venerdì 31 maggio 2019

Atti 18,23-28 e Giovanni 16,23-28
Chiedere per ottenere!

Voi mi amate, e credete che sono venuto da Dio, che sono venuto nel mondo e che ora vado al Padre. Questa successione di informazioni che Gesù da ai discepoli, non rappresentano una sintesi teologica tra l'Incarnazione e l'Ascensione. Esse rappresentano il tracciato inciso profondamente nella vicenda umana di Gesù del compiersi della volontà del Padre, cioè della grazia che ci salva. Tutto nasce da una esperienza di amore. Cosi come l'amore di Gesù per il Padre, rappresenta l'icona dell'amore del Padre per noi, allo stesso modo l'amore di Gesù è amore che si esprime pure nel limite, e nella fragilità della natura, la nostra, segnata dalla fame della grazia. La fame della grazia è quel desiderio di amore per colmare la nostra inconsistenza e inadeguatezza. Pregare per ottenere, non è certo una pretesa, un atteggiamento scambista. Pregare per ottenere significa collocarsi nella esperienza di amare il Padre, così come Gesù a cercato di insegnarci; di amare Lui, il figlio, perché in lui impariamo a dare forma al vero amore umano. Pregare per ottenere ... ottenere cosa? Quello che desideriamo? Si! Ma nel senso più vero del desiderio, cioè ciò che ci manca veramente: partecipar fino in fondo alla volontà del Padre. Gesù ai suoi, amati, chiede proprio questo: "Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena".
Solo in questa preghiera (richiesta) che ci coinvolge pienamente - grazie alla vicinanza di Gesù -, è possibile chiedere e ottenere ciò che è la nostra gioia piena. Io non chiedo gioie di un momento, ma la gioia di amare Gesù ... e di imparare ad amare la sua Chiesa e anche i miei fratelli. 

Sofonia 3,14-18 (oppure Romani 12,9-16b) e Luca 1,39-56
Visitazione ...

Dall'esperienza dell'incontro di Maria con Elisabetta, assaporiamo anche noi, l'essere visitati dalla grazia di Dio.
"Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ...", essere riempiti a misura di Spirito Santo, si traduce per Elisabetta nello sguardo affettuoso verso Maria, ma anche, e giustamente, nel vedere l'opera di Dio, la salvezza realizzarsi attraverso e nella storia stessa della cugina. La pienezza dello Spirito anticipa per Elisabetta "la conoscenza della verità tutta intera". La visita di Maria ad Elisabetta è lo spazio umano, morale, affettivo della inabitazione dello Spirito. Quante volte abbiamo sentito questa espressione delle Scritture: "il Signore ha visitato il suo popolo" ... Ebbene ecco come avviene questa visita. È commozione: si è attratti non solo gli uni verso gli altri, ma la grazia di Dio attrae a sé in quella esperienza straordinaria, che è il riconoscersi parte di un mistero: "A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo".
È gioia, vera, che si esprime nel magnificare, nella commozione: "L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, ..."
Ecco allora che il contenuto più bello della visitazione è sentirsi parte di un mistero che ci ha anticipato nel passato, ci accompagna nel presente e senza imporsi ci precede nel futuro. Non è forse questo un modo di intendere l'illuminante espressione della Lettera ai Rimani, circa la relazione con la grazia?: "Siate lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera".

giovedì 30 maggio 2019

Atti 18,1-18 e Giovanni 16,16-20
Che cos’è questo “un poco”, di cui parla?

Dice Silvano Fausti: "Siamo chiamati a vivere nella storia il passaggio pasquale dalla croce ala gloria, dall'afflizione alla gioia. Le nostre tribolazioni, come quelle di Gesù, sono le doglie del parto per la nascita dell'uomo nuovo".
Ed è proprio la novità della vita che deriva dall'essere parte di Cristo; che muove la gioia; che smuove la tristezza, che incammina nella quotidiana perseveranza; che introduce nella comprensione della volontà di Dio attraverso le vicende a volte intricate delle nostre piccole storie personali.
C'è un mistero che in Gesù si compie, ma anche in noi - la sua morte e risurrezione -, mistero di gloria e di amore. Questo rappresenta il centro di irradiamento dell'universo, ma non solo. La morte e risurrezione del Signore è il "cuore" dell'eternità, è spazio della divinità eccelsa e al tempo stesso della vita e dell'esistenza. Questo mistero è nascosto e velato nelle pieghe della vicenda umana, e della storia personale di ciascun uomo. Ciascuno di noi non può che accostarsi a questo mistero, sentirne la presenza e vicinanza se non in quel poco di tempo e di vita che gli appartiene. La fugacità della nostra esperienza disorienta e ci provoca inquietudine; ma il mistero non viene meno e non si sottrae alla nostra esperienza. Questo mistero, quando ci sei dentro, tutto oscura; è il grande silenzio di Dio, comune indistintamente a tutti gli uomini, ma è il mistero di un Dio che si rivela nel proprio silenzio, nella propria "assenza": "un poco"che per chi lo vive dura un'eternità. Gesù paragona questo "un poco" alle doglie di un parto ... dal quale nasce l'uomo nuovo ... e la gioia, quella vera. Gesù garantisce di essere fedele sempre anche nel "un poco" di noi stessi.

mercoledì 29 maggio 2019

Atti 17,15.22-18.1 e Giovanni 16,12-15
Il peso dello Spirito ...

Si potrebbe obiettare: "... perché peso delle parole? Lo Spirito è la leggerezza!"
Se non fosse proprio per queste parole esplicite del Signore: "Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso". Non credo che dobbiamo intenderle nella dimensione della "gravosità" ma nella enormità della novità che le parole del Signore rappresentano. Una novità umanamente e intellettualmente non sempre comprensibile, se non come novità di una vita nello Spirito. Forse è proprio questa la fatica dei nostri giorni, come pure la fatica legata ai cambiamenti e alle trasformazioni nella vita della Chiesa. Quando infatti la "tradizione" viene assunta a termine di difesa e di opposizione rispetto al suo rinnovarsi - al rinascere dallo spirito - tutto nella esistenza umana diviene difficile e pesante. Eppure Gesù non ci ha affidato a una realtà, a un mondo cristallizzato, immobile e impassibile, ma Lui stesso è "venuto" in un mondo che ha esultato e che lo ha rifiutato; è stato donato a un mondo che per di più era indifferente ... Eppure lo Spirito ha sempre rappresentato quella pienezza di vita nuova che ha guidato il cammino della fede di chi crede in Cristo. È lo Spirito che apre il cuore e la mente alla comprensione delle scritture (ciò che è anticamente rivelazione di Yhwh); come pure alla comprensione, ovvero la partecipazione alle volontà di Dio, cioè le cose future, che si realizzano nel tempo presente fino al loro pieno compimento. Oggi la Chiesa vive questo travaglio, quasi come i dolori di un parto da cui deve nascere una vita nuova ... A San Paolo VI - papa - che oggi ricordiamo, chiediamo di intercedere per noi è per tutta la Chiesa, perché ci custodisca nella speranza certezza che la sofferenza Spirituale (il peso da portare) è pegno delle realtà nuove, è condizione del cammino di rinnovamento della tradizione.

martedì 28 maggio 2019

Atti 16,22-34 e Giovanni 16,5-11
È bene per voi che io me ne vada ...

Brutta espressione, perché per noi ha solo il sapore difficile della separazione. Per Gesù invece rappresenta quel tornare al Padre che forse possiamo tradurre nei termini dell'abbraccio di chi ritorna dopo tempo alla casa del Padre. Gesù desidera questo abbraccio; Gesù per tutta la sua vita nel tempo ha contemplato il Padre mediante la sua umanità ... ora c'è lo rivela (fa vedere) nella sua divinità; Gesù vuole tornare da colui che lo ha mandato, perché questo ritorno si traduce in un dono ulteriore, si traduce nel "mandare lo Spirito". Ecco che andare al Padre non è sottrarsi e separarsi da noi, ma è un venire a noi nello Spirito.
Non credo sia stato facile per i discepoli accettare questa condizione nella loro relazione con il maestro. Non è forse per questo che Giovanni ci riporta, quasi con tenerezza le parole del Signore: "Ma io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Paràclito; se invece me ne vado, lo manderò a voi." Sono parole di dolcezza, sono espressioni di tenerezza, sono la sua consolazione per tutta la nostra tristezza, per tutta la nostra paura, per ogni nostro domandare ...
Lo stesso Giovanni rilegge e medita queste parole per poterle giustificare a sé stesso e ne trova un senso profondissimo quando quelle parole sono "pronunciate" dalla croce; nel momento in cui Gesù muore in croce ed è innalzato, Gesù - glorioso e nella pienezza, risorto -, "emise lo Spirito": ci dona, manda lo Spirito.
Ora la relazione che vivono i discepoli si trasforma da reale a Spirituale. Non conoscono più Gesù nella carne, ma lo conoscono glorioso e risorto, lo conoscono nello Spirito che è dato. Ed è quindi lo spirito del risorto che dona la coscienza del peccato; ci apre alla conoscenza della verità che è da Dio; ci accompagna nel compimento del tempo che è pienezza di giudizio e salvezza.

lunedì 27 maggio 2019

Atti 16,11-15 e Giovanni 15,26-16,4
Memoria, uguale testimonianza ...

"...  non hanno conosciuto né il Padre né me." Siamo anche noi nel tempo della dimenticanza! Questa condizione rappresenta un Alzheimer Spirituale di proporzioni simili a uno tsunami che si abbatte nella vita. Quando non si abita più la memoria ma si cavalca la suggestione del momento, si abdica al discernimento nella vita a favore di una assoluta individualità, che spesso cerca un idolo per l'identificazione. Questo processo che accompagna le vicende umane, è da sempre frutto dello smarrimento e della perdita di memoria. Un discepolo di Gesù, allora, come oggi, da senso al suo presente abitando e vivendo un memoriale: la vita stessa del suo maestro. Ecco cosa significa la vita Spirituale! Non lasciamoci suggestionare dalle "emozioni", dai moti del presente, essi rappresentano una reazione di pancia, anche quando assumono proporzioni impensabili ... Esse restano reazioni di "pancia"!
Dimorare in Gesù, e il dimorare di Gesù in noi, è memoria di lui, è fare spazio allo Spirito, ma anche suo memoriale, cioè sua presenza reale nel presente.
Ecco che il presente da testimonianza di Lui!
Gli uomini, le donne e i bambini rinnegati, danno testimonianza di lui ... Non dimentichiamoci di loro ...
Gli uomini, le donne e i bambini abbandonati nei campi profughi in Libia, e altrove danno testimonianza di lui ... Non siamo così colpevolmente indifferenti ...
Gli uomini, le donne e i bambini i cui diritti sono negati e calpestati dai quotidiani dittatori, danno testimonianza di lui ... Non saliamo anche noi sul carro dei vincenti ...
Ogni uomo, ogni donna, ogni bambino, scartato nel mondo di oggi, è segno di quelle "cose" che Gesù ci ha affidato nelle sue parole "... vi ho detto queste cose affinché, quando verrà la loro ora, ve ne ricordiate ..." e non ci scandalizziamo restandone schiacciati, invischiati, perché così annulleremo la nostra testimonianza.

domenica 26 maggio 2019

Atti 15,1-2.22-29 / Salmo 66 / Apocalisse 21,10-14.22-23 / Giovanni 14,23-29
Se uno mi ama ...

Come è stato possibile che per una parola ascoltata, per giunta da degli stranieri dall'aria un po' da profughi, si sia stati disposti a mettersi in discussione fino a giungere a una fede esplicita ... Ovvero ad un atto di amore per Gesù ...
L'unica spiegazione che mi riesco a dare è semplicemente che, quegli uomini che erano stati con Gesù, ma anche Paolo e altri che non lo anno condiviso negli anni della predicazione, sono riusciti ad amarlo, ad amarlo nella loro vita; sono riusciti a rispondere a quelle parole che in vario modo e ripetutamente sono risuonate nella sua ultima cena: "se mi amate ..."
Cosa significa allora oggi per me amare Gesù?
(...) Cosa intende Gesù per amore?
Provo a immaginare che per il Signore, amare volesse proprio dire quel "ti voglio bene" che alla fine è il punto di partenza di Pietro per iniziare a seguire il maestro. Un ti voglio bene sul serio, non a condizione che tu sia quello che mi aspetto ... Ma un ti voglio bene circostanziato dalla storia e dal vissuto; e proprio perché siamo parte dello stesso vissuto ti voglio bene, perché dai senso pieno al mio esistere ...
Questa pienezza è quella che Gesù ha sperimentato amando i discepoli come lui si è sentito amato dal Padre. È l'amore del Padre vissuto in una storia personale, che Gesù ha scoperto come fondamento del suo amare i discepoli.
Gesù parte allora da un ipotetico "Se", ma non a caso, non per mancanza di certezza, e neppure perché in preda a una paranoia esistenziale per la prossimità della passione.
Passa dal "se" per provocarci nell'IO!
Chi sono disposto ad amare, chi e cosa riconosco come origine della mia possibilità di amare?
Giovanni evangelista vuole farci fare un percorso nell'amore; lo steso che ha messo in discussione gli apostoli, lo stesso che gli apostoli hanno condiviso con la gente, portandola alla conversione.
Giovanni parte dall'ultima cena, quando Gesù, affida un nuovo "comandamento": "che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri".
Al cuore della relazione di fede Gesù pone la relazione di amore. Una relazione che percepita anche solo istintivamente, percepita e intuita diviene oggetto della nostra cura. La cura dell'amore genera in me la possibilità di amare e di crescere nell'amore (...).


sabato 25 maggio 2019

Atti 16,1-10 e Giovanni 15,18-21
Se il mondo vi odia ...

Cerchiamo di non cadere pure noi in una facile conclusione circa la negatività assoluta del modo e nella conseguente avversione del mondo verso i discepoli di Gesù ...
Infatti, così come "Dio ha tanto amato il mondo" ... ugualmente Gesù è disposto a "non pregare per il mondo ..."
Chi e cosa è il Mondo ... Il mondo è l'opera di Dio, è il cuore dell'uomo, è ciò che Dio Padre ama e per il quale dona la sua stessa vita attraverso Gesù ... In questo senso il mondo è lo spazio della redenzione della creazione segnata dal peccato ... Il mondo è manifestazione della gloria del Padre: nel mondo si innalza la croce del sacrificio e si irradia la luce della risurrezione ... Ma questo stesso mondo è anche e insieme, esperienza di rifiuto, di lontananza di morte che appartiene al mondo nel suo tentativo di affrancarsi da Dio, nel suo tentativo di auto salvarsi, e amare se stesso in se stesso.
Ecco che il mondo non è una contrapposizione tra bianco o nero ... Ma è la sfumatura di grigio in cui il bianco e il nero provocano l'uomo nella sua libertà rispetto all'amore e al non amore.
Noi non siamo abituati a pensare in questo modo ... Ci sembra relativismo ... Ma in realtà la relazione con il mondo" è il già dell'amore del Padre, nel non ancora della fragilità umana.
L'odio del mondo non è un male assoluto, ma è conseguenza della mancanza di amore ... è cecità per il perdurare della tenebra; è sete per la mancanza dell'acqua viva; è fame perché non c'è il pane del cielo ... Tutto questo è un mondo che odia ciò che non conosce, perché non conosce l'amore del Padre.
Ma Dio ha mandato il suo figlio proprio in questo mondo!

venerdì 24 maggio 2019

Atti 15,22-31 e Giovanni 15,12-17
"... tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi".

Quale maggiore autorevolezza di questa, nelle Parole di Gesù?
Ebbene, non solo autorevolezza, ma tenerezza ... Sì perché noi leggiamo, proclamiamo e ascoltiamo le parole che Gesù attraverso i vangeli ci dice ancora oggi e le sentiamo Sue, per noi ... ma raramente ci poniamo nella prospettiva che le stesse parole siano quelle ascoltate da Gesù, Lui le ha udite, ascoltate e meditate perché erano le parole del Padre per Lui. Nella preghiera prima dell'alba, nella solitudine del deserto, nelle ore di silenzio tra gli olivi, cosa Gesù ha udito dal Padre? Forse proprio questo ....
"Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato, e ti ho amato con amore unico e di predilezione; per questo non ti do un comandamento da osservare ma come io ti amo come figlio, tu ama questi uomini come amici ... come figli ... Nessuno avrà mai un amore grande come quello che si sprigiona dalla amicizia ... Essi siano tuoi amici, si sentano scelti e prediletti, come io scelgo e prediligo te che sei mio figlio".
"Da questo amore che io ho per te ti verrà anche la forza di dare la vita per me è per loro. Ecco, che amare è donarsi, fino all'ultimo respiro della propria vita. Amare è consumarsi anche per chi è incapace di corrisponderti. Amare è portare frutto ... E il frutto dell'amore è la pazienza è la perseveranza (inno all'amore di Paolo ai Corinti) ... esse sono capaci di generare la salvezza, la vita eterna, cioè il frutto che rimane per sempre"
È questo lo sfondo che posso immaginare come dialogo tra Gesù e Dio Padre, o meglio, ciò che un Padre buono può aver detto al suo figlio amato, offrendolo alla scena del nostro mondo. Queste parole risuonarono nel cuore di Gesù ed egli così come le ha udite dal Padre suo, le ha dette a noi.

giovedì 23 maggio 2019

Atti 15,7-21 e Giovanni 15,9-11
... "rimanere" per essere nella gioia ...

Cosa significa "rimanere nel mio amore". Potrebbe essere un rischio ridurre il "rimanere" alla "nicchia" del discepolo; nicchia ovvero, porzione riparata di spiritualità e religiosità. Ciò equivarrebbe al garantirsi il rimanere attraverso l'osservanza - che potrebbe essere solo esteriore - compensativa dei comandamenti. Non stupiamoci di questo, ma la nostra natura umana "funziona" come processo di riconoscimento di un "bisogno", di una carenza, di fronte alla quale porre la ricerca di una compensazione, ovvero di una soluzione. Al mio desiderio di amore e di essere amato, anche Gesù può rappresentare una "buona" compensazione.
Il Vangelo di Giovanni non si ferma agli enunciati del comandamento dell'amore, in questi capitoli (13, 14 e 15) l'amore e l'amare, vengono resi, attraverso la persona stessa di Gesù e alle relazioni che la sua stessa vita di figlio di Dio e di uomo rappresentano. È in questa prospettiva che il rimanere si esprime l'osservanza del comandamento. Superando la semplice osservanza morale, l'amare di Gesù, il suo amore è la sua stessa vita nel e per il mondo. Questo dono e mistero, non è una parte separata rispetto al resto, una aggiunta alla realtà, ma è la vita del mondo. La qualità del "mondo" è quindi ricca della vita stessa di Gesù, del suo amore. In Atti 15, gli apostoli riconoscono che "Noi invece crediamo che per la grazia del Signore Gesù siamo salvati, così come loro""Per grazia ...", per dono, per amore di Gesù tutto è sostenuto/esiste per la salvezza. Rimanere in lui è essere parte, partecipi, autori di una visione positiva; di azioni e relazioni positive; di una speranza certa della Parola; di una perseveranza oltre ogni fatica e ostilità, che pure viene nel mondo. È Gesù che nella sua vita umana ha legato l'amore del Padre per lui alla realtà della sua esistenza, questo legame è per sempre, ed è diventato il suo amore per noi; questo legame è per sempre. Quasi verrebbe da dire, un discepolo, se realmente tale, rimane inevitabilmente nell'amore di Gesù; per un discepolo la gioia non è una conseguenza o un premio, ma è la condizione normale della vicinanza intima al suo Signore.

mercoledì 22 maggio 2019

Atti 15,1-6 e Giovanni 15,1-8
Corso per viticultori ...

Non tutti sanno che la Vite produce i grappoli (frutti) dai rami (tralci) dell'anno precedente, e che dopo il secondo anno quei rami diventano improduttivi. Ciò motiva il rinnovo completo dei tralci ogni anno, tagliando quelli che dell'anno precedente. È quindi un rinnovo continuo, un riconsiderare tutta la pianta nella sua possibilità di produrre frutti, nella sua potenzialità e vita. L'unica parte che invecchia, è il ceppo della vite, esso rappresenta il punto di unione tra le radici, che alimentano la vite e i tralci che producono frutto ...
Gesù non dice io sono il ceppo, o io sono la radice; come non dice io sono i tralci ... Gesù ha detto: "io sono la Vite, quella vera".
"Io sono la vera vite", cioè la totalità di radici, ceppo e tralci. Ecco allora che i tralci non sono semplici appendici produttive, ma l'essere discepolo è condizione del dimorare in Gesù ed egli in noi: "Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano".
La relazione che noi abbiamo con Gesù - che è di per sé gia frutto - è un legame esistenziale e soprattutto esperienza di vita. La nostra vita cristiana è una vita con Gesù. Non è una vita infarcita di religiosità, che produce atti e azioni da credenti, ma una vita con Gesù, in compagnia della sua Parola; toccata (segnata) dalla sua presenza sacramentale.
Non è una immagine rappresentativa, o simbolica, quella della vite e dei tralci, ma nella sua plasticità, cioè nella sua vividezza, questa immagine parabolica è la realtà, è il maestro, è il discepolo, è il Padre ... Ogni volta infatti che diciamo: "questa immagine rappresenta" ... obblighiamo la Parola a passare attraverso una mediazione, attraverso il nostro modo di intenderla e interpretarla, e spesso ne riduciamo o limitiamo la sua espressività.

martedì 21 maggio 2019

Atti 14,19-28 e Giovanni 14,27-31a
La pace ... non come quella del mondo ...

Di quale pace parliamo?
Pace come serenità? Pace come assenza di conflitti? Pace come comunione reciproca? Pace come desiderio di amorevole condivisione? Pace come ...? La pace del mondo è quella che si genera nel sopravvento di qualcuno o qualcosa che domina e mette tutti nel silenzio e nella accettazione: "diciamo di essere in pace, accettando anche discriminazioni; la morte di poveracci e scartati; le ingiustizie che si consumano a pochi metri di distanza da noi ..." Eppure crediamo di essere in pace, nella pace che ci consegna questo nostro mondo ... Ma che strano, il nostro cuore resta turbato e la nostra vita in agitazione ... Forse non è la vera pace quella che dà il mondo.
La pace di cui parla Gesù, non si sottoscrive, ma si accoglie (è dono); non si proclama, ma si tiene nel cuore per sempre (è ricordo); non si deve continuamente affermare, perché è espressione di gioia e di vita, è un gesto divino di amore (la croce).
"Vi do la mia pace", significa che vi offro, vi dono la mia vita. Gesù fino alla croce non smette di amarci, e nel morire in croce dimostra quanto è libero di amarci; al punto di fare sua la nostra morte, cioè il nostro turbamento, ciò che sconvolge cuore e vita. 
Vi do la pace, vi do me stesso; vi amo con tutto me stesso e se vi amo, vi sentirete amati, e se vi sentirete amati mi amerete, e amando me amerete il Padre e i fratelli. La pace è Gesù che toglie (o fa suo) il turbamento del cuore; il turbamento di ogni giorno, la nostra paura quotidiana di non farcela con le nostre sole forze. La pace è la sua vita, consolante presenza, donata nello Spirito, di cui facciamo esperienza nell'amore. Ecco la pace di Gesù: la sua vita dissolta nella nostra come amore che di scioglie, come lo "zucchero in una tazzina di caffè"! Fare memoria di Lui ogni mattina è come dissetarci alla sorgente della pace vera, è come intossicarci di pace, "drogati" dalla pace, faremo un modo nuovo, diverso.

lunedì 20 maggio 2019

Atti 14,5-18 e Giovanni 14,21-26
... e prenderemo dimora presso di lui ...

Con il capitolo quattordici di Giovanni, entriamo all'interno della vita del discepolo, e della conseguente relazione umana e spirituale che si genera a partire dalla fede. Gesù, la cristallizza nell'esperienza dell'amore. Certe sue espressioni ci sono già molto famigliari: "Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui".
Così, non ci fa alcun problema "l'accoglienza" della parola; anzi siamo persuasi che per amare Gesù occorre prima di tutto ascoltarlo ... Non ci fa problema comprendere l'amore per Gesù come realtà che ci introduce in una comunione di amore con il Padre; anzi solo a partire da questa comunione, siamo resi partecipi della progressiva rivelazione/manifestazione che Gesù fa di sé stesso. Tutto questo appartiene alla dimensione spirituale di ogni discepolo, e della dinamica della fede, per cui al credere in Gesù corrisponde anche un investimento degli affetti e della vita come fiducia/amore, come se ci trovassimo di fronte realmente ad un "amico".
Ma non è tutto qui, la dinamica fiducia/amore richiede di abitare, di prendere dimora ... Ma avete mai sperimentato cosa significa ospitare un amico, una persona che "conosciamo" e a cui magari siamo anche legati affettivamente? Aprire la nostra casa, i nostri spazi, le nostre abitudini, per fare posto alla sua presenza, alla sua vita ai suoi modi diversi da quelli consolidati? Sinceramente è un vero sconquasso ... Seguire il progressivo passaggio dall'ascolto al dimorare è un veto sconquasso!
"Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui" ... Siamo disposti a vivere questa "invasione"?
Permettere il dimorare di Gesù, del Padre, permettere l'agire dello Spirito ... corrisponde a quella prossimità al mistero che in realtà ben raramente siamo disposti a vivere fino in fondo. Ogni forma di religiosità ci permette di rapportarci con la fede come senso religioso, ma non come fede/amore. È la fede/amore che implica e provoca il cambiamento della vita a partire proprio dalla pretesa di Gesù, alla sua affermazione: "noi verremo ad abitare in te!" Ma se la vita cristiana è uno "sfratto" continuo del l'ospite divino, cosa succede?

domenica 19 maggio 2019

Atti 14,21-27 / Salmo 144 / Apocalisse 21,1-5 / Giovanni 13,31-35
Ma è possibile amare?

Ciascuno di noi è un universo infinito di umanità ...
Ogni corpo è concretezza di una vita ...
Ogni sguardo è profondità di una storia ...
Ogni desiderio è espressione di amore e desiderio di essere amato.
Ogni uomo è tutto questo, ed è per questo un mistero: è l'opera meravigliosa del Creatore.
Di fronte a tale mistero, non possiamo che inginocchiarci in adorazione di ciò che è dimora di Dio, di ciò che è umano eppure rivelazione del divino ...
Questo è vero indipendentemente dal fatto reale che il mistero sia Rom e zingaro; sia che sia nero e profugo; sia che sia cinese, pachistano o napoletano o di un'altra qualsiasi parte del mondo.
Ecco prima di tutto l'uomo ...
Prima di tutto gli uomini, le donne e i bambini, con il loro diritto alla vita, con il loro diritto alla felicità in questo mondo, con il loro destino di eternità per sempre.
Se io come credente assumo l'uomo come priorità indipendentemente da tutto e tutti, allora scoprirò la fratellanza e inizierò a gustare quell'amore, così come Gesù a cercato di insegnarci, e nel modo in cui lo ha tradotto in parole, per farcene un comandamento ma soprattutto una memoria stabile: "Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri".
Non siamo di fronte a una legge da mettere in pratica o di fronte a un precetto da osservare, siamo di fronte a una proposta che traduce e fa sintesi di tutta la vita del Maestro, di Gesù, che non per caso aggiunge io vi ho dato l'esempio: "Come ho amato voi, amatevi gli uni gli altri".
Il modello dell'amore e dell'amare non è quello dei miei sentimenti delle mie emozioni ... Ecco perché seguendo il nostro amore falliamo; perché il nostro è un amore condizionato; è un amore spesso bloccato dalla nostra fragilità. Gesù ci sta dicendo di non fermarci all'amare come noi siamo capaci, ma di fare nostro un modo di amare che imiti il suo amare.
Madre Teresa di Calcutta, andava a raccogliere poveri e morenti; Francesco d'Assisi baciava i lebbrosi; forse pensiamo che vivessero tutto ciò come espressione della loro possibilità di amare? Illusi se pensiamo questo! Essi hanno attuato il comandamento dell'amore e fidandosi dell'amore di Gesù, fidandosi di quel "come io ho fatto, così fate voi ..."
È solo questa la realtà nuova che può rende nuove tutte le cose ... Le altre riforme, comprese le "ricette di governo" sono tutti inadeguate!
Chi tra noi dice: "prima questi (magari gli italiani) e poi gli altri, chi insegna un amore a partire e per se stesso non insegna il Vangelo di Cristo!
Non ci accorgiamo che sono solo cose vecchie e già vissute in passato, già fallite tante volte.
Forse l'amare come Gesù non ha mai stravinto, ma certamente ha continuato e continua ad essere una proposta affascinante e origine di un riscatto umano, fonte di fiducia e speranza.
Come si fa però ad amare come Gesù? Quale esperienza devo fare?
Iniziamo dal lasciarvi amare! Poi mi accorgerò che non posso amare ciò che non conosco. Per questo se per me Gesù è un mito ... Sono ben lontano dalla possibilità di amarlo; se Gesù è uno sconosciuto come posso pensar di corrispondere al suo amore; se Gesù è un rito ... Non amerò mai un lui formale e quindi mai come lui.
Non potrò mai amare come Gesù se prima non avrò imparato a conoscerlo, ad avvicinarmi a lui! Occorre rendersi parete viva e coinvolta di una storia di amore, con le sue parole, con la sua presenza reale nei segni dei sacramenti, con la vita di comunità.

sabato 18 maggio 2019

Atti 13,44-52 e Giovanni 14,7-14
Il sapore dei fallimenti, la gioia e lo Spirito Santo ...

Quando la preoccupazione per ciò che accade prende il sopravvento si dissolve la gioia e la certezza che lo Spirito agisce sempre ... e soffia dove vuole ...
Gli Atti degli apostoli difronte al fallimento della predicazione ad Antiochia (i giudei non si sono convertiti) annotano - dopo l'immagine dello scuotere la polvere - che i discepoli erano comunque pieni di gioia e di Spirito Santo. Qualcuno mi spiegherà di cosa c'era da gioire, se Paolo aveva fallito il suo proposito principale?
Di quale gioia si tratta? Se confronto il ministero degli apostoli alla predicazione di Gesù, non trovo troppe differenze; certamente il "fallimento" rispetto a un progetto atteso è una costante. Anche noi ci aspettavamo che Gesù realizzasse gloriosamente il regno del Padre, invece il regno del Padre progressivamente ci sfugge e sembra dissolversi nel rifiuto dei giudei di accogliere Gesù e di conseguenza nel naufragio che è la sua passione e morte. Ma secondo le "Parole" del Signore, è proprio in quel fallimento - per gli uomini - che si rivela, che si vede come il Padre non è altro o distante da Gesù.
Il Padre abita lo spazio del fallimento per compiere le sue opere, e l'opera più grande sarà proprio la risurrezione del figlio. Il fallimento rispetto a un progetto, per come lo percepiamo, rappresenta in realtà una occasione per rinascere per riprendere l'iniziativa o per alzare la vela e lasciare che il soffio dello spirito la gonfi e ci porti dove vuole ...
Il nostro gioire, il nostro essere pieni di Spirito Santo non è conseguenza di un risultato raggiunto (come suggerisce la logica del mondo), ma del lasciarci avvicinare dal Padre - anche lì nella fatica del quotidiano - nel fallimento quotidiano, con la certezza che come Gesù, dopo aver pregato il Padre (ogni mattino all'alba), riparte per annunciare il regno dei cieli.

venerdì 17 maggio 2019

Atti 13,26-33 e Giovanni 14,1-6
Verso il grembo del Padre ...

Nel versetto conclusivo del Prologo di Giovanni è scritto: "Dio nessuno lo ha mai visto, l'unigenito Dio che è verso il seno del Padre, egli l'ha narrato/rivelato/mostrato".
Ecco che il Prologo mostra l'essere sintesi del Vangelo, è proprio in questi pochi versetti ci rende partecipi della profondità di senso della fede in Lui e del senso della nostra esistenza. Il rischio di ogni uomo - da cui neppure i discepoli sono esenti - è nello smarrimento della ricerca di senso. La relazione discepolo maestro diviene così essenziale come la relazione tra Dio e Gesù, tra Padre e Figlio: "Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me". È questa relazione che rivela la direzione della nostra esistenza; se siamo anche noi incamminati/orientati verso il seno del Padre. Essere Unigenito di Dio, esprime la relazione di figliolanza da Dio, ma anche la nostra relazione di discepolato, ci rende partecipi della medesima relazione filiale.
In che cosa considerate il nostro essere suoi discepoli? Credo fermamente che quando Gesù dice "Io sono la via, la verità e la vita", intenda proprio chiarire questa dinamica relazionale! Come Lui è per noi via ... verità ... e vita ...
All'inizio della vita delle prime comunità di discepoli, quando non si parla ancora di cristianesimo, il sinonimo di essere discepoli, era, essere quelli che seguivano la via ... La via tracciata da Gesù, lo spazio di una esistenza vissuto nel tentativo di imitarne la stessa tensione, la stessa passione, la stessa consapevolezza.
Essere la verità - Gesù lo dice di sè stesso - come anche lo ripeterà a Pilato ... La verità mette pace all'inquietudine della nostra finitezza ... La verità mette pace ...
Essere vita, significa essere intimamente uniti ed essenziali come la vera vite per i tralci ... La vita è ciò che insieme rappresentano vite e tralci ... diversamente si è rami secchi ... si è tronchi sterili; la vita è fecondità e amore.

giovedì 16 maggio 2019

Atti 13,13-25 e Giovanni 13,16-20
Di fronte all'amarezza ...

Duplice è il clima dell'ultima cena, Gesù sa chi lo tradisce, e questo segna di amarezza i gesti di quella "Pasqua", dal condividere il pane al lavare i piedi agli apostoli; ma è anche il clima solenne della consegna di un modo nuovo di essere, uomini nuovi immagine di un maestro che insegna cose nuove, quelle che danno la beatitudine.
Ecco allora che all'amarezza per il tradimento si accosta la beatitudine che deriva dal fare ciò che lui ci ha insegnato: "Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica". Gesù sta parlando di quella Eucaristia che diviene esperienza di comunione per chi crede in lui, e il credere in lui si manifesta in quel gesto di amore che è dare la vita gli uni gli altri, come lui il maestro ha fatto. Il mangiare quel pane che è il suo corpo, il farne memoria, permette alla vita di Gesù di diventare ogni giorno parte della nostra vita, permette al gesto di Gesù di lavarci i piedi di essere il gesto che rende nuova la mia vita oggi: "anche io devo lavare i piedi ai miei fratelli, anche a chi mi tradirà!"
Questo è il contenuto del momento glorioso di quella cena pasquale, nel quale tutto cambia per la fede del discepolo. Quel gesto, infatti, mi prepara a vivere la Passione, la Crocifissione, la Morte e la Risurrezione. Voglio dire che ciò che accade a Gesù, ora appartiene alla mia stessa vita di discepolo. Giuda tradisce perché non è disposto a fare come il maestro. Egli preferisce essere artefice di sé stesso, ma Gesù non chiede un annullamento, chiede una accoglienza di lui, per essere vita nuova nella vita dei discepoli. Cosa ci serve una "vita nostra", una vita da traditori, che ha come destino semplicemente l'esodo da Dio? Ogni accoglienza di ciò che Gesù ha detto e fatto, è occasione per essere realmente beati, felici; ma felici di aver accolto il Maestro, e chi lo ha mandato. I tradimenti non ci lasceranno mai, ma non lasciamoci scoraggiare; fissiamo lo sguardo su chi ci garantisce la beatitudine.

mercoledì 15 maggio 2019

Atti 12,24-13,5 e Giovanni 12,44-50
Il mio ascolto ... verticale, orizzontale ...

Sono io il primo ad essere interpellato dalle parole del Vangelo di oggi. È a me che Gesù rivolge quella "semplice" domanda: "Credi in me?" A questa segue un'altra domanda del Signore: "Ascolti me?"
Alla fine la conseguenza estrema anche per chi si crede discepolo è di ritrovarsi tra coloro che con evidenza della vita rifiutano il Signore e non ascoltano la sua Parola. Strano a dirsi, ma rischiamo proprio di essere pure noi succubi di una indifferenza e relatività religiosa che annulla l'esigenza di un rapporto personale e comunitario. Personale cioè diretto, che si esprime nella vita spirituale, nella preghiera, nella carità e nel ministero (il fare concreto); comunitario nel vivere in relazione, nel percepirsi Chiesa, comunità di fede (non solo professata, ma vissuta e comunicata) e popolo di Dio.
Il Vangelo di oggi non è una circonvoluzione semitica rispetto a una sorta di lamentela del Signore, ma una provocazione esplicita a considerarsi rispetto alla identità che deriva dall'ascolto della Parola e dal dimorare in Cristo. Nella vita del discepolo l'ascolto deve sempre generare una dimensione verticale a partire dalla quale vivere una orizzontalità come quella di Gesù. Ad immagine della croce, il braccio verticale è l’amore per Dio. Il primo comandamento: "Ascolta o Israele, io sono il Signore Dio tuo ....". È il braccio verticale che sostiene quello orizzontale. L’orizzontalità, l’amore per il prossimo, l’amore per gli uomini, ha senso solo se sostenuta dalla verticalità. A noi cristiani non è chiesto di voler bene ai fratelli, ma di amarli ... Il cammino della fede del discepolo di Gesù, rappresenta un percorso di umanizzazione attraverso il divino, attraverso l'ascolto della Parola, attraverso la Comunione sacramentale, attraverso la vicinanza al mistero.

martedì 14 maggio 2019

Atti 1,15-17.20-26 e Giovanni 15,9-17
Io ho scelto voi ... come miei amici!

Dal capitolo tredici al capitolo diciassette il Vangelo di Giovanni, "esonda", e come un torrente in piena esce dall'alveo del suo corso e allaga tutto ciò che è attorno. È una immagine dirompente di potenza, anche distruttiva della realtà, ma anche di piena rivelazione del mistero del "figlio dell'uomo". Siamo infatti continuamente di fronte a un riprendere dei contenuti e delle immagini, per amplificarle e approfondirle. Ma questo permette anche di mettere in evidenza ciò che la comunità di Giovanni ha ricevuto come essenziale è irrinunciabile rispetto alle parole e alla relazione con Gesù.
Oggi, certamente quelle parole dette nell'ultima cena sono un vero apice di consapevolezza circa la relazione Gesù-discepolo: "vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri" (Gv 13,34-35).
In Giovanni 15, l'evangelista ribadisce "questo è il mio comandamento" ed esplicita con altre parole, ma simili, lo stesso concetto. L'identità del discepolo è generata dalla relazione di amore che accoglie come amato da Gesù, ed esprime amando come Gesù. Questa dinamica rappresenta l'identità del discepolo amato! È Giovanni! Ma è anche ogni discepolo del Signore, scelto cioè amato, e per questo capace di amare ...
Come nel capitolo tredici Giuda esce dalla cena, si allontana prima della proclamazione del comandamento, come per affermare il suo rifiuto ad essere amato, così in Giovanni quindici, Gesù pone nell'amare la condizione esistenziale dei suoi amici, non dei servi, ma degli amici. Ogni uno di noi, è prima di tutto chiamato (vocazione) ad vivere una esistenza come amicizia con il maestro! Gesù ti sceglie come amico, come amato, perché in quel suo amore tu possa trovare la tua gioia e la tua vita ... in realtà, la sua!

lunedì 13 maggio 2019

Atti 11,1-18 e Giovanni 10,1-10
(B.V. Di Fatima)
Pecore e ... pecoroni

Connettersi col pensiero del Signore, con le immagini della sua parola, risulta per i discepoli di una non facile e superabile difficoltà. "Essi non capivano di che cosa parlava loro ..." Non capivano perché parlava di loro stessi, parlava a loro del suo desiderio di comunione, del suo modo di sentire e vivere quella amicizia anche umanamente sperimentata, frutto non di subalternità maestro e discepolo ma generata nel dono della vita. Il fulcro della relazione maestro discepolo è lo stesso che esiste tra Pastore e pecore: "io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza".
La nostra amicizia con Gesù non è frutto degli insegnamenti della "dottrina cristiana", non si impone come nozione di religione, ma si apprende per esperienza, per esperienza di amore. In questi dieci versetti di Vangelo, oggi, Gesù ripete per due volte la tipica formulazione semitica "amen, amen, dico a voi" (in verità in verità vi dico) mettendo quindi l'accento attraverso una immagine su due esperienze necessarie:
- il riconoscimento - "... egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, (...), e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce." -; la nostra relazione con Gesù inizia attraverso l'ascolto, vero e profondo ... non distratto, non interessato e conveniente.
- il dimorare - "... se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo." -; alle pecore, non ai pecoroni, a coloro che ascoltano la sua voce, Gesù offre una dimora dove fare esperienza della vita eterna, se stesso. Dimorare in Cristo, è una esperienza esistenziale. A quel "Signore dove dimori", Gesù sempre risponde "vinte e vedete"; quando il nostro desiderio del Signore si esplicita come conseguenza dell'ascolto cioè dell'amore di Lui, Gesù ci introduce nel dimorare in lui, entrare in Lui, pascolare di lui.

domenica 12 maggio 2019

Atti 13,14.43-52 / Salmo 99 / Apocalisse 7,9.14-17 / Giovanni 10,27-30
Chi sono le pecore di Gesù?

Oggi è vla 54^ giornata mondiale di preghiera per le vocazioni: pecore o pecoroni!
Nel vangelo di Marco è Gesù stesso che nel provare compassione per la folla, che lo seguiva, dice che erano come pecore senza pastore; in Luca e Matteo la pecora che ci collega immediatamente a Gesù è quella smarrita; in Giovanni tutto il capitolo decimo è riferimento al pastore e alle pecore. Ma questi pochi versetti, quasi come una meteora che intercetta l'orbita umana e con un lampo di luce si dissolve illuminando la notte, ci svelano l'immagine della pecora quale relazione intima tra Dio e l'uomo.
Già nei profeti Geremia ed Ezechiele, il popolo di Israele ripensava e rielaborava la propria dimensione di popolo come gregge; e di Dio (Yhwh) come Pastore. Gesù non è certo digiuno da queste immagini e dai loro contenuti teologici.
Ecco che in Giovanni 10, sembra quasi che si voglia arrivare ad una sintesi, proprio al culmine di un duro confronto che si consuma tra Gesù e i capi dei sacerdoti, tanto è vero che il proseguo ci porta alla raccolta delle pietre, da parte dei giudei che volevano lapidarlo.
Di fronte alla durezza e alla contrapposizione al maestro, la risposta che la comunità dei discepoli elabora, è inevitabilmente il riconoscimento di una nuova appartenenza: l'identità del gregge che si propone come il nuovo gregge del Signore, nuovo popolo di Dio. Ma la novità in che cosa consiste? Questi versetti la raccontano come ascolto della voce del pastore (le mie parole sono spirito e vita), come riconoscimento (... disse Giovanni: è il Signore ... ) e come sequela (la vita del maestro è invito a imitarlo). 
Ma all'origine della relazione tra Gesù e le pecore non c'è il fascino carismatico di un pastore, o di una idea, c'è il dono della vita: a Giovanni interessa imprimere nell'immagine una dimensione esistenziale: "Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano"; ed ecco che quasi esonda come misericordia. La nostra identità è la nostra personale vocazione - che detta così resta una espressione nebulosa - cioè la vita di Gesù (il pane il vino che celebriamo sono la sua stessa novità); la vera gioia che è il Signore (una esistenza come Vangelo); l'unzione dello Spirito (la consacrazione che ci fa parte dell'amore di Dio). La vocazione di speciale consacrazione e sacerdotale è oggi al cuore della preghiera della Chiesa, quindi anche nostra particolare preghiera.

sabato 11 maggio 2019

Atti 9,31-42 e Giovanni 6,60-69
La durezza del cuore e la bontà del pane

Già a Natanaele - nel primo capitolo - Gesù aveva detto: "in verità in verità (amen, amen) vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell'uomo."
Colui che il Padre ha inviato, ha aperto i cieli, e dai cieli discende ... "Il pane della vita!"
La fede in Gesù - lo ridiciamo ancora - non è una espressione di affiliazione a una idea bellissima e convincente; la fede è partecipazione al mistero di comunione che si rivela nella realtà creata e mostra, anche nella vita dell'uomo, l'amore di Dio padre che è vita eterna, vita che viene dal cielo...
Già all'inizio, i discepoli non si limitarono a ripetere gesti e parole, ma a rendersi partecipi dei gesti e delle parole di Gesù. Solo in questa appartenenza poterono sperimentare che è lo "È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita". 
Ciò che scandalizzò molti discepoli non è il segno del pane come evocazione dell'ultima cena, ma il contenuto che quel segno rappresenta: il segno è infatti sacramento di Gesù,  efficacia della sua presenza. Presenza che non significa magia o amuleto, ma significa manifestazione nella fragilità del segno della presenza di Dio Padre che nel suo Figlio opera l'amore e la vita eterna per ogni uomo, e per chi crede questo è gioia piena.
Di fronte alla possibilità dello "scandalo", ringraziamo Dio che per mezzo dello Spirito continua a condurci nel suo cuore di Padre e ci mette sulle labbra quelle bellissime parole di Pietro, che sono testimonianza di amore e fedeltà: "Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio".

venerdì 10 maggio 2019

Atti 9,1-20 è Giovanni 6,52-59
Chi mastica ... vivrà ...

Tutto questo lungo discorso si conclude con questa annotazione che vuole fare autenticità e autorevolezza: "Gesù disse queste cose, insegnando nella sinagoga a Cafàrnao". Ma per essere sicuri di cosa disse, l'evangelista ricorre alla formulazione autoritativa fondamentale, all'"Amen amen dico a voi" (in verità in verità vi dico); il contenuto  della frase è estremamente figurativo: "se non masticate ...""se non bevete ...", il corpo e il sangue "non avete vita in voi stessi"; ... e la vita è quella del Figlio dell'uomo ...
Masticare, bere, sono due azioni distruttive/trasformative che coinvolgono il mio agire ma non è possibile che tutta la relazione esistenziale tra noi e Gesù (Figlio dell'uomo) si esaurisca nella ripetizione di un gesto di assimilazione di un cibo simbolico.
Ecco allora che, forse iniziò a comprendere che la relazione con quel "pane del cielo" inizia nell'ascolto della parola del Signore. È La parola del figlio dell'uomo che dà forma al corpo e al sangue come sua vita stessa, suo esistere, nel pane e nel vino. Il pane e il vino non sono dei semplici strumenti, o simboli, essi sono la parola del Signore che dice il comunicarsi di tutta la vita del Figlio di Dio; ecco come intuire nella fede l'espressione "chi non mastica, ... la vita non ha in se stesso". "Senza la parola che mi mostra il figlio, io non assimilo il figlio" (Silvano Fausti); ascoltando quelle parole che sono del Figlio, la mia intelligenza si assimila alla sua e ottiene dal figlio, la stessa "mentalità" del figlio: penso come Lui, amo come Lui. Quindi non solo con l'intelletto, ma anche con il cuore, ovvero con la sua vita, che ora è anche insieme la mia. Questo nostro atto di fede è ciò che permette l'essere del Figlio in noi, così come il Padre è nel Figlio. In questo masticare, come azione, quasi si percepisce, l'azione dello Spirito, che realizza la "comunione" nel gesto di mangiare il pane e bere il vino, ciò che si distrugge nel segno, si rigenerare nuovo nello Spirito datore di vita.

giovedì 9 maggio 2019

Atti 8,26-40 e Giovanni 6,44-51
Gesù è ... da presso Dio ... (Oggi, forse è complicato ...)

Come può Dio avere ed essere in un "Figlio"? "Ecco la bestemmia, l'abbiamo appena ascoltata!" Ecco la blasfemia che ci provoca umanamente nello scandalo rispetto a ciò che è per noi il sacro, l'intoccabile, l'inaccessibile.
Ma il Figlio non è un idolo di Yhwwh, non è un simulacro della divinità come fu il vitello che Israele adorò nel deserto. Il Figlio - essere il Figlio - rappresenta il vero "mistero della fede". Il Vangelo di Giovanni non parla di figliolanza in relazione alla paternità e maternità  del Signore, ma in relazione al suo essere "... da presso il Dio, questi ha visto il padre!"
La vita di Gesù, il suo esistere diviene così rivelazione dell'essere da Dio di tutto ciò che esiste. Questo essere da Dio non è solo una provenienza di luogo (sarebbe veramente sciocco e semplicistico concepirla in tal senso) ma dobbiamo proprio sforzarci di comprenderla nel senso profondo dell'esistenza, del senso della vita stessa ... La vita di Dio, la vita di tutto ciò chi esiste e la vita stessa del figlio è la medesima esistenza eterna, è un'unica esperienza di eternità. Ed ecco che il Figlio, allora,  può essere anche quell'Io-sono che diventa segno nel pane della vita. Un pane che dialoga col mio esistere chiedendomi di conformarmi all'essere eucaristia, cioè essere dono, ringraziamento e amore.
Ecco perché la vita di un credente non può essere una vita sterile, fredda, dura, priva di tenerezza e compassione, incapace di amare. Chi conosce il Padre e ha imparato da Lui e viene di per sé condotto al Figlio attraverso l'esperienza e la conseguenza del cibarsi del pane della vita: tutto diviene umana eucaristia.

mercoledì 8 maggio 2019

Atti 8,1-8 e Giovanni 6,35-40
Io sono ...

Gesù, quasi in una litania, lo riferisce e dice di se stesso:
"Se infatti non crederete che Io sono, morirete nei vostri peccati ..." (Gv 8,24)
"Quando avrete innalzato il figlio dell'uomo, saprete che Io sono ..." (Gv 8,28)
"Prima che Abramo fosse, Io sono ..." (Gv 8,58)
"... Perché quando sarà avvenuto, crediate che Io sono ..." (Gv 13,19)
"Chi cercate ... Voi ho detto che Io sono ..." (Gv 18,5) 
"Io sono il pane della vita ...";
"Io sono la vite vera ...";
"Io sono la porta delle pecore ...";
"Io sono la luce del mondo ..."
"Io sono il pastore bello ...";
"Io sono la risurrezione e la vita ...";
"Io sono la via, la verità è la vita ...";
Un po' tutto il Vangelo, e in modo fortissimo, in questo capitolo sesto, emerge la consapevolezza di Gesù circa la sua relazione con il Padre, quel Io sono di Yhwh risuona in modo ridondante per tutto il Vangelo. Ma non si tratta di ripetizioni redazionali, ma siamo di fronte a vere e proprie rivelazioni, epifanie. Gesù parla di sé stesso, e attraverso la realtà e la vita, si consegna a noi in modo concreto, in modo che i discepoli ne facciano una esperienza così avvincente che anche la loro vita divenga risonanza del Io sono del Signore. Infatti la conseguenza del Io sono non è forse: "... io sono nel padre mio e voi in me e io in voi". Di fronte al "Io sono" di Gesù, di fronte al Io sono il pane della vita che cosa possiamo fare? Credo semplicemente stare nell'atteggiamento di colui che per primo ha ascoltato l'Io sono di Dio, Mosè, egli si velo il viso ... Per noi significa accettare e accogliere il mistero del Figlio di Dio che ci si offre, in una vita nuova che ha in lui ogni appartenenza.

martedì 7 maggio 2019

Atti 7,51-8,1 e Giovanni 6,30-35
Signore, dacci sempre questo pane!

Il venerdì prima della Pasqua, rappresenta l'apice della crisi rispetto alla vita di Gesù e all'esperienza dei discepoli: la sua morte cruenta e le sue sofferenze sulla croce sono un limite difficilmente superabile, forse paragonabile al vedersi morire fra le braccia una persona che amiamo. Questa esperienza ci segna profondamente e resta come dramma esistenziale, come paura della morte rispetto alla fragilità della vita percepita spesso come assoluto. Il racconto di Atti, circa il diacono Stefano, ci conferma che all'esperienza del venerdì, si è realmente affiancata, da subito, un'altra esperienza che è stata capace di ribaltare completamente la "crisi" in atto: "vedere e toccare il risorto", lo stare con Gesù vivo. Tutta la vita della prima comunità di discepoli è drasticamente segnata da questa realtà: il Signore è risorto - "Ecco, contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio" -. È Gesù vivo il "volano" che riattiva la ricomprensione della storia passata, degli eventi presenti e in prospettiva la realtà che deve accadere in futuro.
Anche il discorso sul pane della vita muove dalla presenza del risorto nella vita reale dei primi discepoli. Il risorto rivela se stesso accompagnandosi con il segno della frazione del pane; con il dare il pane come segno di comunione con loro; rievocando sempre quella cena che anticipa il mistero della sua morte. Ecco allora il pane spezzato assume la forza del segno efficace! I giudei (tutti noi) chiedono un segno ... chiedono un segno fuori dalla "natura delle cose", Gesù ripropone un segno nella sua trasversalità ... È il segno della vicinanza di Yhwh, il segno di Dio Padre che si prende cura della vita del suo popolo, è il segno che porta alla nostra vita la qualità divina dell'eternità; aggiunge la vita del figlio: "Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!" È la continuità di questo segno, il procedere dal segno di Gesù, che plasma da sempre la vita dei discepoli: "Signore, dacci sempre questo pane".

lunedì 6 maggio 2019

Atti 6,8-15 e Giovanni 6,22-29
Diamoci da fare ... per la vita eterna!

Dopo la moltiplicazione del pane, e il cammino sulle acque, il capitolo sesto di Giovanni, a partire dalla localizzazione geografica, coerente con il tempo di Gesù, da inizio al lungo discorso sul "pane della vita". Dall'anno 20 dC, quando viene fondata dai romani la città di Tiberiade, il lago assume questo nuovo toponimo, ma questo ci permette anche di individuare il luogo della moltiplicazione del pane e del cammino sulle acque, che la tradizione tramanda, nello spazio compreso tra Tiberiade e Cafarnao. Ciò che Gesù ha compiuto appartiene alla vita reale della gente che abita la riva occidentale del lago. È infatti questa la terra segnata da gran parte della predicazione in Galilea, da gran parte delle narrazioni dei vangeli. Anche il discorso a Cafarnao non sfugge alla logica del vissuto di Gesù. Il Signore parla del segno del pane, a delle persone che il pane lo hanno mangiato ("... voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati")È proprio perché lo hanno mangiato possono cercare di comprendere lo straordinario di cui sono resi partecipi. Ecco allora, che il lungo discorso sul "pane della vita" non possiamo semplicemente licenziarlo come una omelia o riflessione post pasquale, alternativa  all'ultima cena (narrazione assente in Giovanni). Un contenuto esplicito delle parole di Gesù, credo debba essere ritenuto la relazione tra il pane e la vita. Tra il mangiare quel pane che lui ha dato e la vita come dono del Padre: "... il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà".
Giovanni mette in relazione il cercare Gesù da parte della gente, "voi mi cercate", con il "darsi da fare ... per compiere le opere di Dio". L'opera di Dio è l'agire del Figlio, il suo dare la vita attraverso la sua stessa vita. Gesù è stato mandato dal Padre proprio per questo, per mettere la sua vita nella nostra vita.

domenica 5 maggio 2019

Atti 5,27-41 / Salmo 29 / Apocalisse 5,11-14 / Giovanni 21,1-19
Signore, tu sai che ti voglio bene!

La pagina del Vangelo di questa domenica (Gv 21) è la più bella di tutto il nuovo testamento! In realtà ci dà testimonianza diretta dell'unico fatto indispensabile per la nostra fede: Gesù è risorto, è vivo, e non è poi così lontano da noi.
Gesù stesso riannoda le vicende passate, e sulla spiaggia del lago di Tiberiade, riparte dai segni della sua vita con i discepoli, quei segni che testimoniano la sua storicità: la pesca abbondantissima come in quei primi giorni a Cafarnao, quando non conoscendo nessuno si mise a parlare con Simone, Andrea, E i figli di Zebedeo; ripropone la sua presenza che dava entusiasmo e sicurezza - tutti ti cercano -; riparte dal pane, dal pesce arrostito, cibi tante volte condivisi e segno di quel donarsi - si avvicinò e li diverse a loro - e della sua presenza nella cena precedente la passione. L'apparizione sul lago non è quella di un fantasma che ci viene incontro, ma è proprio Lui, a dirci come la risurrezione è parte della realtà e non dei sogni. Non è neppure una realtà virtuale creata attraverso chissà quali applicazioni ... La terza volta che Gesù appare è per dirci come fare esperienza della risurrezione!
Ecco che se ci metteremo a cercare le tracce del risorto, indagando a fondo nel sepolcro, scannerizzando la sindone, analizzando grumi di sangue e reperti vari ... Cosa arriveremo a trovare? Dati solo dati ma non certezze definitive, assolute ...
Ma il risorto per dare sé stesso per condividere la di Lui esistenza ci ha lasciato un altro modo, altri indizio, una strada umanamente vincente ...
È il modo e la strada che Gesù ha sperimento con Pietro ... È la strada dell'esperienza dell'amore. La Risurrezione si rende evidente e concreta nell'amore.
Gesù chiede a Pietro una prima volta: "mi ami", usando un verbo che significa amore pieno totale  ... Pietro con timidezza risponde signore "ti voglio bene ..."
Gesù chiede per la seconda volta: "mi ami"; ora Pietro è quasi disturbato, e anche un po' vergognoso per cui risponde: "si, ti voglio bene ..."
Alla terza vota, proprio perché Gesù ama Pietro con un amore vero, quello che è solo di Dio, chiede a Pietro: "mi vuoi bene ..."; perché l'amore vero si abbassa a comprendere l'amore dell'amato, e Pietro si butta, si lancia in questa possibilità di amare Gesù.
Per fare esperienza della Risurrezione, per credere in Gesù bisogna almeno volergli bene. Se gli voglio bene, arriverò anche ad amarlo ... Ma questo cammino è la vita cristiana, la vita da discepolo ... La vita da testimone ...

sabato 4 maggio 2019

Atti 6,1-7 e Giovanni 6,16-21
Sono io, non abbiate paura!

Il capitolo sesto di Giovanni, dopo il segno della moltiplicazione dei pani e dei pesci, e prima del lungo discorso sul pane della vita, colloca il racconto - tradizione comune a tutti i sinottici - di Gesù che cammina sul lago. Il capitolo sesto di Giovanni è ritenuto, unanimemente, una aggiunta redazionale, e quindi rappresenta la sintesi di fatti originari, parole del Signore e riflessioni comunitarie successive, quelle che chiamiamo post-pasquali. Questo per farci cogliere il Vangelo di oggi, non come qualcosa di strano, ma come il modo di percepire attraverso la fede la presenza del risorto. "Sono io, non abbiate paura!" Possono infatti adattassi anche alla manifestazione del risorto agli apostoli dopo la passione e morte. Ecco perché dico che questo brano è stato riletto in chiave pasquale, quasi ad anticipare il segno della risurrezione, presenza reale come il segno stesso del pane. Il risorto non è un fantasma di cui avere paura, non è un morto che cammina, ma è il vivente, è colui che vi accompagna nell'attraversare con fatica la realtà quotidiana. Ma è proprio con Gesù che raggiungiamo la destinazione a cui siamo diretti. Gesù risorto ci conduce alla meta.
Questo racconto, non è quindi solo il segno della potenza sovrannaturale del Signore; ovvero un miracolo ... La comunità di Giovanni percepisce Gesù come il Signore che non cessa di accompagnare e condurre chi crede in lui. È questa infatti la condizione originaria della comunità dei discepoli, un insieme di persone con origine e tradizioni religiose diverse (ebrei, greci, ecc...) che credono in Gesù come il risorto, come colui la cui vita nuova propone una meta nuova al destino umano: la risurrezione ci conduce al Padre. Ecco la sana nostalgia dell'eternità che custodiamo in noi.

venerdì 3 maggio 2019

1 Corinzi 15,1-8 e Giovanni 14,6-14
Festa dei Santi Apostoli Filippo e Giacomo
Chiedete nel mio nome ...

Mai nei vangeli, Gesù si è espresso così esplicitamente, circa il riferimento a lui per "chiedere" ... Nella nostra mentalità la richiesta supplisce a una sorta di insufficienza rispetto alla quale si ricerca chi è nella condizione di poterla supportare; chi può determinare le condizioni della sua soddisfazione. Si chiede per ottenere ...
Ma il "chiedete nel mio nome", da parte di Gesù, apre a considerazioni ben diverse dalle nostre spicciole richieste spesso legate alle fatiche della vita. Per capire questo chiedere, occorre fissare che cosa è stato chiesto a Gesù. Una prima richiesta è di Tommaso: "Signore non sappiamo dove te ne vai, come possiamo conoscere la via?"; e la seconda richiesta è di Filippo: "Signore, mostraci il Padre e ci basta".
Cosa esprime questo "chiedere"? A mio avviso tradiscono il senso profondo delle nostre domande di senso: Chi siamo? Perché esistiamo? Dove andiamo?
Chiedere nel suo nome, è chiedere prima di tutto a Lui, porsi in una relazione esclusiva con il maestro, con Gesù. Perché solo lui, è la risposta alla domanda di senso che noi stessi siamo e manifestiamo. La risposta alla domanda di senso è "Filippo, chi ha visto me, ha visto il Padre". Ecco che il cammino della vita del discepolo, rappresenta lo spazio di senso in cui l'opera (agire/volontà) del Padre, ci conduce passo dopo passo alla casa del Padre. Questo non è un senso funebre dell'esistenza, ma la rivelazione del destino di eternità, e del collocare la nostra stessa vita in Cristo in quella relazione figliale che il maestro ha con il Padre. Per Gesù tutto è "vado al Padre", anche per noi tutto deve diventare "andiamo al Padre". Se non fossimo così intrisi di secolarismo, non avremo alcun timore!