprattutto percepirla come una occasione di comunità e comunione per camminare insieme verso i cieli nuovi e la terra nuova. A questo serve la nostra eucaristia domenicale, a mangiare il pesce con Gesù.

sabato 17 aprile 2021

La comunità si organizza?

Atti 6,1-7 e Giovanni 6,16-21


Che cosa muove la comunità delle origini ad organizzarsi?
Se leggiamo attentamente ci accorgiamo che la comunità è costantemente in formazione in quanto costantemente si aggregano ad essa nuovi fratelli e sorelle che accolgono l'invito alla conversione e alla sequela. Questa condizione esprime in principio: la comunità è insieme di differenze. Una comunità non deve essere mai trasformata in una uniformità, ma le differenze vanno integrate tra loro nel costituire la comunione. Questo processo non è certo facile, anzi, forse rappresenta l'esperienza più drammatica della vita comunitaria, perché impone costantemente il passaggio dal"io" al "noi", dal "mio" al "nostro", senza per altro smarrire l'individualità della persona. È in questo crescere della comunità che si intuisce cosa significa organizzare, altra cosa rispetto alla strutturazione o alla trasformazione della comunità in una Istituzione.
Che cosa significa, allora, organizzarsi per la comunità dei discepoli? L'organizzazione prende consistenza nella scelta del "servizio". Dice papa Francesco nel messaggio per la giornata delle vocazioni 2021: "Dai Vangeli emerge come Giuseppe visse in tutto per gli altri e mai per sé stesso. (...) Il servizio, espressione concreta del dono di sé, non fu per San Giuseppe solo un alto ideale, ma divenne regola di vita quotidiana. Non può dunque che essere modello per tutte le vocazioni, che a questo sono chiamate: a essere le mani operose del Padre per i suoi figli e le sue figlie".
Forse allora è sbagliato dire: "la comunità si organizza"; ma bisogna dire: "la comunità si si mette a servizio, gli uni degli altri", e in questo si esprime la peculiare chiamata di ciascuno.


venerdì 16 aprile 2021

La crisi ci fa bene

Atti 5,35-42 e Giovanni 6,1-15


A richiesta di una amica, da oggi farò la meditazione tenendo come riferimento gli Atti degli Apostoli, cioè la Prima Lettura.
Questa attenzione ci condurrà, credo, a guardare l’esperienza dell’origine della comunità dei discepoli di Gesù, per connetterla con la storia di oggi, con la quotidianità della comunità cristiana nella quale viviamo.
I primi tempi dopo la morte di Gesù, i primi anni, sono interessanti per rileggere le origini alla luce non di una semplice persecuzione, ma come occasione di confronto tra la fede in Gesù e le istituzioni religiose del tempo. L’incomprensione, lo scontro, la distanza, mascherano una triste realtà: le strutture religiose e la prassi non sono opera di Dio ma dell’uomo; forse nemmeno dei credenti. Una delle espressioni che con più forza ritornano nei primi capitoli di Atti è “occorre obbedire a Dio piuttosto che agli uomini”.
Eppure Dio è all’opera e non cessa di agire per portare a pienezza la creazione, il tempo, lo spazio ... l’uomo; per dare piena visibilità alla salvezza in Cristo. In questa visibilità abita la Chiesa.
Mi piace pensare come la Chiesa nasca non come riconoscimento trionfale dell’opera di Dio, ma come conseguenza dell’opera di Dio nelle tante fasi di crisi e fragilità della storia umana. La Chiesa sempre, allora, deve cercare di obbedire a Dio piuttosto che alle premesse e ai progetti degli uomini, per quanto religiosi possano essere.
È in questa prospettiva che una “crisi”, o anche un tempo di transizione come il nostro, non può buttarci a terra, ma nella stessa obbedienza a Dio scoprire la Letizia di vivere le fatiche del quotidiano nel nome di Gesù. Questo dovrebbe essere un presupposto fondamentale della vita dei Cristiani, e non solo delle origini.
Questo ci permetterà di recuperare la nostra testimonianza il nostro annunciare che Gesù è il Cristo, nella ordinarietà della vita, e non la prassi consolidata da una struttura ecclesiale. Struttura che ha dimostrato tutta la sua inadeguatezza rispetto all’umano, e che va quindi accompagnata in un recupero di identità che altro non può essere che obbedienza alla Parola di Cristo e alla volontà del Padre.

giovedì 15 aprile 2021

Parole di luce e vita

Atti 5,27-33 e Giovanni 3,31-36


Nel dialogo notturno tra Gesù e Nicodemo, l'evangelista mette alla fine del capitolo terzo un monologo del Signore, quasi una sorta di rivelazione/confessione. Gesù si offre a Nicodemo senza nulla trattenere e nascondere di se stesso.
Ci sono "cose" che sono di terra, questo è il punto di partenza del monologo. Mosè e i profeti sono terra, come anche la legge che viene da loro, anche quando danno testimonianza della luce, ma tutto questo è della terra. Non sono la vita né la luce. Gru ora si presenta a Nicodemo la luce e la vita: da lui riceviamo il dono dello Spirito, che ci genera dall’alto e ci fa diventare figli di Dio. Per quanto nella terra e dalla terra può venire qualcosa di buono, ciò che è terra, dice Gesù, non può salire al cielo, la terra può solo accoglier ciò che viene dal cielo. In questa immagine, non c'è nulla se non il rammarico di Gesù di sperimentare quella mancata accoglienza che della sua amicizia/persona che è la nuova alleanza che il Padre ci dona, portando a compimento nel suo figlio (colui che è mandato) la stessa alleanza iniziata con Adamo, Abramo, Mosè ecc...
Grsu non è solo un esempio da seguire o imitare, Gesù non è solo l'inviato; Gesù con Nicodemo, ci offre la luce della vita, ma ci mostra anche del modo di accoglierla, per diventare noi stessi parte della luce.


mercoledì 14 aprile 2021

Quando con Gesù ci si parla ...

 Atti 5,17-26 e Giovanni 3,16-21


Quando leggiamo una pagina di Vangelo come quella di oggi ci poniamo spesso in quel l'atteggiamento mentale di preclusione, per cui ci si aspetta un contenuto teologico-dottrinale di altissimo spessore, quasi che Gesù stesse facendo una lezione a Nicodemo. Non credo in realtà che quella notte, tra Gesù e Nicodemo, abbia prevalso la formalità, ma nel parlare amichevole i contenuti siano stati molto confidenziali e fluidi.
Forse di fronte alle insicurezze e ai dubbi di Nicodemo, Gesù ha sorriso e con amorevolezza gli ha confidato come Lui sentiva la presenza del Padre, come lui si percepiva nella relazione con quel Dio di Isrsele, che per Nicodemo era l'Altissimo, l'Onnipotente; per Gesù invece un Dio fatto di amore, che ama il mondo che ha creato al punto di donare al mondo ciò che ama con tutto se stesso, il proprio Figlio.
Una confidenza come questa, che cosa ha scatenato nel cuore e nella mente di Nicodemo; cosa provoca in noi confrontarci con un Dio di questo genere?
Quella notte Gesù e Nocidemo parlarono di Dio e di loro stessi ... Parlarono del senso della loro vita, della vita eterna ... Come conseguenza di un amore che giustifica e non di una obbedienza a leggi e precetti.
L'intimità con Gesù, la sua amicizia serve proprio ad aprirci alla possibilità di conoscere un altro modo di essere di Dio Padre, un altro modo di concepire la moralità, non come obbedienza a norme e divieti, ma come illuminazione della vita, come superamento della nostra tenebra.

martedì 13 aprile 2021

Da dove è iniziato ...

Atti 4,24-31 e Giovanni 3,1-8


Tutto inizia nella forza dello Spirito. Non avevo mai considerato la Pentecoste come un evento permanente che "inizia" nella Chiesa e con la Chiesa. La preghiera della comunità apostolica, di fronte alle avversità, di fronte alle prime persecuzioni è una invocazione esplicita rivolta a Dio per poter compiere l'opera per cui Gesù è stato mandato: "... concedi ai tuoi servi di proclamare con tutta franchezza la tua parola, stendendo la tua mano affinché si compiano guarigioni, segni e prodigi nel nome del tuo santo servo Gesù". L'azione-presenza dello Spirito Santo è l'evidenza che il risorto è nella Chiesa, vive con chi crede, cammina nel tempo nelle vicende del quotidiano.
Ma questa azione-forza non è una magia, non è neppure autodeterminazione!
Tutto nasce da come Gesù ha incontrato anche storicamente i suoi discepoli, i suoi amici ...
Il Vangelo di oggi ci offre una pagina unica nel suo genere, un incontro, quello tra Gesù e Nicodemo. Un incontro dal quale nascerà una amicizia così intima che farà di Nicodemo uno dei pochi che saranno sotto la croce nel momento di deporre il corpo del Signore nel sepolcro. Ma che cosa rappresenta quell'incontro se non la descrizione di come è possibile vivere da risorti attraverso la rinascita nel battesimo, che ci immerge nella vita del Signore, nella vita di Dio. Vivere come se la nostra vita fosse già risorta ... 

lunedì 12 aprile 2021

La vita nuova sgorga nella vita.

Atti 4,32-37 e Giovanni 3,7-15


Ma la "vita nuova" di cui parlarono insieme Gesù e Nicodemo, in quella notte, in cosa consiste. Si certamente è la vita che scaturisce dal Battesimo ... È la vita di Dio Padre in noi ... È la vita animata dall'amore che è lo Spirito ... Ma tutto questo che forma assume  concretamente per la nostra vita di oggi?
Nelle parole quasi confidenziali di Gesù a Nicodemo, dove il Signore gli si rivolge amichevolmente con il tu, si intuisce come le parole del Signore non vogliono rimanere "per aria", ma vogliono fare capire a Nocodemo come la per sua stessa vita è possibile essere nuova da subito. Ecco allora che la lettura degli Atti ci mette di fronte alla concretezza della comunità delle origini, che non ha avuto timore a proporre un modo nuovo di vita quotidiana. Un modo proprio dei discepoli di Gesù, un modo secondo le Sue parole. Oggi la riscoperta della fratellanza potrebbe essere il modo nuovo di proporre una vita secondo la volontà del Padre.
La fratellanza evangelica è la volontà del Padre del Cielo, "che si compie in terra". La fraternità evangelica non è una categoria astrattamente antropologica, biologica, culturale, storica e religiosa, ma è una vita di «compassione» e di «amicizia»; è riconoscere la comune condizione di vulnerabilità, fragilità, sofferenza, errore, ma anche speranza, dignità e capacità di amore che ci unisce tutti. Da questo nasce il riconoscere la  situazione di bisogno, di limite, come appello di responsabilità e condivisione. È andare in cerca di quello che ci accomuna anche nella distanza o diversità. Questa è una vita nuova!

domenica 11 aprile 2021

Otto giorni dopo ... Siamo punto a capo!

At 4,32-35; Sal 117; 1Gv 5,1-6; Giovanni 20,19-31


Domenica scorsa era Pasqua e noi cristiani abbiamo detto al mondo che Gesù, è risorto, che non è nel sepolcro, ma che è vivo. Lo abbiamo detto con la convinzione e la certezza che ci viene dalla fede che ci hanno insegnato ... Ma è sufficiente?
Basta ripetere che Gesù è risorto per suscitare la fede in Lui? È sufficiente per innestare speranza e vita nuova?
Quale impatto, quale reazione suscita il raccontare la risurrezione di Gesù, oggi, in questo tempo di epidemia virale, dove tutta la nostra vita ne è profondamente segnata, dove il contagio sembra attenderci dietro l'angolo con esiti imprevedibili di malattia e di morte. È risorto, affermiamo, ma la realtà di questo nostro mondo sembra invece essere schiacciata dal virus che ci uccide e che mette in crisi non solo la struttura sanitaria, ma le nostre relazioni, il nostro lavoro, la nostra sicurezza del domani ecc...
È in questa realtà che l'uomo non riesce a contemplare, cioè a pensare possibile a risurrezione di Gesù. È in questa realtà che il nostro cuore diviene casa della paura, come anche del sentirsi tradito da un amore,  quello di Gesù, che si dimostra fragile e incapace di risolvere i nostri drammi attuali.
Allora, per noi che diciamo di credere, come testimoniare il nostro vivere la risurrezione di Gesù?
Come imprimere la novità del risorto in una vita che diversamente risulterebbe schiacciata dal peso di una quotidianità che porta con se il germe della morte?
Credo che la descrizione degli Atti degli Apostoli, circa la prima comunità dei credenti, anche se sotto certi aspetti è un poco idealista, dice come una comunità che ha fede nella risurrezione riesce a vive la risurrezione del Signore Gesù, attraverso l'esperienza concreta della comunione e della condivisione, una vera fraternità: "Nessuno tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno".
Un coinvolgimento così radicale per cui ogni sicurezza, viene messa nella comunione.
Un estremo che forse ci spaventa: ... vendere il campo per condividerne con gli altri ...
Privarsi del "mio" per renderlo "nostro".
Credo che l'unica possibilità per essere credibili, sia recuperare quella vera fraternità che si esprime in un profondo stile di comunione e condivisione fra noi.
Credo che chi vive con il risorto non ha bisogno di stare di fronte al mondo per giudicare il mondo, e chi vive della risurrezione prima di tutto deve amare ciò che il risorto ha amato e ama: questo mondo con tutte le sfide che anche oggi ci presenta.
E quale è il segno più esplicito della comunione e della condivisione se non l'esercizio dell'amorevolezza della benevolenza?
Tommaso, dice il Vangelo, non era con gli altri quando Gesù apparve risorto il giorno di Pasqua, e non c'è nulla della testimonianza degli altri che lo convince rispetto ai suoi dubbi e alle due paure. La realtà vissuta ha inciso profondamente in lui i segni sconvolgenti della morte del maestro.
Otto giorni dopo Tommaso sperimenta, non una manifestazione spettacolare di chi è vivo, non il rimprovero di un maestro deluso dal discepolo impreparato, ma sperimenta ancora l'amorevolezza di Gesù, la sua pazienza nell'introdurlo nell'esperienza dolorosissima della morte fino a toccare con mano che la risurrezione non cancella nella realtà le cicatrici della crocifissione. Di quei segni di dolore e di morte , dobbiamo prendercene cura, possiamo anche toccarli, ma non saranno questi a convincerci della risurrezione; saranno questi invece a parlarci della tenerezza e dell'amore del Signore; il quale ora vuole accompagnare la nostra vita e non lasciarci da soli nella desolazione e nella paura. Gesù risorto non ci vuole stupire ma vuole portarci con pazienza a pronunciare quelle parole che sono uniche: "mio Signore e mio Dio",  cioè mio tutto.
Che bello Gesù vivo, non accusa, non rimprovera, non abbandona, ma si ripropone, si riconsegna ai discepoli che non l’hanno capito, come oggi anche alla nostra inadeguatezza.
Che bello Gesù risorto che accompagna con delicatezza infinita la nostra fede lenta, e non ci chiede di essere perfetti, ma di essere autentici; non di essere immacolati, ma di essere incamminati. Otto giorni dopo chi crede, accompagnato da Gesù vivo continua a camminare insieme a lui con i propri fratelli nello stile del maestro.

sabato 10 aprile 2021

Non è credibile la risurrezione.

Atti 4,13-21 e Marco 16,9-15


Neppure il gruppo più stretto dei discepoli, secondo il racconto di Marco riesce ad accettare, la risurrezione a fronte della testimonianza di Maria Maddalena, di Cleopa e dell'altro discepolo. Credere nella risurrezione, significa partire dal sepolcro vuoto, significa partire da quel "non è qui". Per cui, se non è lì dove è ora Gesù?
Questa ricerca attraversa e impatta la nostra vita di fede e di credenti. Gesù vivo dove va cercato se non nel nostro vivere quotidianamente la fede nel Dio di Abramo, nelle parole e nei segno che il Signore ha compiuto in mezzo ai suoi amici e alla gente.
Nel cenacolo i discepoli si sono barricati nella loro paura, ma non solo, essi si sono adeguati all'idea che Gesù è solo un morto e fintanto che quella idea pervade la loro mente e il loro cuore, il cenacolo rappresenta anche il loro sepolcro. Il loro riunirsi è un compiangersi privo di speranza.
Quando si convinceranno che il risorto va cercato come vivente e nella vita reale, allora torneranno bella vita reale della Galilea e da lì inizierà la testimonianza della risurrezione.
Questi versetti redazionali, ci danno elementi per comprendere il grosso travaglio che ha attraversato ma comunità dei discepoli e anche la fatica a riaprirsi con fiducia al mondo. Questo è il vero segno del risorto, condurre i discepoli fuori dal loro "buio". Questo lo fa proprio è solo Gesù vivo!

venerdì 9 aprile 2021

Smitizziamo la risurrezione.

Atti 4,1-12 e Giovanni 21,1-14


L'indomani della risurrezione, come appare dai testi sacri presenta dei tratti di storicità uniti alla rielaborazione delle tradizioni da parte delle comunità di credenti.
Gli Atti degli apostoli, in questo, sembrano offrici l'idea di una comunità di discepoli di Gesù strutturata e capace di ampliarsi con estrema facilità, in una progressione di migliaia di adesioni alla fede. Senza nulla voler togliere all'immagine occorre ugualmente collocarla nel contesto di una esperienza comunitaria giudeo-galilaica, cioè i credenti in Cristo non sono ancora una comunità distaccata e differenziata in modo così netto. La stessa frequentazione del Tempio e delle Sinagoghe ci testimonia non una incongruenza, o ambiguità, ma una profonda interazione tra ma tradizione religiosa giudaica e gli insegnamenti di Gesù affidati ora al gruppo degli apostoli e discepoli. 
Ma per arrivare a questo, non dobbiamo pensare all'immediato della risurrezione; anzi, i racconti delle apparizioni, e in particolare Giovanni ci offrono uno spazio nel quale collocare l'esperienza dilatata del risorto nella vita delle gruppo dei discepoli.
Il Vangelo di oggi ci racconta cosa ha voluto dire tornare in Galilea, immergersi nuovamente nella quotidianità, nelle abitudini e nel lavoro ... ma anche riprendere contatto con quell'ambiente che per tre anni ha conosciuto la forza delle parole del Signore.
L'apparizione di Gesù sulla spiaggia, è come un riproporre la normale quotidianità della vita vissuta col maestro. Il risorto non è un qualcosa di astratto, o alieno; la risurrezione e il Cristo Glorificato appartengono alla quotidianità di una pesca, di un pasto sulla spiaggia, di un'intima amicizia.

giovedì 8 aprile 2021

Perché siete turbati ...

Atti 3,12-26 e Luca 24,35-48


L’evangelista Luca non nasconde la condizione di totale disorientamento nel quale si trovano i discepoli, anche dopo i diversi racconti di chi lo ha visto risorto: le donne, Pietro e Giovanni e ora Cleopa e l’altro discepolo di Emmaus.
Il momento dell’incontro col risorto è per tutti turbamento, forse frutto di tutto quanto è accaduto, della paura di essere indicati come "dei suoi"; della codardia dimostrata fuggendo al momento della cattura nell'orto; del rinnegamento nella notte del processo; a tanto amore del maestro ha corrisposto solo l'auto conservazione e l'amore di se stessi. Di fronte alla domanda di Gesù, la reazione è un senso di umana vergogna.
"Pace a voi" dice Gesù risorto. Un saluto tutto speciale per ribadire che il maestro non viene per fare i conti con chi umanamente ha deluso, ma viene a rinnovare la fiducia e l'amore verso coloro che per Gesù sono i suoi amici. Gesù, riprende un filo spezzato, una vicenda segnata dalla nostra povertà umana; fa di un fallimento una vera occasione di rinascita. Stupisce quel suo voler continuare proprio con quei discepoli inaffidabili che l’avevano così deluso, ma d'altronde Il suo è un amore vero vissuto con delle persone concrete, umanamente limitate, cui si resta fedeli anche se non c’è stato contraccambio! Un amore che sembra aver condotto solo a un fallimento. Certo, ci vuole fede per accettare questa lettura che non segue la logica del nostro mondo.

mercoledì 7 aprile 2021

Occhi impediti a riconoscerti!

Atti 3,1-10 e Luca 24,13-35


Questa espressione di Luca descrive la "strana resistenza" rispetto alla risurrezione: gli occhi vedono ma non lo riconoscono. L'evangelista Luca ci informa di ciò che accade lungo il cammino a questi due discepoli che "conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto."
Gli avvenimenti di Gerusalemme, la fine di Gesù, avevano profondamente sconvolto ogni loro progetto è aspettativa. Erano anche loro saliti con Gesù a Gerusalemme, sperando nella attesa messianica e nella realizzazione delle profezie. Tutto è stato infranto e la delusione è lo scoraggiamento annebbia ogni pensiero. E anche se le donne hanno già portato l'annuncio della risurrezione, questi discepoli non ne sono per nulla convinti. Il loro volto è triste, e la tristezza chiude il loro sguardo alla possibilità di vedere la gloria del risorto. Il mancato riconoscimento è spesso conseguenza del rimanere chiusi nei nostri ragionamenti, centrati su noi stessi pieni di nostalgia per i nostri progetti ormai infranti.  Non è poi così facile entrare nel riconoscimento di Gesù. Le scritture, le profezie, quando restano oggetto dei nostri ragionamenti, non ci mostrano proprio nulla. Noi speravamo che per tutte le letture della Parola fatte nelle nostre Chiese, per tutte le preghiere recitate con devozione e per tutte le catechesi e spiegazioni ricevute ... Noi speravamo di poterlo riconoscere, ma invece no, nessun riconoscimento, nessuna possibilità per i nostri occhi di vederlo. Vederlo non dipende da noi, non dai nostri sforzi non dai nostri ragionamenti. Solo quando Gesù prende l'iniziativa e ci parla nelle scritture, quando le profezie sono anche per noi fonte di speranza, non rivolta al passato ma al compimento del domani ..., ecco allora che lo spezzare il pane non sarà più un segno sacro, un gesto della liturgia, ma sarà il suo spezzare il pane che rivela la sua presenza ora tra noi. Solo in questo modo la tenebra del nascondimento del Signore si dirada e lascia progressivamente riconoscere il suo volto amato e tanto desiderato.

martedì 6 aprile 2021

Ci è stato restituito!

Atti 2,36-41 e Giovanni 20,11-18


Maria Maddalena piange all'esterno del sepolcro: "perché piangi?"
Una domanda che sembrerebbe a noi inutile, ma che vuole semplicemente mettere in evidenza la condizione di disperazione e "distruzione" che il gruppo dei discepoli e delle donne, si trova a vivere in questo momento. Dopo la cattura di Gesù, i discepoli si sono dispersi, cioè di sono nascosti, hanno cercato di mettere in salvo la priorità vita. Solo Pietro tenta di non allontanarsi dal maestro, ma sarà proprio in quel tentativo che Pietro tradisce Gesù ... Un altro fallimento. Sotto la croce Giovanni, Maria e Maria di Magdala; per loro il grido di Gesù che muore.
Poi il primo tentativo di recuperare il corpo, di trattenere i ricordi e la sua presenza: le donne, Giuseppe di Arimatea e Nicodemo.
"Perché piangi?" Credo che Maria Maddalena sia in preda a quella disperazione che ad un certo puto si percepisce come abisso: ora anche quel corpo martoriato, non c'è più ... Gli è stato tolto tutto ...
"Donna perché piangi? Chi cerchi?"Maria continua a piangere, come fosse l'unica risposta possibile; come posso fare senza il mio Maestro, senza il Signore! Come posso fare nella mia vita ora che tutti di lui mi è stato tolto?
Tutto di Lui ci è stato tolto, o meglio, strappato via, sottratto in modo violento e crudele e ora nessuno può restituircelo. Solo la risurrezione ci restituendoci il Signore e ci permette anche di riscoprire la gioia: "ho visto il Signore!" Il signore è vivo! Questa esperienza di Maria è l'unica necessaria per recuperare ma gioia, per ricostituire il gruppo che era disperso e nascosto; per vincere la vigliaccheria e la paura.


lunedì 5 aprile 2021

Dopo la risurrezione ...

 Atti 2,14.22-23 e Matteo 28,8-15


Dopo aver narrato anche con grande cura, i fatti della passione morte e sepoltura, la maggior parte dei vangeli, canonici e apocrifi, si cimenta nel dopo morte di Gesù, quadri in preda alla necessità di voler raccontare e giustificare Cisa accadde dopo e perché si arriva a tale situazione. È quasi un estremo tentativo di garantire una memoria umana, razionale, di fronte all'imprevedibile e incomprensibile (generalmente) modalità di Dio di agire e operare nella nostra storia, nella nostra realtà.
Ecco che ancora una volta emerge che se prima della passione i discepoli non riuscivano a fidarsi di Dio e delle sue modalità, anche dopo la risurrezione il fidarsi di Dio non è scontato, resta come vero problema per la comunità dei credenti prima che per gli altri. Ecco allora il tentativo di giustificare, nel racconto della menzogna, del tentativo di una versione da promulgare per l'opinione pubblica: la prima "fachenews" ad ampia risonanza della storia.
Ma se questa è la realtà, Gesù, rimane fedele al progetto del Padre, e persegue quel disegno di salvezza che si sperimenta a partire dalle relazioni intime con coloro che gli erano vicini. Ecco che sono proprio i suoi discepoli, figgitivi, paurosi, vigliacchi e dubbiosi i primi che hanno bisogno di essere confortati, amato e salvati. Ed ecco che secondo le sue promesse, il Risorto, si rivolge a loro ed ora si rivolge a me bisognoso di perdono, mi accoglie nelle mie condizioni di colpevolezza, e se non per questa, in ogni condizione di fragilità e di sconfitta.
Gesù risorto continua in quel discreto nascondimento che è preludio a un continuo riconoscimento ad essere misericordia per i peccati e vittima che non castiga gli uomini, ma persiste a essere espiazione e salvezza per tutti.
Il Signore risorto non va in cerca di altre persone più adeguate e meritevoli, ma recupera e invia quelli che sono venuti meno e continuano a venir meno.

domenica 4 aprile 2021

Artigiani del risorto!

At 10,34a.37-43; Sal 117; Col 3,1-4; Gv 20,1-9 (Lc 24,14-35) - Solennità della Pasqua


Questa notte, nella Santa Veglia e Messa della Resurrezione a San Pietro, il papa ha detto nell'omelia: " Eppure, pur stando sempre con Lui, non lo hanno compreso fino in fondo, spesso hanno frainteso le sue parole e davanti alla croce sono scappati, lasciandolo solo. Malgrado questo fallimento, il Signore Risorto si presenta come Colui che, ancora una volta, li precede in Galilea; li precede, cioè sta davanti a loro. Li chiama e li richiama a seguirlo, senza mai stancarsi. Il Risorto sta dicendo loro: “Ripartiamo da dove abbiamo iniziato. Ricominciamo. Vi voglio nuovamente con me, nonostante e oltre tutti i fallimenti”. In questa Galilea impariamo lo stupore dell’amore infinito del Signore, che traccia sentieri nuovi dentro le strade delle nostre sconfitte. E così è il Signore: traccia sentieri nuovi dentro le strade delle nostre sconfitte. Lui è così e ci invita in Galilea per fare questo".
Oggi allora, "Ripartiamo da dove abbiamo iniziato. Ricominciamo!"
Ripartiamo da tutti i nostri fallimenti, lì troveremo il Signore Risorto che ci attende, per condurci ancora su quella strada della vita che forse sarà anche faticosa, ma non la faremo mai da soli. La certezza che Lui ci accompagna, non dovrà mai allontanarsi da noi.
Questa mattina siamo corsi anche noi al sepolcro, forse con la speranza di vedere il Signore, di vedere il suo corpo, come quelle donne all'alba, quando ancora era buio.
Abbiamo cercato Gesù nella liturgia della notte, nei segni sacri e nei riti; lo abbiamo scrutato nelle persone; rincorso nei nostri ricordi e nei momenti di preghiera ... Lo imploriamo nei gesti di carità fraterna ... Ma Lui non c'è, non è dove noi lo vogliamo mettere: in un sepolcro per onorarlo e venerarlo ancora.
Corriamo con Pietro e Giovanni, e con tutti quelli che sono scossi dall'annuncio del "non c'è più, la tomba è vuota!"
Pietro e Giovanni, ancora non credono, ancora dubitano ... Si ma ancora per poco.
Quel sepolcro vuoto non ha sottratto un corpo; lo ha solo costudito per qualche ora del nostro tempo. Ma il figlio di Dio, non si può rinchiudere nel tempo, l'eterno non può essere imbrigliato nella morte e nella agonia dell'umana sofferenza.
Videro e credettero che Gesù era vivo. Quel sepolcro vuoto dice che Gesù è vivo ... Questo diviene, da ora, il centro della fede nel Dio dei Padri. Il Dio con noi, è veramente sempre con noi, perché è il risorto ed è vivo.
Dove sei allora Gesù ...? Con un poco di fantasia, penso alla strana situazione narrata nel Vangelo di questa sera, il racconto dei discepoli di Emmaus ...
Dove sei Gesù? Sei lì accanto a loro, che cammini con loro, anche se non ti riconoscono ... Non riescono a vivere il passaggio dal nascondimento nella morte al riconoscimento nella risurrezione. Ancora in loro rimane la fatica e il sapore della sconfitta, e sono ancora nella penombra, non ancora nell'alba di un uovo giorno.
Ma tu sei proprio con loro; non ti stanchi di camminare e di accompagnarli, fino a quando anche i loro occhi sapranno riconoscerti bel segno di quel pane spezzato che è capace di sprigionare la luce del riconoscimento. 
Dobbiamo sempre ripartire dalle mostre sconfitte, dalle nostre fatiche e delusioni, dalle nostre paure e confidare sempre, che il Risorto, che Gesù ci accompagna e non ci lascia soli, perché non può abbandonarci.
Il Risorto è il Dio con noi, per sempre, egli al massimo ci precede, ma non ci abbandona: forse non mi accorgo che la fatica del cammino la stiamo facendo insieme?
Ecco questa è risurrezione, nella quotidianità della nostra vita, oggi: la dolce e sorprendente compagnia di un amico o amica; la vicinanza discreta, non invadente; la telefonata o un messaggio di affetto, che non costa nulla se non il nostro desiderio; la pazienza di saper ascoltare, attendere e stupirsi anche dei tempi lunghi; lo stringere con tenerezza (anche nella, e nonostante il distanziamento) la mano di un malato o di un morente ...
Ciascuno, dopo aver visto la tomba vuota, può essere artigiano della risurrezione, a partire dalla propria sconfitte, che sono l'inizio e la condizione della vicinanza del Signore vivo.


sabato 3 aprile 2021

Il grande silenzio ...

Sabato Santo

Ecco siamo giunti al sabato santo ... Ieri sera prima del calare del sole:"Giuseppe di Arimatèa, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto, per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù. Vi andò anche Nicodèmo – quello che in precedenza era andato da lui di notte – e portò circa trenta chili di una mistura di mirra e di áloe. Essi presero allora il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli, insieme ad aromi, come usano fare i Giudei per preparare la sepoltura. Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto. Là dunque, poiché era il giorno della Parascève dei Giudei e dato che il sepolcro era vicino, posero Gesù".
Un Vangelo straordinario quello letto ieri sera nella passione secondo Giovanni. È il Vangelo che ci introduce a vivere questo Sabato Santo, come sabato per l'uomo. Quante volte Gesù ha ripetuto che il sabato è per l'uomo e non viceversa! Ebbene questo giorno non è di lutto e di tristezza, ma è un giorno di silenzio, necessario per entrare nel "Shabat"! La gioia del riposo dal nostro fare frenetico, per lasciare spazio all'esserci di Dio, lasciargli lo spazio per rivelarsi.
Il "Dio con noi" riempie questo giorno di silenzio. Proprio attraverso l'esperienza dolorosa di Giusepe di Arimatea e di Nicodemo, impariamo come il "Dio con noi", si consegna nel suo corpo, si lascia staccare dalla croce, accetta le carezze e le unzioni fatte alla sua stessa carne, non si ribella al lenzuolo e alle bende della sepoltura, tutti atti di un amore grande che ora i suoi amici riconoscono come lo spazio della vera gloria di a Dio, e di come questa gloria si rinnova nella carne di tutti i fratelli.
In questo giorno il Dio con noi, "dorme" nel sepolcro di pietra che gli abbiamo frettolosamente preparato, ma questo silenzio ci riporta alle carne sofferente e morente di Cristo, in tutti gli uomini, nostri fratelli, che lottano, muoiono e sperano nella attesa dell'alba della risurrezione; questa fratellanza ci apre alla relazione vera e autentica con Gesù, con il Padre. Dice papa Francesco nella "Fratelli Tutti": n. 74. "... credere in Dio e di adorarlo non garantisce di vivere come a Dio piace. Una persona di fede può non essere fedele a tutto ciò la fede stessa esige, e tuttavia può sentirsi vicina a Dio e ritenersi più degna degli altri. Ci sono invece dei modi di vivere la fede che favoriscono l’apertura del cuore ai fratelli, e quella sarà la garanzia di un’autentica apertura a Dio. San Giovanni Crisostomo giunse ad esprimere con grande chiarezza tale sfida che si presenta ai cristiani: «Volete onorare veramente il corpo di Cristo? Non disprezzatelo quando è nudo. Non onoratelo nel tempio con paramenti di seta, mentre fuori lo lasciate a patire il freddo e la nudità».

venerdì 2 aprile 2021

Ai piedi della croce

Isaia 52,13-53,12 e Giovanni 18,1-19,42 - venerdì Santo

Questo venerdì santo l'immagine di Gesù spogliato delle vesti attira il mio sguardo, e anche la mia sensibilità. Ancora una volta Gesù si spoglia delle vesti. "I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti, ne fecero quattro parti – una per ciascun soldato –, e la tunica. Ma quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: «Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca». Così si compiva la Scrittura, che dice: «Si sono divisi tra loro le mie vesti e sulla mia tunica hanno gettato la sorte». E i soldati fecero così".
Nella "cena", Gesù, di sua iniziativa si spoglia di fronte a noi, si avvicina nell'umiltà alla nostra condizione, anzi, anche se noi rimaniamo vestiti, Lui non ha timore, neppure vergogna o pudore di spogliarsi per compiere quel gesto di amore che è quella "la tenerezza" espressa nel lavare i piedi ai didici ... Egli lava oggi, i nostri piedi, la nostra fragilità, le nostre inadeguatezze e fatiche, i nostri peccati.
Arrivato sul Golgota, a Gesù neppure è concesso il tempo di spogliarsi delle sue vesti, ma in una accelerazione del tempo, un atto violento dell'uomo, quasi vuole togliere con istinto di rapina, quelle vesti che ricoprono non la fragile natura dell'umano, ma la gloria del Figlio di Dio. Sul Golgota prima di crocifiggere il Re, abbiamo cercato di appropriarci della sua veste, quella che ricopriva la visione della gloria. Ci siamo appropriati della veste, ci siamo accontentati della rapina, ma non abbiamo contemplato la sua gloria.
Ora il Re è nudo ... Ma quella nudità non ci suscita nulla, nemmeno pietà ...
È strana la nostra umanità ... Volevano essere come Dio e quando potremmo vederlo al vero, nudo nelle nostre mani, abbiamo scoperto che il nostro cuore ne è incapace.
"Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete». Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito".
Lasciamo ai piedi della Croce, in questo Venerdì Santo, la nostra stanchezza, paure, la tristezza che a volte serpeggia per l’indurimento del nostro cuore, gli scoraggiamenti e la volontà di tirare i remi in barca. Fissiamo lo sguardo a colui che è trafitto, e dove Gesù oggi è crocifisso e trafitto.


giovedì 1 aprile 2021

Divina amicizia ...

Esodo 12,1-8.11-14 e Giovanni 13,1-15 - Giovedì Santo 


L'amore è relazione, non sentimentalismo. Parliamo di amore, ma il più delle volte releghiamo questa parola al sentimento, alle emozioni, all'aspetto affettivo che si manifesta in gesti e atteggiamenti che in verità ne esprimono solo una parte.
Ciò che Gesù rivela nell'ultima cena è il suo amore per i discepoli, un amore che investe e coinvolge tutta la sua vita, tutta la sua capacità relazionale.
Con quel Gesto Gesù non da valore semplicemente al servizio ai fratelli, o all'alto significato della carità. Ora provo a immaginarmi nella sala della cena insieme agli altri discepoli ...: Con quel gesto Gesù tocca la mia umanità, mi si offre in tutta trasparenza e umiltà: Gesù si spoglia davanti a me. Si chiama davanti a me, quasi per adorare la mia umanità, ma mia fragilità, e con estrema dolcezza tocca la mia carne. Stringe fra le sue mani i miei piedi e li accompagna nel catino. Mai mi sono sentito condotto così fortemente dalle sue mani, mai mi sono sentito così toccato dalle sue dita.
Ora versa dalla brocca quell'acqua che sento scorrere sulla mia pelle e la sento viva, fresca e liberante. Prende ora un asciugamano e con tenerezza avvolge i miei piedi li strofina con dolcezza e con un bacio si allontana da me. Tutto questo non è un segno, ma è quanto amore Gesù ha per me è con ciascuno di noi; è un segno ma è anche l'esempio di ciò che ciascuno può essere per i propri amici, per i propri fratelli.
È da questo amore che nasce la comunità dei discepoli di Gesù, da tanto amore nasce la Chiesa di Cristo.