domenica 30 settembre 2018

Numeri 11,25-29 / Salmo 18 / Giacomo 5,1-6 / Marco 9,38-48
Tutto il Vangelo in un bicchiere d'acqua!

Essere discepolo significa essere di Cristo! Tu che discepolo sei?
Cosa significa appartenergli?
Oggi come non mai nella storia del cristianesimo, chi vuole essere di Cristo non può disattendere alle esigenze del Vangelo.
Oggi, non possiamo dire non è dei nostri (sono profughi, diseredati, clandestini disperati) ... per cui possiamo disinteressarcene!
Oggi non possiamo dire devo prendermi cura prima di tutto di me, delle mie cose e dei miei interessi ... non posso pensare di accumulare per gli ultimi giorni, non sarei di Cristo se lo facessi! Questa mentalità è all'origine dell'egoismo personalista.
Oggi non posso dire: "si è sempre fatto così, per cui, perché cambiare anche solo una situazione della vita" ... così rischio di essere di scandalo, perché rinnego l'occasione della conversione!
Credo proprio che oggi il Signore, di fronte a tutti, ai saggi, ai pensatori, ai politici e agli uomini comuni ci ripeterebbe la stessa frase "Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa". Tutto si concentra in un bicchiere di acqua: il dare e il ricevere ... Senza pregiudizio e senza interesse ...
Il discepolo di Gesù è uno che è sempre disposto a dare, perché questa modalità lo rende capace delle scelte che ha fatto lo stesso Signore.
Nel momento in cui il discepolo rifiuta di dare un semplice bicchiere d'acqua si chiude egoisticamente e scarta chi gliene chiede.
Il discepolo di Gesù è uno che non rifiuta il bicchiere d'acqua, perché questa modalità lo rende capace di accogliere l'altro ...
Quel bicchiere di acqua è l'opportunità offerta dal Vangelo per essere la novità per la vita, essere la vita stessa. Un bicchiere di acqua rappresenta un segno povero ma pieno di possibilità. Tutti l'abbiamo, e nel momento che è data, essa diventa una possibilità di vita per chi lo riceve.
In verità, chi riceve il mio bicchiere, accoglie anche me, e così si genera una relazione, una comunione ... Per cui non posso rifiutare un bicchiere a chi non è dei nostri ... Non sarei di Cristo. Chi è di Cristo è uno che da non un bicchiere, ma tanti bicchieri di acqua, quante ne occorrono per generare la comunione.
È in questa disponibilità ad essere di Cristo che nasce il prendersi cura della Chiesa.
Incoraggiati da Papa Francesco, togliamo il male che ci ferisce e che rende impossibile la gioia del mondo e della Chiesa stessa.
Ognuno, con il dono che ha ricevuto, con le luci che il Signore gli ha dato, deve togliere ciò che è di scandalo ed aiutare il resto dei membri della Comunità a trovare la via dell'Amore, della Pace, della giustizia e della fraternità. Non scandalizziamo le nostre vite ma usiamoci per sanare il nostro desiderio di essere, per essere secondo la volontà di Dio e non perire nel mare con una macina al collo.

sabato 29 settembre 2018

Daniele 7,9-14; Apocalisse 12,7-12 e Giovanni 1,47-51
Festa dei Santi Arcangeli
Vedrete il cielo aperto e gli angeli salire e scendere ...

A termine della ricerca, quando anche noi dimoreremo presso di Lui, e Lui in noi, a quel punto il cielo sarà veramente aperto e agli occhi della nostra umanità si mostrerà il mistero di amore che dal Padre è donato nel Figlio, nell'Agnello di Dio, quello che toglie il peccato del mondo. Il Figlio dell'Uomo - quel Gesù indicato come agnello di Dio - sarà realmente lo strumento (la scala di Giacobbe) attraverso il quale ci sarà indicato dagli angeli l'accesso al cielo, al Padre (nessuno può salire al padre se non per mezzo di Gesù). Il dialogo con Natanaele conclude la sezione della chiamata e risposta dei discepoli; a tutti questi è promesso di vedere cose grandi. Nello stare nella sequela del maestro, vedranno cose veramente grandi: parteciperanno al dono di amore che è Gesù, vivranno la sua stessa vita e saranno testimoni della passione, morte e risurrezione; vedranno gli angeli di Dio che legano il cielo è la terra, a partire da quel luogo che è il sepolcro del Signore. Gli angeli, non sono il retaggio, o la riminiscenza di figure divine della mitologia Mesopotamica, essi custodiscono la possibilità di mediazione e di comunione tra il cielo è la terra, pensiamoci come Gesù ce li rivela: sono a servizio dell'intima comunione che permette l'accesso all'amore del Padre.

venerdì 28 settembre 2018

Qoèlet 3,1-11 e Luca 9,18-22
Il Cristo di Dio!

Definire Gesù come il "Cristo di Dio", cioè l'unto, consacrato del Signore, ha un senso a partire dalla tradizione ebraica, in cui il re, prescelto dal Signore per guidare il popolo, è il consacrato; in cui il profeta, chiamato per portare la parola di Dio al popolo, è un consacrato; per cui il figlio dell'uomo, che si identifica col Messia - l'inviato definitivo di Dio - è il consacrato. Ma questa comprensione soddisfa solo l'esperienza relativa alla rivelazione di Dio ad Abramo e alla sua discendenza.
Nell'auto-rivelazione di sé stesso, gli evangelisti ci testimoniano, tutti, che Gesù lega inscindibilmente a sé la passione, morte e risurrezione. Superando la dimensione dell'avvenimento e del fatto, del tempo e della nazione, per affermare come la passione, morte e risurrezione sono espressione del suo esistere, del suo essere come Consacrato universale di Dio.
Il perché di questa focalizzazione sta nell'unico necessario: la nostra fede in Cristo è stabilita sulla sua passione, morte e risurrezione. La nostra è fede nella vita eterna e nel mondo che verrà come compimento del reale e nuova creazione, in cui tutto avrà senso nella relazione esclusiva con Dio Padre e Creatore. La realtà che conosciamo è come dice Qoèlet, "l’occupazione che Dio ha dato agli uomini perché vi si affatichino"; ma Dio ha posto nel cuore dell'uomo l'anelito della vita eterna (passione, morte e risurrezione), "senza però che gli uomini possano trovare la ragione di ciò che Dio compie dal principio alla fine".

giovedì 27 settembre 2018

Qoèlet 1,2-11 e Luca 9,7-9
Chi è costui? Vorrei vederti!

Nel racconto di Luca riguardanti la missione dei discepoli, questi tre versetti sembrano proprio una "inserzione" voluta, il racconto infatti non necessita di questa parte per avere un senso logico. Perché allora questa inserzione, questa sottolineatura?
Gesù parla, incontra, opera segni e guarigioni; i suoi discepoli sono inviati a continuare la sua opera; la realtà è segnata dalla loro presenza. Che strano, oggi invece questa domanda che per secoli ha accompagnato l'annuncio del Vangelo, non appartiene alla reazione dell'uomo. Dalle nostre parti, le ex terre cristiane, i primi a non reagire al Vangelo sono proprio i battezzati, anzi quasi di è infastiditi dal ripetersi del Vangelo.
Questo nostro mondo, globale e culturalmente avanzato, non si interroga su Gesù, non gli interessa vederlo ... Gesù è già stato archiviato come evento storico; egli può solo essere indagato dalla archeologia e dalle scienze esegetiche della critica letteraria.
Forse è proprio questo il motivo per cui Luca inserisce questa presenza, anche sé contraddittoria, con le sue domande e i suoi desideri, perché non si perda la memoria di un effetto vivo del Vangelo rispetto alla vita di chi si mette in ascolto.

mercoledì 26 settembre 2018

Proverbi 30,5-9 e Luca 9,1-6
Evangelizzazione: ci siamo insabbiati!

Avendo confuso l'evangelizzazione con il catechismo, è ovvio che a fatica comprendiamo lo slancio dell'annuncio della Parola.
Avendo messo sotto cenere la brace viva della Parola, è ovvio giustificare l'annuncio con i progetti pastorali e con la formazione permanente ...
L'evangelizzazione è l'agire di Cristo, attraverso i discepoli; essi sono mandati, inviati per portare la buona notizia della salvezza eterna, per vincere il demonio e per guarire l'umanità ferita. Troppo della vita comunitaria si concentra invece nella conservazione della prassi pastorale. Ma che discepoli siamo? In che cosa è originato il mio essere discepolo? Se d'altronde nemmeno mi lascio toccare dalla Parola del Signore, mai sentirò l'urgenza del Vangelo, quella di essere annunciato. Nella mia identità cristiana oltre al segno del Battesimo devo recuperare la conseguenza di quel segno: l'appartenenza, la vita secondo lo Spirito, come presupposto per il discepolato e per la missione.
Il passo del libro dei proverbi di oggi è bellissimo, è come una apertura tra cielo e terra che congiunge il mistero di Dio ("egli è scudo perché in lui si rifugia") al desiderio del mio cuore ("Io ti domando due cose, non negarmele prima che io muoia:tieni lontano da me falsità e menzogna").

martedì 25 settembre 2018

Proverbi 21,1-13 e Luca 8,19-21
Come la parola di Dio ci costruisce ...

Esercitarsi nel fare la volontà di Dio ... Esercitarsi a partire dall'ascolto della sua Parola ...
Ogni mattina, quando recitiamo il padre nostro - perché un cristiano, al mattino, all'inizio della sua giornata, ripete le parole che diceva Gesù al Padre - chiediamo che sia fatta la Sua volontà, una volontà che dal cielo si concretizza sulla terra nella vita di tutti i giorni, nella nostra quotidianità. Fare la volontà di Dio genera la figliolanza, la famigliarità, la comunità, è quindi ben altro che assolvere a dei voleri/doveri divini.
Chi si pone in ascolto della Parola dà origine al processo interiore e morale che lo pone in relazione con la volontà di Dio, questo genera la nuova famigliarità: "mia madre, i miei fratelli sono questi"!
Ma che cosa vuol dire fare la volontà di Dio? Innanzi tutto credo possa riconoscersi nel porsi in ascolto del risuonare della Parola nel nostro cuore, ogni volta che la Parola è gettata in noi e cerca di radicare.
La volontà di Dio è il perdurare e il dimorare in noi della Parola, è quella attrazione alla verità, alla bellezza e alla bontà che - ben diversamente da un adeguarsi a un precetto - un discepolo sente in cuor suo come appartenenza a quel mistero che percepisce più grande di sé, ma nello stesso tempo se ne percepisce parte.

lunedì 24 settembre 2018

Proverbi 3,27-34 e Luca 8,16-18
Il riecheggiare della luce!

L'ascoltatore del Vangelo, il catecumeno, il neofita, dopo aver ascoltato è fatta propria la parola, dopo essersi sentito coinvolto nell'opera del seminatore accogliendo in sé il seme, inizia a prendersi cura di ciò che è stato seminato in Lui. Da questa prospettiva l'immagine viene immediatamente trasformata, per rivendicare la straordinaria potenza e novità che rappresenta. La parola è luce! Illumina, non può essere trattenuta o accantonata in disparte; la parola è come luce, perché faccia luce a chi entra nel regno dei cieli, cioè permetta di vedere così come vede Dio.
La parola non è un segreto per pochi iniziati, non è un culto misterico è neppure una "gnosi" di qualche casta di eletti, essa è destinata a tutti. L'ascolto della parola, non è una grazia speciale, un privilegio di alcuni, e neppure una condizione genetica di tutti; l'ascolto è più simile al "risuonare" della parola in noi: ascoltate il suo risuonare, perché in quel ritornare della parola riecheggia la voce di Dio in noi.

domenica 23 settembre 2018

Sapienza 2,12.17-20 / Salmo 53 / Giacomo 3,16-4,3 / Marco 9,30-37
Un pensiero stravolgente ...


È più stravolgente prendere coscienza del destino di morte del Figlio dell'uomo o è più stravolgente l'immagine del discepolo che propone Gesù?
Spesso noi ci fissiamo sull'annuncio di passione morte e risurrezione, ma ci fermiamo solo alla drammaticità dell'evento.
Forse ci servirebbe la contemplazione del crocifisso in ordine alla libertà e volontà di Gesù di consegnarsi alla morte; Gesù non subisce la morte, ma liberamente si consegna. Nella preghiera eucaristica seconda, c'è una frase che riassume questa docilità del Signore: "Egli, offrendosi liberamente alla sua passione," ... In queste parole possiamo cogliere come tutto ciò che Gesù ha vissuto si riassume in un atto di amore che ha molto di più di un carattere eroico, ma è prima di tutto un segno inequivocabile di chi ti ama, e per il solo fatto di amarti, in piena libertà, sceglie la morte per consolare con il suo amore la tua angoscia mortale.
È a partire da questo atto di amore che Gesù vuole suscitare nella vita dei discepoli, la disponibilità a seguirlo facendosi carico della croce; è da questo atto di amore che discende l'identità del discepolo.
Prendere la croce ogni giorno è seguirlo - era il Vangelo di domenica scorsa - significa prima di tutto aderire al Signore e scegliere lui, cercando ogni giorno di risceglierlo, motivandosi nella adesione della propria vita alla sua.
Questa adesione si concretizza, non può restare una teoria, non può restare astratta, per quanto bella, ma trova nelle parole di Gesù una triade di confronto
Essere ultimi ... essere servi di tutti ... tenere al centro della nostra vita i piccoli, i fragili e gli scartati, i marginali.
Essere ultimi ... Ma non solo ultimo, bensì l'ultimo di tutti. (...)
Questo è faticoso, perché in tutto ciò che viviamo sperimentano la tentazione e la pretesa di non essere ultimi ...
Essere ultimi: Ma se a fatica sopportiamo la fila, ed essere gli ultimi della fila davanti a uno sportello di un ufficio ...
Essere ultimo nel pensiero di Gesù, non è semplicemente una forma di umiltà, è essere all'origine di una catena di relazioni umane fondate sull'amore. Chi ama liberamente, senza contraccambi è ultimo, e si mette per questo all'ultimo posto, chi ama per essere riamato, o ama per contraccambio, non può stare all'ultimo posto.
Ma essere ultimo per Gesù oltre all'esperienza di amare si motiva e traduce nell'essere servo. Il servizio allora riassume per Gesù la normalità del suo modo di essere. Ogni azione è servire ... Ogni prendersi cura è servire ... Ogni accoglienza è servire ..
Il servizio - che non ha nulla a che vedere con il quotidiano svolgere delle mansioni - ci libera dall'orgoglio del protagonismo e ci introduce in quella esperienza, unica, che è essere servi come Gesù stesso, cioè dare alla propria vita un senso nel servire i fratelli.
Non è così immediato tutto questo, specialmente per le nostre mentalità, che calcolano le convenienze e le disponibilità in forza della assoluta soggettività. Il criterio della soggettività va sempre compensato è completato con il principio della comunione, cioè della comunitarietà.
Ecco allora che è estremamente importante poter maturare nel discepolo non solo la disponibilità al servizio, nel fare delle cose, nello svolgere delle mansioni, ma a essere servo. Il risciò infatti è di fare delle cose con uno spirito da schiavo e non da uomo libero di servire e per servire ai fratelli.
La terza situazione è l'immagine dei bambini, è la premura, la tutela dei piccoli, dei fragili, degli scartati. Il discepolo, non deve mai dimenticare che la sua sequela di Cristo lo porta inevitabilmente di fronte a questi piccoli, fragili, scartati ... (Profughi, poveri, fuggiaschi, clandestini ... uomini e donne del mondo) ...
È pesante come immagine, ma non rispettare e prendersi cura dei piccoli, dei poveri, degli indifesi, degli scartati, è ferire e oltraggiare Cristo stesso in loro.
Questa immagine non è una provocazione per condannare, ma per generare sempre il superamento delle chiusure egoistiche; un discepolo, deve sempre rinnovare se stesso in questa apertura fiduciosa all'altro.
Grazie Gesù, ogni tanto fai bene ad essere così chiaro.

sabato 22 settembre 2018

1 Corinzi 15,35-49 e Luca 8,4-15
Una spiegazione per pochi!

La spiegazione della parabola, dopo le parole di Gesù che si rifanno a Isaia: “Udrete, sì, ma non comprenderete, guarderete, sì, ma non vedrete. Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile, sono diventati duri di orecchi e hanno chiuso gli occhi,
perché non vedano con gli occhi, non ascoltino con gli orecchi e non comprendano con il cuore e si convertano", riflette la situazione di una comunità che a fatica riusciva a comprendere il senso delle parabole. Infatti la spiegazione non vuole dare una comprensione intellettuale, ma descrivere come di fronte alle Parabole, che sono la Parola di Gesù, l'uomo reagisce a seconda della propria maturità e libertà. La Parola del Signore interagisce con la vita di ciascuno, ma questo non obbliga alla conversione o alla trasformazione della vita. La Parola di Dio, mi raggiunge nella forma delle parabole di Gesù, raggiunge la mia quotidianità, le mie fatiche, i miei dubbi, la mia fragilità; è in questo contesto che quel seme sollecita la mia conversione e soprattutto la mia disponibilità ad accoglierla come Parola del Signore. Essa è una Parola fragile che smontata dalla esegesi e dalla sapiente comprensione esprime la sua fragilità e inadeguatezza ogni volta che non è accolta è custodita con cura, con fede.

venerdì 21 settembre 2018

Efesini 4,1-13 e Matteo 9,9-13
Umiltà, dolcezza e magnanimità.

Paolo, nel momento stesso della prigionia, riconosce sempre più la chiamata ricevuta, e la necessità di restarvi fedele, nonostante le tante tentazioni e prove che potevano portarlo altrove, potevano indurlo a dubitare e rinunciare.
È in questo processo di discernimento legato alla vita, e alle circostanze che Paolo individua una triade di atteggiamenti spirituali e morali, che pone alla base della solidità e perseveranza vocazionale.
L'umiltà, la dolcezza e la magnanimità. L'umiltà, non è certo cosa facile per un uomo dal carattere forte come il suo, quando, spesso, egli rischia di essere frainteso. L'umiltà per Paolo diventa pazienza, silenzio e preghiera. Rinunciare alla sua giustificazione per affidarsi totalmente al giudizio di Dio. La dolcezza; altra parola che sembra dissonante rispetto alle parole e al tono che Paolo rivela in tanti scritti. Eppure la dolcezza è all'origine della sua passione pastorale, del suo prendersi cura con dedizione delle comunità. E la magnanimità, la grandezza di animo, la generosità disinteressata; è lo spirito del servizio, come obbedienza e dono a Cristo e alla chiamata ricevuta che meglio di altro racconta il grande spessore di questo uomo. 

giovedì 20 settembre 2018

1 Corinzi 15,1-11 e Luca 7,36-50
Il Kerigma!

Queste parole di Paolo sono la sintesi della fede in Cristo: non una regola di vita (come certe comunità separare dal mondo); non dei precetti morali (come per gli Scribi e i Farisei); non una conoscenza magica della realtà (come per la gnosi), ma solo la ferma convinzione che Cristo è morto in croce per i nostri peccati, fu sepolto ed è risorto; apparve a Cefa e anche ad altri, come pure a Paolo stesso.
La nostra vita quotidiana appartiene sia al morire come al risorgere. Siamo dei morti nella fragilità delle nostre scelte, nella codardia dei principi, nella ipocrisia delle decisioni; siamo dei risorti ogni volta che la possibilità di amare e di trasformare l'amore in carità corrispondono al nostro essere.
Tutta la Fede si esprime nella vittoria sul male del peccato e nella risurrezione dalla morte. Non è forse il male è il peccato che corrompono la realtà (quella fisica e quella morale) fino a condurla nel baratro della morte? Non è forse di fronte all'esperienza del male e del peccato che l'uomo sperimenta la sua fragilità e impossibilità di vittoria?
La risurrezione di Gesù è l'inizio della nuova creazione nella quale ha stabile dimora la grazia di Dio, perché tutto si rigenera nella vita del risorto. Anche in casa di Sinome il fariseo di Magdala assistiamo alla vittoria del risorto sul peccato e la morte; è l'amore che fa risorgere!

mercoledì 19 settembre 2018

1 Corinzi 12,31-13,13 e Luca 7,31-35
La via più sublime!

La traduzione letterale sarebbe: "Voi, però desiderate ardentemente i carismi maggiori! Ora vi mostrerò una via, che è la via per eccellenza!"
Effettivamente i versetti che seguono - il famoso inno della carità - rappresentano l'intronizzazione della Carità come vertice della maturazione e del cammino di umanizzazione. Le competenze, le nozioni, la ricchezza ..., tutto ciò che l'uomo può conseguire, non arriverà mai a eguagliare il valore del carisma della carità.
Ecco allora che Paolo, a partire dalla sua esperienza rivela come la via della carità è eccellente! Cioè supera ogni percorso o cammino di perfezione.
La triade conclusiva rappresenta la descrizione del percorso, della via. Si parte dalla fede, è un dono di Dio, ma è anche il punto di partenza del cammino per eccellere nelle propria umanità. Non esiste la possibilità di comprendere l'impulso della carità e neppure la tensione a darvi manifestazione se non a partire dalla fede in Gesù. Così come il punto di partenza della carità è la fede in Cristo, anche la perseveranza nel non venire meno all'impulso della carità nella vita quotidiana è un dono di Dio che si chiama speranza. È in questa prospettiva che la carità è l'eccellenza che ci affascina, ci attrae!

martedì 18 settembre 2018

1 corinzi 12,12-31 e Luca 7,11-17
Desiderate, intensamente, i carismi più grandi!

Che bella espressione conclusiva: desiderate ... è la mancanza delle stelle (come da etimologia Latina) per cui possiamo intendere il verbo come percezione di una mancanza e, di conseguenza, come sentimento di ricerca appassionata, appunto come dice Paolo, intensamente. Che cosa dobbiamo intensamente cercare? Il carisma più grande! Questo carisma non si configura tra i doni che si sperimentano nella comunità, elencati in ordine di importanza, ma si lascia intendere che il carisma più grande è la carità, cioè l'amore come frutto della comunione.
Una comunità che si educa alla comunione; che si relaziona nel vincolo di comunione; che si corregge in forza della comunione e per realizzarla; che si responsabilizza nella comunione, genera l'amore che è la carità.
È questa l'esperienza di un corpo fatto tra tante membra: il fine di quel corpo è la comunione, ma la comunione si esprime nella carità: l'amore per il solo corpo e tra le varie membra. Ma questa condizione non è forse quella prefigurata dal Signore nella Eucaristia? La comunione del corpo ecclesiale significa l'Eucaristia, unico corpo del Signore, donato è spezzato per essere uno, ma tutti sappiamo bene che quel pane è la manifestazione piena e gloriosa dell'amore di Gesù per noi!

lunedì 17 settembre 2018

1 Corinzi 11,17-26.33 e Luca 7,1-10
Lo stile di una comunità cristiana

Sia la lettera ai Corinzi che il Vangelo di Luca ci suggeriscono lo stile di una comunità cristiana. Ciò permette a noi di saggiare i nostri sentimenti e pensieri rispetto al modo che Paolo e il Signore ci suggeriscono.
Pur riconoscendo il dramma della divisione, della superbia e della mancanza di carità, Paolo non si limita a rimproverare la comunità di Corinto, egli riporta tutto alle Parole di Gesù nell'ultima cena; quasi a ricordarci, sempre, che è da quel segno di comunione che la comunità dei discepoli ha origine.
La comunità non è aggregarsi per organizzare progetti pastorali; non è lo stare insieme per simpatia; non è neppure il ripetere azioni rituali che ci servono per gratificare la coscienza. La comunità credente non è strumentale, non può esserlo!
La comunità è prima il vincolo di comunione dei discepoli che attende e accoglie ora, il Signore che viene. L'Eucaristia è il Signore che viene ora per incontrare ogni discepolo, ogni uomo è realizzare visi la comunione. Ma questo segno anticipa pure la sua venuta definitiva. Ogni comunità allora è profezia del suo ritorno. La comunità è autentica quando la fede prevale sul personale, quando lo stile apostolico è scelto prima di qualsiasi cosa, quando il desiderio di esserci per Gesù rende importante l'esserci per tutti: "... aspettatevi gli uni gli altri".

domenica 16 settembre 2018

Isaia 50,5-9 / Salmo 114/ Giacomo 2,14-18 / Marco 8,27-35
La croce ci salva ...

Sono passati due giorni dalla Festa della Esaltazione della Santa Croce, una festa che fa memoria del ritrovamento nel 327 dC dei resti della croce del Signore in quello che oggi è luogo più profondo della Basilica del Santo Sepolcro; al tempo di Gesù una discarica dei legni utilizzati per le crocifissioni. Dal momento del ritrovamento della Croce, da parte di Sant'Elena, prosegue il ritrovamento del Santo Sepolcro del Signore e costruzione delle Basiliche principali dei luoghi Santi.
Non è una lezione di storia o archeologia che voglio fare, ma bensì partire da questo segno per capire quale è il cuore, il centro della nostra fede … perché occorre più che mai riaffermarlo … oggi spesso! Oggi che abbiamo fatto della croce un oggetto di bigiotteria e l’abbiamo svuotata di senso al punto da renderla anche un segno anticristiano, satanico.

La croce invece ci riconduce immediatamente al crocifisso, alla sua passione, alla sua morte, alla deposizione nel sepolcro e Risurrezione.
Ogni volta che abbiamo usato la croce come talismano abbiamo perso sempre tutto ... Ai Corni di Hattin (1187), in Galilea, nella battaglia contro i mussulmani, l’ultima in cui fu portata anche la reliquia della croce ... l’abbiamo persa per sempre.

Non a caso Gesù nel Vangelo di Marco dice "Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà".
Gesù lega la croce alla vita; lo strumento di morte diviene identificativo della salvezza della propria vita; della vittoria della vita sulla morte e segno per indicare l'eternità.
Dalle domande "chi sono io per te", l'evangelista Marco in modo estremamente provocatorio arriva a proporci queste parole di Gesù ... Non è un caso!
Qualsiasi risposta che possiamo dare al Signore non può essere al di fuori di questa provocazione: "sei disposto a caricarti della croce rinnegando te stesso?" 
In questa nostra risposta sta anche il “chi sei tu, Gesù per me?” … diversamente Gesù non è nessuno … oppure può anche essere tutti gli altri … ma non importa niente …
Oggi cosa dice la gente di Gesù ... Dice di tutto, più di allora, possiamo dire cose vere e cose false … ma non importa ...
Non è importante raccogliere le opinioni comuni, la fede in lui non si fonda sul consenso e sulle opinioni, ma sulla scelta di vita, e oggi scelte di vita non siamo più disposti a farne, stiamo diventando incapaci, visto che le scelte richiedono stabilità e totalità: due parole aborrire dal pensiero contemporaneo.
Gesù, sempre parte dal rapporto personale dal chi sono io per te? Non cerca le parole e le risposte del caso; Gesù, cerca persone, cerca il coinvolgimento con Lui: ti chiede, che cosa ti è successo quando mi hai incontrato?
La croce è il segno della salvezza non è solo un simbolo, perché ad essa Dio che si è lasciato inchiodare.
· È come se la vita di Dio sia ora un tutt'uno con la croce.
· È come se la morte di Gesù è un tutt'uno con la croce.
· La croce è quindi manifestazione del crocifisso morto e risorto.
· La croce è sintesi del misterioso legame tra umano e divino ...
È come se sulla croce, i chiodi abbiano unito immutabilmente la nostra umanità e la divina eternità in un unico segno di amore perfetto: ecco la salvezza attraverso la croce!
Chi non si carica della croce è come se rifiutasse parte del mistero di cui umanamente in Gesù ne è già parte.
Caricarsi della croce, non è una fatica, non è una prova, non una sofferenza; caricarsi della croce è appartenere a Cristo è dirgli che lui è importante per me è; che ogni attimo della mia vita ha bisogno della sua salvezza; ogni momento della mia esistenza ha bisogno di lui e della sua vita per poter essere espressione di una fede che tende alla verità, solo così la mia umanità sarà autentica e non una cosa costruita dalle mie mani.

sabato 15 settembre 2018

Ebrei 5,7-9 e Giovanni 19,25-27
Memoria della B.V. Addolorata
Reso perfetto ...

Il verbo del “perfezionamento” dell’umanità di Cristo (in greco teleiotheis) è il termine tecnico anticotestamentario che indicava la consacrazione dei sacerdoti. Ma questa consacrazione di Cristo non avviene attraverso un rito, bensì in una vicenda esistenziale e storica, attraverso la solidarietà piena con l’umanità nel soffrire e nel morire.
La prima lettura di questa memoria di "Maria addolorata sotto la croce" ci riconduce immediatamente al fatto concreto della passione di Cristo - cui Lei è intimamente unita - mettendo in evidenza la concretezza della vicenda è il mistero che nella sofferenza ugualmente si compie: la consacrazione del Cristo, cioè la piena offerta della sua vita come piena manifestazione della gloria di Dio Padre.
Non sono indubbiamente discorsi facili, la sofferenza il dolore, la morte mettono in evidenza a nostra creaturalità fragile e caduca, ma proprio per questo espressione vera di umanità. Gesù non si sottrae a questa condizione umana e nell'orto degli ulivi, sperimenta tutto ciò che l'umano può toccare come profondità dell'angoscia. L'essere perfetto, risiede nel perseverare in quella condizione nella volontà di comunione e donazione al Padre: "Però non come voglio io, ma come vuoi tu!"
È attraverso questa esperienza di sofferenza e libertà, di obbedienza e solidarietà che è portato a perfezione l'uomo Gesù! 

venerdì 14 settembre 2018

Numeri 21,4-9 e Giovanni 3,13-17
Festa della Esaltazione della Santa Croce
Circa la fede...

Circa la fede occorre sempre tenere presente due protagonismi, quello umano è quello Divino. Entrambi godono di una propria autonomia; ma entrambi si intrecciano misteriosamente come storia della salvezza. Il rischio del nostro tempo è quello di prevaricare gli spazi della autonomia di Dio, estraniandoli, o addirittura, appropriandocene, al punto che tutto ciò che riguarda la fede rischia di essere sono una questione umana. Se fosse, la croce di Gesù, non solo è scandalosa, ma risulta inutile e senza senso: perché morire in croce, per chi è per cosa?
La croce è il patibolo della nostra carne: espressione orribile sotto tanti punti di vista, ma piena di motivazione se riflettiamo sul mistero del "male" e della morta come fallimento e nullificazione della nostra natura umana, della nostra carne concreta. È infatti nella carne reale che facciamo esperienza del male e della morte. Solo l'autonomia di Dio può assumere la croce e la carne come spazio esistenziale e reale per collocarvi un amore così grande che è la carne vera del Figlio suo innalzato nella gloria. Ciò che è "orribile", disumano, rivela ora il mistero più grande di Dio: l'amore.

giovedì 13 settembre 2018

1 Corinzi 8,1-13 e Luca 6,27-38
Conoscere e non conoscere, questo è il problema ...

Paolo ci introduce in una conoscenza delle cose e della realtà che si fa carico della vera sensibilità umana. Conoscere non è sapere delle cose, delle nozioni: sarebbe orgoglio.
La vera conoscenza e la comprensione secondo l'amore di Dio in noi. Che bello poter conoscere attraverso l'esperienza del comprendere, cioè prendere dentro di sé per farne parte con la propria esistenza. Ecco allora che vera conoscenza è cercare in ogni modo di capire il mistero che ci sta di fronte, soprattutto quando il mistero si chiama uomo. Per cui anche che sulla questione della "carne offerta agli idoli", Paolo non applica una regola di moralità, ma con lo sguardo di chi comprende il mistero del fratello, "se un cibo scandalizza il mio fratello, non mangerò mai più carne, per non dare scandalo al mio fratello". In questo modo Paolo, dimostra come il Vangelo di Gesù sia completamente e sempre la sua regola di vita: "E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro".

mercoledì 12 settembre 2018

1 Corinzi 7,25-31 e Luca 6,20-26
Passa la figura di questo mondo ...

La preoccupazione di Paolo circa la "brevità del tempo", per molti intesa come una esplicita convinzione paolina e con la persuasione comune della comunità delle origini, circa la venuta imminente del Signore, credo a ragione, si possa anche intendere come comprensione nuova del tempo rispetto alla realtà di ciò che è eterno, introdotta dalla risurrezione del Signore.
Ecco, forse alla luce di un fatto come la risurrezione di Gesù, anche certe espressioni di Paolo circa la vita famigliare assumono un significato più chiaro: tutto viene relativizzato per lasciare posto alla relazione vitale con colui che è risorto, con colui che ha riassunto in sé il tempo passato (egli rappresenta la pienezza del tempo: Galati 4) e avvicina l'uomo a Dio nella brevità della propria esistenza (salmo 89/90). Per Paolo la realtà temporale è semplice figura inadeguata a rappresentare il mistero eterno di Dio che a noi è dato di partecipare nel tempo attraverso il fatto della risurrezione del Signore.
Per noi, cristiani del terzo millennio, che hanno smarrito il senso della vita eterna e si sono radicati nel tempo come ancora di salvezza per la propria esistenza, l'anello di Paolo rischia di essere veramente incomprensibile.

martedì 11 settembre 2018

1 Corinzi 6,1-11 e Luca 6,12-19
Che bella comunità ...

Dalle parole di Paolo possiamo scoprire che genere di comunità è quella di Corinto, una realtà variegata di esperienze di vita e situazioni. Paolo richiama alla memoria non una serie di tipologie di peccatori, ma quali loro erano, prima della conversione e quali alcuni restano all'interno della comunità: "Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adùlteri, né depravati, né sodomìti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né calunniatori, né rapinatori erediteranno il regno di Dio". 
Se la realtà ci fornisce una immagine, anche difficile, Paolo ribadisce un concetto che è alla base del discernimento comunitario: cercare nella comunità non la soddisfazione per le proprie "questioni" ma attraverso l'esperienza del "subire ingiustizia" e del "privarsi di ciò che sarebbe un diritto" purificare le pretese e superare l'ingiustizia subita o perpetrata. Ciò non significa, nello spirito Paolino, tacere e soprassedere, ma, riconoscere nella comunità la grazia che deriva dalla comunione: nella comunità risiede il principio della comunione, e il principio della comunione, "cioè nulla vi divida tra noi e da Cristo" è il fondamento del giudizio, cioè del discernimento.

lunedì 10 settembre 2018

1 Corinzi 5,1-8 e Luca 6,6-11
L'immoralità non può appartenerci.

Paolo nella lettera ai Corinzi affronta un problema reale della comunità non con moralismo ma percorrendo la via della moralità.
Perché Paolo arriva a dire: "questo individuo venga consegnato a Satana ..."?
Egli non si limita ad affermare solo se un comportamento è lecito oppure non lo è, egli rivela il fondamento della moralità, del vivere personale e della comunità. La comunione che condividiamo gli uni con gli altri, ci responsabilizza rispetto ai gesti dei singoli: nessun cristiano fa corpo a sé stesso: tutti formiamo una stessa "pasta"!
Ma tutta questa comunione resterebbe anonima se non riconoscesse il fermento che la introduce nella festa della Risurrezione. Ecco che l'agire di una comunità non può che essere l'agire di chi è risorto. Ogni gesto che è memoria del passato e della carne mortale non ci deve appartenere: "Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato!" È questo il fondamento della moralità cioè della vita nuova che ciascuno riceve per mezzo del Signore! La vita nuova si manifesta nella moralità!
Attenzione perché questo principio è disarmante e soprattutto non riducibile e adattabile al bieco moralismo.
Provate a leggere il Vangelo di oggi è ve ne accorgerete, Gesù applica la moralità della sua venuta nella nostra vita.

domenica 9 settembre 2018

Isaia 35,4-7 / Salmo 145 / Giacomo 2,1-5 / Marco 7,31-37
Un contesto al quale ci stiamo abituando

Il territorio della decapodi, si estende a partire dalla sponda oriente del mare di Galilea( attualmente tra Siria e Giordania) tranne Damasco e Beth She'an, la prima completamente in Siria, la seconda in Israele in prossimità dell'uscita del fiume Giordano da lago di Tiberiade. Dopo aver percorso la Galilea e aver fissato il proprio "quartier generale" in Cafarnao, Gesù annuncia il regno dei cieli, proclama il Vangelo in un territorio completamente diverso. Diverso culturalmente perché con forti influssi greco-romani; religiosamente diverso perché era un groviglio di esperienze politeiste e altre tra le quali anche l'ebraismo.
Gesù non teme il confronto con una realtà profondamente diversa dalla sua originaria, in certi termini la Decapolli corrisponde al mondo globale che noi oggi conosciamo.
Ma lo conosciamo realmente? Oppure vi siamo solo immersi? Conosciamo la vita degli uomini e donne del nostro tempo nella globalità delle loro esperienze? Abbiamo occhi e attenzione per la realtà che ci circonda?
Sappiamo dare una lettura dei fenomeni migratori, dei problemi identitari, della crisi della famiglia come nucleo sociale fondante, della scristianizzazione della nostra terra?
Ad esempio sappiamo che un terzo dei giovani tra i 18 e i 29 anni si professa ateo?
E che circa il 40% degli italiani, pur se si dice cattolica, perché battezzata, in realtà è ateismo, cioè non credente, e che l'essere cattolico è una semplice convenzione sociale?
Le ricerche statistiche fanno anche emergere una importante difficoltà nel trasmettere ai figli la propria fede, specialmente quando è convinta e praticata. Al contrario, ateismo o religiosità soft si trasmettono più facilmente. Più della metà delle famiglie i cui genitori sono non credenti, infatti, hanno figli non credenti. E più della metà delle famiglie caratterizzate da un cattolicesimo culturale e poco religioso hanno figli che si riconoscono in questa stessa matrice religiosa
Di fronte a questa realtà frammentata e globale, "Supponiamo che, in una delle vostre riunioni, entri qualcuno ..."
Avete capito bene! Giacomo, racconta l'esperienza di una Chiesa che è spazio di incontro, di ritrovo, in gruppi, per parlare, pregare condividere. Una Chiesa di cui fanno parte tutti, ricchi e poveri ... Quale è la preoccupazione dell'Apostolo? La preoccupazione non è del numero, della massa, ma che quella riunione possa essere immagine della Chiesa come fratellanza, e famiglia di Dio.
Alle nostre riunioni chi viene ... Lo sguardo sulla realtà ci interroga sui nostri gruppi e comunità? Non sarà che il nostro ritrovarsi sia così elitario che appartenervi sia come l'iscrizione a un Club esclusivo?
Oggi, alla fatidica riunione, non solo i ricchi, non solo i poveri, ma alla riunione potrebbero entrare divorziati, risposati, omosessuali, tossicodipendenti, alcolisti, psicolabili ... Sì perché anche di questo è fatta la nostra realtà, anche di questi è fatta la Chiesa.
Effatà, apriti ! ... Sono le parole del Signore, pronunciate nel gesto di toccare le orecchie e le labbra del sordo muto, per provocarne la guarigione; oggi a ciascuno di noi quella parola del Signore è un invito a superare il limite di ciò che vogliamo ascoltare e il limite delle nostre parole ...
Effatà non significa semplicemente aprirsi al rumore della realtà. Di "rumore" assordante ne facciamo anche troppo ... Di parole inutili ne pronunciamo anche troppe ...
Ci riempiamo del "rumore" roboante delle nostre cose, delle nostre iniziative, dei nostri progetti ... incuranti del valore delle parole, del senso delle parole ... Le nostre rischiano di essere parole sconnesse, cioè non connesse con la verità, non connesse con il cuore, non connesse con Dio.
L'evangelista Marco, dice che alla parola Effatà - dopo aver sputato, e con la saliva toccato la lingua del muto - si sciolse il nodo della sua lingua e parlava in modo corretto, diritto ... Non dobbiamo intenderlo solo grammaticale e lessicale, ma secondo verità con la coerenza che le parole esprimono della vita.
Lo stesso possiamo dirlo delle orecchie; al tocco delle mani del Signore - gli infila le dita nelle orecchie, e all'invito ad aprirsi, il sordo torna ad sentirci ... Ma la prima parola che ascolta è quella di Gesù che lo invita ad aprirsi a Lui; ad accoglierlo come parola, come salvatore come Figlio di Dio.
Lo stile della Chiesa oggi, l'agire del credente, non può che essere quello di Gesù, attento alle realtà, pur con tutta la complessità che si porta dentro, per causare l'Effatà dell'uomo. La connessione con il trascendente, non con la sensibilità spirituale; con il mistero non con il magico e l'astrale; con la vita eterna di Dio e non con un divino sconosciuto.

sabato 8 settembre 2018

Michea 5,1-4 oppure Romani 8,28-30 e Matteo 1,1-23
Festa della Natività di Maria

O Vergine fedele, che sei stata sempre pronta e sollecita ad accogliere, conservare e meditare la Parola di Dio, fa’ che anche noi, in mezzo alle drammatiche vicende della storia, sappiamo mantenere sempre intatta la nostra fede cristiana, tesoro prezioso tramandatoci dai Padri!
O Vergine potente, che col tuo piede schiacci il capo del serpente tentatore, fa’ che realizziamo, giorno dopo giorno, le nostre promesse battesimali, con le quali abbiamo rinunziato a Satana, alle sue opere ed alle sue seduzioni, e sappiamo dare al mondo una lieta testimonianza della speranza cristiana.
O Vergine clemente, che hai sempre aperto il tuo cuore materno alle invocazioni dell’umanità, talvolta divisa dal disamore ed anche, purtroppo, dall’odio e dalla guerra, fa’ che sappiamo sempre crescere tutti, secondo l’insegnamento del tuo figlio, nell’unità e nella pace, per essere degni figli dell’unico Padre celeste. Amen!
San Giovanni Paolo II

venerdì 7 settembre 2018

1 Corinzi 4,1-5 e Luca 5,33-39
Il gusto del nuovo ...

Il gusto del nuovo ha il sapore gradevole del vecchio ... L'immagine del Vangelo di Luca ben si adatta a comprendere lo stile della Chiese, continuamente in rinnovamento e in riforma. Rispetto a tutte le istituzioni umane, che passano, e sono passate, la Chiesa ha sempre mostrato uno spirito di riforma che le permette di essere nel mondo segno efficace della salvezza. Solo chi non conosce ma chiesa e chi la vede come espressione di tradizionalismo e come fenomeno archeologico, non coglie il processo continuo attraverso il quale lo Spirito Santo promuove nella Chiesa la ricerca dello Sposo; lo stare con lo Sposo (Cristo) rinnova la Chiesa nel profondo e nelle generazioni. Per questo la Chiesa, fedele al proprio ministero, non procede mai per "toppe nuove" su realtà vecchie, ma nella gradevolezza della tradizione vissuta, progetta e persegue la novità di Cristo che è nel Vangelo.
Difficilmente chi è Fariseo o Scriba riesce a intuire tutto questo ...

giovedì 6 settembre 2018

1 Corinzi 3,18-23 e Luca 5,1-11
Voi siete di Cristo e Cristo è di Dio!

La forza di queste parole risiede nella loro chiarezza. Nulla nella Chiesa, nelle comunità cristiane, giustifica le contrapposizioni, gli interessi personali, gli intrighi finalizzati ... proprio nulla, perché tutto questo non appartiene a Cristo. Ma noi, noi che nel battesimo siamo stati uniti a lui, nella sua stessa vita, noi gli apparteniamo, siamo sua parte!
Essere di Cristo significa, entrare a suo servizio, disporsi in una docilità fatta anche di silenzio e preghiera: papa Francesco ci insegna oggi con il suo stile di vita, come questo essere parte (a servizio) di Cristo abbia sempre un costo, a volte anche generi sofferenza, ma sempre, mette in luce la volontà di Dio e la verità che si deve perseguire.
Seguire Gesù, ... e come farlo?
Nel silenzio di chi con Cristo getta le reti e con fatica raccoglie i pesci pescati! Docilmente si obbedisce alla parola che, chi è chiamato alla sequela, riconosce come verità: "d'ora in poi sarai pescatore di uomini" E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.
È tempo per molti di lasciare ... sè stessi ... e seguire ... per essere di Cristo!

mercoledì 5 settembre 2018

1 Corinzi 3,1-9 e Luca 4,38-44
Poppanti ... Sempre ...

Con uno sguardo disincantato alle nostre comunità, nonostante gli sforzi di "evangelizzazione", non mancano i poppanti; l'unico problema è che non si tratta di bambini ma di adulti.
Ho parlato a voi - dice Paolo, come a uomini carnali - a neonati in Cristo! Ma questa condizione sembra prevalere anche nella vita adulta. Leggevo una riflessione circa la trasmissione della fede, essa dice che c'è una significativa difficoltà nel passare la fede vissuta ai propri figli, specialmente quando essa è convinta e praticata. Al contrario, ateismo o religiosità soft si trasmettono più facilmente. Più della metà delle famiglie italiane i cui genitori sono non credenti, infatti, hanno figli non credenti. E più della metà delle famiglie caratterizzate da un cattolicesimo di tradizione e poco di "esperienza di fede" hanno figli che si riconoscono in quella stessa matrice religiosa.
Sullo sfondo di questa realtà "carnale", neonata in Cristo, l'attenzione va proprio ricollocata nello stile di vita personale e delle nostre comunità, gruppi e associazioni. Esse, secondo le parole dell'Apostolo, devono essere veri cantieri di edificazione della fede (edificio di Dio); campo di lavoro per mettersi a servizio del regno dei Cieli e non di semplice "propaganda fide"; luoghi in cui i neonati in cristo possano crescere ed esprimere la maturità spirituale che gli è propria, e non delle affinità spirituali o affiliazioni affettive.

martedì 4 settembre 2018

1 Corinzi 2,10-16 e Luca 4,31-37
Noi abbiamo il pensiero di Cristo!

La mente di Gesù, il suo pensiero ... è il suo modo di guardare il mondo, di comprenderlo, di interagire con esso, attraverso l'opera dello spirito del Padre che è in Lui.
Il "Santo di Dio" come ci suggerisce il Vangelo, dice di Gesù la sua intima relazione con la Vita di Dio: Santità è bellezza, è mitezza, è purezza di cuore, è tenerezza, è libertà ... La Santità (tradotta nelle beatitudini) corrisponde al desiderio umano di bontà, tutto ciò che è buono in senso di valore, e quindi ciò che è bene è il pensiero di Cristo.
Chi possiede il pensiero di Cristo? San Paolo lo dice della comunità di Corinto; lo dice dei cristiani che in forza della fede e della conversione progressiva della vita continuamente si appellano allo Spirito di Dio, che permette a ciascuno di distaccarsi dallo spirito del mondo, che non può comprendere la mente di Dio, il Suo pensiero. Non deve stupirci allora se il pensiero cristiano, spesso, quando è espressione vera del Vangelo, nell'esprime il pensiero di Cristo trova resistenza da parte dello spirito del mondo. Questo non giustifica uno scontro, ma chiede di riconoscere una diversità è una grazia che comunque non è impossibile.

lunedì 3 settembre 2018

1 Corinzi 2,1-5 e Luca 4,16-30
Fondati sulla potenza di Dio

Di quale potenza parliamo? L'incontro tra Dio e ciascuno di non avviene per necessità di conoscenza, o per soddisfare un bisogno psicologico religioso, e neppure per semplice convenzione o educazione sociale. In tutte queste modalità ci si appropria ad uso e consumo di una proposta, di un prodotto che adattiamo alle nostre esigenze. L'incontro tra Dio e cuscino di noi avviene nella mediazione esclusiva di Gesù. Avviene nella sua persona; questa persona è la potenza di Dio, cioè la possibilità per Dio di toccare la nostra umanità in modo umano, di coinvolgersi con noi attraverso i nostri sensi e sentimenti, di legarsi a noi in un vincolo di fedeltà che si chiama amore e del quale noi siamo i più competenti in materia, dopo Dio stesso.
La potenza di Dio è possibilità di diventare parte della nostra esistenza e di trasformarla in esistenza eterna, progressivamente, attraverso la fede in Gesù.
La potenza di Dio è il suo sguardo attraverso gli occhi di Gesù; sono le sue Parole attraverso le parole del Signore; sono i suoi gesti di guarigione e di tenerezza attraverso le mani stesse di Cristo. La potenza di Dio è in realtà la persona di Gesù, e in ultima analisi anche quel Gesù in croce, potenza di Dio, stoltezza degli uomini.

domenica 2 settembre 2018

Deuteronomio 4,1-8 / Salmo 14 / Giacomo 1,17-27 / Marco 7,1-23
Questione di cuore

Cosa è al giorno d'oggi l'impurità?
Per scribi e farisei, l'impurità era una condizione che si contraeva, quasi come fosse una malattia, una condizione spesso tradotta come stato di immoralità e di conseguenza come disubbidienza ai precetti della legge di Dio, per cui se commetti adulterio sei impuro; se rubi, se sei disonesto, sei impuro ... Tutto corrispondeva al "mi sento sporco".
In realtà il concetto di impurità/purità non ha necessariamente una connotazione fisica o sensitiva; per Gesù, come anche per tutti gli ebrei, la purezza non è moralismo, ma è santità, essere santi come Dio è Santo; e la Santità corrisponde a vivere la vita di Dio in noi.
Quindi, forse non è così strano che Gesù di fronte alle provocazioni su ciò che è puro e impuro tuoni con forza sulla sacralità del cuore e della vita di Dio in noi, esperienza che si manifesta nella fede. È infatti dal cuore che si manifesta il desiderio dell'uomo, un desiderio di amore e verità oppure di menzogna o morte.
Noi non siamo indenni da questa condizione, il nostro cuore è il terreno di battaglia delle nostre contraddizioni e della nostra purità/impurità, cioè della nostra Santità di vita secondo Dio o della nostra disumanità fatta di orgoglio, invidia, idolatria, maldicenza, infedeltà ...
Come discepoli di Gesù non possiamo trascurare di prenderci cura del nostro cuore.
Sam Massimiliano Kolbe diceva che : " ... La vita attiva è la conseguenza della vita interiore e non ha valore se non viene da essa. Vorremmo fare tutto il meglio possibile, con perfezione. Ma se non è collegato alla vita interiore, non serve a nulla. Tutto il valore della nostra vita e della nostra attività dipende dalla vita interiore, la vita dell’amore di Dio ...". La vita interiore è la realtà del nostro cuore.
La cosa assurda è che scribi e farisei pensavano di prendersi cura del loro cuore attraverso tutta quella serie di precetti umani che hanno reso il cuore disumano, trasformando la loro fede nel Dio dei Padri in "imparaticci pesanti da portare e inutili". Tutta una serie di precetti di uomini che hanno svuotato il cuore della vera fede e lo hanno riempito di religiosità e di superstizione: una questione di lavaggi di stoviglie e di mani.
La provocazione di Gesù ai discepoli è evidente: "Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro".
Guardiamo ora a cosa conduce l'incuria del cuore ...
Non è forse mancanza di cura del cuore la condizione di immoralità che si è consumata come dramma della pedofilia; come insabbiamento della verità e responsabilità; come calunnia e intrigo di palazzo, per screditare persino il successore di Pietro, il vicario di Cristo in terra, il servo dei servi di Dio, il Santo Padre il Papa?
Ho usato tutti i titoli proprio perché nel nostro cuore dobbiamo mettere tutto ciò che corrisponde alla persona del Papa per amarlo e sostenerlo. Perché oggi e sempre, Lui rappresenta l'unità e la comunione, rappresenta la fedeltà e la tradizione, rappresenta l'amore di Cristo per la Chiesa e la passione di Dio per l'umanità. 
È diabolico, in questo nostro contesto storico, tessere intrighi per screditare e decapitare la Chiesa nella persona che lo Spirito Santo ha posto alla sua guida.
Educate il cuore significa mettere ancora e di nuovo le verità scomode del Vangelo al centro della nostra conversione personale.
Ecco che allora che è scomodo parlare di uomo e donna, è scomodo parlare di famiglia ed è scomodo parlare di educazione alla sessualità e affettività ...
È scomodo perché il nostro è il tempo della contro cultura cristiana - perché di questo si tratta -, non siamo di fronte a un nuovo mondo di valori a una nuova civiltà (almeno l'Illuminismo e la rivoluzione francese promuovevano valori umani universali); oggi siamo solo di fronte alla cultura del disvalore, dell'egoismo e dell'indifferenza; oggi è di moda la cultura che promuove l'insignificanza cristiana; ebbene oggi è scomodo e faticoso sostenere la santità della famiglia, dell'amore di un uomo e di una donna come sacrario della vita; è scomodo parlare di maturità affettiva e responsabilità sessuale, di fronte alla più facile uniformità sessuale e uso e consumo del sesso in tutti i suoi aspetti legati alle possibili relazioni umane.
Ed è ancora più scomodo parlare di accoglienza; per questo dobbiamo distinguere tra uomo e uomo, tra profugo è rifugiato, tra richiedente asilo e clandestino ... Ma questo è solo un modo politico per salvare la faccia di fronte alla frattura che si è generata nel nostro mondo tra paesi poveri e paesi ricchi, tra paesi del vecchio continente - schiavisti e colonialisti - e paesi sfruttati e umiliati per millenni. Certamente come cristiani non possiamo in coscienza tollerare che in nome di Cristo si affermino delle ingiustizie e delle discriminazioni tra figli di Dio, tutti siamo figli fidi Adamo ... Anche se uno è italiano, o europeo e uno è nigeriano o africano ...
"Maria donna dei nostri giorni, che hai sperimentato le tribolazioni dei poveri, aiutaci a mettere a loro disposizione la nostra vita, con i gesti discreti del silenzio e non con gli spot pubblicitari del protagonismo. rendici consapevoli che, sotto le mentite spoglie degli affaticati e degli oppressi, si nasconde il Re. Apri il nostro cuore alle sofferenze dei fratelli. E perché possiamo essere pronti a intuirne le necessità, donaci occhi gonfi di tenerezza e di speranza. Gli stessi occhi che avesti tu, quel giorno. A Cana di Galilea." (Mons. Tonino Bello)

sabato 1 settembre 2018

1 Corinzi 1,26-31 e Matteo 25,14-30
Uno o più talenti di amore!

La logica della parabola è ferrea, infatti tutto si svolge per sottolineare il personale e responsabile coinvolgimento nel realizzare la gioia del proprio Signore. Ma questa è una immagine che declinata nella vita di ciascuno opera quel contatto con il mistero di Dio che prima di tutto chiama a conversione. La nostra relazione con il Padre parte proprio dalla presa di coscienza di essere dono, essere 5, 2 o 1 talento non conta, ciò che è importante e sentirsi dono.
Perché è importante passare dall'essere dono al prendersene cura? Perché nel prendermi cura del dono, divento parte della gioia e mi incammino verso il mio fine: la gioia del mio Signore!
Nella logica economica, il profitto motiva il curare i talenti ricevuti: una logica del profitto che riconosce un valore e il perseguirne il suo incremento. Di fronte all'esperienza del dono - che è tutto ciò che è del Padre (il suo amore) - la nostra umanità se illuminata dalla fede, corrisponde all'amore amando a sua volta. Riconoscere il dono ricevuto, è prima di tutto riconoscere di essere amati, di essere unici e speciali per Dio Padre. Incrementare l'amore ricevuto corrispondendovi è già partecipare alla gioia del Signore. La sfida della nostra vita quotidiana è legata alla cura di un amore donato che che spesso tratteniamo e non corrispondiamo. La nostra umanità ferita e umiliata, si dimostra spesso come il luogo in cui sotterrare il dono di amore ricevuto. Questo non ci fa bene!