lunedì 30 novembre 2020

La Parola che ci cambia ...

Rom 10,9-18 e Matteo 4,18-22

Festa di Sant'Andrea apostolo


Il brano della lettera ai Romani di oggi, ci riporta all'origine della fede: "la fede viene dall’ascolto e l’ascolto riguarda la parola di Cristo". Infatti  il Vangelo di Matteo, ci riporta a quegli incontri sul Lago di Galilea, dove Gesù lega a sé i primi discepoli. Che cosa ha generato in loro il desiderio di seguire Gesù, che cosa ha fatto prevalere in loro la fiducia per quell'uomo che conoscevano da così poco? Solo un atto di fede, profondo e capace di un vero affidamento può aver superato i vincoli parentali, gli interessi economici, la sicurezza di un certo stile di vita. Ma, tutto questo, da cosa è nato se non dall'ascolto della Parola di Gesù! Fede e vocazione sono due facce della stessa medaglia, il nostro essere figli di Dio. A volte si percepisce la Fede come un atto razionale della volontà, una opzione fondamentale frutto di una conoscenza e la vocazione come la conseguenza della volontà di Dio nella propria vita. Ma quanto tutto ciò - se è così - sembra così rigido, così "funzionale"!
La lettera ai Romani, invece, ci riporta alla semplicità e "umanità" della Parola di Gesù, una Parola che cerca, che incontra e che accoglie dei figli di Dio, che da quella Parola si sentono amati perché cercati; si sentono fratelli perché incontrati; si sentono pure mandati perché accolti per primi. La Fede nasce spontaneamente dall'incontro tra la Parola e noi stessi, quando la Parola tocca la nostra vita; ma è quella stessa Fede il punto di genesi anche della vocazione. È da quell'incontro di Fede che ciascuno inizia a riveste la sua esistenza di Risposta! 

domenica 29 novembre 2020

Ritorna per amore nostro!

Isaia 63,16-17.19; 64,2-7; Sal 79; 1 Cor 1,3-9; Mc 13,33-37

 

Tempo di Avvento! Un momento liturgico della vita della Chiesa. Detta così, interesserebbe anche ben pochi credenti.

Quale è il senso dell'Avvento, oggi, in questi mesi in cui viviamo l'esperienza di una epidemia virale a livello mondiale.

Attendere cosa ... attendere come ... Siamo stanchi di attendere ...

La liturgia per la Chiesa non sono I riti, non sono le candeline accese, non sono le celebrazioni di Messe. Nella liturgia, nello strano incontro tra Parola, segni, musica e teatralità, l'uomo interpreta e riproduce il mistero di ciò che percepisce e riconosce come divino, cioè di Dio. La liturgia è in questo senso una esperienza sacra, che ci inserisce nel mistero, nella quale noi ci accostiamo a Dio ... Non viceversa ... Questo è un nostro modo di accostarci a Lui.

La liturgia dell'Avvento, allora, diventa l'occasione per prendere in mano la nostra vita e riprender un cammino di conversione e di appartenenza.

Nella fatica, nella fragilità e nella paura questi tempi, essere cristiani impegna non solo nei comportamenti morali, ma soprattutto ci chiede di testimoniare la nostra fede in colui che viene anche oggi a salvarci.

Vivere l'Avvento dentro il nostro quotidiano, è scoprire il senso dell'attesa a partire dalle esperienze anche difficili della quarantena, delle limitazioni, della norme anti-covid.

Stiamo imparando l'arte dell'attesa come speranza, come desiderio di un futuro di pienezza; stiamo imparando che l'attesa può diventare anche una reclusione in noi stessi, una chiusura sterile e mortale; stiamo anche scoprendo che l'attesa è un invito a riscoprire la vita interiore, il silenzio e la nostra esperienza di fede, cioè la vicinanza di Dio.

Per molti la sensazione è: "Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore, cosi che non ti si tema?"

Per tanti, questo tempo di epidemia virale, con tutte le restrizioni che si porta dietro, è diventato il tempo della tua lontananza, dell'indifferenza, dell'incredulità, come anche della durezza di cuore.

Di fronte a questo noi credenti dobbiamo fare nostra la profezia di Isaia, e farla risuonare nel quotidiano che viviamo; dobbiamo dire con Isaia: "Ritorna per amore dei tuoi servi, (...) Se tu squarciassi i cieli e scendessi!"

Eco che il tuo ritorno ritma la liturgia dell'Avvento, che sempre rappresenta lo spazio per la preparazione al Tuo Natale; ormai una festa in un mondo che non ti ricorda più, ma che per consuetudine e per colmare il desiderio di felicità ha riempito il tuo Natale di Shopping, di regali, di brindisi e di cose da mangiare, il tutto a norma di legge.

In questo strano - perché originario - Avvento è altrettanto strano Natale, tu ancora squarci i cieli e scendi accanto alla nostra fatica di vivere il presente, ti accompagni con la nostra fragilità e ancora una volta ci insegni a dare senso all'attesa della tua venuta, non come un tempo che deve venire ma come una realtà che è presente. 

Il nostro tempo di Avvento si unisce all'attesa di Israele, è un cammino lungo, e che sotto certi aspetti non finisce mai, ma è il tempo necessario per trasformare il presente nell'attesa di Te solo: "Nel pieno della notte, all'alba, al canto del gallo, ..."

Ecco che Dio scende dentro la fragilità di questo nostro tempo, come due millenni fa, quando dando nella pienezza al tempo diventasti uomo nella grotta di Betlemme.

Ma questo suo venire, non è un avvenimento, un fatto di cronaca, esso rivela come la fragilità si apre all'attesa del mistero di un amore incredibile, inspiegabile; l'unico amore che sana le ferite del peccato e che ha rotto la nostra fratellanza e offuscato la paternità di Dio. Un amore inaspettato e inatteso come abbiamo ascoltato nel Vangelo: "... Voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà: se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all'improvviso, non vi trovi addormentati". Le parole del Vangelo, quelle del profeta Isaia, allora, trovano oggi un eco che rinnova la profezia, del segno efficace (sacramentarietà) dell'evento del "Dio con noi": perché "Dio ha squarciato i cieli ed è con noi!"

sabato 28 novembre 2020

Apparire davanti al Figlio dell'uomo

Apocalisse 22,1-7 e Luca 21,34-36


Due immagini che si congiungono nel condurci alla presenza del Figlio dell'uomo, nell'essere di fronte al Suo volto ... La visione dell'Apocalisse - ancora una volta mi rifiuto di spiegarla - è una immagine di gloria che con categorie e linguaggio umano visualizza una realtà di eternità che non potrà mai essere sufficientemente spiegata e compresa dagli strumenti dell'intelletto e della ragione. È certamente una visione che ci suggerisce consolazione, ci infonde la certezza della veridicità della parola e del compito, che come discepoli di Cristo, ci è affidato: "custodire la parola profetica di questo libro". Custodirla significa lasciarla decantare, lasciare che risuoni e che riecheggi, insieme a tutte quelle parole che sono il Vangelo ... Ed ecco che scompare anche la paura di"comparire davanti al Figlio dell'uomo" per un giudizio che, più che altro a noi "umani", suggerisce l'idea del processo. Sono certo che il"comparire davanti al Figlio dell'uomo", sia la sorprendente esperienza di essere accompagnati da lui; scoprirlo accanto nella quotidianità della vita, silenzioso e discreto come sempre; forse anche senza accorgercene, gli stiamo raccontando le  nostre vicende personali, fatiche e fragilità, desideri e aspettative, gesti di bontà ed esperienze di amore. Se la pienezza e il compimento che procede verso la "fine" si realizza nel dispiegarsi del mistero dentro la quotidianità della vita, ecco che tutto di me è alla sua presenza, cioè "compare davanti", accanto, già da oggi, perché tutto, il Signore, riconduce al disegno di salvezza del Padre.

venerdì 27 novembre 2020

Nessun segno, ma tutto è "segno".

Apocalisse 20,1-4.11-21,2 e Luca 21,29-33


Forse più di una volta ci siamo accostati a queste parole col desiderio di capirne il senso nascosto, quasi che tra una parola e l'altra si potesse comprendere la visione della fine e il tempo della venuta del Regno di Dio.
Una fatica inutile ... Una aspettativa delusa ... e che continuerà ad essere delusa, perché queste parole del Vangelo, sono rivelazione ma non previsione, e come tali descrivono un compimento senza volerlo imbrigliare in una interpretazione particolare. Gesù media questo compimento con le immagini, che la sua umanità ed esperienza legata al suo tempo gli permettono.
Di fronte alle domande circa la fine del mondo, circa la venuta del messia; di fronte all'aspettativa della fine del mondo di male e l'inizio del regno di Dio: regno di giustizia, di libertà, di pace e misericordia ...; di fronte alla speranza di una vita nuova e finalmente vera, Gesù risponde prendendo dei segni che sono quelli del tempo reale, quelli che già si vedono e si vivono. Non dobbiamo adottare tempi migliori, un avvenire diverso ... È proprio in questo mondo di male che è possibile vincere il male con il bene, con l'amore; già questo è il "segno". 

giovedì 26 novembre 2020

Gerusalemme sarà sempre ricostruita ...

Apocalisse 18,1-2.21-23;19,1-3.9 e Luca 21,20-28


Non credo esista, sulla terra, una città che ha subito distruzione, devastazioni e ricostruzioni come Gerusalemme. Più volte gli eserciti l'hanno accerchiata e assediata; hanno fatto breccia nelle sue mura, colpendo di spada i suoi abitanti. L'immagine dal tenore apocalittico, non diviene quindi una visione futura, di ciò che accadrà, ma una contemplazione di ciò che è accaduto nel passato e di quanto anche il presente ci conduce a vivere e sperimentare. Anche questo nostro tempo, suscita la stessa ansietà che il Vangelo sembra evocare. 
Ci sentiamo circondati, forse non da un esercito, ma da un nemico che riesce a disgregare la nostra forza interiore; ci umilia nelle certezze; ci annienta negli affetti e nelle relazioni. Gerusalemme non è più la città dell'Antico Israele, ma diviene simbolo di una umanità sofferente e oppressa che vede avvicinarsi un tempo di sovrumane incognite. Ecco che come di fronte alla devastazione della Città Santa, il Signore non cessa di aggiungere un compimento di speranza: "Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina". È questo tempo di crisi anche il tempo in cui sperare; il tempo in cui la preghiera dilata lo spazio del cuore e apre alla supplica, e alla invocazione. È il tempo in cui occorre rinnovare e ritrovare la confidenza di sempre. Il linguaggio apocalittico, ridesta delle immagini di desolazione, ma Gesù non lo usa finalizzato a terrorizzare i discepoli; quelle immagini sospingono alla speranza, che mai viene meno come compimento di ogni possibilità umana.

mercoledì 25 novembre 2020

La nostra perseveranza ...

Apocalisse 15,1-4 e Luca 21,12-19

Le parole conclusive del Vangelo di oggi, pongono nella "perseveranza" tutta la nostra responsabilità circa la cura della fede e la forza della testimonianza come discepoli di Gesù.
Il dizionario Treccani riassume con queste parole il significato della "perseveranza": dal lat. perseverantia, der. di perseverare. – Costanza e fermezza nel perseguire i propri scopi o nel tener fede ai propri propositi, nel proseguire sulla via intrapresa o nella condotta scelta (...). In particolare, nella teologia morale cattolica, virtù che impegna l’uomo a lottare per il conseguimento del bene senza soccombere agli ostacoli e senza farsi vincere dalla stanchezza e dallo sconforto.
Ma tutto questo tralascia la perseveranza come virtù che caratterizza il nostro essere legati, uniti, al Signore Gesù.
Ogni difficoltà, che l'immagine del Vangelo propone, mette in crisi prima di tutto il piano delle relazioni, fino a quelle più radicali e profonde. La perseveranza non può ridursi a un perseguire, anche se è per il raggiungimento di un fine di bontà e di giustizia; essa presuppone la fedeltà dei sentimenti, degli affetti, del cuore ... dell'esistere. Una fedeltà riposta in Gesù. In Gesù, quindi, non riconosco solo il buon maestro, ma a lui tengo legata e ferma la mia vita: questa è perseveranza nell'essere, e nell'esserci del Signore.
È questo forte vincolo che genera la forza di essere sereni, rasserenati dalla vicinanza di Gesù, e di poter quindi affrontare ogni avversità, anche il venir meno di quei legami famigliari che sono nella nostra radice, nella nostra origine.
La perseveranza non si esaurisce in una virtù morale, di comportamento; essa è certezza e affidamento all'amore di Gesù per noi! Sono certo del suo amarmi e custodirmi, per questo amo e continuò ad amare. È questa virtù che ci converte!


martedì 24 novembre 2020

L'avvento della fine!

Apocalisse 14,15-19 e Luca 21,5-11


Il rischio è certamente quello di essere fraintesi, ma pensare che la fine di tutto sia imminente, forse forse, non è poi un errore.  Se pensiamo come "fine" la distruzione di tutto, forse siamo lontani anche dall'idea di "fine" che poteva avere Gesù.
Gesù lega alle immagini escatologiche delle fine, tipiche del linguaggio giudaico apocalittico, la distruzione del Tempio di Gerusalemme; un evento che la comunità di Luca percepisce in modo estremamente significativo, quale termine di passaggio e di grande sofferenza. 
Credo che meditare la "fine", significhi percepire il confronto serrato è forte, che da sempre è in atto, tra sacralità della vita umana e secolarizzazione dell'esistenza.
La distruzione del Tempio di Gerusalemme rappresenta una sorta di vittoria del paganesimo, dell'ateismo, dell'indifferenza profana. Ma quella fine rappresenta anche la presa di coscienza per i discepoli, della vicinanza di Dio, come il suo venire ancora, al di là del Tempio o dei segni posti come espressione di sacralità.
Oggi in questa situazione pandemica avvertiamo imminente la fine del culto, della religiosità popolare; lo stesso Natale è un evento profano, garantito dalla laicità della legge, per supportare l'economia e consolidare i rapporti sociali e parentali. Ma la festa non ha più nulla della sua origine Cristiana. Nella notte di Natale non avrà più al centro la Messa della nascita del Salvatore, ma sarà garantito ugualmente lo scambio dei regali, lo shopping e il cenone con i parenti. È la fine? Si per me è la fine, ma anche l'opportunità di un nuovo inizio!

lunedì 23 novembre 2020

Il "termometro" del dono di noi stessi!

Apocalisse 14,1-3.4-5 e Luca 21,1-4


Gesù vide che tra tutti coloro che in fila entravano al Tempio, molti erano persone ricche che gettavano le loro monete nel tesoro. Proviamo a immaginare cosa stanno pensando e "gettando", quali ragionamenti hanno accompagnato il loro gesto.
Certamente il desiderio di adempiere ai precetti della legge; di onorare Dio; di compiere un atto responsabile verso il Tempio, verso l'istituzione religiosa. Poi hanno certamente pensato a quanto gettare nel Tesoro del tempio, quante monete d'oro o d'argento?
"Non troppe: vedi mai mi debba poi servire una somma di denaro per una spesa inaspettata"; "non troppo poche: non vorremo mica sfigurare davanti agli occhi di chi guarda, e passare come avari, spilorci ... Non è facile stabilire quanto offrire, perché in realtà nel mettere qualsiasi somma, mi privo di qualcosa che mi appartiene ... Nel dare sento che tolgo qualcosa che si è ben attaccato alla mia vita ... Queste ricchezze costituiscono il mio "status" sociale: tutti mi considerano ricco ...
Per la vedova forse tutto questo spreco di pensiero nemmeno si affaccia alla soglia della mente e tantomeno del cuore. Gesù osserva la vedova, e comprende subito che la sua povertà corrisponde alla sua libertà, povertà e libertà sono la vera ricchezza che questa donna offre come dono di sé stessa al tesoro del Tempio.
Riassumiamo: la nostra libertà di donarci ha un "termometro" per essere misurata ... I nostri pensieri tradiscono il grado di libertà dalle ricchezze, ma anche la possibilità di fare della nostra vita un dono gratuito per il Signore e a servizio dei fratelli. Le due monetine - dono della vera ricchezza - che ci rappresentano come offerta a Dio - non sono mai questione di quantità, ma esprimono libertà e di gratuità!

domenica 22 novembre 2020

Quando Gesù raccontò il giudizio finale ...

Ez 34,11-12.15-17; Sal 22; 1 Cor 15,20-26.28; Mt 25,31-46

Solennità di Cristo Re dell'uniuverso

 

Solennità conclusiva dell'anno liturgico: Cristo re dell'universo.

Ed ecco che questo re si identifica come colui che raduna le sue pecore disperse, come il pastore ...

Le conduce, le fa riposare, cerca la dispersa, fascia la ferita e cura la malata ... e tutto poi, si concluderà con un giudizio. Un giudizio che separa le pecore dai capri. Ma la separazione cosa significa?

Significa che siamo giunti alla conclusione! Quando finalmente tutto sarà convocato nella valle di Giosafat, ai piedi di Gerusalemme e verrà raccolta la zizzania che sarà bruciata nel fuoco della Geenna. Questa "lettura/immagine" che unisce parabole e tradizione giudaica mette in evidenza tutto il pensiero del Signore circa il giudizio finale.

Se la realtà è un insieme di bene e male e del giudizio il Re/Pastore, finalmente egli farà giustizia di ogni iniquità e metterà in evidenza, cioè farà la differenza, tra il bene e il male; ciò che è l'opera di Dio e dell'amore ciò che è conseguenza dell'invidia del demonio, cioè l'odio la divisione, la morte.

Quale sarà il criterio del giudizio secondo giustizia? Sarà il modo in cui avrò riconosciuto al piccolo, all'escluso e al povero, quell'amore che non è semplicemente un gesto di misericordia, ma è il segno della conversione della mia vita; ciò avviene quando la mia vita reale è secondo i sentimenti e i pensieri di Dio.

Noi siamo maestri nella dissociazione della realtà dall'eternità ... Cioè spezziamo il legame tra la nostra vita e il giudizio di Dio, come se fossero due cose separate. Ma non è così! Il Pastore accompagna le sue incorre al pascolo; il contadino semina il buon seme, e tutto avviene pure nello smarrimento delle pecore e nella crescita della zizzania, del male.

Così convinti che la realtà vada per conto suo e che alla fine, Dio è buono e salva tutti. Ma questa dissociazione toglie alla realtà la sua pienezza. È nella realtà concreta che si realizza il capovolgimento - conversione più radicale che sarà pienezza del giudizio finale. Quindi in sintesi, il giudizio finale non lo pronuncia Dio alla fine, ma lo tracciamo noi, ora, nel presente, con ciò che facciamo verso l'ultimo.

Dio giudica attraverso ciò che legge adesso nella nostra vita. Dio ci accoglie e porta a compimento la sua accoglienza nella misura in cui noi accogliamo lui nell'ultimo.

Ma tutto questo non significa forse che la nostra vita è divina e che quindi parte dell'eternità? Si è vita eterna in quanto oggetto dell’amore di Dio.