martedì 30 novembre 2021

La nostra vocazione è dentro quella di Simone e Andrea

Romani 10,9-18 e Matteo 4,18-22


La Parola oggi ci provoca e coinvolge, ci immerge in una particolare attenzione al senso profondo della “chiamata”, e alla sua dimensione relazionale. Siamo tutti persone chiamate ... Chiamate con tutto ciò che è la nostra vita.

A partire da questi fatti di Galilea,  tutto il vangelo tesse come un ordito il cammino di Gesù, sul quale si inserisce il nostro camminare oggi nella storia.

È importante allora che oggi anche noi ci sentiamo coinvolti da quella stessa amicizia che inizia sul lago, e che non ci scandalizziamo se a volte sbagliamo molto e altre tutto ... e, come i discepoli che non capiscono, ugualmente fanno posto a Gesù nella loro casa e a seguire, nella loro vita.
Ecco che il cuore del brano è molto chiaro: è seguire Gesù.
E seguire Gesù oggi, è il centro della fede cristiana. Il cristianesimo si può ridurre in 
un termine solo, per quel che riguarda il suo oggetto: Gesù. E una parola sola per quanto riguarda il nostro rapporto con lui: seguire.
È seguendo lui che la fede diventa realtà, diventa rapporto personale con lui: una amicizia affascinante che diventa fede concreta, perché capisci e comprendi che è proprio nel seguire Gesù che si realizza tutto.

lunedì 29 novembre 2021

Verranno da oriente e da occidente

Isaia 4,2-6 e Matteo 8,5-11


Nel Vangelo che abbiamo appena letto risuona di una bellissima espressione: "Da oriente e da occidente."
Dice Gesù che molti verranno dall'Oriente al l'occidente e sederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli.
È con questo sguardo che oggi possiamo guardare all'orizzonte e all'inizio di questo giorno chiederci chi verrà a sedere alla mensa del Regno? Chi si muoverà da oriente a occidente?
Da dove ci aspettiamo arriveranno coloro che credono.
Fuori dai soliti circuiti di gruppi e associazioni, fuori dal mondo benpensante e convenzionale ...
L'avvento ci prepara ancora una volta allo stupore di un Dio che si rende accessibile, che viene per farsi incontrare.
Un Dio che è riconosciuto proprio da coloro che tutti pensavano essere lontani e senza fede.
Un Dio incontrabile da chi - come il Centurione - ha a cuore un suo servo, lo tratta come se fosse un figlio, un amico carissimo.
Rompe gli stereotipi, allarga gli orizzonti, ci obbliga a ridefinire il concetto stesso di appartenenza. Cosa significa essere cristiani, appartenere alla Chiesa cattolica.
In questo tempo nuovo per la Chiesa, tempo in cui dobbiamo uscire dal pantano dell'abitudine e della troppe cose date per scontate stiamo attenti a non sentirci a posto, cattolici di lungo corso, credenti per tradizione e abitudine.
I tempi nuovi che stiamo vivendo ci obbligano a stare all'erta, a riscoprire seriamente la nostra fede. Prendendo a modello proprio il centurione pagano.

domenica 28 novembre 2021

Svegliati, alzati!

Ger 33,14-16; Sal 24; 1 Ts 3,12-4,2; Lc 21,25-28.34-36


Con questa domenica inizia il tempo liturgico dell'Avvento. A volte si ha l'impressione che il tempo liturgico sia una fetta di calendario, da colorare, in questo caso di Viola, ma in realtà è l'occasione per tutti i discepoli di Gesù di colorare di Viola la vita, cioè di attesa, di cammino, di prospettiva, di scoperta, di desiderio e di luce, quella vera che è Cristo Signore. Per cui il tempo di Avvento inizia con una domanda specifica: "svegliati, è tempo di alzarti e agire! Prendi in mano la vita cammina nel cambiamento, nella conversione!" Ecco allora che l'Avvento è il tempo in cui riscoprire l'essenziale della vita, cioè incontrare Cristo nei fratelli. Non è questo che Paolo ha chiesto ai credenti delle sue comunità e per tutti: "Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore fra voi e verso tutti,".
L’Avvento è quindi più di una liturgia ma è il tempo in cui accogliere il Signore che fa di tutto per esserci vicino nelle esperienze dell'amore fraterno.
Ecco allora che il discepolo di Gesù fa del tempo quotidiano il suo tempo di Avvento!
Ed è in questo quotidiano, spesso denso di nebbia fitta e dove il buio ci limita nel nostro agire, abbiamo assoluto bisogno di ritrovare quella luce che illumina la vita.
C'è troppa tenebra in giro; troppa sofferenza; troppa indifferenza; troppo egoismo; troppa fame di amore ... Non è bene se ci stiamo abituando a tutto questo grigiore con quella rilassatezza che spegne la speranza, il coraggio e l'azione.
Non fermiamoci a chiedere: "Signore, dove è la promessa di bene che hai fatto alla casa di Israele e alla casa di Giuda?"
"Signore, dove fiorisce il germoglio, il virgulto di Davide perché non sia solo una memoria di un tempo passato?"
Il papa ai giovani nella lettera di domenica scorsa, chiede di alzarsi e di non restare nella noia e nella pigrizia. Ma non è la stessa cosa che il Vangelo ci chiede oggi quando Gesù ci dice: "State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso".
Il nostro risveglio cristiano è frutto e conseguenza di un alzarsi dalla prostrazione per testimoniare ancora il nostro incontro personale con il Signore. Allora...
Alzati! Non puoi rimanere a terra a “piangerti addosso”, c’è una missione che ti attende!
Il nostro avvento sia un alzarsi, un vegliare per andare incontro al Signore, la vera nostra luce, la luce del mondo!
Questa nostra tensione, e speranza è vera anche dentro la drammaticità degli eventi. Cosi come il Vangelo mette in relazione la venuta del "Figlio dell'uomo" allo sconvolgimento del cosmo e alla drammaticità degli eventi sulla terra, nello stesso modo dobbiamo reagire alla fatica del momento presente con la fede di chi sa bene che Gesù è venuto, viene e verrà, e che tutto gli appartiene: passato, presente e futuro. Il Signore abita e solca le nubi del cielo di questa nostra storia attuale con la potenza del suo amore che converte e che ispira quel cambiamento che solo redime la nostra vita. L'amore del fratello converte le relazioni e le rende umane; l'amore al creato rinnova la nostra responsabilità di custodi e non di predatori dell'opera di Dio; l'amore di Dio ci riconcilia con noi stessi e vi converte al gusto delle realtà eterne, che sono per sempre. Ecco che in questo nostro cambiare vediamo  il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria; ecco allora ... risolleviamoci e alziamo il capo perché la liberazione - cioè la nostra gioia e pienezza di eternità - è vicina.

sabato 27 novembre 2021

Si terrà poi il giudizio ...

Daniele 7,15-27 e Luca 21,34-36


Dopo la visione delle bestie, il libro di Daniele ci racconta che furono collocati dei troni dai quali i vegliardi giudicheranno la storia umana. Su uno di quei troni, siede il Giudice Supremo, chiamato Anziano di Giorni, nome che significa colui che rimane per sempre, l’eterno, chi esisteva prima e esisterà dopo che tutti i regni mondani saranno passati. È lui il Lui il giudice definitivo delle nazioni. Gli altri troni si capisce che saranno i santi a occuparli per giudicare con Dio la storia, perché erano rimasti fedeli fino al martirio mentre le quattro bestie, i regni mondani hanno sfidato l’autorità divina. Dio giudica la terra, si aprono i libri e si toglie ai regni precedenti ogni autorità, poi ordina e istaura un quinto regno per i santi. È di fronte a queste visioni che Daniele si interroga sul significato, la verità di quelle visioni. Il desiderio di sapere, di comprendere e di prevenire, accompagna costantemente il cuore umano, attraversato da incertezza fragilità e limite. Nel continuo del racconto si colloca allora la spiegazione delle visioni, ma lo sguardo che si genera supera la puntualità dell'immagine. L’immagine dominante è quella del giudizio e del giudice, come compimento di tutto ciò che accade, il giudice garantisce la giustizia sulla terra, questo serve a dare fiducia e speranza ai santi in mezzo alle difficoltà e angosce dei tempi di persecuzione e afflizione.


venerdì 26 novembre 2021

La bestia ... Come la pandemia

Daniele 7,2-14 e Luca 21,29-33


Continuando la lettura di Daniele, la visione delle quattro bestie, cresce l'immaginario e anche l'identificazione che certamente lungo i secoli è stata attribuita. Le bestie rappresentano il dominio e il potere di quattro regni che si sono succeduti nel Medio Oriente e di cui è stato testimone il popolo d'Israele nel suo cammino faticoso: il leone che rappresenta Babilonia, l'orso che rappresenta il popolo della Media, il leopardo con quattro teste che è simbolo dei Persiani che scrutano in ogni direzione in cerca della preda, la quarta bestia, un mostro terribile, che richiama il regno di Alessandro Magno e dei suoi successori. Ma oltre a questa attribuzione la bestia riassume e rappresenta la nostra impotenza, fragilità e limite: la stessa pandemia che oggi viviamo,da molti è stata definita "la bestia". Credo che l'immagine non sia solo una visione apocalittica, con un retroterra legato agli avvenimenti della successione della storia, ma apra alla comprensione del tempo come luogo dell'operosità dell'uomo e della giustizia di Dio.
Poi, all'orizzonte, non dimentichiamocene, appare uno, simile a un "figlio d'uomo" che scende dalle nubi, perciò non viene dal caos, dall'abisso ma dal cielo, ed è portatore di speranza e di accoglienza: egli porterà finalmente la pace ed il benessere. Il tempo della bestia non è per sempre.

giovedì 25 novembre 2021

Egli salva e libera ...

Daniele 6,12-28 e Luca 21,20-28


La lettura di Daniele, pur se molto lunga resta un capolavoro di narrazione, dove gli eventi, le vicende personali e la fede si intrecciano; i dialoghi non sono semplicemente logici, ma vogliono affermare che il Dio di Israele - che non ha abbandonato il suo popolo nell'esilio babilonese - si rende pienamente manifesto attraverso la fedeltà di Daniele definito dal re: "servo del Dio vivente". Vivere nella fedeltà del servizio a Dio significa avere quella perseveranza che è propria di chi vive il presente, con tutta la sua "gravità" di buono e di prove, ma ugualmente ci si prepara alla "liberazione che è vicina".

Daniele diviene per tutti un esempio di coraggio e di coerenza. Ancora una volta la sua fede viene messa a dura prova, ma lui appare imperturbabile, perseverante.

Quali sono le caratteristiche di un credente che serve Dio con perseveranza?

Certamente la testimonianza che non nasconde la fede... Quanti di noi avrebbero pregato lo stesso? Quanti avrebbero trovato delle buone ragioni per non farlo?

La serenità come conseguenza della fede, essi sono come il monte Sion è stabile per sempre.

La “prova” non coglie Daniele impreparato, che è il maggior pericolo di essere travolti dalle circostanze.

La perseveranza porta già in sé la certezza che il nostro Dio è il Dio vivente,

che rimane in eterno; il suo regno non sarà mai distrutto e il suo potere non avrà mai fine.

Egli salva e libera ...

mercoledì 24 novembre 2021

Contato, pesato, diviso

Daniele 5,1-6.13-14.16-17.23-28 e Luca 21,12-19


Il quinto capitolo di Daniele - attraverso il sogno e la sua interpretazione - descrive la fine di un impero. Il primo dei quattro regni del sogno di Nabucodonosor finisce in una notte, mentre si consuma un banchetto dissacratore, di ciò che rappresentava la presenza di Dio nella fede di un popolo: "Furono quindi portati i vasi d’oro, che erano stati asportati dal tempio di Dio a Gerusalemme, e il re, i suoi dignitari, le sue mogli e le sue concubine li usarono per bere".
Dio è oltraggiato è offeso in quel banchetto sacrilego, ma ugualmente interviene nel segno della mano che scrive sul muro per ridurre l'orgoglio e l'ambizione del re di Babilonia. Daniele viene interpellato per interpretare il significato delle tre parole; rifiuta ogni compenso promesso, e con risolutezza ne svela il senso: "contato, pesato, diviso".
Tutti cerchiamo di sottrarci alla valutazione di quel che siamo e facciamo, ma prima o poi arriva il momento in cui si fanno i conti. Non è necessario credere in un Dio giudice per capire l'importanza del render conto.
Signore, aiutaci a capire cosa dà spessore alla nostra vita. Aiutaci a combattere la superficialità, la presunzione, il narcisismo e tutto quello che non ci permette di fare verità con noi stessi, che non ci permette di vivere il dono che siamo e abbiamo come sollecitazione alla condivisione e alla responsabilità.

martedì 23 novembre 2021

Dentro la storia e attraverso la storia

Daniele 2,31-45 e Luca 21,5-11


Il brano di Daniele - di oggi - prosegue in una bella narrativa apocalittica, con immagini e interpretazioni che vogliono ripercuotersi sulla realtà.
Nello stesso modo in cui il sogno descrive il fluire senza soluzione di continuità da un regno all’altro, con la prevaricazione di un popolo sull’altro, con guerre che si succedono in continuazione, allo stesso modo anche la nostra realtà la possiamo rileggere nella stessa immagine. Negli ultimi 20 anni quali cambiamenti geopolitici sono accaduti, anche vicino a noi? Quante guerre; quante capitolazioni di re, governanti e dittatori? Quanti attentati hanno sconvolto il nostro mondo? Quanti sconvolgimenti ambientali ci hanno travolto?
È affascinante pensare come Dio negli avvenimenti li trascende, continuando a rivelare nella storia il suo desiderio di salvezza. È questo che noi non vediamo nella successione degli avvenimenti: questo progetto di salvezza che non viene meno.
Allora come andrà a finire la storia del mondo?
Dio stesso farà sorgere un regno che non avrà mai fine. Qualunque cosa accada ancora nella storia dell’umanità, noi già conosciamo l’epilogo della storia.

lunedì 22 novembre 2021

Insieme a Daniele

Daniele 1,1-6.8-20 e Luca 21,1-4


Il personaggio principale del libro di Daniele è un giovane (Daniele) nato in Giuda e deportato in Babilonia nel terzo anno del re Ioiakim di Giuda. Scelto per un servizio nella corte del re di Babilonia come scriba, traduttore. Daniele con tre compagni chiede di non mangiare il cibo, per loro impuro dato ai giovani nel corso triennale di formazione ma di nutrirsi solo di legumi e acqua. Un gesto forte di fedeltà alla Legge e alle tradizioni religiose proprie, che viene premiato da Dio non solo con ottima salute corporale ma anche con il dono "... di conoscere e comprendere ogni scrittura e ogni sapienza", e Daniele in particolare viene reso "interprete di visioni e di sogni". Si capisce subito che il racconto vuole edificarci e incoraggiarci nella fedeltà alle Legge di Dio anche in mezzo alle situazioni difficili che si incontrano nella vita; tale fedeltà verrà ricompensata generosamente da Dio. La ricompensa divina per la fedeltà si concretizza nel dono della saggezza e della sapienza che Daniele e i suoi compagni manifestano pienamente. Lo scopo di questi racconti di visioni non è solo di esortare alla fedeltà, ma anche di dare ai credenti la certezza circa la presenza di un disegno di Dio nella storia umana. 

domenica 21 novembre 2021

Il re degli "influencer" ...

Dn 7,13-14; Sal 92; Ap 1,5-8; Gv 18,33-37

Solennità di Cristo Re


Il re, quale anacronismo per noi che viviamo il tempo della post-democrazia, del governo attraverso il consenso demoscopico dei sondaggi; neppure possiamo dire presidente della repubblica ... Oggi meglio sarebbe dire è il tempo del potere degli "influencer" ...
Colui che era il re al tempo di Gesù oggi è colui che attraverso la rete globale ha la capacità di influenzare i comportamenti e le scelte delle persone a fronte della sua popolarità, fascino e capacità comunicativa. Esercita in questo modo un vero potere e un influsso sulla libertà dei singoli, come anche sui messaggi del pensiero, sui contenuti culturali e sull'orientamento delle decisioni.
Oggi questi re sono in grado di gestire le trentacinque guerre in corso; non si danno troppi pensieri se la terra si spegne avvelenata; manovrano con indifferenza le sterminate carovane umane che migrano attraverso mari e deserti ... Usano delle leggi e delle istituzioni per garantire la propria auto-conservazione, il proprio potere. È questo un mondo che inesorabilmente affonda, che va alla deriva, i cui re, non sono preoccupati della verità, ma della economia globale e del profitto!
C'è stato un tempo in cui cantavamo "Cristus vincit, Cristus regnat, Cristus impera!"
La percezione superficiale dava forza all'idea di un Gesù veramente Re di una Chiesa veramente solenne e potente, per dignità e idealità: una regalità che nell'esperienza della Chiesa di quel tempo si estendeva al mondo intero ...
Oggi quella stessa immagine un poco aristocratica non c'è più ... Fortunatamente!
Oggi come dire la regalità di Gesù passa attraverso una Chiesa ferita e umiliata dagli scandali economici, dalle violenze sui fragili e sui minori. Passa attraverso l'esigenza di una purificazione che rigeneri la verità di cui siamo, nonostante tutto, custodì e annunciatori.
Oggi Gesù si presenta come re con la corona fra le mani, una corona che Gesù porge, per fare di noi dei re con lui. Un re che va cercato scavando nell'umanità di Gesù e scoprendola come tesoro nella vita dei fratelli, quindi un re umile e piccolo, un re già sconfitto in partenza; il re degli sconfitti ...
Di fronte a questo re, la Chiesa non può che ritornare a quella condizione originaria nella quale Gesù ha indicato il senso e il contenuto della sua regalità.
Oggi torniamo con l'evangelista Giovanni all'immagine del suo re. Credo che in questa pagina Giovanni abbia voluto raccontarci chi è il suo re, e come e perché lo è Gesù.
Anche Gesù era in un certo senso un "influencer" del suo tempo, e proprio per questo è stato invidiato è accusato come un re .. Visto il titolo della condanna a morte che deve subire.
Gesù è un re umano sconfitto in partenza ... Un re di un regno che non è di questo mondo, quindi non ha potere e non ha forza ... Un " influencer" che dice parole che alla fine gli si rivolgono contro ... Non dimentichiamo come a Cafarnao, Gesù chiede ai suoi discepoli se vogliono andarsene anche loro!
Oggi dire Gesù re dell'universo significa riconoscere che per noi Gesù non è semplicemente un "influencer", anche se fosse il migliore di questo mondo, ma significa riconoscere in lui ciò che questo mondo non ci può dare: la verità è il senso della vita.
Per quella verità ci è chiesto di seguirlo. L'evangelista Giovanni ci dice come nel l'amicizia con Gesù, come nell'imparare ad amarlo e come nell'amore che Gesù aveva per lui,  lì ha riconosciuto la verità di tutte le sue parole, la verità della sua vita, del suo servire, fino anche del suo morire, lì ha visto il vero re dei mondi.
Oggi possiamo dire ancora: io scelgo lui, ancora lui, il nazareno, con la certezza che il nostro re è quello deriso da tutti sulla croce, con le braccia aperte, che dona tutto di sé e non prende niente di nostro. Il vero potere che cambia il mondo, è la capacità di amare così, fino all’ultimo, fino all’estremo, fino alla fine.

sabato 20 novembre 2021

Il nostro essere Antioco IV

1 Maccabei 6,1-13 e Luca 20,27-40


La riflessione che il racconto di 1 Maccabei ci porta a fare, parte da una lettura degli avvenimenti, di come il nuovo re, Antioco IV, coltiva l'ambizione di costituire "un solo popolo"; ma il progetto politico diventa pericoloso quando impone l'abbandono delle tradizioni, soprattutto religiose. Viene così abbandonato il riposo del sabato, vengono accolti culti pagani (da non dimenticare che il tempio di Gerusalemme è stato completamente saccheggiato e, quindi trasformato nel tempio di Giove); sono proibiti e distrutti i libri sacri, pena la morte per chi li possiede; si incoraggiano matrimoni misti tra giudei e pagani. Ma tutto precipita negli avvenimenti della storia e nella vicenda personale: la noia del possedere, e quella particolare insoddisfazione rispetto a quanto già raggiunto; come anche le sconfitte militari, rappresentano la condizione del re Antioco, nel progressivo venir meno della gratificazione del suo regno e del suo ruolo. In questo stato di prostrazione lo assale anche il rimorso per ciò che ha imposto a Gerusalemme.
Su questo orizzonte di incompiutezza, siamo ora invitati a riflettere su noi stessi. La custodia, la cura e la crescita del nostro senso religioso, rispetto alle nostre ambizioni, progetti e attese. Quanto il sopravvento delle crisi, finanche della depressione, condizionano il tenore della nostra vita spirituale e di fede. Eppure la fede e la relazione con Dio dovrebbero collocarsi in ben altro orizzonte: il nostro quotidiano non può essere alla mercé esclusiva delle nostre ambizioni e progetti. Riservare uno spazio prioritario a Dio, corrisponde più ad una esigenza della fede, della vita o della nostra natura umana? Forse tutte e tre le cose insieme! 

venerdì 19 novembre 2021

Festa della dedicazione

1 Maccabei 4,36-37.52-59 e Luca 19,45-48


Cosa è rimasto in noi del legame con il Tempio? Al tempo dei Maccabei esso rappresentava ben di più di un semplice luogo di culto, era sintesi dell'unità e dell'identità di una nazione e insieme anche della relazione di amore e fedeltà tra Dio e il suo popolo. Ma oggi che cosa rappresenta il Tempio? Forse solo un impegnativo problema di manutenzione strutturale? Allora il Tempio rappresentava il segno di un cammino di  comunione d’amore tra il piccolo Popolo del Signore e Dio che lo salva e lo chiama a Sé! Tutto dunque tende e aspira a tale comunione d’amore! Ma sembra che questo intimo legame si alimenti grazie ai conflitti e alle distruzioni che il tempio subì nel corso dei secoli. Mi chiedo se sarebbe possibile alimentare la coscienza del Tempio esclusivamente all'interno di una esperienza di amore nella quale siamo chiamati a celebrare e a vivere la comunione con Lui e tra tutti noi!
"Né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete ... Dio è spirito, e quelli che lo adorarlo devono adorarlo in spirito e verità" (Gv 4).
Recuperiamo la presenza di Dio nella nostra quotidianità, nella preghiera personale, nella messa quotidiana, nel pensiero ricorrente a Dio che opera e agisce in ciò che io opero e agisco; a fronte di questo si recupererà anche la necessità umana di un tempio che rappresenti la nostra relazione di amore con Dio e tra di noi.

giovedì 18 novembre 2021

Il luogo della nostra fedeltà

1 Maccabei 2,15-29 e Luca 19,41-44


Leggendo il testo di Maccabei è normale chiedersi, quanto costa la fedeltà alle tradizioni religiose, al patto di alleanza con Yhwh? La vicenda narrata ci coinvolge con attenzione e commozione perché mette in luce la fedeltà rispetto al dono di fede ricevuto dal Signore! E quindi al significato profondo della fedeltà all’elezione divina, alla salvezza!

È evidente come la fede ebraica custodisce in ogni tempo la sua potenza e la sua profetica sfida! È la nostra fede, il nostro atto di fede? Certamente dalla lettura emerge immediato il parallelo con la fede cristiana con la radicalità della salvezza di cui è portatrice, quella radicalità che fa della morte l’ingresso nella Vita! Non è infatti una semplice obbedienza a dei precetti che può sostenerci nel perseverare nella fede, ma è proprio la radicalità del dono di fede, e la forza della risurrezione pasquale che accompagnano misteriosamente tutti gli eventi e i tempi della nostra umile esistenza; che non dimentichiamolo è luogo privilegiato del compimento di ogni promessa.

mercoledì 17 novembre 2021

Veramente ... Testimoni?

2 Maccabei 7,1.20-31 e Luca 19,11-28


Il martirio dei sette fratelli viene presentato come esemplare testimonianza che consente di essere fedeli a Dio, rifiutando le proposte del re che si dichiara disposto a dare i più grandi privilegi a chi accetta di rinnegare la sua fede anche solo mediante il semplice gesto di mangiare carne suina, proibita agli ebrei.
Quali proposte anche oggi ci sono fatte che ci allontanano dalle verità della nostra fede? Scegliere di scartare i fratelli, non è una proposta che si eleva a idolatria di noi stessi?
Il fatto che vi siano persone capaci di resistere fino in fondo alle richieste di abiurare la fede, è visto come l’unico mezzo per preservare il popolo dalla rovina. È precisamente nell’ambito della persecuzione che si comincia a pensare che i giusti, i quali hanno dato la vita per la loro fede, alla fine dei tempi, quando il popolo entrerà nella pienezza della comunione con Dio, usciranno dal regno dei morti e torneranno in vita per partecipare alla felicità dei loro fratelli. La prospettiva è tutta di fede, non si dà testimonianza per una rivincita nel presente ma tutto è orientato al compimento del giudizio finale, nel giorno della Misericordia, cioè dell'ingresso nel regno di Dio in vista del quale i martiri hanno saputo donare la propria vita. Il riavere le proprie membra, il respiro e la vita, è quindi un’espressione simbolica per indicare come la pienezza verso cui si è incamminati, comporta l’attuazione di quei valori e di quella speranza che i martiri hanno identificato nella fedeltà alle leggi del loro popolo. La testimonianza, il martirio assumono il tratto non solo eroico di una scelta di vita, ma divengono l'espressione più radicale della fede di ciascuno. 


martedì 16 novembre 2021

Persecuzione e annuncio

2 Maccabei 6,18-31 e Luca 19,1-10


Non sono più i tempi in cui l'adesione alla fede aveva anche una rilevanza sociale e pubblica. Oggi in occidente l'esperienza confessionale esula dalla partecipazione alla vita pubblica, sociale e politica. Non è la stessa cosa in altri paesi e aree geografiche dove l'intolleranza è ciò che emerge di fronte a un credo diverso da quello della maggioranza, dove la fede, il credere viene considerato dal lato della pericolosità.
Nella pagina di 2 Maccabei - la vicenda del vecchio Eleazaro - rappresenta la testimonianza di un uomo di fede che si contrappone come modello per tutto il suo popolo, ormai caduto bella convenienza della rinuncia alla fede dei padri.
Di fronte a tanti fatti narrati, l’autore si rivolge preoccupato ai lettori aiutandoli a interpretare la storia con gli occhi di Dio: Io prego coloro che avranno in mano questo libro di non turbarsi per queste disgrazie e considerare che i castighi non vengono per la distruzione ma per la correzione del nostro popolo”. Si tratta, secondo l’autore, di un quadro veramente fosco, ma rischiarato dalla fede e dal coraggio dei martiri. Come è il caso di Eleazaro che preferisce la morte invece di disobbedire al precetto del Signore che proibisce di mangiare la carne di maiale.
Anche se i tempi sono cambiati, e le vicende storiche pesano diversamente, anche nel contesto culturale, di fonte al mondo, i discepoli di Gesù sono chiamati a rendere la loro testimonianza. Papa Francesco ai giovani del mondo, chiede, di alzarsi e di non restare inermi e seduti:  "annunciate con gioia che Cristo vive! Diffondi il suo messaggio di amore e salvezza tra i tuoi coetanei, a scuola, all’università, nel lavoro, nel mondo digitale, ovunque." Questo a prescindere dalle eventuali persecuzioni.

lunedì 15 novembre 2021

La prima globalizzazione

1 Maccabei 1,10-(...)-64 e Luca  18,35-43


Il titolo del libro - Maccabei - deriva dal sopranome greco Makkabàios, dato a Giuda, il personaggio principale della narrazione. In aramaico significa «martello», maqqaba', per indicare la sua forza straordinaria, soprannome  che viene esteso ai suoi fratelli. I due libri raccontano la situazione della comunità ebraica nel sec. II aC. È un tempo di crisi di sopravvivenza; l'ebraismo rischia di scomparire dissolvendosi nel diffondersi della cultura greca che diventa progressivamente l'ideologia dominante. Dopo la conquista ad opera di Alessandro Magno, nasce un nuovo progetto politico, che non si riduce a una conquista militare e all'unificazione del mondo antico sotto un unico capo, ma comprende anche l'unificazione culturale di tutti i popoli conquistati. È il primo tentativo di generare un "mondo globale". È all'interno di questo cammino dalla storia che si colloca l'esperienza della fede del popolo di Israele; un'esperienza che non è solo sofferenza, come neppure solo resistenza di fronte alla tentativo di sradicare l'alleanza e il patto alla base della fede di "Israele". Ecco allora che"molti in Israele si fecero forza e animo a vicenda per non mangiare cibi immondi e preferirono morire pur di non contaminarsi con quei cibi e disonorare la santa alleanza". Una resistenza vera che non contrappone ad una ideologia, un'altra, ma che esprime la fedeltà alle promesse fatte ai padri. Certo che le conseguenza hanno tutti i segni di una vicenda storica che si esprime anche con una opposizione armata. Siamo di fronte al richiamo all’identità ebraica per non rischiare di scomparire. Una riflessione oggi insufficiente ma ugualmente interessante per leggere questo nostro tempo di crisi e/o transizione.

domenica 14 novembre 2021

Parole che non passano ...

Dn 12,1-3; Salmo 15; Eb 10,11-18; Mc 13,24-32


Che cosa è alla fine del mondo?
Sarebbe riduttivo per un credente pensarla solo come distruzione di tutto, l’annullamento dell’universo …
Per noi la fine è incontrare di nuovo il "Figlio dell’uomo".
Egli è il Signore che perdona, lo Sposo che ci ama, il Signore del sabato: è colui che si mette nelle nostre mani e tutto ci dona, fino a dare la vita per noi. Possiamo dire che la fine in realtà è un nuovo inizio. Che situazione strana: dalla fine tutto ha inizio.
Forse non è così semplice da capire, tanto è che lo stesso evangelista, Marco, riguardo a queste parole di Gesù, mette in guardia da facili intuizioni e invita a cercare di capire bene.
La fine, la fine di tutto, e la nostra fine, possiamo percepirle come un progredire, un camminare verso il compimento.
"Sappiate che egli è vicino, è alle porte", tutto è in cammino verso il suo ritorno.
Questa idea accompagna la comprensione anche del nostro cammino personale di vita e di fede.
Anche per noi “arriva, imminente”, il giorno della grande tribolazione, quando saranno sconvolti il cielo e la terra e la nostra vita si confronterà con la parola che non passa, cioè Gesù stesso!
Ecco che il nostro tempo, non può essere una snervante attesa, e neppure una attesa distratta dal resto delle cose del mondo.
Per un discepolo di Gesù è una attesa feconda, che coinvolge il tempo presente sottraendolo alla sua deriva e introducendovi il germe della pienezza, quella della pianta di fico che tutto predispone per l'arrivo dell'estate.
Tutto nella vita del credere deve essere una preparazione, perché lui è alle porte, perché il regno è già arrivato ed è in mezzo a questa generazione.
Ma che cosa è oggi la sua venuta, il suo esserci?
Le parole di Gesù, prendono a prestito il linguaggio apocalittico tipico del suo tempo; le stesse immagini che appartengono alla realtà del suo tempo; i fatti sono quelli che accadono intorno a lui, come ad esempio la distruzione del Tempio (70 dC). Ed ecco che quel linguaggio non serve per annunciare una catastrofe, quanto per preavvisarci di un processo di liberazione che riguarda tutta l'umanità; per cui, Gesù partendo dalla tragicità della storia umana ci porta a considerare gli stravolgimenti del cosmo per introdurci nell'unico evento: portare tutto a compimento, cioè il suo ritorno: “Sappiate che è vicino e alle porte”.
Questa sua venuta è nell'orizzonte della successione di epoche storiche; si colloca tra il passare del cielo e della terra in contrapposizione al non passare della sua parola.
Gli eventi, nella loro spietata drammaticità si susseguono, e questo è il Vero punto cruciale, perché in quel giorno, ognuno di noi dovrà riconoscere se la Parola del Figlio di Dio ha illuminato la propria esistenza, oppure se gli ha voltato le spalle preferendo confidare nelle proprie parole. Sarà il momento in cui abbandonarci definitivamente all'amore del Padre per affidarci alla sua misericordia.
Nessuno può sfuggire a questo momento, nessuno!
Anche nel nostro tempo che passa …
- Il tempo della “pandemia” in cui le nostre fragilità superano e nostre certezze scientifiche;
- Il tempo della “crisi” delle sicurezze economiche, in cui sempre più prevalgono interessi di parte;
- Il tempo della “transizione” nel modo di essere Chiesa al punto che tutto deve essere riproposto ...
Di fronte a queste situazioni, la furbizia superficiale che spesso mettiamo nei nostri comportamenti non servirà più; così anche la potenza del denaro con la quale pretendiamo di comperare tutto e tutti, si mostra inadeguata rispetto al mistero di Dio che si avvicina.
In verità la sua venuta la vivremo in ciò che abbiamo realizzato in questa vita credendo alla sua Parola, ovvero il tutto o il nulla di quanto abbiamo vissuto o tralasciato di vivere delle sue Parole, le uniche che rimangono, che non passano.

sabato 13 novembre 2021

La salvezza attraverso la storia

Sapienza 18,14-16;19,6-9 e Luca 18,1-18


La parte finale del libro della Sapienza presenta sette quadri in cui si rievocano le sette piaghe d'Egitto con altrettanti benefici che il popolo di Israele ha sperimentato durante il cammino dell'esodo e nel deserto. Questa rilettura è importante perché permette al testo biblico di essere riattualizzato, proprio in ragione della sua memoria antica di secoli. In questi capitoli conclusivi, ci si concentra su due temi principali: la creazione e la storia, tutto in un orizzonte ho che ha come fine la salvezza.
Nelle sette antitesi di Sapienza, il Dio di Israele castiga gli empi e premia i giusti servendosi degli elementi del creato: l’acqua, gli animali, la manna, il mare, la luce e le tenebre… il concetto importante è che la salvezza passa attraverso la creazione stessa. Il mondo creato è “portatore di salvezza”; non è un mondo ostile all’uomo; il mondo è bello, è capace di parlare di Dio e di esso Dio si serve a favore degli uomini. Inoltre, gli eventi descritti nei capitoli finali del libro sono eventi accaduti all’interno della storia di Israele; ecco che la notte in cui la Parola è forza di sterminio è la notte dell'uscita dall'Egitto, la notte della Pasqua, la notte delle notti ... Ma proprio quella notte, storicamente vissuta è evento di salvezza.

venerdì 12 novembre 2021

Dallo stupore alla sapienza

Sapienza 13,1-9 e Luca 17,26-37


Ancora oggi capita di vivere momenti di intenso stupore nel contemplare la natura, il cielo, l'universo intorno a noi, ma ugualmente da questo stupore non veniamo condotti all'autore della bellezza. Forse la nostra mentalità razionale e scientista ci sta provocando una limitazione di sguardo circa il mistero che avvolge la realtà, accontentandoci di una analisi superficiale e di una valutazione puramente sperimentale.
Quando viene meno lo stupore di fronte al mistero, all’uomo cosa resta?
Forse ci si accontenta solo di altri stupori immediatamente a portata di mano, stupori consumabili; si cerca di dare sapore alla vita, ci si accontenta del sapore più a portata di mano, ci si adatta al subito e adesso. Nel libro della Sapienza c’è un rimprovero a quelli che avendo visto le bellezze del creato entusiasti e incantati si sono accontentati e si sono fermati nella ricerca: come mai non sono riusciti a risalire all’autore di questa bellezza e di questabontà che è ancora più bello e ancora più buono?
Credo che la risposta sia nella parola "stolti",  ovvero inconsistenti, incapaci di raggiungere la pienezza. La sapienza incarnata, il Dio con noi, il Verbo, proprio questa incompiutezza viene a riempire; è di fronte al nostro limite umano che la grazia (la Sapienza) ci conduce e ci educa nella contemplazione del mistero di Dio.

giovedì 11 novembre 2021

Che cosa è la Sapienza

Sapienza 7,22-8,1 e Luca 17,20-25

San Martino 


In un mondo in cui tutti credono di sapere, al punto di generare una sorta di presunzione in ordine alla conoscenza, la Sapienza descritta nel testo sacro, si rivela forse più fragile ma certamente libera da ogni condizionamento e appropriazione. La Sapienza non si può ridurre a un rigore scientifico e nemmeno empirico, la Sapienza non è neppure una saggia interpretazione della realtà. Ciò che è la Sapienza lo si cerca di tratteggiare nell'elogio che ne viene fatto: "Nella sapienza c’è uno spirito intelligente, santo,
unico, molteplice, sottile, agile, penetrante, senza macchia, schietto, inoffensivo, amante del bene, pronto, libero, benefico, amico dell’uomo, stabile, sicuro, tranquillo, che può tutto e tutto controlla, che penetra attraverso tutti gli spiriti intelligenti, puri, anche i più sottili".  Viene presentata accostata a 21 attributi e poi a 5 metafore, la descrizione avanza nel citarne l'onnipotenza e ci introduce all’amore di Dio per coloro che della Sapienza ne sono abitati.
Al termine della lettura, si comprende che la Sapienza è rivelazione del mistero di Dio, comunicata all'uomo lo porta a pienezza con uno sguardo che è come luce nel creato.
La sapienza è una conoscenza sensibile e affettiva della realtà che permette all'uomo di vivere il suo tempo mediando in sé, e attraverso sé stesso, la pienezza di eternità a cui tutto è destinato.

mercoledì 10 novembre 2021

Sante responsabilità

Sapienza 6,1-11 e Luca 17,11-19


Per chi crede, più si è chiamati a responsabilità nelle case del mondo, o verso i fratelli come anche nella Chiesa, maggiore deve essere l'impegno di "ascoltare e cercare di comprendere; imparare ..., porgere l’orecchio ..."
E alla fine si conclude con: "egli esaminerà le vostre opere e scruterà i vostri propositi".
Ma spesso, anzi generalmente, si trascura sia l'ascolto della Parola di Dio che l'esame dei propositi alla sua luce, cioè secondo il volere di Dio.
Ecco che riecheggia nella sapienza quanto nel Vangelo Gesù dichiara apertamente: a chi molto fu dato, molto di più sarà richiesto. La responsabilità di chi comanda, dirige, e governa, implica non solo un ruolo di prestigio, ma impone che il governare, il comandare sia svolto con criterio e diligenza, ciò sia fatto bene!
Il comando non porta in sé la presunzione  di chi si sente imparato, a cui nessuno può rivolgere rilievi o chiedere spiegazioni. Il comando per un credente implica necessariamente l'umiltà di esercitare un ruolo a vantaggio e per servizio dei fratelli. Diversamente l'ascolto della Parola è già stato messo da parte, è vano ogni forma di discernimento.
La conclusione è estremamente significativa, infatti il servizio che deriva dalla maggiore responsabilità, è in sé stesso cosa "santa", al punto che l'ascolto della Parola educa e forma nel prendersi cura di un servizio "santo". Applichiamo questa pagina ai nostri ruoli ecclesiali o anche laicali ... Bé ... credo che funzioni!

martedì 9 novembre 2021

Un corpo per Tempio!

Ezechiele 47,1-2.8-9.12 e Giovanni 2,13-22

Dedicazione della basilica Lateranense


Il concetto e significato del Tempio è ora traslato in quello della “Chiesa”. Il Tempio, un'opera grandiosa, che esprimeva un rapporto particolare e unico tra Yhwh e il suo popolo. Il Tempio di Gerusalemme, non era solo un edificio per dei riti sacri, ma prima di tutto la casa del popolo di Dio, la casa dove Dio era insieme al popolo che si era scelto; insieme a Israele che ha amato con predilezione da sempre ...
Allora quel Tempio era e diviene sempre sorgente di grazia e di vita; in quel luogo di vicinanza e intimità si sperimentava l'amorevolezza dell'onnipotente. Quel Tempio ora è immagine e raffigurazione del corpo mistico che è la Chiesa, assemblea convocata da Dio, la quale forma un vincolo strettissimo col suo capo, Gesù Cristo. Quel Tempio ora è lo spazio della preghiera e della presenza della gloria del creatore, a cui ogni figlio di Dio corrisponde con la liturgia della lode e dei sacrifici.
Quel tempio glorioso è immagine del corpo di Gesù che dovrà subire la passione, la distruzione della morte per poi risorgere come Tempio della gloria eterna del Padre.
Ma la riflessione si può spingere anche oltre fino ad esprimere la profonda relazione tra tempio e corpo, fino a mettere in evidenza il nostro corpo di carne in relazione al Tempio di Dio: "Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?"
Ogni tempio di pietra ci ricorda che ciascuno di noi è tempio dell'onnipotente e che questo corpo anche se subirà la distruzione, sarà riedificato come il tempio di Dio, proprio perché sarà partecipe della risurrezione di Gesù.


lunedì 8 novembre 2021

... con semplicità di cuore cercatelo ...

Sapienza 1,1-7 e Luca 17,1-6


Il libro della Sapienza trova la sua collocazione canonica solo nella traduzione cattolica; mai accolto come Scrittura sacra dall’ebraismo, escluso dal canone delle chiese riformate, rimasto ai margini in quelle ortodosse; questo libro continua ad essere letto come un testo nel quale riecheggia una qualche eco della parola che dal Dio di Israele viene rivolta agli uomini. Scritto nel contesto culturale greco, ad Alessandria d'Egitto, l'autore ci introduce nella conoscenza di Dio attraverso la stessa Sapienza: "Egli infatti si fa trovare da quelli che non lo mettono alla prova, e si manifesta a quelli che non diffidano di lui (...). La sapienza è uno spirito che ama l’uomo".

La sapienza che proviene dal Dio di Israele è qui accostata "allo spirito del Signore riempie la terra e, tenendo insieme ogni cosa, ne conosce la voce".
La sapienza trova casa nel cuore dell'uomo, come possibilità di riconoscere la voce di Dio, attraverso il cammino di ricerca e di verità che ciascuno nella vita è chiamato a percorrere. Non è sapienza la conoscenza nozionistica o scientifica; è sapienza riconoscere il mistero di ciò che esiste, a partire dall'esistenza di ciò che lo spirito di Dio ha creato con amore e nell'amore: ciascun uomo e ciascuna donna. Tutto di noi rivela lo spirito di sapienza, cioè lo spirito di Dio, nulla è per questo da disprezzare, neppure la nostra fragilità.

domenica 7 novembre 2021

Due monete di fragilità ...

1 Re 17, 10-16; Sal 145; Eb 9,24-28; Mc 12,38-44


Gesù è un grande osservatore, degli atteggiamenti, degli stili di vita, e attraverso il suo guardare, arriva fin dentro al nostro cuore e ci svela le nostre piccole e grandi ipocrisie, ci porta a conoscere le nostre fragilità e inconsistenze.
Gesù tocca il nostro umano e ci svela come riuscire a dare pienezza alla nostra vita, come dargli più senso.
I primi a essere guardati sono gli Scribi. Ma chi sono gli Scribi?
Sono coloro che insegnano, o dovrebbero insegnare la parola di Dio, insegnare ad amare come ama Dio. Ma cosa insegnano con il loro stile di vita?
Dice Gesù che "amano passeggiare in lunghe vesti" cioè non lavorano, la lunga veste non è adatta al lavoro pratico (certi preti con sempre con la lunga veste non ci farebbero una bella figura); amano ricevere saluti nelle piazze, desiderano il consenso e l'applauso sociale; amano avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti, cioè si pavoneggiano e si gonfiano nel ricevere onori. Sono dei veri e propri narcisisti; ma sono anche coloro che per avidità non guardano in faccia a nessuno nemmeno alle vedove, anzi a queste "divorerebbero la casa". Quando poi si tratta di mostrare il senso religioso sono veri attori capaci di sceneggiare per ore solo per farsi vedere.
Che dire se non ... "Proprio della brutta gente" ... 
Eppure anche questi Scribi, non si sono estinti, ma per una parte rappresentano stili di vita ancora presenti nelle nostre comunità e nella Chiesa. 
Come gli Scribi sono i cristiano ambizioso, clericali e manipolatori. Essi fanno della religione e del "tempio" un guadagno, un prosciugare, divorare la vita dei fratelli ... Anche dalla vedova vogliono tutta la sua vita.
Poi lo sguardo di Gesù seduto davanti al tesoro del Tempio, si fa attento alla folla che vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo (poco più di 10 centesimi attuali). Ciò che Gesù sottolinea è proprio come la diversità di esperienze, di condizione sociale e di vita, condiziona anche il gesto di gettare l'offerta nel tesoro del Tempio.
C'è chi getta del proprio superfluo, cioè dona solo ciò che non serve a soddisfare i priori bisogni e quindi in quel donare non rinuncia a nulla, quasi non se ne accorge ... Un gesto soprappensiero. Questo atteggiamento è frutto di narcisismo, egocentrismo, avidità e indifferenza rispetto agli altri e al mondo. Questi ricchi sono i cristiani indifferenti che mettono nel tesoro (cioè a disposizione dei fratelli) il loro superfluo ... Ma non hanno a cuore né il Tempio come luogo di preghiera e di onore a Dio; ma neppure il tesoro come esperienza di una carità capace di vera solidarietà.
Ma c'è anche chi è disposto a rinunciare a ciò che gli è necessario ed essenziale pur di offrire qualcosa (tutto) per il tesoro del Tempio. Il tesoro non è solo una ricchezza che veniva continuamente alimentata e accresciuta per il mantenimento della struttura, essa serviva anche per esprimere la carità verso il poveri, le vedove e gli orfani.
Ecco che la vita cristiana è segno dell'esperienza della vedova che solo donando tutto di sé, sovviene con amorevolezza alle necessità dei poveri e di chi è nel bisogno. 
Quel tesoro rappresentava infatti il segno della provvidenza di Dio verso il suo popolo. Una provvidenza che si rigenerava con il coinvolgimento responsabile di ciascuno.
Quel tesoro rappresenta una esperienza di carità. Ecco, di fronte a quel Tesoro, noi come ci collochiamo?
Come possiamo anche noi mettere due monetine che sono tutto noi stessi, tutta la nostra fragilità; ciò che ci rappresenta veramente.
Cosa significa allora donare tutto di sé? Vi suggerisco tre parole per iniziare a donare i nostri due spiccioli di fragilità ... l'essenzialità, il servizio e la fratellanza.
Si dona tutto attraverso l'esperienza dell'essenziale, perché ti libera dai condizionamenti e dalla bramosia del possedere ... La vera essenzialità è sobria e ti esercita nella gratuità ...
Si dona tutto attraverso il servizio, perché chi serve non fa volontariato, in cui mettiamo a disposizione una parte di tempo, di energie. Il servizio implica essere disposti a mettersi a servire senza compromessi, senza se ... e senza ma ...
Si dona tutto quando il dono ha come orizzonte i miei fratelli, i fratelli tutti che Dio mi ha donato per il mio bene e la mia felicità.
Gesù ci dice come i nostri atteggiamenti, i nostri stili di vita possono essere esperienze in cui fioriscono la gratuità e la generosità, e come anche occorre essere attenti a non divorare la vita degli altri e i doni di carità.












sabato 6 novembre 2021

Un bacio santo

Romani 16,3-27 e Luca 16,9-15


In questo ultimo capito della lettera ai Romani, Paolo si lancia nei saluti ai membri della comunità, sotto ogni nome c’è una persona amata e profondamente legata a Paolo e il tono dei suoi saluti lo mostra con evidenza. La comunità è composta di uomini e donne, giudei e gentili, schiavi e liberi, con ruoli e storie diverse tra loro: sono i “santi” di Roma. Uomini donne chiamati per nome che rappresentano il volto della Chiesa di Roma che si riunisce in una casa, essa è una casa/comunità, cioè una realtà ricca e composita, unita dalla fede e dallo Spirito, dove ognuno ha il suo nome particolare, ma tutti da Paolo sono chiamati “santi”. Un capitolo che mette in evidenza anche la ricchezza molteplice di un ministero al femminile ... Paolo non disdegna di citare abbondantemente il ruolo che le donne hanno nella vita della comunità.
Ma tutto questo cosa esprime se non il vero volto della Chiesa? L'annuncio del Vangelo cosa porta?
In molti collaborano con Paolo in questo annuncio e alla edificazione della comunità cristiana, in molti mettono in gioco le proprie relazioni per generare dei vincoli di vera fratellanza. È così che la Chiesa nasce e cresce, non per proselitismo, ma per amore a Cristo che opera nel cuore e nella vita di chi accoglie la Parola e per forza dell'amore tra i figli di Dio, che non si scoraggiano di fronte alle umane fragilità ma investono energie e forze nell'amore vicendevole.

venerdì 5 novembre 2021

"Ministri" di Gesù

Romani 15,14-21 e Luca 16,1-8

È una sorta di stupore che possiamo riconoscere nelle parole di Paolo. Lo stupore circa ciò di cui lui stesso è testimone: "Non oserei infatti dire nulla se non di quello che Cristo ha operato per mezzo mio ..."
Paolo non considera se stesso superiore agli altri, pur se consapevole di una vocazione unica che vive con orgoglio: "Così da Gerusalemme e in tutte le direzioni fino all’Illiria, ho portato a termine la predicazione del vangelo di Cristo."
Paolo è prima di tutto un uomo convertito che riconosce - con stupore - l'opera di Dio attraverso la sua persona e il suo agire. I successi nell'evangelizzazione - infatti - li attribuisce e riferisce come ciò che Cristo ha operato.
È questo il modo giusto di rileggere anche oggi, le nostre azioni relative all'evangelizzazione. Non saranno i nostri progetti pastorali a dare forza all'annuncio del Vangelo, ma sarà Cristo nella mitezza e dolcezza di un annuncio che tocchi la vita dei nostri fratelli; questo anche solo in quelle particolari circostanza di fragilità e fatica che però sono aperture alla grazia e alla vicinanza di Dio. Il nostro agire pastorale al pari di quello di Paolo non può non essere segno della stessa "mitezza" e vicinanza.

giovedì 4 novembre 2021

Gesù centrati!

Romani 14,7-12 e Luca 15,1-10


Oggi vivere per sé stessi significa dedicare tempo alla cura di sé; significa recuperare modi ed esperienze in cui amare se stessi; forse significa anche dilatare in modo esistenziale una forma innata di narcisismo. Credo di poter dire che vivere per se stessi oggi significa mettere al centro, mettere prima, i nostri interessi, desideri e aspettative; più semplicemente noi stessi, è il nostro io; vivere per se stessi potrebbe diventare una espressione di egocentrismo che preclude alla relazione con gli altri.
Ma, sinceramente, a noi basterebbe vivere in questa prospettiva? Ci basterebbe vivere per noi stessi?
Un cristiano ha imparato da Gesù che non è poi così bello vivere per se stessi, che pur se con fatica e sofferenza, vivere per un altro è meglio, perché significa amarlo, significa affidare ad un altro il dono della propria vita e nello stesso tempo riceverla, in una comunione che annulla la solitudine e sprigiona le enormi bellezze esistenziali della gratuità e della gratitudine. 
Le parole di Paolo fanno eco in noi alla esperienza che Gesù ha fatto, donando la propria vita, vivendola con noi e per noi, non solo la passione e morte, ma tutto il suo cercare relazione, dialogare, amare, insegnare, annunciare è stato espressione del vivere per noi. Ma se tutto questo è vero, cosa rappresenta il nostro vivere per il Signore... Il nostro morire per il Signore ... Condizione straordinaria in cui ci troviamo:"Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore".

mercoledì 3 novembre 2021

Debitori dell'amore

Romani 13,8-10 e Luca 14,25-33 

Cosa si intende per debito di amore?
Credo che ciascuno debba riconoscere che l'amore è espressione gratuita di un'insieme di sentimento, relazioni, esperienze, che si traducono nel dono gratuito di sé stessi. È la forza di questo abbandono/affidamento gratuito che ci spinge a ricambiare, quasi che l'amore ricevuto, non guadagnato e meritato in realtà corrisponde a un debito. Un tale debito che mai, proprio per la natura dell'amore riuscirò a ripagare. È un Paolo straordinario quello che si rivela in questi versetti di Romani, non solo che vuole mettere nel cuore dei credenti in Gesù e della loro comunità il gioco vivo dell'amore, ma in queste sue parole rivela quanto egli stesso si sente debitore all'amore di Gesù per lui. Non è un comandamento da obbedire, ma come compimento di tutta la legge,  riconoscere l'amore come debito di cui anche io ho beneficio, mi spinge a corrispondere pur sapendo che mai potrò ripagare all'amore che Gesù ha per me e per tutti gli uomini e donne amati dal Padre.
Quando cresce il nostro debito di amore, non preoccupiamoci di come ripagarlo, ma facciamo anche noi maggior credito di amore verso coloro che ci chiedono di essere amati, con la loro prossimità, con i loro problemi, con la loro amicizia, con la loro vita. In questo modo l'economia dell'amore dilagherà oltre ogni più rosea previsione.


martedì 2 novembre 2021

Commemorazione dei fedeli defunti

Giobbe 19,1.23-27 e Giovanni 6,37-40


Ho un ricordo del 2 novembre ... di una giornata di sole, neppure troppo fredda, e si andava, in famiglia, al cimitero a fare visita ai nostri morti. Era un giro che impegnava tutto il pomeriggio; una preghiera e via ... Ma la cosa più interessante era l'occasione per incontrare amici, parenti e conoscenti! Tanta gente! Si faticava anche a parcheggiare nei dintorni del cimitero. Questo ricordo di un bambino, lo rileggo nella radicata traduzione cristiana che poneva il culto dei morti in una grande attenzione e priorità. Forse non c'era una piena consapevolezza della risurrezione, ma il legame di affetto e amore con chi ci aveva preceduto nella vita garantiva il mistero e la speranza della vita oltre la morte. Oggi non è più così, l'evolversi rapido e tumultuoso della nostra società, ha portato anche una mutata consapevolezza culturale. Il senso religioso se non si è estinto, si è molto trasformato, e come conseguenza i cimiteri sono diventati solo depositi dei corpi dei morti. In questa giornata, non scorre più l'affetto dei vivi in quel pellegrinaggio che era un evento di popolo. Un popolo anche ridotto di numero, ma che ugualmente non smarrisce la speranza: la risurrezione di Gesù. Ciò che è accaduto nel tempo passato con la risurrezione del Signore apre uno spiraglio nella terribile consapevolezza umana della fine. Il mistero della risurrezione ci immerge nella eternità di Dio, suggerendo che nulla di noi è adeguato e nella possibilità di poterlo contenere e decifrare. Le parole di Giobbe ci immergono in una immagine in cui la vita nel suo concludersi è strappata violentemente via da noi, e in uno stato di privazione cioè di mancanza della mia carne ... Vedrò Dio! Una suggestione straordinaria per mettere in noi, ben di più di una speranza nella vita eterna, ma la certezza che non siamo solo incamminati verso l'ignoro, ma che lo stesso mistero di eternità colmerà ciò che viene strappato e ci colmerà, per sempre, della visione di Dio, cioè vivremo il Dio con noi.

lunedì 1 novembre 2021

Occorrono ancora le ricette per essere Santi?

Ap 7,2-4.9-14; Sal 23; 1 Gv 3,1-3; Mt 5,1-12


Sembrano veramente lontani anni luce i tempi in cui a Don Bosco, il giovane Domenico Savio scriveva in un bigliettino: "Mi aiuti a farmi santo”? 
Don Bosco chiamò il ragazzo e gli disse: "Quando tua mamma fa una torta, usa una ricetta che indica i vari ingredienti da mescolare: lo zucchero, la farina, le uova, il lievito.
Anche per farsi santi ci vuole una ricetta, e io te la voglio regalare. È formata da tre ingredienti che bisogna mescolare insieme.
Il primo è allegria; il secondo sono i tuoi doveri di studio e di preghiera e il terzo è far del bene agli altri. La ricetta della santità è tutta qui!"
Domenico ci pensò un poco ... i primi due “ingredienti”, gli pareva di averli; per far del bene agli altri, invece, qualcosa di più poteva fare, pensare, inventare. E da quel giorno ci provò. Erano i tempi in cui le ricette fornivano ottime torte di santità!
Ma questa nostra Solennità non può e non deve essere occasione di una sterile nostalgia del passato.
Lo spirito di Dio infatti continua a percorrere le strade della storia e della nostra vita, continuando la sua opera di santificazione, cioè rendere attuale il regno di Dio.
Papa Francesco, in questi tempi di crisi e transizione, con molta determinazione sgombera il campo dalle false immagini che possiamo avere circa la santità, e soprattutto da certe nostalgie del passato e da quelle forme di falsa spiritualità che nulla hanno a che vedere con l'incontro con Dio nella vita.
La santità è frutto - cioè conseguenza bella - della grazia - ovvero del dono di amore - di Dio.
Gesù ha spiegato con tutta semplicità - dice papa Francesco - che cos’è essere santi, e lo ha fatto quando ci ha lasciato le Beatitudini. Esse sono come la nostra cristiana carta d’identità.
Così, se qualcuno di noi si pone la domanda: "Come si fa per arrivare ad essere un buon cristiano?", la risposta è semplice: è necessario fare, ognuno a suo modo, quello che dice Gesù nel discorso delle Beatitudini. In esse si delinea il volto del Maestro, che siamo chiamati a far trasparire nella quotidianità della nostra vita".
La santità è un cammino non a partire da una osservanza morale fatta di leggi, norme e precetti, come quella del giovane che alla fine osservava tutto della legge di Dio, ma si ritrova ad essere solo e triste, e non ha il coraggio di stare con il Signore.  Ma è un cammino a partire dall'ascolto, a partire dal Vangelo, (come abbiamo visto ieri), un ascolto che coinvolge il cuore, la mente, le forze e tutta l'anima. Una Parola che ha il potere di illuminare la vita, mettendo in luce l’amore non separabile per Dio e per il prossimo. Le beatitudini ci permettono di fare quelle esperienze di vita che ci introducono in una vita Santa: piccoli tratti di strada, ma tutti significativi e capaci di testimoniare la grazia, il dono di Dio.
È ovvio che il dono di grazia da solo non basta, occorre sempre accoglierlo nella libertà e con desiderio. Il nostro desiderio di felicità e di amore.
La santità è come quel piccolo seme di senape che se vogliamo, gettato nella nostra vita, non sappiamo come, ma diventa un albero di stupore e meraviglie. Libertà e desiderio di felicità.
Ecco che Gesù ci vuole felici, cioè santi e non si aspetta che ci accontentiamo di un’esistenza mediocre, annacquata, inconsistente. Dice ancora Francesco: "Mi piace vedere la santità nel popolo di Dio, nei genitori che crescono con tanto amore i loro figli, negli uomini e nelle donne che lavorano per portare il pane a casa, nei malati, nelle religiose anziane che continuano a sorridere... Questa è tante volte la santità “della porta accanto”, di quelli che vivono vicino a noi e sono un riflesso della presenza di Dio".
Ecco oggi più del passato, in questo tempo di crisi e di transizione, dove tutto sembra travolto e sconvolto, dove anche la Chiesa fa esperienza di peccato; risuona ancora più forte la parola di Dio che come voce infrange la nostra sordità e come luce che si insinua nella tenebra della nostra cecità; una parola che chiede alla nostra vita di corrispondere alla grazia, non chiede cose straordinarie, ma solo di vivere amando, offrendo ciascuno la propria testimonianza nelle occupazioni di ogni giorno.
La proposta ad essere santi, il Signore la rivolge personalmente a tutti: lascia dunque che la grazia del tuo Battesimo fruttifichi in un cammino di santità; non avere paura a lasciarti guidare dallo Spirito Santo - dice papa Francesco -: "Voglia il Cielo che tu possa riconoscere qual è quella parola, quel messaggio di Gesù che Dio desidera dire al mondo con la tua vita. Lasciati trasformare, lasciati rinnovare dallo Spirito, affinché ciò sia possibile, e così la tua preziosa missione non andrà perduta". La santità non ti rende meno umano, perché è l’incontro della tua debolezza con la forza della grazia".
Chiediamo al Signore che oggi ci preceda e metta in noi quella sana inquietudine che è il desiderio di Santità, che non sia solo il ricordo di una schiera innumerevole di Santi, ma che accenda in noi il desiderio di vivere una "normale" vita felice, cioè santa.