lunedì 31 agosto 2020

1 Corinzi 2,1-5 e Luca 4,16-30
In noi ... lo Spirito del Signore!

Noi tutti, oggi, non siamo ascoltatori e annunciatori di una storia passata, ma dobbiamo riconoscere - come Paolo - che "nella debolezza e con molto timore e trepidazione",  ci poniamo di fronte al mondo per testimoniare "Gesù Cristo, e Cristo crocifisso".
L'esperienza mette in luce tutta la nostra inadeguatezza, come anche ma necessità di perseverare e di custodire il "mistero di Dio", alimentando la nostra preghiera e il nostro discernimento della vita, con un costante ascolto della Parola.
È proprio questa parola che oggi, ci unisce intimamente al momento in cui Gesù apre la sua bocca e rivela il mistero di amore di Dio agli abitanti di Nazareth.
Quale momento "magico", meglio dire meraviglioso e generatore di stupore, fu la lettura di Isaia nel silenzioso ascolto della Sinagoga dove lo steso Gesù aveva mosso i suoi passi da credente, e dove dalla fanciullezza era poi cresciuto in sapienza e grazia, sottomesso a Giuseppe e Maria.
"Lo Spirito del Signore è su di me ... Oggi si è compiuta questa Scrittura ..."
È un oggi, quello pronunciato da Gesù, che supera quel momento e si dilata oltre ogni tempo; quella Scrittura, giunge a compimento e realizza il mistero di misericordia annunciato. Da quel momento tutto è compiuto e rigenerato nell'"anno di grazia del Signore". Anche il nostro ascolto, oggi, è unito all'ascolto stupito di Nazareth e non può restare inerme. Coloro che nella sinagoga ascoltarono, entrarono in crisi e non riuscirono a superare lo scandalo della carnalità (il figlio di Maria e di Giuseppe); per noi non può essere così, perché lo Spirito del Signore ci fa compagni di cammino di Gesù, ci coinvolge come i discepoli incontrati a Cafarnao, ci crea suoi amici ...
L'ascolto dell'amico è molto diverso dall'ascolto attento che si deve per religioso assenso. Oggi iniziamo la lettura continua feriale, del Vangelo di Luca, una lettura che chiede la disponibilità all'ascolto confidente e da amici, ciò sarà possibile sempre, ogni giorno, lasciando scorrere e agire in noi lo stesso "Spirito del Signore".

domenica 30 agosto 2020

Ger 20,7-9; Sal 62; Rm 12,1-2; Matteo 16,21-27
Una vita, la mia vita con Cristo.

"...  prenda la sua croce e mi segua". Queste parole di Gesù, così famose, forse sono altrettanto incomprensibili. O forse non le vogliamo realmente capire. Prendere una Croce non significa certo appendercela al collo come un "gingillo"; oggi la Croce più che un segno di fede è banalizzata come ostentazione e vezzo di moda.
Gesù quel "prendere la Croce",  lo unisce a ... "se vuoi venire" dietro a me ... per andare insieme a Gerusalemme!
La croce non è una prova, non è una malattia, non una sofferenza da sopportare pazientemente; la croce è altro, è accompagnarsi a Gesù nel compiere la volontà del Padre, cioè nel dare un senso autenticamente cristiano alla nostra vita da discepoli.
È dare concretezza alla vocazione, cioè alla chiamata che Gesù fa a ciascuno di noi per dare senso al nostro vivere ora, e in prospettiva della eternità.
Quante idee errate abbiamo di Gesù, di Dio, della Croce, della Chiesa ...
Quante volta pensiamo alla Chiesa come a una grossa impresa del Fede in Dio?
Quante volte il nostro senso religioso si limita a una fredda osservanza di leggi e precetti?
Quante volte il nostro rapporto con Gesù riesce a dare sapore alla vita di tutti i giorni ...
Perché tutto questo? Perché tra Dio e la nostra vita c'è scollamento?
Credo che la causa sia nel non aver scelto ancora se dirigerci con Gesù a Gerusalemme, e soprattutto il non esserci caricati la croce sulle spalle.
Nel Vangelo, Gesù mostra tutta la sua vulnerabilità, si mette di fronte ai suoi amici, anche di fronte a noi, e senza nulla attendersi dice: "vuoi venire dietro a me, sto andando a Gerusalemme?"
Allora, io sono disposto ad accompagnare Gesù in questo suo viaggio; voglio realmente prendere la croce e certamente non per farne un ciondolo?
"Vuoi ..." È un invito disarmante!
Accompagnarlo in quel viaggio, in quel salire alla città Santa significa unire in modo indissolubile la croce alla vita, perché a Gerusalemme Gesù trova la croce, e vi sarà inchiodato per poter dare la vita.
Gerusalemme e croce, non sono due allegorie. Esse rappresentano le due facce della medaglia della nostra appartenenza a Gesù. Quando al suo "vuoi ..." Corrisponde il nostro "voglio", allora il nostro essere Cristiani inizia a essere una testimonianza vera.
Che cosa significa Gerusalemme? 
Gerusalemme, è imparare ad amare, accettando il camminare con Gesù, nel quale diventiamo capaci di dare, di donare e di offrire la nostra vita. Gerusalemme è il logo in cui smetto di sfuggire ciò che mi disturba; è dove affidarmi a Dio e alla realizzazione della sua volontà. Il Padre ci attende a Gerusalemme ... Per fare della nostra esistenza, lo spazio del suo manifestarsi.
Cosa vuol dire o rendere ma croce?
Prendere la mia croce, significa smettere di fuggire; si fugge l'impegno della vita cristiana, si sfugge la carità; c'è chi si allontana dalla vita spirituale, trovando mille scuse per giustificare tutto questo ... Ma alla fine il motivo è semplicemente il fascino delle cose del mondo ... Di fronte a questa tentazione già il Vangelo di Matteo ci pone una domanda: "... quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita?"
Ecco perché seguire a Gesù e prendere la croce, ha a che fare con il senso della nostra vita, come anche con il nostro essere in parrocchia, e il nostro vivere la comunità e il servizio. Solo in questo modo tutto acquista un senso pieno e non è vanità. Prendere la croce non è amore al soffrire, non è desiderio di morte, ma consapevolezza della vita cristiana, cioè di cristo, è alternativa rispetto alla proposta del mondo che ci porterebbe altrove...
Ecco che per ogni discepolo diventa importante recuperare lo spazio per stare di fronte a questa domanda di Gesù, come modo di stare alla sua presenza, e di aderire a quelle parole che scrivono nell'intimo il cammino di appartenenza: "Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà ...".


sabato 29 agosto 2020

Geremia 1,17-19 e Marco 6,17-29
Martirio di Giovanni Battista
Non spaventarti di fronte a nulla ...

Il riferimento storico di quanto riportato nel Vangelo, ci porta a Macheronte, palazzo-fortezza, dove Erode Antipa, figlio di Erode il grande aveva posto la sua residenza preferita. Questo accenno per dirci come la figura di Giovanni Battista, cugino di Gesù, non si erge come elemento mitico o semplice "precursore" teologico del Messia.
La storia della salvezza, la rivelazione e manifestazione del Messia ad Israele passano e si legano con le vicende di un popolo, e le scelte dei singoli, dai poveri ai potenti. Giovanni rappresenta veramente il precursore del Messia - qualunque esso sia - proprio perché la sua esecuzione capitale (un omicidio), avvenuta nella fortezza di Macheronte, rappresenta un vero martirio: testimonianza della verità e della fedeltà alle promesse di Dio e al patto di alleanza. Erode fece uccidere, Giovanni, per convenienza e motivi ("intrighi") personali. Questa uccisione diviene per tutti il segno del compimento dell'attesa. Colui che tutti riconoscevano come Profeta; colui del quale tutti si interrogavano, che in tutti smuoveva la coscienza e il lo spirito della venuta del Messa, veniva ucciso ingiustamente. Questo delitto, diviene per tutti un segno; segno del martire, ma anche segno per il Messia, per dare inizio alla sua rivelazione a Israele. Gesù, come tutti: popolo, discepoli, Scribi e Farisei ecc... viene interpellato dal segno. Dalla ferita della morte del cugino, Gesù, intuisce l'inizio pubblico della sua missione. Il sangue versato da Giovanni preannuncia il donare la vita da parte di Gesù e il donarla fino al suo stesso sangue.

venerdì 28 agosto 2020

1 Corinzi 1,17-25 e Matteo 25,1-13
Custodire l'attesa!

Una vergine promessa sposa ... quale immagine di tempi remoti!
Cerchiamo comunque di contestualizzare. La vergine, rappresenta il desiderio concreto di donare integralmente se stessa, senza riserve ed esclusioni allo sposo. La caratteristica principale della vergine è la sua integrità che viene portata come dono per lo sposo alle nozze. Una integrità che significa: priorità, significa esclusività, significa fedeltà e patto, ma significa anche gioia di quella particolare attesa. Tutto questo presuppone anche, una elezione ricambiata da parte dello sposo. È in questa prospettiva che è possibile immaginare una notte di veglia, alla luce della lampada che rappresenta la perseveranza e la custodia di quel tempo forse faticoso, certamente non pienamente disponibile.
Non è certo questo tempo di attesa quella condizione che si esaurisce nella liturgia dell'Avvento. L'attesa assume qui il senso permanente del custodire come prioritario e come essenziale la conoscenza che in modo diverso abbiamo fatto del Signore. Non si attende il Signore Gesù come se fosse l'attesa del postino e del pacco Amazon, come anche, non lo si può attendere se sconosciuto al nostro cuore; l'attesa si svuoterebbe immediatamente di interesse e di senso.
Alle vergini (ai discepoli di Gesù) è chiesto in modo esplicito di custodire l'attesa, ma di uno promesso sposo, di chi è conosciuto in quanto amato. Forse non sempre siamo attenti a raccogliere e riconoscere i segni dell'amore del Signore per noi, e quindi anche a prendercene cura, ma questo è proprio la vicenda narrata nel Vangelo delle vergini stolte, che alla fine rimaste fuori, non resta altro che bussare, inascoltate, a una porta.

giovedì 27 agosto 2020

1 Corinzi 1,1-9 e Matteo 24,42-51
Ma chi ti aspetta?

Di fronte alle parole di oggi, del Vangelo: "Vegliate, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà". Chi sta ancora aspettando, e in quale modo?
La distanza di tempo tra noi e il Vangelo, non aiuta a mantenere desta l'attesa della sua venuta; pur anche se ad ogni eucaristia ci rinnoviamo l'impegno di testimoniare e vivere la passione e la risurrezione di Cristo, in attesa della sua venuta.
Oggi la vita dei discepoli di Gesù è fortemente intrecciata con tutto ciò che il mondo offre da un punto di vista materiale e di possibilità, come anche si compone della cultura del momento e con tutti i suoi condizionamenti. Nella pagina del Vangelo questo adeguamento alla realtà possiamo leggerla nell'atteggiamento del servo che nulla più attende della venuta del suo Signore: "Ma se quel servo malvagio dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda”, e cominciasse a percuotere i suoi compagni e a mangiare e a bere con gli ubriaconi ...".
Tutto questo è una avvincente attrazione; ma soprattutto determina una umanità che non ha bisogno di attendere qualcosa che è nell'ordine dell'invisibile e Spirituale, quando può trovare ogni soddisfazione e possibilità nel mondo reale; sia per ciò che riguarda la materialità delle cose, sia per quelle di natura intellettuale. La sazietà, riempie e compensa ogni attesa. Ogni desiderio infatti viene saziato alla sua origine, saturato e quindi reso inefficace come appello al trascendente, che è nella realtà, ma che per accedervi necessità dell'esperienza del servo fedele.
Siamo sazi da ciò che ci viene offerto, e siamo disinteressati per ogni proposta che sposti oltre noi stessi l'orizzonte del nostro compimento; ma l'attesa della venuta del Signore, in verità, sarebbe il nostro compimento.

mercoledì 26 agosto 2020

2 Tessalonicesi 3,6-10.16-18 e Matteo 23,27-32
Guai a voi ...

Una espressione ripetuta più volte in questo capitolo di Matteo, una espressione dura, di condanna che non lascia spazio a soluzioni diverse: l'ipocrisia degli Scribi e Farisei è inconcepibile nella vita di un discepolo del Signore.
Questo grido di Gesù, è come un segnate di attenzione e una provocazione per tutta la comunità dei discepoli, fino a raggiungere attraverso il Vangelo, la Chiesa di tutti i tempi.
"Guai a voi", guai alla  vostra ipocrisia ... Perché i discepoli, la Chiesa, come anche le nostre comunità, mai dovranno essere luogo di morte. L'esperienza della vita dei discepoli deve testimoniare l'amorevolezza; nella Chiesa si deve sperimentare quella fraternità frutto dell'accoglienza e della vicinanza; le nostre comunità devono testimoniare il segno tangibile dell'amore che si concretizza nella riconciliazione, sempre possibile. Tutto questo è frutto di una vita che profuma della fragranza del risorto, non di un morto, di fronte al quale vi si tappa il naso e la bocca. Scribi e Farisei - sembra volerci dire il Vangelo - pur nella loro integrità hanno a che fare con sepolcri, con ossa aride e col marciume, hanno a che fare con una realtà mortifera, perché l'ipocrisia è come un veleno che uccidere la verità, il buono e il bello. L'ipocrisia imprigiona l'esperienza della vita nel nascondimento, nella paura, nel giudizio del moralismo. Il discepolo di Gesù deve liberarsi dallo Scriba e Fariseo che potrebbe dimorare in sé.

martedì 25 agosto 2020

2 Tessalonicesi 2,1-3.13-17 e Matteo 23,23-26
Una ipocrisia esistenziale

In italiano il rimprovero che Gesù rivolge a Scribi e Farisei, è tutto sommato accettabile nella forma e nel tono; ma se provassimo a leggerla in greco, scopriremmo una invettiva molto accesa e pungente: "Guide ceche, le filtranti il moscerino, il invece cammello ingoianti". Farisei e Scribi, sono filtro del moscerino e gola per il cammello. Filtravano il vino per evitare di ingoiare il moscerino, insetto impuro, ma poi di mangiano il cammello, grosso animale impuro. In loro (Scribi e farisei), l'inezia  delle norme della legge assume un valore grandissimo, mentre ciò che può essere grave mancanza, anche per loro, viene occultato è giustificato dentro la personale ipocrisia. Non è facile per ciascuno di noi sfuggire i condizionamenti che, strada facendo, nella vita, generano ipocrisia, e inducono a scelte e atteggiamenti che rinnegano e trascurano la giustizia, la misericordia e la fede. A rimedio e come deterrente di questa ipocrisia non è forse la vita interiore? La lettura interiore dei sentimenti, dei desideri e dei pensieri - il rientrare in noi -, porta in evidenza le nostre fragilità e i nostri tornaconti, ma proprio questo permette di vincere il giudizio moralistico e giustificativo per richiamare invece, nella coscienza, quella giustizia, quella misericordia e quella fede a cui Gesù fa riferimento.
Che assurdità essere filtro del moscerino e gola per il cammello! Tale assurdità rappresenta non solo una grande incoerenza, ma pure la nostra umana sconfitta. La vita interiore e spirituale, per quando possa sembrare un di più, in realtà forma il nostro umano all'unico necessario: la legge dell'amore.

lunedì 24 agosto 2020

Apocalisse 21,9-14 e Giovanni 1,45-51
Festa di San Bartolomeo Apostolo
Vieni e vedi ...

Nella narrazione giovannea dell'incontro con i primi discepoli (uno di loro è Andrea, fratello di Simon Pietro), sono evidenti due verbi: venire e vedere. Andrea a sua volta, cerca suo fratello Simone e lo conduce da Gesù, il quale lo vede e su di lui pone il suo sguardo. Trovato Filippo, lo invita a seguirlo (venire dietro a lui). Filippo, amico di Andrea e Simone, incontrò Natanaele, e lui stesso diviene promotore di questo duplice invito: "vieni e vedi!"
Al di là delle apparenze, oltre ogni pregiudizio - "cosa può venire di buono da Nazareth" - che nasce dall'opinione comune e pubblica; l'esperienza di Gesù, si genera nell'entrare in contatto con lui, e chiede un livello diverso e più profondo di coinvolgimento. Il "venire e vedere", determina uno scentramento dalla nostra stabilità, dalla posizione ego-centrata; è un invito ad uscire per incontrare: Gesù va incontrato. Quel "venire" e quel vedere portano con sé tutta la dinamica dell'accostamento, dell'avvicinamento e della disponibilità ad aprire la propria esistenza a chi è nuovo.
Spesso e a torto, associamo questo "venire e vedere" alle dinamiche vocazionali, pro sacerdozio o consacrazione religiosa, ma non è così!
Quel venire, quel vedere, sono all'origine della fondamentale amicizia tra Gesù figlio di Dio e ciascuno di noi. "Venire e vedere" mi tolgono dalle "secche" della mia autoreferenzialità, provocando il processo esistenziale di affidamento confidente e amicale. Il rapporto autentico con Gesù non regge se è costruito con l'intelletto, con la razionalità, non si può avere una fede certa in forza di dogmi, anche se della Chiesa. Il "venire e vedere", è realmente un invito a fare di ogni momento della nostra esistenza una occasione in cui incontrare/trovare Gesù, e vedere il suo volto. Ecco perché, anche per noi sono vere le parole: "vedrai cose ben più grandi!"

domenica 23 agosto 2020

Is 22,19-23; Sal 137; Rm 11,33-36; Mt 16,13-20
Alla scoperta di Pietro ...

"Ma voi chi dite che io Sia?" La domanda che Gesù rivolge ai discepoli è insidiosa, e già di per sé presuppone che devono cercare una risposta diversa da quelle che si sentono in giro, da quelle che solitamente emergono dal sentire comune ... o anche dal catechismo ...
Ed ecco che i discepoli iniziano a fare quella perlustrazione del loro incontro con Gesù, per trovare qualcosa che possa dare luce a una risposta non convenzionale ...
Pietro è il primo, cioè, è quello che prende il coraggio a due mani e si espone prima di tutti gli altri ...
Ottimo, bravissimo, bellissima risposta, Pietro, nessuno di noi avrebbe potuto dire di meglio ...
Ma la mostra risposta come si costruisce? Da dove nasce?
Nasce dal mio essere innamorato del Signore?
Nasce dal mio cuore, se gliel'ho aperto?
Nasce dalla intimità con le sue parole, che diventano anche le mie parole?
Pietro ha risposto, forse anche troppo bene ... Lo stesso Gesù gli dice: "non è farina del tuo sacco ma è un suggerimento del Padre ..."
Ma a questo punto è Gesù si lancia nel discorso e trasforma la domanda su di lui, nella risposta alla domanda sui discepoli.
Come se Pietro ad esempio abbia chiesto: "Signore chi sono per te?" Oppure "Signore io per chi o cosa sono?"
E a questo punto Gesù mostra come è questa la vera domanda, quella che dice il nostro essere davanti a Dio o in relazione al Padre.
La domanda non è tanto: "Chi è Gesù", quanto, "Per chi sono io?"
Ed ecco la risposta di Gesù a Pietro: "tu sei (Pietro) pietra e su questa pietra edifico la mia Chiesa".
Pietro a questo punto rimane senza parole, perché per la prima volta, sente una chiamata definitiva per la sua vita.
Pietro non sei un pescatore ... Pietro non sei un imprenditore di una azienda famigliare ... Pietro non sei un capo clan ... O meglio puoi anche essere tutto questo, tutto ciò che rappresenta la tua vita ... "Ma, ma ora, di fronte a tutto ciò, io ti dico: "tu sei pietra ... sei roccia ... sei fondamentale per costruire la Chiesa, la mia Chiesa".
Pietro attraverso Gesù scopre la propria chiamata a realizzare sè stesso nel progetto del maestro.
Anche noi possiamo, dobbiamo, passare dalla tipica domanda: "chi è Gesù per me?" ... Alla domanda che Gesù ci fa come provocazione e rivelazione: "Per chi sei tu?" "A cosa serve la tua vita?"
La risposta, non è una nostra invenzione, ma un maturare la nostra esperienza, il nostro cuore; sentimenti, cammino con la persona di Gesù ... e scoprire che Lui abita, dimora in questo mio percorso di vita.
Un ultimo accenno a Pietro, per rileggere il "Pietro" che come vicario di Cristo, come colui che guida e insieme ai battezzati, edifica la Chiesa di Cristo.
Pietro è di Cristo, è la roccia e la solidità che Gesù ha scelto è posto per ciascuno di noi anche oggi ... Per cui non parliamo male del Papa, del successore di Pietro ... Non facciamo come alcuni prelati e uomini che si dicono di Chiesa ...
È peccato, infamare, giudicare e oltraggiare e non amare il papa ... Perché è Pietro, e solo con lui costruiamo la Chiesa di Cristo.

sabato 22 agosto 2020

Ezechiele 43,1-7 e Matteo 23,1-12
La nostra cara ipocrisia.

Con questo Vangelo, l'evangelista Matteo inizia l'avvicinamento di Gesù alla sua passione. Sono capitoli in cui sembra quasi ripercorrere un discorso di saluto e raccomandazione. La preoccupazione di Gesù sembra essere quella di mettere in guardia dal "virus" dell'ipocrisia, così diffuso tra scribi e farisei come anche nella religiosità e nel clericalismo di ogni tempo.
Scribi e Farisei, ineccepibili, brava gente che dicono secondo la Legge di Dio ma poi vivono come dei pagani, cercando e adattandosi agli agi e al lusso dei romani.
Le loro case, non sono come quelle degli ebrei, ma in tutto rispecchiano i gusti e gli stili dei romani, questo da Gerusalemme in giudea, a Magdala in Galilea, come un poco ovunque in Israele.
Il virus della ipocrisia: "... perché essi dicono e non fanno ...". È un virus che non si estingue e dal quale stare attenti, è un virus che si nasconde in ciascuno di noi, anche in forme asintomatiche, e ci rende tutti un poco Scribi e Farisei. L'esempio più chiaro di questa condizione asintomatica è quella delle persone religiose, dove prevale il "si è sempre fatto così" e dove l'apparenza prevale sul cuore e soffoca il desiderio di libertà e verità.
"Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente." Questa immagine vidi efficace è specchio per tutti, per vedere quel male radicale che s'annida in ciascuno di noi e che poi emerge, quello Scriba e Fariseo, che è un po' il "capetto" nel quale ci identifichiamo anche noi.

venerdì 21 agosto 2020

Ezechiele 37,1-14 e Matteo 22,34-40
Amare è ancora amare ...

L'amore non si comanda ... ma come vorremmo poterlo comandare anche per noi stessi!
Il bisogno di punti fermi, di sicurezze emerge con prepotenza dal profondo della nostra vita; noi tutti, in modo esplicito o implicito abbiamo bisogno di riferimento stabili, di "comandamenti". È la stessa necessità, bisogno, del dottore della legge. Ma ciò che genera disagio/turbamento in lui, è che Gesù, non propone un "comandamento" da osservare ma un comandamento da vivere. L'amore non si può semplicemente perseguirlo, osservarlo, obbedirlo; un precetto posso compierlo in pienezza come obbligo, piegando desideri e libertà, ma senza aderirvi con il cuore. Ma amare ... non è possibile compiere l'amore se non c'è l'adesione di tutto noi stessi, del nostro cuore.
Quello che Gesù propone è realmente il più grande dei comandamenti, perché coinvolge tutto di noi. Nell'amare, nulla deve essere escluso; nell'amore, mente, anima e cuore sono non solo coinvolti, ma sono lo spazio in cui l'amore è riconosciuto, donato e desiderato.
Gesù ci sconvolge, perché fa emergere l'unico punto fermo, il solo comandamento che non si può comandare, ma che rivela, ed esprime tutto di noi nella esistenza con Dio e con il prossimo. È nella relazione esistenziale che ciascuno di noi comprende l'amore come unico necessario e come fondamento ... Ecco perché l'amore è il "grande" dei comandamenti.
Non stanchiamoci mai di amare, soprattutto nelle nostre fragilità, chiusure e ferite. Non stanchiamoci mai di chiedere l'amore di Dio e dei fratelli, per poter generare in noi l'amore a Dio e ai fratelli.

giovedì 20 agosto 2020

Ezechiele 36,23-28 e Matteo 22,1-14
Vi darò un cuore nuovo ...

È una profezia necessaria! È una necessità un cuore nuovo ogni giorno. L'esperienza di vita del giorno che è passato, ci testimonia sempre come il nostro cuore ha bisogno di essere rianimato, di essere nuovo, ma di una novità che non riusciamo a darci da soli.
Il nostro cuore nella quotidianità viene sollecitato da tante situazioni, tali da portarlo ad "andare al proprio campo, ai propri affari; a rifiutare inviti ed emissari; questi, siamo pure capaci di insultarli e farli tacere come morti". È un cuore che si inaridisce, che perde o sfoca gli obiettivi importanti; è un cuore che si distrae rispetto a cosa amare e a come amare. È un cuore incostante, che batte 70 e poi batte 120 ... Ma il motivo non è certo, il motivo spesso ci sfugge.
Un cuore nuovo non è quindi solo una promessa futura, una bella profezia, ma una necessità per vivere l'incontro con il Signore nella vita, per vivere il regno dei cieli ovvero "la festa di nozze del suo figlio".
Se la felicità è "una questione di cuore", allora comprendiamo come la "terapia" del cuore non può dipendere solo dalla nostra capacità umana di prendercene cura. La profezia di Ezechiele che risuona della promessa di Dio, riletta nella parabola del regno dei cieli, oggi, ci permette di dare forma alla novità del cuore.
Il cuore nuovo è il cuore disposto ad aprirsi ogni giorno alla Parola, senza pretese, ma lasciandosi attraversare da quella narrazione che è il pensiero di Dio, che è invito ad essere parte con Lui. Tutti possono ascoltare la Parola, e tutti vengono toccati nel cuore da questo invito di Dio Padre che nessuno esclude, "buoni e cattivi".
Il cuore nuovo è il cuore disposto a fare festa, cioè a gioire delle nozze del figlio. Il cuore nuovo dice desiderio di essere tra gli invitati al banchetto. Ed è questo che spesso sottovalutiamo rivestendo i panni della festa, per una presenza formale di fronte a Dio ma senza un desidero custodito e curato dentro di noi. A noi di Dio, del Vangelo, della Chiesa, degli altri uomini ... interessa ben poco!
Se Gesù è mio amico, mai mi rifiuterò di andare al banchetto che il Padre ha preparato per le sue nozze, per me nozze del figlio. Il cuore nuovo, quindi, non sono i trattatemi spirituali e neppure le tecniche di rianimazione della fede. Il cuore nuovo è lo spazio del nostro essere abitato dalla presenza di Dio, perché è quella presenza a fare nuove tutte le cose, compreso il nostro cuore.

mercoledì 19 agosto 2020

Ezechiele 34,1-11 e Matteo 20,1-16
Una novità continua!

Il gregge è di Dio e il Signore chiede conto di ciò che ha affidato, ma non solo, perché  egli stesso andrà a cercare le sue pecore perdute. È una certezza, che pone tutta la vicenda umana, e il dispiegarsi degli eventi nelle mani del Padre. Nulla avviene per caso o incuria e abbandono, tutto anche i momenti critici e difficili, sono inclusi nell'agire di Dio, e partecipi alla dinamica di libertà e volontà, dell'uomo e di Dio, in cui la storia della creazione e della salvezza sono generate. È questa dinamica che rende concreto ogni riferimento al Regno dei cieli. Dalla parabola del Vangelo di oggi, raccogliamo una sottolineatura: il regno dei celi è una vocazione operativa, si realizza concretamente  grazie al fare e all'agire di coloro che "Chiamati" (vocati), si attivano per corrispondere all'invito (attraverso la sequela). Ecco che il regno dei cieli si concretizza nella vita personale dei chiamati (nulla cadrà dal cielo), anzi è proprio in relazione alla libertà e volontà dei singoli che si attiva una esperienza che è relazione e interazione con la volontà di Dio. Da qui la meraviglia e lo stupore per le logiche nuove che da questa sinergia di sprigionano. La profezia di Ezechiele - del prendersi cura del gregge e dell'andare Dio stesso a cercare ciò che è perduto - dilata la portata redentiva sulla realtà attraverso lo straordinario di Dio che fa ciò che vuole (volontà) delle sue cose.
Il regno dei cieli è scoprire e vivere il contatto col mistero nella realtà. Non si tratta di un capriccio, ma di mettere in gioco, nella realtà, tutto lo straordinario di Dio e del agire per amore, del suo agire perché è buono e per un fine di pienezza (tutti retribuisce con giustizia) e secondo bontà.

martedì 18 agosto 2020

Ezechiele 28,1-10 e Matteo 19,23-30
La salvezza è tutto!

Quale è il senso della vita? Questa domanda che è all'origine dell'andare del giovane da Gesù, si esprime nel chiedere "cosa posso fare per aver la vita eterna? - Vangelo di ieri -. Il senso della vita o è l'eternità oppure è un non senso. Ecco che il nostro vivere, allora, diviene non tanto un tempo di prova, o una preparazione a un futuro che verrà, quanto il rivelarsi e dispiegarsi del mistero profondo che la nostra vita rappresenta.
Vivere al di sotto delle nostre possibilità; vivere adagiandosi alle situazioni che ci accompagnano; vivere per e di ciò che la vita offre come soddisfazioni e progetti; tutto questo non è vivere ma vivacchiare. Per molti vivacchiare è sufficiente; anzi, questo vivacchiare garantisce una certa forma di felicità che però progressivamente cede il passo alla accettazione e alla fatalità, che trancia ogni mistero insito nel vivere.
Gesù dice apertamente che seguire Lui permette di entrare nel senso della vita, cioè l'eternità. È Lui la cruna dell'ago da attraversare, che da la misura alla vita, per cui se non siamo capaci di quella libertà che è il lasciare le "ricchezze" per Lui, la nostra vita sarà sempre e solo usare delle ricchezze e garantirla per noi stessi. Pietro sembra avere capito - ma a suo modo - per questo il Signore ne porta a compimento il pensiero, mostrandogli in immagine a quale realtà si è consegnato: al mistero della salvezza, a ciò che da sapore e senso alla vivere il tempo e l'eterno insieme. È fatica essere uomini del tempo, ma è anche altrettanto stupendo varcare la soglia del mistero, certamente è una proposta che ci porta, anche con fatica, oltre ogni limite.

lunedì 17 agosto 2020

Ezechiele 24,15-24 e Matteo 19,16-22
Perfezione o compimento?

Dopo aver vissuto in modo retto osservando i comandamenti, il giovane intuisce che gli manca qualcosa, che per raggiungere la vita eterna non basta essere obbediente alla Legge.
"Non ucciderai, non commetterai adulterio, non ruberai, non testimonierai il falso, onora il padre e la madre e amerai il prossimo tuo come te stesso"; tutti questi comandamenti garantiscono una vita serena con le persone accanto a noi. Ma pur se vissute nella obbedienza e nella fedeltà, a lungo andare si percepisce che la "vita eterna" non può scaturire da un precetto, o un comandamento. La prospettava che Gesù offre al giovane parte dal desiderio: il desiderio di perfezione. La parola greca che intende la perfezione non esprime tanto un concetto estetico, ma soprattutto il concetto di completezza. La perfezione è quindi maturità umana; la perfezione è compimento del senso del proprio esistere; perfezione è pienezza di felicità. Per cui la risposta di Gesù, presuppone nella domanda del giovane che la vita eterna sia la pienezza della vita il compimento della propria esistenza. Ecco allora il "se vuoi essere perfetto", ovvero se vuoi essere completo, sposta tutto sulla ricerca di senso.
In cosa consiste per Gesù la pienezza e il compimento?
Consiste nella sequela, "Seguimi!"
Per seguirlo occorre predisporre la vita al compimento. Non si può seguire Gesù rimanendo legati ai propri "rituali umani e morali", ai priori attaccamenti affettivi e alle molte cose materiali di cui ci contorniamo. La sequela presuppone una scelta di libertà come quella di abbandonare le proprie "ricchezze" reali e materiali come anche gli attaccamenti morali e affettivi.

domenica 16 agosto 2020

Isaia 56,1.6-7; Sal 66; Rm 11,13-15.29-32; Matteo 15,21-28
Gli stranieri ...

Ci sono questioni che coinvolgono la Chiesa e la mettono di fronte alla realtà del mondo e alla società, spesso segnando differenze di veduta e distanze di pensieri incolmabili.
Oggi la Parola di Dio ci pone di fronte allo straniero. Di chi si tratta? Di chi stiamo parlando, forse dei turisti che ogni anno scendono in Italia per foraggiare le nostre città d'arte, gli stabilimenti balneari, gli agriturismi di montagna?
No, non credo proprio ...
Straniero: Oggi si chiama rotta balcanica; oggi si chiama profugo; oggi si chiama immigrato clandestino ... Una condizione accomuna essere straniero: il significato della parola: del latino extraneus «estraneo, esterno».
L'estraneo non mi appartiene perché non è del mio paese. Con una connotazione esclusiva, fino a una suggestione ostile, alludendo a genti nemiche o comunque avverse o odiate.
Ma possiamo noi credenti, ancora oggi, sventolare lo spauracchio dello straniero? Possiamo come cristiani issare stendardi, baciare una croce e insieme allontanare uno straniero?
Ormai tutto è Tiro e Sidone, forse ci siamo illusi che tutto fosse alla tavola dei figli, o che noi fossimo i privilegiati del banchetto, o forse lo speravamo. In realtà questa immagine del Vangelo non ci parla della esclusione, della donna cananea, ma di una particolare inclusione. Quel "Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini" attende una pienezza che nell'esperienza viva dei discepoli di Gesù si compie nell' "eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni".
L'immagine della tavola dei figli non possiamo leggerla come esclusività e privilegio; la tavola esprime il dono del pane del cielo, il pane dei figli amplifica la propria disponibilità come nutrimento per tutta l'umanità; il banchetto, dice Isaia, raggiunge il compimento quando sarà per tutti i popoli. È in questa prospettiva che le piccole briciole non sono uno "scarto", sottratto furtivamente da sotto la tavola, ma sono l'esperienza di ciò che anche se piccolo è capace di alimentare la fede nella più certa aridità o infedeltà a Dio. Questa donna ha alimentato la sua fede in Dio con quelle poche briciole dei figli ... Ora quelle fede la porta a stare di fronte a Gesù per ottenere con fede quanto chiede. Gesù in realtà non nega nulla, ma esalta di questa donna la sua fede generata fuori dalla terra di Israele, nella terra pagana di Tiro e Sidone ... 
Oggi per la Chiesa lo straniero rappresenta la provocazione più esplicita rispetto alla tutela della dignità di ogni uomo.

sabato 15 agosto 2020

Ap 11,19;12,1-6.10; Sal 44; 1 Cor 15,20-26; Lc 1,39-56
Solennità di Maia Assunta al cielo
Sappiamo capire il dogma?

Sono passati solo 70 anni da quando la Chiesa, sulla scorta di una tradizione quasi bimillenaria ha inciso solennemente questa verità di fede: "Maria al termine della sua vita terrena è assunta al Cielo in corpo e anima".
I segni della assunzione di Maria al cielo li troviamo a Gerusalemme e sono luoghi che rimandano alla prima comunità cristiana: la tomba vuota di Maria a fianco del frantoio dell'Orto degli Ulivi (dove i testi apocrifi asseriscono: "gli apostoli deposero in quella tomba nuova il corpo di Maria"; e il luogo della Dormizione, al Sion cristiano, dove la prima a comunità dei discepoli di Gesù si era stabilita. Questo fissare nella tradizione l'esperienza della Dormizione di Maria, e il luogo della sepoltura del corpo, testimoniano prima di tutto il ruolo che la madre di Gesù da subito ha avuto nella comunità dei credenti. È da questi momenti che inizia a prendere forma il dogma di Maria Assunta al cielo.
Maria Assunta al cielo, che cosa ci dice questo "dogma" della fede in questo tempo di epidemia virale, che ammorba il mondo intero, in questo tempo di ferie desiderate e volute più di ogni altro anno, proprio per esorcizzare la paura di un male che sta condizionando pesantemente il nostro modo di vivere.
Che cosa stanno vivendo le comunità cristiane oggi, in questo tempo così particolare?
Forse nessuno si sta accorgendo che ormai oltre al processo di scristianizzazione, stiamo facendo esperienza di una tale irrilevanza Cristologica, irrilevanza è cosa diversa dal disinteresse o dalla contrapposizione. Ma in questa irrilevanza anche i dogmi della fede ne sono toccati. Essi divengono realtà difficili da pensare, e sull'onda dell'indifferenza assumono il sapore di una favola ormai lontana nel tempo.
Se l'epidemia virale, ci ha insegnato il distanziamento sociale e il mettere una mascherina protettiva, e vediamo come tutto questo influisce sul nostro modo di vivere (isolamento, timore, diffidenza, mancanza di relazioni significative, paura ...); una esperienza simile si sta diffondendo proprio nella vita di fede dei credenti: distanziamento dalla fede. È in questo distanziamento che possiamo collocare l'irrilevanza dei cristiani nella vita contemporanea. Anche i dogmi della fede subiscono lo stesso distanziamento dalla vita reale e divengono irrilevanti.
Come recuperare il dogma come verità di fede e anche come parte della nostra vita?
Occorre che ci ripartiamo da  Maria, da quella ragazza di Nazareth, innamorata di Giuseppe scelta da Dio per la sua semplicità e umiltà. Questa sua particolare umanità la rende capace di un si’ totale cioè:
- di disponibilità; 
- di dono di sè;
- di affidamento ...
Tutto questo per compiere l'opera di Dio’, essere madre del suo Figlio.
Il dogma nella vita ci propone la stessa triade come modo di dare firma alla nostra esperienza di fede.
La mia disponibilità a vivere la Chiesa e l'esperienza non sempre facile della comunità;
Il dono di me stesso, il non tirarmi indietro, il mettermi a disposizione del bene della chiesa;
Il mio affidarmi, il mio ritornare sempre a Dio anche dopo ogni infedeltà e tradimento.
Solo ripartendo dalla interazione tra umanità e mistero di Dio, tra storia dell'uomo e storia della salvezza, possiamo riappropriarci di questa verità di fede e sentirla come presupposto dl rinnovamento sella nostra quotidianità. 
Ecco allora che il dogma non sarà solo una verità da credere ma una esperienza di vita, vissuta in pienezza in una costante relazione di intimità col mistero.
Sono passati 70 anni (1* novembre 1950) della definizione del dogma dell'Assunzione di Maria, la madre di Dio è segno che il Padre non ci abbandona mai, e ha per noi un destino di pena felicità.
Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, Santa Madre di Dio: non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova, e liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta.

venerdì 14 agosto 2020

Ezechiele 16,1-15.60.63 e Matteo 19,3-12
Il cuore indurito ...

Che cosa è il cuore indurito?
Forse associamo questa espressione alla crudeltà o alla insensibilità; ma per noi che cosa è la durezza del cuore?
Provo a immaginare come per Gesù la durezza del cuore la legge negli atteggiamenti che condizionano le relazioni, a partire da quella originaria, che si realizza nell'amore tra un uomo e una donna.
La durezza del cuore è la conseguenza del fuggire l'amore. Non viceversa. Se rifuggo di amare, se mi trattengo dall'amare, se ho paura di amare, quella "privazione" lascia il mio cuore in una fame e in una aridità tale, che solo l'espressione cuore indurito (cioè sterile come terra rocciosa, secco come un destro, arido come il mar morto), è adeguata. Presi dalla frenesia del nostro tempo, e dalle dinamiche del quotidiano; portati ad essere fuori da noi stessi e in una costante scompensazione, che con bramosa necessità, oscilla tra amare ed essere amati, e ci si scopre impancarsi di amare perché non amabili, l'unica soluzione sembra quella di adattarsi alla durezza del cuore.
Il cuore va reso eunuco! La eunechia è la risoluzione al cuore indurito. Significa sottrarlo a sé stessi, e alle proprie incapacità circa l'amore, e rendersi disponibili - anche se con fatica - per il regno dei cieli. Ciò che rende non duro il cuore è il custodirlo, il preservarlo e prendersene cura. Tutto questo non è facile, è stesso poniamo resistenze, ma questa "eunechia" cioè predisposizione al regno dei cieli, è l'unica possibilità per trasformare la durezza del cuore.

giovedì 13 agosto 2020

Esechiele 12,1-12 e Matteo 18,21-19,1
Per la Diocesi di Imola, liturgia propria, è Solennità del Patrono
Un cielo di condoni

Dopo aver parlato loro del Padre, dopo aver chiesto ai discepoli di fare della stessa misericordia il criterio delle loro relazioni, il primo ad andare in "crisi" è il primo degli apostoli. Pietro non riesce a capire l'estensione non misurabile della misericordia.
È di fronte a questa fatica - tipicamente umana - che Gesù torna a parare in parabole. Ripropone a Pietro una introduzione ormai nota: "Per questo, il regno dei cieli è simile a ..." Sembra quasi che Gesù, riprendendo le parabole già dette, voglia ribadire che si sta parlando della stessa cosa. Ciò che Pietro non capisce, ciò che per lui resta una questione "farisaica", una questione di precetti, è che la misericordia rende presente e operante il seme, la perla, il tesoro, il lievito, il pastore, il granello di senape, ecc... 
Ogni immagine parabolica usata da Gesù trova la sua piena realizzazione nell'esperienza della misericordia: cioè nella gratuita del perdono, nella pienezza del dono e nella vicinanza, paziente e premurosa. Nella nuova parabola non c'è nessun riferimento ad un agire misericordioso in ragione di 10, 15 o 20 volte, come neppure di 70. Le logiche che derivano da la misericordia non sono quantificabili, per il fatto che traducono ed esprimono il Regno dei Cieli, realtà esistenziale e di mistero.
Ed ecco che per Pietro si dispiega la logica del condono; da un punto di vista umano è esperienza legate a una legislazione che mira a fare soldi per ricreare una regolarità, nella logica del Regno dei Cieli, il condono supera il tempo ed è la condizione personale in cui ogni discepolo può sentirsi parte della misericordia di Dio, toccato personalmente dalla misericordia, per agire a sua volta, in forza della misericordia.

mercoledì 12 agosto 2020

Ezechiele 9,1-7;10,18-22 e Matteo 18,15-20
Il cielo sulla terra ...

Se la logica del Padre è rivelata nel "nessuno sia perso", con una consequenzialità immediata dell'agire di misericordia, Gesù, ci pone dinnanzi come cambia anche la prospettiva dei suoi discepoli se immersi in questa nuova logica della realtà.
La qualità delle nostre relazioni non può essere il frutto della istintività, cioè della simpatia a pelle; non può essere la conseguenza dei nostri interessi, fossero pure quelli più nobili; non può esserlo perché la misericordia non si motiva per una convenienza ma per la stessa natura dell'amore. Amare è "guadagnare il fratello" con la pazienza della parola. Amare è astenersi dal giudizio istintivo; amare è cercare la riconciliazione comunque. Nell'amare si suppone che il perdonarsi precede ogni conflitto; che il giudizio non guidi i sentimenti; suppone che uno cerchi comunque l'altro; questo cercare l'altro è il primo modo di aiutarlo di fronte a ogni smarrimento.
Nella reciprocità della correzione fraterna si manifesta la rivoluzione della misericordia di cui Gesù è portatore. Questo modo nuovo, corrisponde allo stile del regno dei cieli, che non significa a qualcosa sopra le nostre possibilità, ma a ciò che fa della nostra esistenza di terra, esperienza delle cose del cielo. Nella correzione fraterna, cioè nell'arte di amare, noi poniamo e generiamo delle condizioni di eternità, cioè disponiamo nel tempo ciò che è mistero di eternità, ciò che è nel cielo.

martedì 11 agosto 2020

Ezechiele 2,8-3,4 e Matteo 18,1-14
Nessuno si deve perdere ...

Questa è la volontà del Padre che è nei cieli: "... che nulla sia perso!"
La tenerezza di Dio si dilata dall'attenzione e premura verso i piccoli del regno, fino ad essere un quasi un gesto sconsiderato, fuori da ogni ragionevole possibilità.
Questo Dio che ci propone Gesù è un Dio molto diverso dal solito Proposto o immaginato! Non è il Dio della presenza ineffabile, che abita il Santo dei Santi; non è il Dio a cui offrire profumo o incenso; non è neppure il Dio delle promesse fatte ai padri, colui che fa della sua premura un patto di fedeltà e di amore ...
Gesù ci porta di fronte al cuore di Dio, immergendoci in un abisso di tenera paternità.
Non c'è più spazio alla immaginazione ... Di fronte ai pensieri che affollano a nostra mente, di fronte alle mille spiegazioni che ci possiamo dare per soddisfare il nostro senso morale, Gesù pone questo Dio ci è assoluto, è amore che ci comprende e se siamo sinceri, ci stravolge. È il Dio dei piccoli e di coloro che sono come i bambini, e che si possono permettere di vedere Dio faccia a faccia;  è il Dio che si compiace dell'innocenza e che si erge a difendere i piccoli dallo scandalo di questo mondo. È il Dio che non vuole, non tollera o giustifica lo smarrimento. Questo Dio di tenerezza sembra una rilettura delle nostre fragilità ... Ma forse non è questa la suggestione più bella che Gesù ha condiviso con noi: "il Padre si rallegrerà ...", nell'amarci!
Dio mostra e rivela sé stesso nella gioia che tradisce il suo amore per noi. Ecco in una immagine molto umana, di un l'astore folle, la divina tenerezza di chi è onnipotente! Stupendo!

lunedì 10 agosto 2020

2 Cor 9,6-10 e Giovanni 12,24-26
San Lorenzo, diacono e martire
La gioia del donare/si

Il Vangelo di oggi è un invito personale, ogni tanto Gesù nella parola rivolge questo invito, perché, in realtà riguarda tutti e non una speciale categoria di persone.
La nostra relazione con lui si rende evidente, credibile e ci creta attraverso il nostro vivere, attraverso ciò che facciamo della vita: "Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna"; che significa, lasciare spazio in noi al mistero. È l'invito a non accontentarsi del "vivacchiare"! È l'invito a fare della nostra vita una opportunità inaudita, cioè riempirla della presenza della volontà del Padre. Questo non significa riempirla di rosari, di preghiere, di celebrazioni; questa è la deriva dell'uomo fariseo. Ma riempirla di Dio, significa di gioia, della gioia che è in noi quando facciamo della nostra vita un dono per chi amiamo, un dono per tutti, un dono anche per chi in realtà con noi non ha una relazione significativa .... Fare di noi l'occasione per l'altro, per dare amore, per dare stima, per dare tenerezza, dare ... vita ..., questo è l'unico e vero dono, e quando accade, in noi percepiamo "gioia", cioè scopriamo che il dono è anche in noi. Non sappiamo spiegarla o definirla, questa gioia, è una sorta di percezione di mistero, una specie di conflagrazione che nulla ha di distruttivo se non la dispersione dell'egoismo, dell'egocentrismo.
Ciò che Gesù ci propone è dare alla nostra esistenza il gusto di una vita capace di generare la gioia! Chi altri ... se non Lui!

domenica 9 agosto 2020

1Re 19,9.11-13; Sal 84; Rm 9,1-5; Mt 14,22-33
Quotidianità della fede e del dubbio

"Esci e fermati alla presenza del Signore."
Spogliarsi delle sicurezze, abbandonare la tana che ci protegge ... Uscire significa avere il coraggio di stare alla presenza del Signore.
Un faccia a faccia in cui i suoi occhi guardano dentro i tuoi, e i tuoi non sostengono lo sguardo, come sempre, noi non ne siamo capaci ... 
Il suo sguardo invece entra e vede le mie profondità, le mie ferite, le mie fatiche la mia bellezza ... Vede tutto ...
Ed ecco il Signore passò ... Cosa significa se non che mi affianca, mi supera, si gira e mi guarda ... Al suo guardare discreto e rispettoso, io mi butto a terra, perché sento la sua presenza. È alla tua Presenza, Signore che come Pietro sperimento i frammenti di mistero ...
C'è un frammento piccolo di tempo; una frazione piccolissima di vita, nella quale Pietro si fida completamente a Gesù: "Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque". Ed egli disse: "Vieni!". Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù."
In quell'istante per Pietro non esiste null'altro, non esiste la fatica della navigazione, non esiste il vento forte che si abbatte sulla barca, per lui esiste solo Gesù che camminando sull'acqua del lago sta raggiungendo la barca. La fede di Pietro in quell'istante è "fortissima", anzi, potremo dire che è intimamente unita alla persona di Gesù. Ma basta poco per distrarre il nostro cuore, per incrinare il nostro affidamento. A volte basta solo l'incertezza dei sentimenti o la fragilità dei ragionamenti, e la "fede forte" cede il passo la complessità e problematicità della vita quotidiana ... e allora ci sembra di sprofondare. Questa pagina del Vangelo è così reale che aderisce perfettamente - più di un poco - all'esperienza di tutti. Il Signore non solo provoca l'atto di fede verso di lui, ma anche accoglie e accompagna lo slancio della nostra fede, e anche nella fragilità, basta una "invocazione" che subito la mano del Signore si mostra pronta a stringere con forza la nostra fragilità, e insieme salire sulla barca; insieme a Lui riprendiamo la navigazione. La fede non è il frutto di espressioni assolute, ma la fede è una esperienza di umanità e di continuo contatto col mistero di Dio. Accostare il mistero durante la vita permette di riconoscere il fascino della rivelazione di Dio e l'entusiasmo dei nostri slanci, ma tutto non avviene se non nella immersione nella vita quotidiana.

sabato 8 agosto 2020

Ab 1,12-2,4 e Mt 17,14-20
Non siamo riusciti a guarirlo ...

Questa frase, quante volte è ritornata come un ricorrente ritornello; ... la gente vede i segni compiuti da Gesù e di confronto quegli stessi segni i suoi discepoli non riescono a compierli. Forse è la stessa disarmante situazione che anche oggi i discepoli di Gesù sprone tanto di fronte alla disillusa distanza delle persone.
Gesù si raccoglie la desolata provocazione dei discepoli, ma non per mortificarli, ma per aprire a loro lo sguardo della fede, che nulla ha di magico e tantomeno di automatico rispetto all'agire.
Ma se avessimo fede, veramente anche i nostri gesti, che si ispirano ai suoi, avrebbero un fascino per nulla magico, ma avrebbero una autorevolezza che è quella di Gesù. L'autorevolezza del segno, deriva dalla fede, cioè dal legame personale ed ecclesiale del discepolo di ogni tempo. La fede di cui parla Gesù, è quel l'intima adesione (non intimismo spirituale), ma profonda e progressivamente su tutto, senza esclusione di nulla di noi, è questa esperienza che è capace di una forza inaudita, di un facinoroso che sorprende, al contempo di una docilità che edifica con umiltà; questo sradica e pianta nel mare. Questo avviene nella normalità e senza rumore ...

Ab 1,12-2,4 e Mt 17,14-20
Non siamo riusciti a guarirlo ...

Questa frase, quante volte è ritornata come un ricorrente ritornello; ... la gente vede i segni compiuti da Gesù e di confronto quegli stessi segni i suoi discepoli non riescono a compierli. Forse è la stessa disarmante situazione che anche oggi i discepoli di Gesù sprone tanto di fronte alla disillusa distanza delle persone.
Gesù si raccoglie la desolata provocazione dei discepoli, ma non per mortificarli, ma per aprire a loro lo sguardo della fede, che nulla ha di magico e tantomeno di automatico rispetto all'agire.
Ma se avessimo fede, veramente anche i nostri gesti, che si ispirano ai suoi, avrebbero un fascino per nulla magico, ma avrebbero una autorevolezza che è quella di Gesù. L'autorevolezza del segno, deriva dalla fede, cioè dal legame personale ed ecclesiale del discepolo di ogni tempo. La fede di cui parla Gesù, è quel l'intima adesione (non intimismo spirituale), ma profonda e progressivamente su tutto, senza esclusione di nulla di noi, è questa esperienza che è capace di una forza inaudita, di un facinoroso che sorprende, al contempo di una docilità che edifica con umiltà; questo sradica e pianta nel mare. Questo avviene nella normalità e senza rumore ...

venerdì 7 agosto 2020

Na 2,1.3;30 e,1-3.6-7 e Mt 16,24-28
Perché guadagnare il mondo intero? Se in cambio avrò lo smarrimento della vita?

La consolazione, la soddisfazione e la stima di molti oggi, deriva dal possesso delle cose. A differenza del passato, infatti, gli uomini moderni hanno un enorme ventaglio di possibilità di possesso. Un enorme ventaglio di compensare le oro prue inconsistenze.
Possesso del cellulare; dell'automobile; dei giochi, del tempo, della casa; dei vestiti; ecc... da questo possedere ne veniamo trasformati. Il possesso delle cose del mondo diventa il luogo dei desideri e degli interessi; le cose del mondo diventano il nostro cuore, a loro si legano e si piegano anche gli affetti ... Ne veniamo profondamente condizionati, vincolati, quasi una sorta di plagio. Il desiderio, ne viene in parte appagato, ma immediatamente viene ricollocato nella ricerca di altro ... Un altro che sono "altre cose del mondo!" E cosi ci troviamo immersi in una spirale, dalla quale non ne usciamo più. 
In realtà facciamo esperienza che il nostro "cuore", cioè noi stessi,  non riesce a stare vuoto, anche se minimamente ha bisogno di riempirsi. Meglio sarebbe dire ha necessità di appartenere. È dentro queste dinamiche di pienezza e vuoto; di possesso e libertà che scopriamo la nostra esigenza più profonda, quella del senso della vita, di dare senso alla vita. Ma se siamo vincolati, se siamo saturi delle cose del mondo, ci illudiamo di dare senso alla vita a partire dal mondo e dalle sue "cose"; è lo sforzo di "salvare la propria vita", che ha come epilogo lo sfilarsi della vita come la sabbia dalle mani.
Gesù si propone come alternativa. Gesù si propone come riferimento di pienezza e appartenenza. Nella libertà di seguire lui, le sue parole, il suo ideale di vita, egli ci promette un gusto pieno, ci promette l'esperienza di una libera appartenenza che non tradisce. 





PRIMA LETTURA (Na 2,1.3; 3,1-3.6-7)
Guai alla città sanguinaria.

Dal libro del profeta Naum

Ecco sui monti i passi d’un messaggero
che annuncia la pace!
Celebra le tue feste, Giuda, sciogli i tuoi voti,
poiché il malvagio non passerà più su di te:
egli è del tutto annientato.
Infatti il Signore restaura il vanto di Giacobbe,
rinnova il vanto d’Israele,
anche se i briganti li hanno depredati
e saccheggiano i loro tralci.
Guai alla città sanguinaria,
piena di menzogne,
colma di rapine,
che non cessa di depredare!
Sìbilo di frusta, fracasso di ruote,
scalpitìo di cavalli, cigolìo di carri,
cavalieri incalzanti, lampeggiare di spade,
scintillare di lance, feriti in quantità,
cumuli di morti, cadaveri senza fine,
s’inciampa nei cadaveri.
«Ti getterò addosso immondizie,
ti svergognerò, ti esporrò al ludibrio.
Allora chiunque ti vedrà, fuggirà da te
e dirà: “Nìnive è distrutta! Chi la compiangerà?
Dove cercherò chi la consoli?”».

Parola di Dio

SALMO RESPONSORIALE (Dt 32,35-41)
Rit: Il Signore farà giustizia al suo popolo.

Sì, vicino è il giorno della loro rovina
e il loro destino si affretta a venire.
Perché il Signore farà giustizia al suo popolo
e dei suoi servi avrà compassione.

Ora vedete che io, io lo sono
e nessun altro è dio accanto a me.
Sono io che do la morte e faccio vivere;
io percuoto e io guarisco.

Quando avrò affilato la folgore della mia spada
e la mia mano inizierà il giudizio,
farò vendetta dei miei avversari,
ripagherò i miei nemici.

Canto al Vangelo (Mt 5,10)
Alleluia, alleluia.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Alleluia.

VANGELO (Mt 16,24-28)
Che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita? 

Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà.
Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita?
Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni.
In verità io vi dico: vi sono alcuni tra i presenti che non moriranno, prima di aver visto venire il Figlio dell’uomo con il suo regno».

Parola del Signore


Inviato da iPad

giovedì 6 agosto 2020

Daniele 7,9-10.13-14 (2 Pietro 1,16-19) e Matteo 17,1-9
Si trasfigura davanti a noi?

Una visione, una memoria e un racconto ... Tutto questo potrebbe essere la Trasfigurazione! Nella seconda lettera di Pietro, si percepisce come quella voce pone una svolta alla visione; cessa infatti di essere una immagine straordinaria per riempirsi di contenuto per i destinatari della voce: Pietro, Giacomo e Giovanni e ... oggi, noi!
"Egli infatti ricevette onore e gloria da Dio Padre, quando giunse a lui questa voce dalla maestosa gloria: Questi è il Figlio mio, l’amato, nel quale ho posto il mio compiacimento".
Dove Dio oggi mostra il proprio compiacimento nel Figlio amato? La visione profetica di Daniele anticipa la certezza che il Regno di Dio non verrà mai meno, e che nelle vicende dalla storia, anche attuale, il Figlio dell'uomo costantemente viene, cioè vi prende dimora.
Dove Dio ci parla oggi? Dove possiamo vedere il volto trasfigurato di Cristo? Dove Dio si mostra attraverso la sua presenza gloriosa?
Dio ci parla oggi nella Chiesa che con tante contraddizioni e anche lacerazioni al suo interno, a tutti rinnova l'invito a convertirci al Vangelo. A fare della vita lo spazio della parola di Cristo ... "Chi ha orecchi per intendere intenda"
Il volto trasfigurato, luminoso di Cristo, splende nel volto dei piccoli, dei poveri, degli sconfitti e scartati di questo mondo; non per un senso dettato dalla nostra pietà umana, ma per la volontà di Dio che nessuno dei suoi piccoli subisca scandalo, inciampi nella cattiveria dei fratelli ... "Chi scandalizza anche solo uno di questi piccoli, meglio per lui che si leghi una macina al collo e si getti in mare"! Allora, Sono innumerevoli gli oltraggi a Dio, al Figlio dell'uomo!
La gloria, la presenza e la potenza di Dio, oggi sono nel segno fragile della sua tenerezza. Ogni gesto di tenerezza a in se qualcosa di divino, e quando la tenerezza diviene abbraccio e amore gratuito, allora è proprio rivelazione della gloria dell'onnipotente: "se avete amore gli uni per gli altri"!
Oggi la Trasfigurazione deve essere concretezza, ed esperienza, non può essere e rimanere una visione, una memoria o un racconto, altrimenti si trasforma in una favola.

mercoledì 5 agosto 2020

Geremia 31,1-7 e Matteo 15,21-28
Tiro e Sidone 

Ormai tutto è Tiro e Sidone, forse ci siamo illusi che tutto fosse alla tavola dei figli, o che noi fossimo i privilegiati del banchetto, o forse lo speravamo. In realtà questa immagine del Vangelo non ci parla di una esclusione, della donna cananea, ma di una particolare inclusione. Quel "Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini" attende una pienezza che nell'esperienza viva dei discepoli di Gesù si compie nell' "eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni".
L'immagine della tavola dei figli non possiamo leggerla come esclusività e privilegio; la tavola esprime il dono del pane del cielo, il pane dei figli amplifica la propria disponibilità come nutrimento per tutta l'umanità; il banchetto, dice Isaia, raggiunge il compimento quando sarà per tutti i popoli. È in questa prospettiva che le piccole briciole non sono uno "scarto", sottratto furtivamente da sotto la tavola, ma sono l'esperienza di ciò che anche se piccolo è capace di alimentare la fede nella più certa aridità o infedeltà a Dio. Questa donna ha alimentato la sua fede in Dio con quelle poche briciole dei figli ... Ora quelle fede la porta a stare di fronte a Gesù per ottenere con fede quanto chiede. Gesù in realtà non nega nulla, ma esalta di questa donna la sua fede generata non in Israele ma nella zona di Tiro e Sidone ...