venerdì 31 gennaio 2020

2 Samuele 11,1-17 e Marco 4,26-34
La Parola in Parabole

La parabola e la Parola sono un tutt'uno, la traduzione letterale dal greco dice al versetto 33: "con molte parabole di questo genere esponeva loro la parola, secondo quello che potevano intendere ..."
La parabola quindi non è mai una spiegazione o uno e semplificazione di un annuncio di altro, come se il regno di Dio fosse un'altra realtà. La parabola espone il regno di Dio, la parabola è in modo figurato forma e contenuto del regno di Dio. Ecco allora che la parabola non è una catechesi per i poveri illetterati, ma è già di per sé una proposta immediata del regno di Dio.
Ogni volta che ascoltiamo Gesù che parla la Parola e lo fa in parabole, dobbiamo immediatamente metterci in ascolto, non solo di un contenuto, ma di tutta una esposizione, a tutto tondo, di intelletto, di pensiero, di volontà, di morale, di etica, di scelta, di immagine, di forma ecc ...
La parabola, allora va ascoltata, prima di tutto per essere accolta nella sua pienezza e immediatezza, senza spezzarla attraverso mille intellettualismi e spiegazioni. Gli strumenti esegetici sono funzionali allo studio, non alla comprensione. La parabola nella sua natura va ascoltata, non solo letta, perché è narrazione del mistero di Dio, e va intesa mediante il mistero della nostra umanità. A questo punto verrebbe da affermare che ma parabola rappresenta il luogo ideale di incontro tra la parola di Dio (il suo mistero) e il mistero dell'uomo. Ma questo luogo di incontro cos'altro è se non il regno di Dio? Dio non si limita a cercare l'uomo, Dio vuole trovare e abbracciare la nostra umanità. Alla luce di questo riascoltiamo le parabole, cioè la Parola, dalla bocca di Gesù.

giovedì 30 gennaio 2020

2 Samuele 7,18-29 e Marco 4,21-25
Come ascoltiamo?

Dopo la Parabola del seminatore, l'evangelista Marco, chiude con una citazione di Isaia (6,9s): "... affinché guardino, sì, ma non vedano, ascoltino, sì, ma non comprendano, perché non si convertano e venga loro perdonato ..."; citazione che viene ripresa anche da Giovanni (12,40) nel contesto della incredulità dei farisei e dei capi dei giudei riguardo a Gesù. Questo parallelo permette di dilatare la comprensione della reazione alla Parola del Signore. Quella Parabola, nel momento in cui viene proclamata, ha dato fastidio: tra chi non riesce ad applicarla alla vita; chi la sente invadente; chi si sente smascherato e messo allo scoperto; queste Parole sono scomode, oppure sono quella luce che serve per illuminare la casa! La luce non serve per essere nascosta, ma serve all'uomo per vedere e riconoscere la realtà. Senza la luce la realtà non ha significato, resta tenebra. Chi ha ascoltato si è sentito quindi toccato nella propria fede e nella coscienza, circa il frutto che si è calaci di generare nella relazione con Dio e soprattutto circa lo stato della propria vita: quale terreno ciascuno rappresenta? Nel commento, che riferiamo a Gesù, viene tratteggiato un suggerimento per il discepolo. Ovvero per essere veramente discepolo, occorre ascoltare la Parola: "Se uno ha orecchi per ascoltare, ascolti!».
Diceva loro: «Fate attenzione a quello che ascoltate. Con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi; anzi, vi sarà dato di più. Perché a chi ha, sarà dato; ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha."
È dall'ascolto, che si è plasmati, è ascoltando che si è riempiti e si assumono i criteri delle scelte della vita. Solo in questa prospettiva la relazione con Gesù resta rilevante, altrimenti assumiamo l'irrilevanza cristologica come condizione della fede come prassi.
2 Samuele 11,1-17 e Marco 4,26-34
La Parola in Parabole

La parabola e la Parola sono un tutt'uno, la traduzione letterale dal greco dice al versetto 33: "con molte parabole di questo genere esponeva loro la parola, secondo quello che potevano intendere ..."
La parabola quindi non è mai una spiegazione o uno e semplificazione di un annuncio di altro, come se il regno di Dio fosse un'altra realtà. La parabola espone il regno di Dio, la parabola è in modo figurato forma e contenuto del regno di Dio. Ecco allora che la parabola non è una catechesi per i poveri illetterati, ma è già di per sé una proposta immediata del regno di Dio.
Ogni volta che ascoltiamo Gesù che parla la Parola e lo fa in parabole, dobbiamo immediatamente metterci in ascolto, non solo di un contenuto, ma di tutta una esposizione, a tutto tondo, di intelletto, di pensiero, di volontà, di morale, di etica, di scelta, di immagine, di forma ecc ...
La parabola, allora va ascoltata, prima di tutto per essere accolta nella sua pienezza e immediatezza, senza spezzarla attraverso mille intellettualismi e spiegazioni. Gli strumenti esegetici sono funzionali allo studio, non alla comprensione. La parabola nella sua natura va ascoltata, non solo letta, perché è narrazione del mistero di Dio, e va intesa mediante il mistero della nostra umanità. A questo punto verrebbe da affermare che ma parabola rappresenta il luogo ideale di incontro tra la parola di Dio (il suo mistero) e il mistero dell'uomo. Ma questo luogo di incontro cos'altro è se non il regno di Dio? Dio non si limita a cercare l'uomo, Dio vuole trovare e abbracciare la nostra umanità. Alla luce di questo riascoltiamo le parabole, cioè la Parola, dalla bocca di Gesù.

mercoledì 29 gennaio 2020

2 Samuele 7,4-17 e Marco 4,1-20
Gesù semina la Parola!

Passata la prima ostilità dei giudei; affrontata la reazione della propria famiglia, Gesù riprende a parlare del Regno di Dio, lungo la "spiaggia" del lago di Galilea, attraverso metafore particolari che sono le parabole. Sono immagini che prese dalla vita reale coinvolgono direttamente ciascuno nel ripensarsi dentro la narrazione e hanno come conseguenza una reazione morale ovvero una spinta alla conversione, al cambiamento. È questo il modo attraverso il quale Gesù si relaziona da ora in poi, nel suo insegnare, cioè nel suo farsi conoscere.
Ora, se i suoi più prossimi, lo consideravano "un po' fori di testa", l'insegnamento di Gesù, apre a una nuova comprensione della realtà, al punto che la conversione genera dei discepoli "fuori di testa" e genera altri che restano "fuori" dal Regno. per questi ultimi le Parabole restano irrilevanti, e senza senso; essi sono tutti coloro che non riescono ad avere uno sguardo nuovo su Gesù, ma sono radicati nell'idea che sia un "buon uomo, ma un po' scemo", cioè sia "fuori di testa".
Ma cosa vuole dire Gesù con questa parabola? Sta affermando che il regno di Dio è dato nell'ascolto della Parola da lui insegnata. Questa è la realtà nuova, attraverso cui è dato di accogliere il mistero di Dio come Padre misericordioso pieno di amore e fedeltà. Questo rivelarsi di Dio provoca il modo di essere di fronte a Dio e di comprendere noi stessi. Ed ecco che di fronte a questa Parola possiamo reagire come strada in cui il seme ci viene portato via; come terreno sassoso, in cui non abbiamo cura sufficiente e il seme perde rilevanza; come rovi in cui la parola è schiacciata dalle nostre sovrastrutture; come terreno buono che è la disponibilità ad accogliere, ma forse per questa esperienza occorre essere "un poco fuori di testa".

martedì 28 gennaio 2020

2 Samuele 6,12-15.17-19 e Marco 3,31-35
Fare la volontà di Dio, sempre!

Per più di vent'anni, Gesù ha vissuto a Nazareth, nel silenzio di un villaggio di pastori, nel nascondimento di una casa, tra le rocce e la valle; nell'intimità dell'affetto di Maria e Giuseppe e nella compagnia fraterna di quello stretto gruppo di parenti e amici. Ma questa ricostruzione forse non è l'unica possibile. Credo che alla tranquillità di Nazatreh dobbiamo aggiungere tutto ciò che, nonostante la marginalità nascosta di questi anni, Gesù abbia comunque fatto un cammino di profonda introspezione di sé stesso e di presa di coscienza della realtà e del mistero di Dio, del Padre, che progressivamente gli si rivelava. Ed ecco che quando Gesù scende a Cafarnao, per la sua famiglia, inizia il tempo della fatica: "ma cosa gli stava succedendo", invece di pensare a trovarsi una ragazza e a farsi una sua vita, questo pensa al "Regno dei cieli", a scacciare i demoni, a fare il "maestro" e a interpretare la Legge e i Profeti ... Effettivamente per tutti coloro che lo conoscono di lui dicono che è un "buon ragazzo", ma per tutti, ora lui è fuori di testa, in altre parole, è un "poco scemo". Attenzione, perché saranno proprio queste persone che lo hanno conosciuto in un momento non sospetto, che daranno origine alle prime comunità di discepoli, proprio in quei luoghi in cui Gesù ha vissuto in modo anonimo e quasi nascosto: Nazareth e Cafarnao.
Fare la volontà di Dio cosa significa? È Dio nella sua libertà e volontà, nel suo esistere che si rivela e non si aggiunge; si manifesta e non si impone; si condivide senza consegnarsi, ma rimanendo nella sua identità. Tutto questo Gesù riconosce e percepisce per sé stesso rispetto al Padre, e attraverso la realtà della quale pure lui è partecipe. Fare la volontà di Dio non è quindi un semplice agire morale, ma è un essere e un esserci in relazione a Dio, e alla Sua rivelazione: secondo la storia della salvezza.

lunedì 27 gennaio 2020

2 Samuele 5,1-7.10 e Marco 3,22-30
Iniziano a parlarne male da subito ...

Ciò che Marco presenta è una vera "missione" di disturbo, di messa in discredito dell'opera di Gesù. Si è soliti parlare a questo punto del Vangelo della "crisi galilaica": Quelli che vogliono bene a Gesù dicono che egli è buono, ma è un po' scemo (è fuori!); quelli che gli vogliono male dicono che è furbo, cattivo è diabolico (è posseduto da Belzebù). Siamo all'inizio del "ministero pubblico" e da Gerusalemme di questo "giovane rabbi" sembra proprio ne abbiano già parlato. Tutti, anche noi oggi, siamo invitati a guardare a Gesù, ma è pur vero che ciascuno lo guarda con il suo modo di vedere. Ed ecco come la reazione di Gesù, saggiamente pacata, ci disarma rispetto al pregiudizio, ci tratta con benevolenza, anche se le accuse sono estremamente cattive e insidiose. Ma è proprio un maestro come questo che ci occorre per convertire il nostro guardare ristretto e violento, occorre quella esperienza di misericordia capace di perdonare anche ogni resistenza e rifiuto di Dio (ogni bestemmia detta dall'uomo sarà perdonata). Di fronte a tanto amore chi sarà disposto a continuare a rinnegarlo e a rifiutarlo; fino al punto di separarsi volontariamente e completamente dal Figlio di Dio? Questa è la bestemmia contro lo Spirito; per questa non agisce la misericordia, perché non c'è un minimo spiraglio e voglia di conversione!

domenica 26 gennaio 2020

Is 8,23b-9,3; Sal 26; 1 Cor 1,10-13.17; Mt 4,12-23
Il Pescatore

"Pescatore di uomini", purtroppo siamo abituati a pensare a ciò che dice Gesù, piuttosto che ad immaginare cio che Gesù dice in quanto riflesso
di se stesso.
Arrivato a Cafarnao, Lui un montanaro, e insieme un "ciappinaro", si trova a vivere in una cittadina di pescatori. Deve imparare ad adattarsi alla vita e forse pure alle occupazioni e a quel lavoro prevalente. Cafarnao è una cittadina importante sul lago di galilea, un mercato, una intensa attività mercantile e di pesca. Come fa Gesu a dire vi farò pescatori di uomini se non ha in mente cosa significa pescare ...
Essere pescatore ... Gesù camminando sulla riva del lago, scrutando il lavoro che si compiva sulle barche, ha imparato a riconoscere e stimare quella dura fatica ... Quante notti senza nulla pescare, quanta fatica nel governare le barche instabili e realizzate con legni di fortuna. Ma Gesù guardando l'attivita di quei pescatori e in particolare di quelli che ha scelto come amici, impara, osserva e arriva a comprendere come quel modo di essere si addice la discepolo del Regno dei Cieli. I pescatori di uomini, non sono dei favoriti, neppure dei fortunati che svolgono una mansione ben retribuita ...
La delusione delle reti vuote è quella che si sperimenta nella ingratitudine, nel rigetto, nel non riuscire a coinvolgere e condividere. Pescare gli uomini, non è facile, perchè non è detto che si voglino e si lascino pescare.
La fatica del lago agitato e delle notti insonni non è forse la contrarietà e l'indifferenza che a volte si traduce in rifiuto e ostilità?
Lui, Gesù stesso si identifica nel duro lavoro dei suoi amici, di quelli che ha chiamato a sè e ... a loro porta il suo modo di rileggere il loro essere pescatori e il suo essere il Pescatore.

sabato 25 gennaio 2020

Atti 22,3-16 e Marco 16,15-18
Festa della conversione i San Paolo
Tornate all'origine ...

Cosa vuole dire essere cristiani? Cosa significa essere discepoli di Gesù?
Per san Paolo (Saulo) è evidente come risposta alla voce di Gesù, che chiede ragione della versione e della persecuzione: "Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?”. Io risposi: “Chi sei, o Signore?”. Mi disse: “Io sono Gesù il Nazareno, che tu perseguiti”.
Ma è proprio quel momento, quell'incontro che diviene "chiamata e vocazione alla vita cristiana". Ecco allora come essere cristiani è l'appartenenza nella relazione con Gesù, realtà proposta, scelta e liberamente accolta. Ma tutto questo non può esprimersi in una vita di osservanza di precetti, di regole di comandamenti. Se essere cristiani fosse questo, che vocazione sarebbe? Sarebbe solo una gabbia esistenziale, non la libertà dei figli di Dio. I precetti, i comandamenti, le regole, o sono un aiuto è uno spazio di libertà oppure sono una prigioniera è una condanna. Ma è proprio solo questo che rappresenta l'essere cristiani?
Evangeli Gaudium n. 120. In virtù del Battesimo ricevuto, ogni membro del Popolo di Dio è diventato discepolo missionario (cfr Mt 28,19). Ciascun battezzato, qualunque sia la sua funzione nella Chiesa e il grado di istruzione della sua fede, è un soggetto attivo di evangelizzazione (...) nessuno rinunci al proprio impegno di evangelizzazione, dal momento che, se uno ha realmente fatto esperienza dell’amore di Dio che lo salva, non ha bisogno di molto tempo di preparazione per andare ad annunciarlo, non può attendere che gli vengano impartite molte lezioni o lunghe istruzioni. Ogni cristiano è missionario nella misura in cui si è incontrato con l’amore di Dio in Cristo Gesù (...). Anche san Paolo, a partire dal suo incontro con Gesù Cristo, "subito annunciava che Gesù è il figlio di Dio" (At 9,20). E noi che cosa aspettiamo?

venerdì 24 gennaio 2020

1 Samuele 24,3-21 e Marco 3,13-19
Una chiamata personale

Con quel "chiamò a sé quelli che volle", rischiamo spesso di farci l'idea di un gruppo di apostoli, funzionale alla missione che il Signore gli affida ed espressione di un nucleo che definiamo origine della Chiesa, smarrendo però la dimensione personale della chiamata da parte di Gesù. È quel: "quelli che volle", che trascuriamo o semplicemente comprendiamo solo parzialmente come espressione di volontà e di libera scelta preferenziale da parte del Signore. Oggi vorrei soffermarmi invece sulla singolarità di cui si compone questa scelta particolare a costituire il gruppo dei didici. Essi non sono dei privilegiati rispetto al resto che sembrerebbe essere a questo punto scartato. Questa sarebbe la visione tipica della logica aziendale e selettiva di un ufficio "personale". Nella situazione del Vangelo, la chiamata ad essere gruppo è l'espressine di relazione profonda e feconda; dice la cifra dell'amicizia con il Signore. Gesù non è il superiore di una congregazione religiosa, come neppure il maestro che in cattedra insegna ed elargisce il tesoro della sua sapienza; non possiamo dimenticare cosa disse e fece Gesù (cap. 13 del Vangelo di Giovanni) nell'ultima cena: lavò i piedi ai discepoli; si mise a servirli e lì chiamo amici.
Ecco allora che quel "chiamo quelli che volle" anticipa esprime e riassume quanto dice subito dopo: "Simone, al quale impose il nome di Pietro, poi Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni fratello di Giacomo, ai quali diede il nome di Boanèrghes, cioè “figli del tuono”; e Andrea, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo, figlio di Alfeo, Taddeo, Simone il Cananeo e Giuda Iscariota, il quale poi lo tradì". Li chiamò uno per uno, ciascuno con la personale e per la singolare storia ed amicizia con Lui. 

giovedì 23 gennaio 2020

1 Samuele 18,6-9; 19,1-7 e Marco 3,7-12
La calca ...

Gente attorno a lui da ogni parte sulla sponda di quel lago di Galilea, ormai diventato la sua casa, una calca tale, al punto che quasi ne viene travolto; schiacciato dai loro corpi; pressato anche dai loro bisogni, dalle loro malattie e dal loro desiderio di poterlo toccare. Questa è l'immagine del Vangelo di oggi. Tra quella folla sconfusionata, spiccano quelle parole dei posseduti, che danno testimonianza di Lui: "tu sei il Figlio di Dio".
Questa mattina, nel corso del pellegrinaggio in Terra Santa, ho celebrato la Messa sul Golgota; il Vangelo era quello della Messa della passione, della crocifissione e morte secondo l'evangelista Matteo. Anche lì folle e gente, una calca che quasi schiaccia il Signore ... lo schiaccia fino a portarlo a morire. Se sul Lago di Galilea l'unica via di fuga era una barchetta, qui sul Golgota l'unica via di fuga è la croce. Anche qui sul Golgota, risuona una frase ..." Se è il figlio di Dio" ...
Tu sei il Figlio di Dio che è dentro la storia degli uomini, cioè il figlio che si coinvolge con la storia di ciascuno, non resta il Dio assoluto e all'esterno, magari attento ma ugualmente distaccato. Il Figlio di Dio è colui che viene sempre riconosciuto a partire dalla nostra umanità, anche ferita è segnata dal peccato e dal male. Ma Gesù non si sottrasse a essere toccato, e le vie di fuga, alla fine sono le vie attraverso cui il Signore si immerge completamente in noi. 

mercoledì 22 gennaio 2020

1 Samuele 17,32-51 e Marco 3,1-6
Essi tacevano

Ed essi tacevano. Il silenzio di chi non controbatte alle argomentazioni di Gesù, un silenzio sordo di fronte a un gesto di amore del Signore, un silenzio che vuole presagire una efficace vendetta da consumarsi al momento opportuno.
Sono i silenzi colpevoli di chi non accoglie la misericordia come criterio del cuore ...
Il cuore sclerotizzato è incapace di agire per amore, è incapace di aprirsi in un dialogo senza pretese e si dimostra inadatto alla vita dell'uomo amato da Dio. Il cuore indurito acceca lo sguardo lasciando l'uomo in una conduzione di distacco e senza sentimenti per il proprio fratello. Di fronte al grido di chi soffre, di chi è fragile, il nostro silenzio risulta imbarazzato e imbarazzante è semplicemente la conferma di un futuro complotto per nascondere la nostra vergogna. Ma che cosa ha fatto Gesù? Non ha fatto nulla se non compiere nel giorno di sabato ciò che è segno dell'amore di Dio: liberare dalla paralisi della morte. Il gesto che Gesù compie dice come l'amore di Dio Padre vuole sciogliere la paralisi che ci sottrarsi alla grande giorno della festa, il Shabbat.
Di fronte al loro tacere, Gesù pone la sua indignazione, la sua umana irritazione, e lo sconcerto per la loro durezza. Il loro cuore indurito, non è capace di altro, se non di progettare morte e vendetta. Il nostro cuore non è immune dal male del silenzio, capace di giustificare anche la paralisi della morte; Gesù si pone proprio di fronte a tutto questo e sempre apre la mano inaridita. 

martedì 21 gennaio 2020

1 Samuele 16,1-13 e Marco 2,23-28
Il sabato e il nostro cuore

Al tramonto del venerdì, quando il sole scompare all'orizzonte si accendono le prime luci del sabato ... ed ecco che dal silenzio dell'attesa inizia la festa, inizia il "Shabbat". Tutto è un correre, un preparare, tutto è canti e danze,  è Festa a Grande per onorare e obbedire al Yhwh. Questa gioia che ogni sette giorni ancora oggi si rigenera nelle comunità ebraiche è la medesima festa e la medesima gioia che Gesù ha nel cuore che sperimenta e vive come ebreo. Che cosa è il Sabato per un ebreo? 
Il "Sabbath", non è una festa, ma la festa nel senso più pieno. Celebra infatti il compimento divino del più grande miracolo umanamente immaginabile: l’esistenza del mondo. Non solo, del mondo questo giorno settimo, che Dio ha comandato di santificare, rivela il senso e la vocazione nonché la trascendenza.
«Lo shabbat è stato osservato da Dio prima che dall’uomo, scriveva nel XIX secolo il rabbino livornese Elia Benamozegh, ed è proprio perché Dio lo ha osservato che è stato comandato all’uomo di osservarlo a sua volta». È utile, poi, sapere che l’insegnamento di Gesù sul «sabato che è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato» era un’idea diffusa in tutto il giudaismo farisaico dei primi secoli. La si ritrova, con spiegazione annessa, nel Talmud, trattato Yomà, che è dedicato al 'sabato dei sabati' ossia al giorno di Kippur: «A voi uomini è stato dato lo shabbat: ciò comporta che ci sono situazioni in cui si deve osservare lo shabbat e situazioni in cui si può profanarlo non osservandolo se ciò è richiesto dalla salvaguardia della vita». Quanti fraintendimenti e quanto pregiudizio antiebraico è stato costruito su quest’affermazione evangelica, che comparando le fonti trova invece Gesù e i farisei in piena sintonia di vedute.
Vivere la festa, è il vero senso del precetto e del comandamento, cioè fare della vita la festa dell'incontro con Yhwh.

lunedì 20 gennaio 2020

1 Sam 15,16-23 e Marco 2,18-22
Nessuna "toppa" ...

Da quando Gesù ha iniziato ad annunciare il Regno di Dio, il Vangelo è la notizia nuova, in tutta la sua portata cioè quel  "ecco faccio una cosa nuova, non ve ne accorgete?"
La novità è rappresentata nell'annuncio del compimento delle "nozze dell'Agnello di Dio", cioè della Pasqua della passione morte e risurrezione. Sarebbe per noi un controsenso rinunciare alla novità del Vangelo per conservare o fissare attraverso il senso religioso convenzionale, l'esistenza e l'esperienza Cristiana.
Ma non è forse questo che invece accade anche oggi nella Chiesa quando si vuole legare alle persone una cristallizzazione della fede; quando la Chiesa è più una immagine di un apparato o di una istituzione, piuttosto che la vita di un popolo che ama Gesù, crede in lui come Figlio di Dio e Salvatore?
I discepoli di Giovanni digiunano ... i discepoli dei Farisei digiunano ... Ma loro non vivono la gioia delle nozze in cui lo Sposo è la gioia della Sposa. Se smarriamo la gioia di essere di Gesù non saremo mai Vino nuovo, quel vino che ha in sé forza e vitalità per generare e rigenerare vita. Ma anche noi come tanti discepoli delle generazioni passare ci limiteremo a essere una "pezza" per tamponare una rottura di un vestito vecchio che forse più nessuno vorrebbe indossare ... Gesù, lo Sposo, è anche un ottimo stilista,non della modernità, ma del Vangelo, che è la sua nuova linea di tendenza ... Il Vangelo ha ancora tanto da dire alla vita di ciascun uomo, perché è ciò che Dio dice di vero al cuore di ciascuno.

domenica 19 gennaio 2020

Is 49,3.5-6; Sal 39; 1 Cor 1,1-3; Gv 1,29-34
La mia testimonianza del Figlio di Dio.

Al versetto 28, l'evangelista Giovanni, menziona il luogo del battesimo come "Betania, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando". 
Una localizzazione importante per fissare alcuni momenti della storia biblica: sono i luoghi di Elia, del suo passare al cielo, portato da un carro di fuoco; sono i luoghi di Eliseo e del suo passare il Giordano; è il luogo in prossimità del monte Nebo dove Mosé vide la terra della promessa e poi morì; è il luogo del passaggio del Giordano fatto da Giosuè quando entra nella terra promessa, concludendo l'Esodo del popolo di Israele. Certamente la localizzazione fornisce una lettura particolare al battesimo di Giovanni, esso è una immersione di penitenza, di purificazione per chi è ancora oltre il Giordano; per chi ancora non è entrato nella terra di Canaa, nella terra della promessa. Gesù dopo quel gesto entra nella terra di Israele ed inizierà, quello che noi chiamiamo il suo ministero pubblico, l'annuncio della buona notizia: la salvezza di Dio.
Ma ecco che questo luogo ora assume un significato nuovo, non solo è il luogo del battesimo, ma è il luogo del riconoscimento, il luogo delle testimonianze.
Giovanni Battista, nello stesso gesto compiuto, prende coscienza che Gesù è l'agnello di Dio, il vero sacrificio. L'agnello è stato lavato nelle acque del suo battesimo, per essere preparato al sacrificio sull'altare degli olocausti; lui è il vero sacrifico che toglie il peccato del mondo. Il Battista testimonia ed anticipa la vocazione del Figlio di Dio, e in questa presa di coscienza, tutti ci coinvolge. Coinvolge anche noi, anche a noi è chiesto di dare testimonianza di lui. Testimoniare Gesù, oggi, non significa limitarsi a ripete i racconti del passato, ma significa attestare che Gesù è anche oggi il figlio di Dio, venuto nel mondo ... In un mondo fatto come il nostro nel quale la salvezza che Dio porta all'uomo è ancora più urgente proprio di fronte alla dilagante indifferenza e allo smarrimento della fede che da più parti sembra essere l'epilogo della emancipazione e del progresso umano. 

sabato 18 gennaio 2020

1 Samuele 9,1-4.10.17-19;10.,1 e Marco 2,13-17
 Sono venuto per essere accanto ...

Sembrerebbe che Gesù alterni momenti di solitudine e preghiera ai momenti in cui sii erge nei bagni di folla o nelle relazioni un po' con tutti. Ma a guardare bene non esiste alternanza ma continuità. La preghiera crea le condizioni della fraternità agli occhi del Padre, nella solitudine del raccoglimento ogni uomo incontrato e che Gesù deve incontrare viene cercato, visto, amato e unito a sè. Il quadro del Caravaggio della vocazione di Matteo; nel gioco di contrasto di luci e ombre, nella forza dei gesti plastici dei corpi delle espressioni dei volti, traduce in modo esemplare i sentimenti e ciò che il Vangelo prova a narrare. Quanto Gesù ha desiderato Matteo, quanto lo ha cercato, pensato e amato ... "Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori"; proprio quel peccatore lì. Sono venuto per mettermi accanto a coloro che credono di non cercarmi, coloro che mostrano il peccato nella presuntuosa sicurezza e in quella indifferenza che è autoreferenzialità.

Oggi siamo sul monte Nebo - Dt 34,1-10

"Poi Mosè salì dalle steppe di Moab sul monte Nebo, cima del Pisga, che è di fronte a Gerico. Il Signore gli mostrò tutto il paese: Gàlaad fino a Dan, tutto Nèftali, il paese di Efraim e di Manàsse, tutto il paese di Giuda fino al Mar Mediterraneo e il Negheb, il distretto della valle di Gerico, città delle palme, fino a Zoar. Il Signore gli disse: 'Questo è il paese per il quale io ho giurato ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe: Io lo darò alla tua discendenza. Te l'ho fatto vedere con i tuoi occhi, ma tu non vi entrerai!'.
Mosè , servo del Signore, morì in quel luogo, nel paese di Moab, secondo l'ordine del Signore. Fu sepolto nella valle, nel paese di Moab, di fronte a Bet-Peor; nessuno fino a oggi ha saputo dove sia la sua tomba. Mosè aveva centoventi anni quando morì; gli occhi non gli si erano spenti e il vigore non gli era venuto meno. Gli Israeliti lo piansero nelle steppe di Moab per trenta giorni; dopo, furono compiuti i giorni di pianto per il lutto di Mosè. Giosue, figlio di Nun, era pieno dello spirito di saggezza, perché Mosè aveva imposto le mani su di lui; gli Israeliti gli obbedirono e fecero quello che il Signore aveva comandato a Mosè.

venerdì 17 gennaio 2020

1 Samuele 8,4-7.10-22 e Marco 2,1-12
Miracolo solidale

Eccoci nuovamente in quella casa che Dalai a pochi anni ospiterà la prima "Domus Ecclesia" della Galilea; la casa di Simone. Gesù è in casa e subito si diffonde la voce della ha presenza. Dalle case intorno si passa la voce e la gente accorre. Chi può entra nel critica interno del casolare, altri dalle terrazze sui tutti tentano di raggiungere una visibilità accettabile del maestro, che siede là insieme alla famiglia di Simone ... C'è tanta gente, al punto che anche l'accesso sulla strada è intasato ... Una immagine bella, una immagine di attrazione e di mistero. Anche da un'altra parte arriva a voce che Gesù è un in città; siamo nella casa di un paralitico. I suoi famigliari e i suoi vicini, decidono di portarlo dal maestro. Si caricano la lettiga sulle spalle, ma giunti non riescono a fase breccia tra la folla: non si entra! Ecco, che in un gesto di solidarietà collettiva quel lettuccio guadagna un po' alla volta l'altezza del muro è giunto sul tetto terrazzato, viene passato di mano in mano, e superato anche l'ultimo impedimento, coloro che sono più vicino a Gesù accompagnano il lettuccio e lo adagiano davanti al maestro. Nessuno aveva organizzato nulla ... tutto avviene con improvvisazione, ma in un gesto di fede collettiva, tutti in quel muoversi verso il maestro esprimono la loro fede che Gesù può e deve guarire quel paralitico. Gesù è stupito, meravigliato dalla loro fede. È la fede semplice, ma di un popolo. È la fede solidali di una umanità buona che partecipa ed è compassionevole della fragilità del fratello. Il discepolo di Gesù vive anche di questa fede solidale.

giovedì 16 gennaio 2020

1 Samuele 4,1-11 e Marco1,40-45
Purificazione ... più che guarigione ...

La guarigione del lebbroso è uno dei miracoli più noti del nuovo testamento, e ha nei sinottici (Matteo, Marco e Luca) una tipologia fissa e definita. Rileggendo il brano di Marco riusciamo a percepire da un lato il dramma di un uomo, che si sente sconfitto, che percepisce la distanza con tutti, il disaggio degli altri, che si riconosce abbruttito e per questo scartato, ripudiato ... e secondo la Scrittura, certamente impuro, quindi peccatore e colpevole di fronte a Dio. L'altro lato del racconto mette in risalto Gesù che con estrema determinazione e autorità compie una serie di azioni che sono causa del miracolo, che per Gesù è la guarigione da una malattia, ma per il senso comune è purificazione. Cosa c'è di strano nella dinamica del miracolo? Stride, e a fatica comprendiamo il tema del rimprovero: "E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito ..."
Alberto Maggi a proposito riflette: "Cristo rimprovera l’ex lebbroso per aver anche solo pensato che Dio lo avrebbe escluso dal suo amore. E lo caccia via dal luogo simbolico, dalla sinagoga, dall’istituzione religiosa, che invece insegnava l’immagine terribile di un Dio che minacciava, castigava e allontanava le persone da lui. Come ha potuto credere di essere abbandonato da Dio?"
È possibile anche oggi travisare l'immagine di Dio attraverso ciò che il formalismo religioso e moralista, tramanda della relazione con Dio.
La Chiesa ha un grande compito nel dare corso alla nuova evangelizzazione, condurre l'uomo a percepire la propria relazione con Dio in quel sacro timore che è la tenerezza del misericordioso ... Ma quanto è poi anche difficile rielaborare un Dio buono che si pone accanto e non ci abbandona nemmeno nelle nostre scelte di male ...
A volte è preferibile un Dio giudice, severo e distante ... Ma la nuova immagine di Dio è quella Originaria. 

mercoledì 15 gennaio 2020

1 Samuele 3,1-10.19-20 e Marco 1,29-39
Immersione nella vita.

Gesù dimora a Cafarnao, vive con Simone e Andrea, tutto sembra svolgersi in una "quasi" normale quotidianità. La presenza di Gesù a Cafarnao risulta, stando ai vangeli, come un dato acquisito, Gesù va alla sinagoga, compie gli atti che gli sono permessi, commenta, spiega, parla; ne esce e si introduce a casa dei suoi amici pescatori. La gente della città - "Tutta la città era riunita davanti alla porta" - vive accanto alla sua presenza con ammirazione e con meraviglia, in una sorta normalità, unita al desiderio di contatto con lui: "Tutti ti cercano!". Ma se Dio vivesse accanto a noi, come potrebbe manifestarsi? La vita di Cafarnao è proprio questo vivere di Dio accanto all'uomo; Dio vive accanto e insieme a quella gente, nella loro semplicità e quotidianità, accompagnandosi con le situazioni, i problemi e i ritmi della loro vita, pur senza nascondere o negare il suo essere Dio, verbo incarnato.
A Cafarnao si vedono i moti e i tempi dell'uomo, come interagiscono con quelli di Dio, attraverso la vita di Gesù. Il racconto scende nel particolare del mattino presto, quando Gesù si sottrae alla "città" per pregare. Almeno questo è ciò che percepiscono Simone e gli altri che sono usciti a cercarlo. Il Gesù umano, recupera nella preghiera la relazione fondate ed identitaria con il Padre, quasi si ripete l'esperienza di Samuele (prima lettura), che nella notte, lontano da tutto e da tutti, si sente chiamato, e a partire dalla sua disponibilità - "Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta" - riconosce una esperienza di tenerezza e prossimità: "Venne il Signore, stette accanto a lui".
Che cosa ricerca Gesù in quel suo portarsi ai margini della vita, alle soglie del deserto per pregare il Padre, se non una prossimità un sentirsi vicino, accanto il Padre che egli ama e che con la sua presenza, e col la sua Parola da senso al suo andare per città e villaggi (di Galilea) a predicare?

martedì 14 gennaio 2020

1 Samuele 1,9-20 e Marco 1,21-28
Cosa accade a Cafarnao?

Gesù, passerà molto tempo a Cafarnao, non certo qualche giorno, i vangeli non ci danno ragione della sua permanenza, ma il radicarsi - dopo i fatti della passione, morte e risurrezione - di una comunità di discepoli, legati alla famiglia di Pietro, fa supporre che in quel luogo Gesù abbia dimorato e che in quel luogo abbia intessuto tali relazioni, il cui ricordo è stato generativo della fede in lui come Messia e Salvatore. Il Vangelo di Marco ci mostra un tratto di Gesù come liberatore dal male. È una caratteristica trasversale alla "buona notizia" il confronto/scontro col male, con gli spiriti immondi. In realtà questo confronto ci descrive in radice la salvezza operata dal sacrificio di Cristo. Gesù venendo nel mondo, non ci condivide una filosofia di vita e nemmeno istituisce una nuovo consenso sociale, egli rivela nella sua esistenza umana la salvezza come vittoria sul male/satana e sulla morte come privazione per l'uomo dell'amore del Padre. È l'amore di Dio che attraverso l'umana vita del Figlio coinvolge la vita dell'uomo e la libera eternamente dal male. Ciò che succede a Cafarnao è la anticipata e storicizzata sconfitta dell'iniquità ad opera del Santo di Dio. Oggi occorre avere occhi per vedere oltre l'esorcismo, occorre stupirsi come si stupirono i vicini di casa di Gesù, e come quello stupore insieme alla forza suscitata dalle sue Parole li contagiò, rendendoli terreno fecondo per il seme della fede. 

domenica 12 gennaio 2020

Is 42,1-6.6-7; Sal 28; At 10,34-38; mt 3,13-17
Compiacimento in noi!

Festa del Battesimo di Gesù. Il luogo dove Gesù si è fatto battezzare da Giovanni non trova una localizzazione certa, anche se fin dai primi secoli, le testimonianze dei pellegrini ci portano in questo luogo sul fiume Giordano tra Wadi Kharrar (sponda giordana) o el-Maghtes (sponda sotto il controllo militare d’Israele).
Ciò che avvenne, si comprende dal Vangelo è un gesto che coglie il battista nell'incertezza e forse neppure è compreso bene dalla gente, ma una cosa è chiara: "per Gesù si aprirono i cieli", ciò che avviene sembra proprio essere per Gesù, per l'uomo Gesù Cristo figlio di Dio.
Ci sono due espressioni che dobbiamo recuperare anche per noi, e non solo per Gesù:
a)   Questi è il Figlio mio, l’amato …
Anche noi non dobbiamo mai dimenticare che siamo amati in quanto Figli e questo amore di Dio è la il contenuto della nostra vita, senza amore saremmo morti, senza amore ci spegneremmo … Questo amore è il principio e la condizione che genera le nostre relazioni di fraternità. Se neghiamo l'amore in noi, trasformiamo la nostra umanità in disumanità, in cinico atteggiamento verso l'altro visto come antagonista.
b)   … in lui ho posto il mio compiacimento …
Gesù è il compiacimento del Padre, ne è la sua gioia. Ma anche noi siamo il compiacimento di Dio e la sua gioia. Che bello sapersi riconoscere causa dell’orgoglio paterno, della gioia di Dio, del Padre.
Le letture di oggi, dalla prima lettura al Vangelo, tutto è rivolto a farci conoscere il compiacimento di Dio verso il suo Servo, verso il Figlio, verso Gesù. Un compiacimento che diviene motivo e causa della trasformazione delle cose operata dallo Spirito: "ti ho preso per mano; ti ho formato e ti ho stabilito come alleanza del popolo e luce delle nazioni, perché tu apra gli occhi ai ciechi e faccia uscire dal carcere i prigionieri, dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre". Il Compiacersi di Dio non è passività ma è coinvolgimento in ciò che è è che fa il figlio.
Anche Pietro, scopre e testimonia con meraviglia che il compiacersi di Dio è qualcosa di meraviglioso: "In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga".
Ed ecco che il battesimo di Gesù è compiacenza di Dio perché: "Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nàzaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui". Questo percorso ci permette una osservazione: quale relazione inscindibile esiste tra il battesimo di Gesù e il mio; quale compiacenza di Dio è rivolta al Figlio ma riguarda anche me.
Il compiacimento di Dio ci precede sempre ma è anche il frutto della risposta di fede e non di una simpatia! Fintanto che svuotiamo di significato il mistero ricevuto (oggetto della fede) e ci vantiamo di averlo in questo modo svecchiato, non riconosceremo mai più nessuna compiacenza, saremo solo eco di un ricordo di altro e privi di quella fede umana che è conoscenza dell'amore di Dio. Dio ci plasma nel suo compiacimento, ma noi vogliamo lasciarci plasmare?
Un esempio esplicito di figlio amato e di figlio che è la gioia di Dio è Antonio … prima di essere un Santo è un giovane che cerca di fare la volontà di Dio. Cerca di piacere al Padre, riconosce la Gioia di Dio così come si rivela concreta nella sua vita.

sabato 11 gennaio 2020

1 Giovanni 5,5-13 e Luca 5,12-16
La vita eterna ... Il figlio!

Il passaggio dalla vita di tutti i giorni, fatta di emozioni contrastanti, fatta di fisicità e di relazioni, alla vita eterna fatta di non si sa ... Non è per nulla facile. La ragione non ci aiuta nella comprensione; eppure questa idea abita la nostra mente e soprattutto la nostra speranza. Il dramma dell'uomo nato nel tempo è vedere consumarsi giorno dopo giorno il tempo della vita, e così ... l'avvicinarsi di un termine senza alcuna certezza e garanzia per la propria esistenza. È questo senso di vuoto che da vari secoli abita il percorso della vita dell'uomo occidentale. Riscoprire Gesù come l'uomo del senso, è la prospettiva adeguata o è l'ennesima illusione?
Vincere il mondo! La prima lettera di Giovanni usa spesso questa espressione, "vincere il mondo" ...  Vincere le sue paure; vincere le sue domande irrisolte; vincere tutti i suoi dubbi ... Giovanni dice che solo chi crede in Gesù figlio di Dio, vince il mondo! Non esiste altra possibilità al di là di questa sé non la rassegnazione.
Abbandonarsi alla sua testimonianza, e accogliere la sua vita come esperienza risolutiva, ci conduce a tenere insieme il nostro dubbio umano con la sua testimonianza, cioè il suo esserci.
Il dubbio di senso si unisce alla testimonianza dell'acqua, della sua vita che si è immersa nella nostra; la paura della morte si unisce alla testimonianza della sua morte e del suo sangue versato; la nostra speranza si unisce alla testimonianza dello Spirito che è la sua risurrezione. Ecco che la vittoria di Gesù sul mondo, è il superamento di ciò che il mondo porta in sé come limite. La fede nella vita eterna non è allora lasciarci accompagnare nel quotidiano da colui che ci dà testimonianza di un altro modo di vivere, morire e anche risorgere? Il nostro dubbio non produce una risposta, ma Gesù è in sé stesso già la risposta: "Dio ci ha donato la vita eterna e questa vita è nel suo Figlio. Chi ha il Figlio, ha la vita; chi non ha il Figlio di Dio, non ha la vita".

venerdì 10 gennaio 2020

1 Giovanni 4,19-5,4 e Luca 4,14-22
La nostra fede vince il mondo ...

"Io vivo le mie cose, le mie giornate e sto bene anche senza Dio, anzi, tutto quello che faccio lo faccio indipendentemente dal pensiero che ci sua un Dio e il risultato è che vado bene ugualmente, non mi cambia nulla". È questa la risposta di un giovanissimo, rispetto alla provocazione lanciata dagli educatori per un Natale vissuto senza nessun riferimento a Gesù. Abituati alla "società cristiana", il suo capovolgimento lascia - noi adulti - alquanto disorientati. Certe espressioni suonano come una sconfitta della fede, e soprattutto ci parlano di una indifferenza, rispetto non solo al mistero cristiano, ma soprattutto al senso di Dio. Abbiamo forse esagerato, rivestendo Gesù di una immagine eccessivamente carica di significati. La trasformazione della fede in una "Religione di Stato" non ha fatto bene al cammino dell'uomo in cerca di Dio. Che cosa è la fede, se non un cammino di ricerca attraversando gli spazi della propria esistenza? Ma la ricerca da cosa parte? Parte da una provocazione? Parte da un desiderio irrisolto? Parte da un bisogno di pienezza? Parte dalla nostra stessa umanità che dopo essersi fatta tutta da sé si riconosce inadeguata e riconosce inadeguate le risposte trovate?
Gesù torna in Galilea e sale a Nazareth, quel sabato legge il rotolo e cita il passo di Isaia concludendolo con: "Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato".
Gesù non si crede "il fenomeno" e neppure la soluzione attesa da tutti; egli si percepisce parte nel compimento delle scritture, come colui che fa della sua vita l'annuncio di libertà, la possibilità della guarigione delle nostre cecità, ma soprattutto egli si sente partecipe dell'agire dello Spirito ... che vince il mondo. Il mondo, la nostra vita non è di per sé evidenza di Dio, ma il mondo e la nostra vita rappresentano lo spazio della vittoria della fede. Il mondo cambia, e anche ma nostra vita cambia, se è vinta da un fascino maggiore rispetto a ciò che con le nostre mani siamo capaci di realizzare. Ecco che la provocazione ad amare rappresenta la via per scendere nel nostro profondo alla ricerca di Dio. È questo Dio nascosto che solo allora potremo riconoscere come Signore di tutte le cose.

giovedì 9 gennaio 2020

1 Giovanni 4,11-18 e Marco 6,45-52
Dio rimane in noi!

A cosa serve amare? Serve a compensare un bisogno? Serve per dimostrare la nostra generosità e bontà? È una forma di autostima? È l'apice della nostra fragilità?
Questa frase di 1 Giovanni merita particolare attenzione: "Dio è amore; chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui".
Amare non è il canto di vittoria; amare è altra cosa rispetto alla rivincita sul male e sulle sconfitte della vita. Amare serve a non dimenticare che tutto ha origine in Dio che è amore! L'amore serve a ricordarci che solo nella libertà di un cuore che accoglie - quell'esperienza di amore - germina e diviene fonte di vita. L'amore serve a generare la memoria del "da dove veniamo e dove andiamo".
Rileggo la pagina del Vangelo, quella della attraversata del lago di Galilea, come la drammatica esperienza dell'amare nella quotidiana esperienza del mondo. Quante volte infatti facciamo esperienza della durezza della vita, della violenza dell'invidia, della insensibilità di chi abbiamo accanto, e percepiamo inadeguati o una sconfitta ogni gesto che promuove l'amare, come proposta di superamento o di soluzione. Un amare che per noi è sempre una sconfitta. Ma in realtà l'amore non è sconfitto! L'amore vede la fatica di chi rema nella notte, vede la forza del vento contrario ... ma l'amore cammina sulle acque, e porta con sé quella "pace" che nessun altro ci può guadagnare. Il mare di Galilea resta quella realtà ambigua e drammatica, luogo di un'altra tempesta, ma l'amore, la l'amore di Gesù di rimanere con i discepoli non si estingue, non viene annullato.

mercoledì 8 gennaio 2020

1 Giovanni 4,7-10 e Marco 6,34-44
Amare è da Dio.

Ciò che rende la nostra natura umana, veramente umana è l'amore. È amando e lasciandoci amare che la nostra umanità si apre e dispiega tutte le sue possibilità.
Le nostre rigidità, le nostre oscure paure, le nostre incapacità relazionali ... Tutto questo sappiamo bene che è dovuto a ferite, a scontri, a delusioni rispetto all'amore sperato, ricevuto e donato. L'umano, nella sua straordinaria pienezza di vita e di possibilità, ha un punto di fragilità, ma che ne è anche il centro generativo, l'esperienza dell'amore.
È nell'amore e nell'amare che si impara a riconoscere Dio, dice 1 Giovanni: "amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore".
Anche Gesù vive nella sua persona (divina-umana) la stessa tensione "amorosa", la stessa compassione è espressione di un desiderio profondo di amore per supplire una fragilità vista e riconosciuta. La moltiplicazione dei pani, è proprio un bel miracolo, se pensiamo che quel pane è il modo in cui Gesù amando quella gente, dona la sua vita, cioè dona il suo stesso amore nel segno del pane. Ma non solo, egli coinvolge i discepoli, coloro che già hanno sperimentato l'amore, in un gesto di gratuità senza precedenti: mettere in gioco anche quel poco amore che essi possiedono (cinque pani e due pesci), perché l'amore sarà sempre sufficiente e anche più che abbondante.

martedì 7 gennaio 2020

1 Giovanni 3,22-4,6 e Matteo 4,12-17.23-25
Credere e amare ...

E Gesù si mise a insegnare nelle loro sinagoghe, dove si riunivano il Sabato per ascoltare e capire le scritture, annunciando quella parola buona che Lui chiamava "il Regno", inoltre, se accadeva, guariva le loro malattie e infermità. Tutto questo accade, quando Gesù si trasferisce da Nazareth a Cafarnao. Questi sono i luoghi della sua infanzia, della sua giovinezza ed età adulta; sono gli spazi della sua vita, o meglio, dove la sua vita incontra la vita della sua gente. Ma cosa rappresenta tutto ciò? Cosa significa Gesù per quelle persone che lo incontrano?
La prima lettura, ad un secolo di distanza, ridice cosa significa incontrare Gesù: "significa avere lo Spirito di Dio in noi!" È lo spirito di Dio in noi, che quando accolto nella nostra libertà, è origine della possibilità di credere in Gesù figlio di Dio e ci porta ad amarci gli uni gli altri. È lo spirito che ci da' la possibilità (nella libertà) di vivere il comandamento di Dio attraverso l'esperienza della nostra carne. L'esperienza di Gesù figlio di Dio da Betlemme, Nazareth, Cafarnao, Gerusalemme ecc... è sempre mediata attraverso la carne. Il divino non si sostituisce, neppure si sovrappone o si accompagna con la natura umana, ma è nella carne che si rivela. Ecco che il discernimento dello Spirito in noi avviene nella mediazione della carne, altrimenti sarebbe impossibile la condivisione del mistero di Dio.

lunedì 6 gennaio 2020

Is 60,1-6; Sal 71; Ef 3,2-3.5-6; Matteo 2,1-12
Manifestazione nel mondo e al mondo

Dio non sceglie un mondo irreale, ideale per diventare uomo, ma quella realtà lì della provincia romana di Palestina, con quelle persone e quelle situazioni sociali e politiche.
Per questo vorrei che partissimo da Erode ... Ne abbiamo già sentito parlare altre volte, ma forse conviene rimettere a fuoco, per comprendere anche gli Erodi di oggi.
(...) Eppure Dio, ha tanto amato il mondo da dare il suo unico figlio, perché chiunque crede in lui abbia la vita. E lo ha mandato proprio in un mondo come quello in cui Erode era Re.
L'epifania del Signore è allora l'evidenza del segno; ai Magi d'Oriente è dato di riconoscere e  vedere in un bambino, nella piccolezza della carne, la gloria dell'onnipotente, la sua presenza ineffabile.
È tutto avviene nel nascondimento di Betlemme; nella umiltà di una giovane coppia tra tante; nella povertà essenziale di chi vive con dignità; nella fragilità della nostra carne insufficiente a sé stessa. Ma in realtà tutto questo è un altro mondo! È il mondo delle persone che non hanno la pretesa di prevalere; non hanno la superbia di impossessarsi del potere per vincere sul fratello, per dominare gli altri; non hanno la smania di diventare ricchi e illudersi che la ricchezza rappresenti il senso della vita. Tutto avviene con il favore dei segni della terra e del cielo; dagli astri che tanti vollero interpretare ma che nell'incertezza e nello scetticismo non convinsero nessuno dei dotti sapienti; ma è da questi segni che viene la conferma dell'attesa e della speranza suscitata dalle scritture.
Ai Magi è dato di vedere, toccare e baciare (adorare) ... Cioè di fare esperienza che l'amore di Dio Padre è concreto; come pure la salvezza per l'uomo è possibile, perché quel bambino adorato e amat, è da dato per noi! Venne per noi, e continua a venire per ciascun uomo amato da Dio. I Magi non sono fantasie di una fiaba come la "mille e una notte", ma essi sono noi ... siamo noi di fronte al dono del mistero di Dio. Ecco che di fronte al Dio bambino, ci portò la mia fragilità umana che per lui è oro; ci porto la mia vita destinata alla morte, che per lui è mirra; ci porto il grido della mia supplica delle mie parole rivolte a colui che è misericordioso, porto incenso per lui ... In quel nascondimento, e in quel luogo sperduto e anonimo, provarono una gioia grandissima, la stessa che oggi proviamo noi se ci mettiamo col cuore capace di un sentimenti umani, davanti al bambino di Betlemme.

domenica 5 gennaio 2020

Sir 24,1-4.12-16; Sal 147; Ef 1,3-6.15-18; Gv 1,1-18
Dopo le feste cosa resta nella vita.

(...) La liturgia oggi ci consegna ancora una volta il Prologo del Vangelo di Giovanni, ora non basta certo leggerlo come un bel testo poetico, esso va pensato come una vera comunicazione, come un grido che vuole esprimere il mistero che prende dimora in noi.
Il prologo rappresenta la Parola di Dio che venendo nel mondo racconta di sé stessa, e si identifica in quel bambino che è nato a Betlemme. Tutto il Vangelo è nel Prologo, compreso anche il motivo di tutto: "Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato".
Quale è allora la conseguenza oggi del Natale del Signore? Che cosa ci rimane del Natale dell'essere diventato uomo, Dio?
Credo che tutto debba partire dal suo Venire, egli in realtà, come ci racconta il Prologo di Giovanni, pone nel suo Venire il suo esserci continuamente. Egli entra nella realtà creata e si stabilisce lì dove c'è la vita dei figli di Dio. Gesù nel suo nascere trasforma e trasfigura un semplice è comune evento umano; ciò avviene nel consegnarsi di Dio  nell'offerta di Dio alla nostra storia, alla nostra umanità, sia personale che collettiva/universale. L’Evangelista non nasconde la drammaticità della Incarnazione del Figlio di Dio, sottolineando che al dono d’amore di Dio fa riscontro la non accoglienza da parte degli uomini. La Parola è la luce, eppure gli uomini hanno preferito le tenebre; la Parola venne tra i suoi, ma essi non l’hanno accolta, hanno chiuso la porta in faccia al Figlio di Dio. È il mistero del male che insidia anche la nostra vita e che richiede da parte nostra vigilanza e attenzione perché non prevalga. Siamo invece chiamati a spalancare la porta del nostro cuore alla Parola di Dio, a Gesù, per diventare così suoi figli. Se lo accogliamo, se accogliamo Gesù, cresceremo nella conoscenza e nell’amore del Signore, impareremo ad essere misericordiosi come Lui.
Accostarsi al Vangelo, meditarlo, incarnarlo nella vita quotidiana è il modo migliore per conoscere Gesù e portarlo agli altri. Questa è la vocazione e la gioia di ogni battezzato: indicare e donare agli altri Gesù. 

sabato 4 gennaio 2020

1 Giovanni 3,7-10 e Giovanni 1,35-42
Chi non è da Dio ...

La prima lettera di Giovanni riduce tutto all'essenziale essere o non essere da Dio, e di conseguenza essere dal peccato ovvero venire/essere dal diavolo. Forse una riduzione così  estrema ci sta un poco stretta, ma per Giovanni, per lui che ha conosciuto Gesù, a partire da quelle esperienze intime di "chiamata", come quella scritta oggi nel Vangelo, la relazione con Gesù rappresenta la piena manifestazione dell'essere da Dio.
"Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio"... Quel momento si fissa per sempre nel tempo della loro vita, al punto di divenirne il momento di svolta: da quell'incontro tutta la loro vita prenderà un'altra direzione, avrà altri riferimenti, sarà per un compimento tutt'altro che scontato. Superato il momento dell'entusiasmo, è quanto Gesù ti ha dato; come lui ti ha affascinato e convinto; quanto lui abbia preso dimora nei tuoi sentimenti e nei tuoi pensieri, che fa e farà anche in futuro la differenza. Non conta nulla la dottrina insegnata e imparata, ben poco contano parole accorate e testimonianze di altri ... È quanto le parole del Vangelo traducono e propongono l'incontro personale di Gesù e con la vita, che, o si incidono e lasciano il segno oppure tutto resta immutato. Ma è proprio quel segno di Lui, accolto e custodito, che fa di un uomo un discepolo, e ci fa sentire "di essere da Dio".

venerdì 3 gennaio 2020

1 Giovanni 2,29-3,6 e Giovanni 1,29-34
Eppure siamo figli di Dio ...

Essere figli di Dio cosa importa e a chi interessa realmente? È un desiderio, è una necessità di relazione che mi fa figlio, non certo un certificato dell'anagrafe Comunale.
Forse è questa mancata relazione che mette in evidenza la condizione di chi è orfano di Dio, orfano di una paternità divina che se riconosciuta cambia radicalmente lo sguardo sul mondo, le persone e le cose.
Essere figli di Dio cosa vuol dire? Che Dio è in nostro creatore? Che ci ha voluti da sempre? Non credo, l'apostolo Giovanni, nella 1 Lettera cita queste parole: "Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!"
Il nostro essere figli ha origine nell'amore di Dio, è conseguenza dei suoi sentimenti e della sua stessa natura. Ma questo amore non resta estetico, ovvero in cielo. L'amore, dice Sant'Agostino, ha nella manifestazione verso i fratelli, la prima possibilità di rivelarci l'amore di Dio; ebbene Dio è padre perché manifesta il suo amarci attraverso la concretezza storica di Gesù, uno figlio. L'amore esiste in quanto vi certezza. Il Vangelo i oggi ci porta proprio a questa consapevolezza: la nostra redenzione, la nostra salvezza, la nostra liberazione dal male è opera di Gesù, ma ha origine nell'amore di Dio, nell'amore dell'unico vero Padre, Gesù è concretezza di un Padre che ama.
È solo questa prospettiva, che superando ogni dovere etico, da senso alla conversione dei nostri stili di vita.

giovedì 2 gennaio 2020

1 Giovanni 2,22-28 e Giovanni 1,19-28
Giovanni è solo la voce ...

È proprio uno scarso progetto pastorale, quello di Dio, inviare il proprio Figlio nel mondo affidando tutta la preparazione alla pienezza del Regno alla predicazione di Giovanni.
Una pozza di acqua, una immersione, una folla di illusi e sfiduciati che si domandano cosa dobbiamo fare ... Una indagine, istruita da Gerusalemme, per indagare cosa è quella strana pratica con l'acqua e quell'invitto al conversione. Ripercorrendo la storia della salvezza, con Abramo, Giuseppe viceré di Egitto, con Mosè, con Giosuè e con Davide ecc... e con molti altri, Dio ha manifestato il suo agire in modo più grandioso ed eloquente, almeno per ciò che ci racconta la Scrittura ... Ora invece tutto si nasconde in un segno ambiguo per molti è in una Voce che grida, in un deserto sperduto, dove ben pochi sono coloro che ascoltano. Anche oggi questa immagine disorienta, perché pensare al mistero di Dio, al suo esserci per ciascuno di noi attraverso un segno piccolo e una voce fragile, ci pare inadeguato: inadeguato al mistero stesso di Dio. Ma forse non è che anche la realtà così emancipata da Dio, così aliena dal mistero, sia per certi versi inadeguata ad esprimere la presenza di Dio?
1 Giovanni ci aiuta a non perdere il "fuoco" rispetto alla visione del mistero: "l’unzione che avete ricevuto da lui rimane in voi e non avete bisogno che qualcuno vi istruisca"
Ciascuno di noi ha la responsabilità di conservare e custodire l'intima presenza di Gesù, l'affetto per Gesù, il volergli bene; amare la sua vita, cercarlo nella prova, ricordarlo nella giornata, ringraziarlo per la gioia e la contentezza che sperimentiamo ... Tutto questo è conseguenza dell'unzione ricevuta, da lui. Unzione è consacrazione - non un rituale formale- ma la sacralità che si rispecchia in noi è quella del nostro corpo (fisicità); quella della vita (esistenza); delle relazioni (affettività); della morte (eternità).

mercoledì 1 gennaio 2020

Numeri 6,22-27; Salmo 66; Galati 4,4-7; Luca 2,16-21
Maria Madre di Dio, ... riposa mamma!

È una mamma stanca, e che riposa, quella rappresentata nella immagine di questo primo giorno dell'anno. Una immagine inusuale che anche Papa Francesco ha descritto per la tenerezza concreta che emana.
Un presepe in cui Maria dorme tranquilla, mentre un sorridente Giuseppe culla il Bambino come un padre moderno e affettuoso: a questa immagine nuova e per molti aspetti rivoluzionaria della Natività ... rivoluziona l’iconografia classica della Madonna che veglia su Gesù mentre Giuseppe è solitamente in disparte, intento a reggere una lampada o un bastone, talvolta a ricevere i Magi coi loro doni.
È stato Francesco stesso a spiegare la sua scelta: "Ieri mi hanno regalato un’immaginetta di un presepe speciale, piccolina, che si chiamava: Lasciamo riposare mamma. C’era la Madonna addormentata e Giuseppe con il Bambinello, che lo faceva addormentare. Lasciate riposare mamma è la tenerezza di una famiglia, di un matrimonio"Il presepe è un Vangelo domestico. "Il presepe è più che mai un’immagine artigianale di pace. Per questo è un Vangelo vivo".
Questa immagine ci spinge a desiderare di prenderci cura della sacra famiglia, a prenderci cura di Maria, ci suggerisce di lascarla riposare, per non gravare ulteriormente la sua fatica. Questa immagine ci contagia inevitabilmente di una tenerezza che è tutta Mariana, è una tenerezza che diviene espressione della stesso atteggiamento di Maria narrato nel Vangelo: "Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore".
Maria meditava con serenità e pazienza gli avvenimenti, senza perdere il sonno - il suo è un riposarsi - ma si lasciava partecipare alla realtà e agli avvenimenti che la coinvolgevano prendendosene cura. È questo l'atteggiamento che la Madre di Dio ci condivide: la tenerezza necessaria per prenderci cura della vita che nasce, degli affetti umani e necessari, dei vincoli di amore come il matrimonio generato nell'amare insieme a Giuseppe.
Attraverso questa immagine di tenerezza, di bella paterna responsabilità e di pace ci sentiamo stimolati anche a raccogliere l'invito della 53a giornata mondiale per la pace di questo primo giorno dell'anno 2020: "La pace come cammino di speranza: dialogo, riconciliazione e conversione ecologica". 
Il Papa, ci spinge “a rivolgere, in modo rinnovato, l’appello per una relazione pacifica tra le comunità e la terra (questo tocca anche il nostro spazio, la nostra comunità), tra il presente e la memoria (gli eventi del passato, le guerre, gli orrori, non sono da dimenticare ma devono suscitare desiderio di redenzione), tra le esperienze e le speranze (si spera ciò che si attende, non perché già vissuto)”. Il Papa esorta anche ad essere artigiani di pace: “Il mondo - spiega il Santo Padre - non ha bisogno di parole vuote ma di testimoni convinti, di artigiani di pace aperti al dialogo senza esclusioni né manipolazioni". “Il cammino della riconciliazione - sottolinea infine il Papa - richiede pazienza e fiducia. Non si ottiene la pace se non la si spera". Maria madre di Dio e Regina della pace prega per noi!