martedì 31 maggio 2022

La vera accoglienza!

Sof 3,14-18 e Luca 1,39-56
Festa della Visitazione

Questa gioiosa festa, che sboccia nella visita di Maria ad Elisabetta, è per noi immagine meravigliosa di accoglienza, tratteggia ciò che deve essere la Chiesa: accogliente.
Maria, dopo aver ascoltato e creduto alla Parola del Signore, proprio perché riconosce come primario il ruolo di Dio nella sua vita, va dalla cugina. La corrispondenza perfetta d’amore tra Creatore e Creatura moltiplica la carità nel grembo di Elisabetta. L’amore di Dio si comunica per attrazione, attraverso la gioia, la felicità, la fiducia che riposa nell’affidamento completo a un Padre pieno di Misericordia. È questo amore; è questa vicinanza; è questa misericordia che tutti vorremo incontrare nella Chiesa. Papa Francesco sempre ci ricorda che la Chiesa, non è una roccaforte, ma una tenda capace di allargare il suo spazio perché entrino tutti. La Chiesa ha bisogno "dei tutti ...", proprio di tutti, senza esclusioni.
Ed è una Chiesa fragile e in uscita nel mondo che scopre la sua vera identità: per cui La Chiesa è “in uscita” come Maria verso Elisabetta o non è Chiesa; o è in cammino per i monti della Giudea e in tensione allargando il suo orizzonte affinché entrino altri, o non è Chiesa. È "una Chiesa con le porte aperte", sempre con le porte aperte, come la casa di Elisabetta.
Ecco allora che l'esperienza della comunità credente si tinge del colore della accoglienza, dello sguardo della tenerezza e della comprensione.
Accogliendo, la Chiesa, le comunità credenti, riconoscono un atteggiamento nuovo di confronto con la realtà, con il mondo. Emerge in un modo nuovo, come accogliere non significa rinchiudere dentro di sè, fagocitare, inglobare o quella strana esperienza che è l'integrazione; accogliere non è un processo inclusivo, ma una dinamica di apertura, di dilatazione di orizzonti, è un abbraccio libero e gioioso.

lunedì 30 maggio 2022

Abbiate coraggio ...

Atti 19,1-8 e Giovanni 16,29-33

Ad un certo punto, sembra che i discepoli, improvvisamente ostentino sicurezza dicendo “ora sappiamo che tu sai tutto”, pensano di sapere, di aver capito tutto, in realtà Gesù li precede ancora perché sa bene che lo lasceranno solo nel momento più difficile della croce. Una ostentazione che fa eco alla nostra sicurezza e indifferenza rispetto al mistero. In molti a volte ci illudiamo con presunzione di aver capito il pensiero di Dio, di aver capito quello che Dio ci sta mandando in un determinato momento della nostra vita, quando vogliamo afferrare i suoi progetti pensando di poterli fare interamente nostri.
A volte camminiamo sicuri delle nostre certezze, ma Gesù ci avverte che tale sicurezza è illusoria, perché proprio in quella sicurezza si nasconde il Imite e la possibilità della nostra solitudine e di abbandonarlo pure noi, "lasciandolo solo". È il superamento della solitudine che emerge nelle parole di Gesú. Egli ha sperimentato come la nostra paura è la sua solitudine; ma lui con amorevolezza ci conferma che non viene meno; che lui non ci volta le spalle; lui non sarà mai causa della nostra solitudune. Quando il limite e la sconfitta sembrano segnare la nostra vita, è proprio lì che con coraggio occorre cercarlo. Ci vuole il coraggio di rivivere in noi la solitudine di Gesù, e di riconoscere la forza che è frutto dell'abbandono confidente nell'amore del Padre: "ma io non sono solo, perché il Padre è con me".

domenica 29 maggio 2022

Ascensione storica!

At 1,1-11; Sal 46; Eb 9,24-28; 10,19-23; Lc 24,46-53

 

In cima al Monte degli Ulivi, fino dal 378 dC, una edicola o piccola Chiesa da' testimonianza della Ascensione del Signore. Oggi, dopo alterne vicende, conquiste, distruzioni e ricostruzioni è una Moschea, in cui, in questa solennità, i cristiani delle varie confessioni presenti a Gerusalemme, possano ugualmente celebrare la Solennità, e lo fanno per tutta la giornata.

Un segno di estrema fragilità e piccolezza; testimonia il luogo in cui per l'ultima volta i discepoli videro Gesú risorto prima a che si realizzassero le sue parole circa il suo tornare al Padre.

Un luogo modesto, privo di solennità... eppure proprio quello spazio tra cielo terra segna nel tempo questo stupendo mistero. Una impronta su una roccia custodisce quel ricordo, come a dirci ecco, qui è giunto a compimento tutto.

La Risurrezione ha infatti il compimento in questa assenza, nel non esserci più con noi di Gesù e nel suo essere di nuovo nel e con il Padre.

Cosa rappresenta il segno dell'Ascensione?

- È la cerniera tra il tempo di Gesù e quello della Chiesa; una Chiesa chiamata a rivivere l’intima amicizia col maestro e ad annunciarlo, qui e ora, nella testimonianza quotidiana.

- É l’ultima apparizione del Risorto; è il suo modo definitivo di essere tra noi fino al suo ritorno. Quando ritornare non sarà solo la fine del mondo ma sarà la vera Pasqua che tutti ci comprende; sarà il compimento di tutto ciò che rappresenta la creazione, sarà il punto di arrivo dell’esodo da Dio della creazione stessa (la nostra lontananza dal mistero).

- Sarà l’uscita dalla terra dei sepolcri e dalla morte per entrare nel cielo; perché tutto sarà cielo: la creatura si ricongiunge al suo creatore. Con l’Ascensione Dio ha dato tutto di sè stesso; nell'Ascensione  conosciamo il Padre che ama questo mondo; ci ha dato totalmente suo Figlio, al punto di non avere più nulla da dire o da dare; ha già detto e dato tutto nella carne glorificata di Gesù. 

Tutto questo mistero di gloria non obbliga la nostra libertà, non ci schiaccia con la sua onnipotenza, ma lascia solo una debole traccia di sé nascosta nelle turbolente vicende umane; una traccia velata dalla povertà di una roccia che per molti è solo segno di ilarità o di scandalo - inciampo -.

Un segno che ci interpella in un modo diretto e originale. Ci pone di fronte l'esito del suo essere uomo, al bilancio fallimentare dei suo agire, dei suoi miracoli, delle sue parole: tutto trova sintesi nell'immagine di un gruppo sparuto di amici (11 per la precisione) e alcune donne viste neppure troppo bene.

Tutto questo sembra dirci che per noi resta il compito di ricercare ed esprimere il segno della presenza di Dio, fintanto che Dio non sarà tutto in tutti.

Quel segno sulla roccia è ben di più dell'impronta di un corpo glorificato; è l'impronta del suo amore per noi. Il suo amore, il suo darci la vita, lascia un segno per sempre per rassicurarci che non verrà mai meno. Tornare al cielo significa per Gesù aver acceso in questo nostro mondo e per tutti i tempi il fuoco del suo amore

Gesù sa che nessuno di quegli uomini e di quelle donne lo dimenticherà mai, perché lui li ha amati e loro si sono sentiti amati da lui, è questa la sola garanzia che permette al Vangelo di essere ancora annunciato; è questa la garanzia che ogni uomo può sperimentare come l'amore è sempre più grande di tutti i limiti che abbiamo, anzi ci permette di comprendere che amare è condizione e di esistenza. Di fronte a quella pietra abbiamo il dovere di scoprire la traccia dell'amore di Gesù per noi; di lasciarci toccare dalla tenerezza di Dio Padre e di infiammarci del fuoco di amore che arde come Spirito Santo nel tempo e nella storia.

Solo queste tracce misteriose di Dio ci permetteranno di pensare a un mondo luogo della salvezza di Gesù e che non sia condannato a sprofondare nella disumana barbarie dell'egoismo, della guerra, della morte.

Quegli undici, testimoni del suo andare al cielo, sono stati l'onda espansiva dell'amore

di un Dio che ci porta con sé al cielo, mentre i segni del cielo precipitano sulla terra e continuano a manifestarsi in tutto il mondo. Da oggi ciascuno di noi è interpellato ad essere cercatore e scopritore di questi segni di amore.

sabato 28 maggio 2022

Vi lascio il Padre ...

Atti 18,23-28 e Giovanni 16,23-28

Per molti, questo tempo di transizione e di profonda trasformazione, insieme a una imprevedibilità circa gli eventi futuri, si carica anche di domande circa quella fede che ci è  stata consegnata, affidata e da trasmettere. Domande fondamentali! Ci chiediamo innanzi tutto dov’è il Signore che cerchiamo e come possiamo vederlo; vogliamo capire qual è il nostro nuovo rapporto con il Padre; vogliamo infine sapere se la nostra fede è autentica o illusoria, presunta o reale. Sono gli stesdi interrogativi che la Chiesa delle origini si è posta dopo che Gesù se ne è andato e che ancora si pone nell’attesa del suo ritorno. Come e quando troviamo colui che cerchiamo? Che senso ha questa storia dopo di lui, senza di lui? Come vivere la sua assenza? Quando sarà il suo ritorno?
La nostra esistenza cristiana ha come modello l’esistenza terrena di Gesù: la conoscenza di lui si sviluppa attraverso le sue stesse parole. Centrale in questa conoscenza è il Padre. Ecco infatti che dopo la sua "partenza", egli ci affida al Padre e ci affida il Padre, il nostro rapporto con il Padre sarà molto più profondo e responsabile: il dono dello Spirito d’amore ci farà dimorare nel Figlio e ci darà libero accesso al Padre. “Nel suo nome”, uniti a lui, siamo quei figli che sanno di avere un Padre che non viene mai meno.

venerdì 27 maggio 2022

La vera gioia ..., la vera fede!

Atti 18,9-18 e Giovanni 16,20-23

Il cristianesimo non è una religione, ma è esperienza di vicinanza di Dio e fede nella sua manifestazione nella persona umana di Gesù. Questa esperienza di fede ha tutti i tratti della natura umana e insieme del mistero trascendente che in Gesù chiamiamo Incarnazione del Verbo. È alla luce di questa coscienza che possiamo superare quel limite che per noi umani è il dolore attraverso la piena comprensione dall'esperienza di amare, un amore che coinvolge totalmente e necessariamente tutta la vita. Un amare che si esprime totalmente nel donarsi. Il nostro amore non è puramente emozionale ma è viscerale ed è condizione di esistenza: la nostra umanità non è tale senza l'amore. Questa condizione nelle parole del Vangelo si esprime nell'immagine di una madre che soffre nel partorire il proprio bambino ma poi gioisce, così non c’è amore vero che non comporti l’uscita da sé, e la rinuncia al proprio egoismo: il coraggio di accogliere la sfida di amare cio che è altro.
Questa matura consapevolezza è di un uomo che sta per essere crocifisso eppure ci parla di gioia, di amore e di vita. Questo è il vero volto della fede cristiana, che mai sarà riconducibile a una religione con regole e riti ripetitivi.

giovedì 26 maggio 2022

Un "poco" molto presente

Atti 18,1-8 e Giovanni 16,16-20

Le parole del vangelo di oggi, giocano tra presenza e assenza di Gesù, tra vederlo e non vederlo più, tra tristezza e gioia. Possiamo rileggerle attraverso l'esperienza di chi si è separato da un amico, di chi ha visto partire da sè chi ama. Se Gesù fosse solo un uomo, alla sua partenza ci sarebbe stato solo lo spazio per la disperazione e la tristezza; ma, poiché Lui è Dio, e Dio rimane sempre per mezzo di Lui e resta anche dopo di Lui. Chi ha fede, percepisce la stretta connessione tra andare e restare, tra vederlo e non vederlo più; chi ha fede si sente che quel "poco ancora" caratterizza la nostra vita nel tempo. Ma tutto questo non ci impedisce di sperare e sperimentare la verità delle parole del maestro. Questa verità (in forza del suo andare al Padre) trasforma la fede in certezza, la speranza in gioia piena e la capacità di bene in carità fattiva. Potremo forse dire che il non esserci di Gesú, il suo andare, non è che un modo diverso di presenza, un cambiare il “modo” di farsi vedere, grazie allo Spirito da Lui donato. Ma allora, se è lo Spirito Santo il nuovo modo di essere presente da parte di Gesù, significa che la nostra gioia è proprio in relazione allo Spirito (cioè ad una presenza “diversa” di Dio nella nostra vita). Lasciamoci coinvolgere nel quotidiano soffio dello Spirito, fermiamoci un attimo ad ascoltarne la voce ... è la voce di Cristo.
Inviato da iPhone

mercoledì 25 maggio 2022

Tutta la verità … Gesù nostra vita

Atti 17,15.22-18,1 e Giovanni 16,12-15

Il tema della verità, apre grandi domande, soprattutto di fronte alla mistificazione, a cui oggi assistiamo come normale atteggiamento nel rileggere e raccontare la realtà. È possibile parlare di verità? Esiste ancora la verità?
Quando Gesù parla della verità a cosa si riferisce, a cosa pensa?
Quando Gesù parla di verità, certamente la pone in relazione a sé stesso e alla sua stessa vita, al suo pensiero, ai suoi sentimenti: “Io sono la via, la verità e la vita; Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”(Gv 14,6). Gesù oggi ci introduce nella conoscenza dello Spirito di verità, che avrebbe accompagnato coloro che credono in lui, a partire dal suo non essere più con loro. Sembra quasi affermare che una sua assenza fisica non preclude l'esperienza di ciò che è la verità. Allora, cosa intendeva Gesù quando diceva che lui era la verità? Che cos’è la verità? Certamente l'espressione "verità" identifica tutta la vita e l'esistenza terrena di Gesù. Quando confrontiamo la nostra vita con la sua, si accende in noi quella luce di desiderio-nostalgia di Lui ...
La verità è quella luce che splende nelle nostre vite e rivela come siamo per natura: attratti da ciò che è vero, e fatti per corrispondere alla verità; in contrasto (nel confronto) percepiamo come la menzogna corrisponde al nostro degrado umano.
Vivere nella e con la verità di Gesú ci porta a essere trasformati nell'immagine di Cristo. È questa trasformazione che viene operata dallo Spirito della verità, che ci rende capaci di accogliere in noi la verità di Gesù con tutto ciò che porta con sé, prima di tutto l'esperienza di amare i fratelli e il desiderio di fare della nostra vita lo spazio reale della comunione almeno con chi amiamo.


martedì 24 maggio 2022

Vieni Santo Spirito

Atti 16,22-34 e Giovanni 16,5-11

Parole difficili da comprendere fino in fondo, parole che, oggi come allora non soddisfano la nostra ragionevolezza. Il primo contenuto che l'evangelista affronta è la necessità della dipartita del Signore. Di fronte alla difficoltà della vita comunitaria; di fronte alle insidie del mondo, si aggiunge anche il venir meno del Maestro, ma questa assenza non è una privazione ma una necessità, affinché ogni discepolo possa essere protagonista attivo e testimone dello Spirito del risorto che è in lui. Proprio noi siamo invitati ad andare avanti, nel nostro tempo, senza di lui, senza il Signore, e a riconoscere lo Spirito consolatore che agisce nella storia e nella quotidianità della nostra esistenza; lo Spirito che conduce al compimento della salvezza. Il secondo contenuto è sul discerninento della realtà e quindi sul senso del peccato.
Lo Spirito, che rende Gesù contemporaneo, ci aiuta a capire che il vero peccato consiste nel non riconoscerlo come colui che mandato dal Padre, ce lo rivela in sé stesso; il peccato consiste nel precludere l'uomo dalla salvezza donata e nel farsi operatori di iniquità, servendo il maligno. Lo Spirito soffi abbondantemente su di noi!

 

lunedì 23 maggio 2022

Un dono scomodo ...

Atti 16,11-15 e Giovanni 15,26-16,4

La comunità di origine dei discepoli, ha avuto, da subito, confronti accesi e scontri con le autorità con la comunità giudaica; ma in seguito, le comunità cristiane, in tempi diversi e in contesti altrettanto differenti, hanno sperimentato le parole che Gesù consegna ai discepoli insieme alla promessa dello Spirito: "scacceranno dalle sinagoghe; anzi, viene l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio". Ma il perché di questa ostilità non è così chiara ed evidente, e non è neppure il frutto di un vittimismo o di un senso esagerato di persecuzione. Forse occorre riconoscere che se un discepolo vive nella sequela del Maestro e lascia spazio allo Spirito nella sua vita, è inevitabile che entri in un confronto critico con la mondanità e con chi non conoscendo e vivendo dell'amore di Dio,  accondiscende alle logiche del potere, della sopraffazione, dell'interesse, dello scarto, in definitiva del male ecc... La vita nello Spirito del Figlio - propria del nostro essere discepoli - è unione affettiva, ma anche effettiva con Gesù -; essa comporta la testimonianza della nostra esperienza di Gesu, e di come il vangelo del Signore è origine della nostra esperienza di vita.
La promessa di Gesú circa il dono dello Spirito, allora, non si colloca nelle esperienze consolatorie, ma nella testimonianza del discepolo di fronte alla mondanità che rinnega la propria relazione con il Padre. La cosa affascinante è come realizzare il dono della comunione e dell'amore ricevuto, anche lì dove le diversità di pensiero e di cultura sono origine di confronti accesi se non di scontri.


domenica 22 maggio 2022

La dimora dell'amore

At 15,1-2.22-29; Sal 66; Ap 21,10-14.22-23; Gv 14,23-29

Oggi facciamo una omelia sulla affettività ... per la nostra affettività!
Gesù ci dice che se lo amiamo ... Ci confronteremo con una serie di conseguenze inevitabili.
Ma come amarlo? Cosa significa per ciascuno di noi amarlo?
Nelle parole di Gesù troviamo la risposta al nostro modo di corrispondere al suo amore e all'esperienza di amare in generale. Prendiamo coscienza che Gesù vive una esperienza di amore umanamente maturo e consistente.
Maturo che non ha a che fare con l'età anagrafica o biologica, ma al senso dell’esperienza, consapevole del suo valore, ma soprattutto è un amare compiuto.
Consistente significa solido che non presenta debolezze e cedimenti, che l'amare ideale si identifica con l'amare possibile.
Amare non è mai solo una emozione, non è mai solo una corresponsione di piacevoli sensi; amare coinvolge tutto il nostro vivere e il nostro agire. L'esperienza dell'amore è il fulcro da cui tutto prende origine della nostra esistenza.
Fintanto che questo non diviene chiaro e consapevole - per ciascuno - restiamo degli umanamente e affettivamente immaturi.
Noi stessi nasciamo da un amore viscerale, cioè l'amore di un uomo e di una donna che ci hanno generato. Nel nostro accompagnarci nella vita, l’amore è la dolce consolazione di chi ami e per chi ti ama. Una consolazione di amore necessaria per sostenerti anche lì quando nasce la paura d'essere soli e incapaci di generare amore: cioè l'esperienza del morire.
Amare nel Vangelo non è mai semplice emozione, non è la passione, e neppure lo slancio dell'estasi erotica. Amare nel vangelo, e in particolare per Gesù, si accompagna sempre con una esperienza concreta. Quando pensiamo a come Gesù ama, dobbiamo ammettere che il suo è un amore totalmente umanizzato. Un amore capace di dare, il donare gratuitamente; di essere contemplato, di osservare per fare proprio l'amato. Questo è vero, al punto che le ultime parole del Signore nell'ultima cena sono sull'esperienza di amare: "non c’è amore più grande che dare la propria vita per gli amici", per chi amiamo.
Amare significa per Gesù dare tempo e cuore alle parole di Dio e fargli spazio. Ecco che se anche noi diamo spazio alle parole di Gesù, alla sua parola, le sue Parole diverranno le nostre; le conserveremo con cura, come un tesoro prezioso, così che non ne vada perduta una sola; come un innamorato custodisce gelosamente le parole dell’amata.
Ma noi più che custodire ci limitiamo ad osservare la parola, al punto di averne travisato la forza e la ricchezza, rendendola solo un comandamento. Ma la Parola è molto di più di un comando o una legge: guarisce, illumina, dona ali, conforta, salva, crea. La Parola di Gesù ha la forza, e la pretesa, di dare la vita, di essere la vita dopo la morte, come lo è stato per l'amico Lazzaro.
La Parola di Gesù ha la sua piena manifestazione nel: tu amerai, custodirai, e seguirai l’amore. Ecco, seguire l'amore ... Se uno mi ama. Se ami, anche tu, tutto si trasforma e si plasma in ragione dell'amore.
Oggi di fronte a queste parole di Gesù scopriamo che le sue parole scaldano il cuore e sgorgano in noi come una sorgente; il suo amarci, e io cosa posso fare se non rispondere con il mio amore per lui, e di conseguenza anche per i fratelli, per gli amici, per ogni uomo amato da lui.
Amare non è un vincolo o un legame, ma una esperienza di libertà, Gesù amando libera la nostra umanità dai vincoli della sua inadeguatezza, liberandola dell'egoismo e dalla morte. Soli nella libertà l'amore troverà in noi tutto lo spazio necessario per essere condizione di esistenza, perché si vive solo se si ama, diversamente si è immersi nella solitudine mortale. Ecco allora che nell'amore Gesù ha preso dimora in noi.

sabato 21 maggio 2022

Amare genera la prova

Atti 16,1-10 e Giovanni 15,18-21

Amare, non significa che tutto sarà rose e fiori! Amare non esclude le prove, anzi ci introduce nella prova più vera: la fedeltà all'amore. Amare non ci promette una strada lastricata da successi e riconoscimenti; anzi spesso chi ama non si sente mai pienamente corrisposto.  Ma anche questo fa parte del misterioso esprimersi dell'amore; Gesù anche di fronte ai nostri tradimenti, al nostro voltarci dell'altra parte, sempre ci conferma la sua scelta e la sua promessa - io ho scelto voi -, di stare con noi sempre, di farci da maestro e da amico, accompagnandoci nel cammino di donazione che lui stesso ha percorso, anche se ciò spesso significa andare incontro all’incomprensione e al rifiuto degli uomini e della società. È inevitabile, che percorrendo la strada dell'amore, sugli stessi passi del Signore, ogni discepolo ripercorre anche l'esperienza di una vita donata e offerta, con tutte le sue ferite e inadeguatezze. Tutto questo insieme alla volontà di continuare ad amare è "persecuzione".

venerdì 20 maggio 2022

Amicizia "particolare"

Atti 15 22-31 e Giovanni 15,12-17

Quanto siamo superficiali quando parliamo diamicizia? Forse sarebbe meglio dire conoscenze? Ebbebe, cos'è veramente e umanamente l'amicizia? E quanto le esperienze e delusioni di amicizia incidono l'esistenza?
Tutte donmande che in realtà mettono in evidenza che non siamo di fronte a una semplice dimensione relazionale, ma a quella esistenziale; interpreta la nostra solitudine originaria. Ma proprio per questa originariarietà, l'amicizia ha provocato anche la vita del Figlio di Dio fatto uomo, di Gesù!  Per lui parlare di amicizia non è stato una teatralità, un adeguamento alla nostra natura. Anzi nell'esperienza d'amicizia Gesù ritrova tutto ciò che sperimenta come relazione col Padre. Ecco allora che amicizia e amore non sono disgiungibili. Forse abbiamo fatta troppa psicologia e applicato troppe imbarazzate limitazioni moraliste, ma alla fine resta che amicizia e amore si intrecciano in modo, naturale, umano e divino, espressione di una sintesi umana e divina inevitabile e sorprendente.
Il vangelo ci racconta come Gesù nel vivere e proporre l'esperienza di amare impatta nell'amicizia e ci apre una strada nella quale accogliere Dio e dare un volto al nostro rapporto con i fratelli. Gesù ci dice che non siamo più servi ma amici, cioè Dio non è più un padrone, ma un Padre che ama. Un amore che si esprime in amicizia e una amicizia che esprime amore! Quale straordinaria bellezza si sprigiona: la vicinanza che è misericordia; la tenerezza che è amorevolezza; la giustizia che è perdono; l'accoglienza che è dono di sé stessi. Gesù ci parla di un amore/amicizia che è scelta, predilezione: "Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi” e ci ricorda che, questo è un dono misterioso del suo amarci gratuito; quanto questo deve incidere umanamente i nostri rapporti!

 

giovedì 19 maggio 2022

La mia gioia è amarvi

Atti 15,7-21 e Giovanni 15,9-11

Gesù è stato uomo vero, uomo in pienezza. Leggendo il Vangelo, scopriamo che Gesù ha vissuto tutta la gamma di emozioni e di sentimenti che ogni uomo e donna può sperimentare. Così come noi anche Gesù ha provato rabbia, delusione, tristezza, paura… ma anche allegria, gioia, tenerezza, compassione; sono esperienze umane che rendono vera la nostra vita, che colorano e riscaldano la nostra esistenza, che ci fanno essere normali, ma anche partecipi del mistero di Dio. Il vangelo di questa mattina mette in luce, subito, il contenuto della gioia di Gesù: il suo amore per noi, la sua esperienza di amare è motivo causa della sua gioia. Gesù nell'amore verso di noi riversa la sua esperienza di figlio amato dal Padre, egli riversa la sua gioia, in noi per seminarla nella nostra umanità.
In quelle ultime ore di familiarità con i discepoli, Gesù esprime ciò che più di tutto sente necessario: rimanere nel suo amore; amarci come lui ci ama; non è una obbedienza cieca e formale ma l'espressione della volontà di rendere felici chi egli ama. Gesù ci invita a rimanere nel suo cuore, affinché anche noi facciamo della nostra vita un dono e una testimonianza d’amore e di vita per noi e per i fratelli. Questa é la vera gioia. Oggi la nostra gioia, uniti a Gesù, sarà rendere felici gli altri, rendere felici almeno quelli che amiamo e che vi amano... se non proprio tutti!

mercoledì 18 maggio 2022

Rimanere in lui ...

Atti 15,1-6 e Giovanni 15,1-8

Fosse facile rimanere in lui ... rimanere uniti a lui ...
Il vangelo ci offre due immagini per esprimere il desiderio di Gesù di essere unito nella vita ai suoi discepoli: quella del vignaiolo che pota la vite per rinnovare i tralci e quella dei tralci uniti necessariamente alla vite.
L'agire del vignaiolo non si limita a una drastica operazione di selezione dei tralci, ma ha di mira il produrre frutto, e il portare più frutto. La relazione che ci unisce a Cristo produce nella quotidianità un "frutto" che ne è la naturale conseguenza: sentimenti, atteggiamenti, scelte, azioni ecc ... Al Padre sta a cuore che il il nostro essere uniti a Cristo sia una esperienza di fecondità non di aridità,sia una esperienza generativa e non di sterilità.
Ma la fecondità non è la conseguenza del nostro volontarismo, ma è direttamente conseguenza della intimità di vita (fede) che abbiamo con il Signore: perché da lui e solo da lui riceviamo la linfa che ci fa esistere, la linfa che ci permette di crescere. È per questo che Gesù ripete con insistenza di non andarcene, di restare, di dimorare. Ecco quanto è necessario e importante,  nel nostro vivere quotidiano custodire il rapporto con il Signore, ciò significa prima di tutto riconoscerlo come vite vera, quindi domanda vivente e di senso dell'esistenza. Riconoscerlo come vite e riconoscerci cone tralci, significa affermare una condizione indispensabile e necessaria al nostro vivere al nostro esserci.

martedì 17 maggio 2022

Vi do la mia pace

Atti 14,19-28 e Giovanni 14,27-31

Una pace dell'altro mondo, che resiste anche in mezzo al caos distruttivo di questo nostro mondo. La pace di cui parla Gesù, quella che Gesù dona ai discepoli è quella che esprime il suo amore per il Padre. È Pace nel senso Che è soluzione alla nostra inadeguatezza, ai nostri limiti; alla paura della morte e del nulla che ci sovrasta. È Pace perché Gesù insegna l'abbandono confidente al Padre buono e misericordioso, che tutto porta a pienezza di ciò che con amore ha chiamato ad esistere. La pace è superamento dei conflitti, se per conflitto intendiamo l'esperienza del male e del peccato come contrapposizione e divisione. Per Gesú donarci la pace è indispensabile e assolutamente necessario; nella pace il Signore esprime il dono gratuito, libero e totale, di sé stesso, con il suo corpo, il suo sangue, la sua anima, la sua divinità, così che la nostra umanità viene innalzata all’eternità d’amore, che è Dio. È questa pace, come comunione con Gesù che permette al discepolo di stare tra le vicende di male e di conflitto non con il desiderio di vittoria, ma con la lucida visione che solo l'amore di Dio è capace di sanare ogni ferita, a partire da come noi siamo costruttori di pace.

"Per quanto difficile da accettare, la pace del Signore segue la via della mitezza e della croce: è farsi carico degli altri. Cristo, infatti, ha preso su di sé il nostro male, il nostro peccato e la nostra morte. Ha preso su di sè tutto questo. Così ci ha liberati. Lui ha pagato per noi. La sua pace non è frutto di qualche compromesso, ma nasce dal dono di sé. Questa pace mite e coraggiosa, però, è difficile da accogliere". (Papa Francesco)


lunedì 16 maggio 2022

Cosa significa amare

At 14,5-18 e Giovanni 14,21-26

Per amare, occorre partire dai sentimenti, dalle emozioni, dai desideri che corrispondono alla nostra natura, ed esprimono la nostra irrazionalità; ma tutto questo nella concretezza di amare, divengono azioni di amorevole cura, fino ad assumere la veste definitiva della scelta di amare, che corrisponde alla più intima e reale consapevolezza.
Ieri papa Francesco ha detto: "Amare significa servire e dare la vita senza anteporre propri interessi". Servire, cioè non anteporre i propri interessi; disintossicarsi dai veleni dell'avidità e della competizione; combattere il cancro dell'indifferenza e il tarlo dell'autoreferenzialità, condividere i carismi e i doni che Dio ci ha donato. Nel concreto, chiedersi "che cosa faccio per gli altri?" Questo è amare, e vivere le cose di ogni giorno in spirito di servizio, con amore e senza clamore, senza rivendicare niente. E poi dare la vita, che non è solo offrire qualcosa, come per esempio alcuni beni propri agli altri, ma donare sé stessi" ... donare sé stessi!
Amare non è una teoria, neppure un insegnamento morale o religioso; anche per amare Gesù occorre che accogliamo prima di tutto il suo desiderio, i suoi sentimenti e le sue parole. Chi fa spazio alle sue parole genera in se stesso l'intima relazione che è normale condizione di chi mette la vita insieme per fare esperienza di comunione.

domenica 15 maggio 2022

Logica del mondo - VS - logica di Gesù

At 14,21-27; Sal 144; Ap 21,1-5; Gv 13,31-35


Assistiamo oggi, in modo esemplare, alla contrapposizione tra due logiche: la logica del mondo che poggia sull’ambizione e sulla competizione, sulle armi della paura, del ricatto e della manipolazione delle coscienze; è una logica di guerra e di sopraffazione; è la logica dei compromessi e degli interessi, è quella che vediamo in atto ogni giorno nella guerra in ucraina.

A questa logica si contrappone la logica evangelica, quella di Gesù, che si esprime nell’umiltà e nella gratuità, si afferma silenziosamente ma efficacemente con la sola forza della verità.

I potenti di questo mondo si reggono sulla prepotenza, sulla rivalità, sull'oppressione; il potere di Gesù invece si esprime nella giustizia, nell’amore e con la pace.

Come si concretizza la logica del vangelo? Che cosa vuol dire amare? Come si fa? E come è possibile amare "come io ho amato voi?"

Gesù non dice semplicemente “amate”. Non basta amare, potrebbe essere solo una forma di dipendenza dall’altro, o paura dell’abbandono, un amore che utilizza il partner, oppure fatto solo di sacrifici. Esistono anche amori violenti e disperati. Amori tristi e perfino tossici e distruttivi.

“Come io ho amato voi”: guardate a quello che ho fatto, nell'ultima cena quando ho inventato di lavarvi i piedi e lo spezzare il pane.

Gesù ci mostra come si deve amare la persona il fratello, l'amico e il nemico, come si può vivere in pienezza l'amore di cui ciascuno per la sua parte è sorgente e occasione di dono.

Di fronte alla logica del mondo, è chiaro per noi credenti, quale forza possiamo e dobbiamo mettere in gioco? Di fronte a un cannone, noi cosa ci mettiamo?

Non è il tempo dei "figli dei fiori", ma certamente è tempo in cui i figli di Dio vivano e usino l'arma dell'amore sperimentato e ricevuto dal Padre.

Ecco che parlare di potenza e di forza, significa per noi, fare riferimento alla potenza della Croce e alla forza dell’amore di Gesù: un amore che rimane saldo e integro, anche di fronte al rifiuto dell’amore.

Gesù ci dice che l’amare è estremo limite di tutto; Gesù non scende dalla Croce, non salva sé stesso, ma rimane in croce per salvare gli altri, per poter salvare ognuno di noi dai nostri peccati, dal nostro male, per liberare l'uomo dal giogo del male del mondo; egli ci libera dalle nostre debolezze e miserie, incoraggiandoci a percorrere le strade del bene, della riconciliazione e del perdono.

Cristo non ci insegna a dominare, ma ad amare servendo Dio e i fratelli; un servizio che scaturisce proprio dall’amore ed esprime l'amore. 

Ora entriamo in questo vangelo: nel momento in cui uno dei suoi lo tradisce, Gesù ci lascia il suo testamento d’amore. Ci chiama figli, ci prega di essere testimoni di misericordia e perdono anche quando pensiamo che questo sia inutile.

Gesù ci dice: “Io vi do un nuovo comandamento: che vi amiate gli uni gli altri. Come io vi ho amati, anche voi amatevi gli uni gli altri. Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri.”

Gesù ci sfida in una gara di amore, gli uni verso gli altri ...: vedere ognuno come figlio di Dio, degno e destinatario del più grande e del migliore amore che abbiamo da offrire. È una sfida che non conosce vincitori o perdenti, ma solo vincenti.

Gesù ha amato, convinto e sperando che quell’amore estremo sarebbe stato capace di trasformare il cuore di ogni uomo e donna.

È tempo ormai, per i Cristiani, per tutti i cristiani, di smettere di odiare e di cominciare ad amare.

È la più grande sfida che ognuno di noi dovrà intraprendere.

sabato 14 maggio 2022

Rimanere nell'amore

Atti 1,15-17.20-26 e Giovanni 15,9-17
San Mattia, apostolo


Era necessaria che qualcuno prendesse il suo posto ... È interessante notare come fin da subito l'integrità del collegio degli Apostoli corrisponde a un contenuto teologico e di legame con l'esperienza avuta con Gesù ora il Risorto. Ma che cosa rappresenta questo contenuto? È un semplice richiamo al numero delle tribù di Israele? È espressione di elezione del nuovo popolo? Il vangelo di Giovanni ci dice cosa ha rappresentato l'esperienza di vita in comune e con il Signore: "Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena".
L'importanza dell'integrità del gruppo dei primi che vissero con Gesù è per essere sempre segno di una esperienza di amorevole fratellanza e di intima comunione capace di esprimere la gioia di essere amici e l'amore reciproco. L'insistenza di Gesù non è paranoica, ma consapevole che solo in quella intima relazione di amore-amicizia, che è il rimanere in lui, permette ai discepoli di amare tutti, come il Sigmore li ha amati.

venerdì 13 maggio 2022

Il nostro posto ...

Atti 13,26-33 e Giovanni 14,1-6

Non è certo il nostro "posto fisso" quello di cui parlava Gesù. Nella ricezione dell'immagine, credo che nel tempo, si sia consolidata una nostra collocazione puramente legata alla realtà post-morte. Come al solito è intervenuta una rilettura storica e culturale, per cui il senso originario delle parole di Gesú a Tommaso va riscoperto e rigenerato. Noi tutti abbiamo bisogno di una casa, di un luogo sicuro, in cui risuoni il nostro nome, la nostra identità, dove sentirci chiamati per nome; se Dio, il Padre è quella casa, ecco che recuperiamo tutta la nostra storia di figli.
Il "posto" è quindi prima di tutto il nostro esserci in quella relazione unica e speciale che Gesù ha con il Padre; il nostro posto, quello che il Signore ci prepara, è essere con Lui in quella relazione nella quale ci riscopriamo figli amati. È in questa prospettiva e interpretazione che le parole di Gesù assumono un contenuto e un valore unico, straordinario e vocazionale insieme: "io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me". Queste non sono indicazioni per un "loculo" eterno, ma per un cammino, per una sequela esistenziale quotidiana. Ecco il posto, ogni giorno, dietro a Lui e con Lui.

giovedì 12 maggio 2022

Credete che "Io sono"?

Atti 13,13-25 e Giovanni 13,16-20

Il capitolo 13 di Giovanni è quello in cui si narra la lavanda dei piedi, un gesto da cui prende origine la piena rivelazione della coscienza che Gesù ha di sé stesso; come anche dell’amore del Padre, e della sua volontà di manifestarlo ai fratelli in tutta la sua pienezza, sino “all’estremo compimento”. Lavare i piedi, pone l'accento sul servire, su qualunque espressione di servizio. Anche se dobbiamo riconoscere che è nella realtà stessa dell'amore che si manifesta il "servizio" (farsi servo) alla persona amata. Il gesto di Gesù è quindi rivelativo di sè stesso, lavando i piedi, esprime pienamente il modo in cui il Signore, il Figlio di Dio, intende amarci, e farlo fino alla croce. È quell'amore appassionato che confida anche con il tradimento di Giuda e con l'inadeguatezza di Pietro e degli altri, che nulla toglie a ciò che Gesù vuole condividere: l’umiltà, la donazione di sé, l'accoglienza reciproca, e il vincolo della comunione di amore.

mercoledì 11 maggio 2022

Credere nella tenebra

Atti 12,24-13,5 e Giovanni 12,44-50

Sono parole accorate quelle che Gesù rivolge ai giudei, e oggi le rivolge a chi legge questa pagina di Vangelo; la tenebra rappresenta la condizione del reale quotidiano, dove la verità si incontra con la mistificazione, l'amore con l'odio, la giustizia con il sopruso e la vita con la morte. È nella contraddittorietà del quotidiano, allora come oggi,  che Gesù si rivela e manifesta come luce nella tenebra. Credere in lui è l'atto di fede che ci rende parte della luce. Credere in Gesú significa quindi affidarsi a lui, significa aderire alla sua persona, legare la sua vita alla nostra vita. Non è una adesione intellettuale, almeno non  solo, ma è una esperienza che coinvolge tutta la nostra umanità, a partire dalla nostra carne. La nostra fede infatti ha origine nella umanità di Gesù, a partire dalla sua carne: non possiamo tacere e tralasciare che la carne di Gesù rappresenta la sintesi della comunione di amore con il Padre, ma quella stessa comunione Gesù la condivide con ciascuno di noi quando la luce che è lui illumina la nostra esistenza.

martedì 10 maggio 2022

Mettere la vita nei riti

Atti 11,19-26 e Giovanni 10,22-30

La festività a cui fa riferimento il Vangelo è quella della dedicazione dell’altare del Tempio di Gerusalemme dopo l’occupazione ellenistica durante il Secondo secolo avanti Cristo, quando gli occupatori cercarono di sradicare gli elementi fondamentali della religione ebraica proibendo la pratica della Legge sacra, fino a una rivolta guidata da un anziano sacerdote, Mattatia. I festeggiamenti proseguono per otto giorni. È la festa della luce, al centro di festeggiamenti l'ccensione delle lampade della hanukkàh (candelabro a 9 braccia). È in questo contesto e nel Tempio che Gesù presenta un Dio e un Messia che non corrisponde alle normali attese e prospettive: è Signore in quanto servo, è pastore in quanto mite agnello, è salvatore in quanto dà la vita. Ci salva mostrando chi è Dio per noi e chi siamo noi per lui: Dio è Padre che ama e noi suoi figli amati nel Figlio, che si fa nostro fratello, nonostante ogni nostra resistenza o rifiuto. Gesù riprende qui delle immagini del brano precedente: le pecore, la conoscenza reciproca, l’unione con il Padre, il dare la vita, il rubare, il non ascoltare la voce, il seguire e ascoltare la voce. Tutto nel tentativo estremo di riempire l'autorità del rito con l'intimità di una relazione figliale. Trasformare la fede in una vera relazione che coinvolge tutta la vita.

lunedì 9 maggio 2022

Vita in abbondanza!

Atti 11,1-18 e Giovanni 10,1-10

Gesù ci conosce uno ad uno - come il pastore conosce le sue pecore -, per tutti egli è pronto a dare al vita. E il dono di sé è il comandamento d’amore che Gesù ha ricevuto dal  Padre ed ha incarnato in tutta la sua vita. A differenza del ladro il Signore Gesù non viene per motivi egoistici. Viene per dare, non per ottenere. Viene affinché le persone possano avere in Lui una vita piena, fino alla condizione in cui la vita sarà eterna; è questa vita che risulta "abbondante". Ma cosa significa questa abbondanza? La parola “abbondante” significa “eccessivamente, altamente, oltre misura, più, superfluo, una quantità cosi abbondante che è considerevolmente più di quanto ci si potrebbe aspettare o anticipare". In breve, Gesù ci promette una vita migliore, superiore ad ogni aspettativa, rispetto a  quanto potremmo mai immaginare. La vita abbondante è la vita eterna, una vita che comincia nel momento in cui veniamo a Cristo e Lo riceviamo come Salvatore, e continua per tutta l’eternità. La definizione biblica di vita, nello specifico la vita eterna, viene fornita da Gesù stesso: “Ora questa è la vita eterna, che conoscano te, il solo vero Dio, e Gesú Cristo che tu hai mandato”. Questa definizione non menziona affatto la durata dei nostri giorni, la salute, la prosperità, la famiglia o l’occupazione. Di fatto, l’unica cosa che menziona è la conoscenza di Dio, che è la chiave per una vita veramente abbondante.

domenica 8 maggio 2022

Vocazione da pecora

At 13,14.43-52; Sal 99; Ap 7,9.14b-17; Gv 10,27-30

In più occasioni, Gesù ha detto: "andiamocene altrove, perché io predichi anche la ..."

È in linea con queste parole Paolo e Barnaba dicono: "Era necessario che fosse proclamata prima di tutto a voi la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco: noi ci rivolgiamo ai pagani. Così, infatti, ci ha ordinato il Signore: “Io ti ho posto per essere luce delle genti, perché tu porti la salvezza sino all’estremità della terra.” Oggetto della predicazione è il regno di Dio.

Quale esperienza straordinaria è questo regno di Dio, da dover raggiungere gli estremi confini della terra ...

Ma proprio per questo l'annuncio del regno è ben altro che una attività pastorale di evangelizzazione.

Per troppo tempo, forse secoli abbiamo identificato l'annuncio con il proselitismo e le conversioni di massa, di popoli interi ... ma questo non è l'annuncio, non è la conversione, non è la chiamata alla sequela ... tutto questo è altro, e direi che è qualcosa di neanche troppo bello.

Il regno è il mistero di Dio che abita la nostra vita e la nostra storia. Ecco allora che, annunciare il regno non significa sradicare, togliere e ripiantare una Chiesa sui resti di qualcos'altro; ma significa, scoprire e fare emergere il mistero di Dio, alla luce di Gesù; della sua vita; del suo insegnamento; della sua passione, morte e risurrezione; un mistero che già appartiene all'uomo nella sua natura di uomo. Un mistero a volte rinchiuso nella tenebra della fragilità, del limite o anche del male; condividere il regno di Dio significa riconoscere in Gesù, colui che attraverso, a nostra fragile umanità ci ha già raggiunto e redento dal limite dal male e dalla morte. Ma con che cosa Gesù  ci redime, e ci salva?

È chiara l'immagine del vangelo di oggi, una immagine trinitaria: "Io e il Padre siamo una cosa sola"; un amore unico, indiviso, che custodisce l'integrità delle pecore, perché nessuna vada perduta, neanche la famosa pecora smarrita. Questo è il regno di Dio, questo è il compito a cui ciascuno è chiamato nella propria vocazione personale: garantire l'integrità della comunione di amore che è la base di ogni fratellanza universale. Ecco allora quali sono i confini della terra, essi sono questa nostra fratellanza che si estende a ogni uomo.

Oggi celebriamo la giornata mondiale di preghiera per le vocazioni ...


[La vocazione nasce dall'incontro personale con il Signore, c'è da riscoprire che la vocazione non è mai soltanto "per me" ma sempre "per qualcun altro", una risposta alle urgenze profonde presenti nel mondo e nella Chiesa.

Non è certo segno di vocazione il desiderio di una veste nera, il gusto delicato per qualche pizzo da altare; non è vocazione l'indole da sacrestano per la gestione dei paramenti liturgici, processioni e celebrazioni varie.

Se sono fatto per corrispondere a una esperienza di amore in cui Dio, è attrattivo e mi scalda il cuore, per cui l'amore ai fratelli, cioè alla gente comune, e a tutti indistintamente, mi coinvolge e mi interpella; quando questa pulsione di amore soddisfa i miei desideri, allora forse posso pensare di perseguire una strada di consacrazione che possa condurmi all'ordinazione.

La vocazione non è neppure quella strana idea che Dio ha di me, un suo progetto che generalmente mi lascia un in un turbamento esistenziale, tale per cui sono sempre in dubbio che quel progetto non corrisponda o non abbia nulla a che fare col mio progetto di vita. Una continua e snervante contrapposizione.

Infatti, se il progetto di Dio in realtà altro non è che la mia felicità, cioè lo spazio della mia vita in cui mi gioco la mia libertà e la presenza stessa di Dio; in cui Dio con discrezione e libertà interagisce con la mia libertà e le mie scelte, ecco che è in quella interazione che il "progetto" vocazionale, la chiamata prende forma.

Per cui vocazione è terra, terra … seguire Gesù nel testimoniare, vivere e condividere il regno di Dio. Vocazione è scegliere per la propria vita la missione che per primo ha vissuto Gesù nel suo quotidiano.]


Oggi siamo invitati a Pregare per le vocazioni. Si tratta senz’altro di una preghiera di domanda; ma cosa chiediamo? E a chi lo chiediamo?

Come ogni preghiera di domanda penso dovrebbe essere vissuta con l'animo del figlio che si rivolge ad un Padre buono, che già conosce ciò di cui abbiamo bisogno. Ogni preghiera di domanda ci rende consapevoli di ciò che siamo, dei nostri limiti, dei nostri desideri, e ci permette di rivolgerci a Dio con fiducia, esprimendo la nostra richiesta.

Ma proprio come in ogni autentico dialogo è importante l'atteggiamento di fondo: occorre rimanere aperti e in ascolto della risposta, che può essere diversa da ciò che noi si pensava. Per questo non stupiamoci di quella che per noi sembra essere scarsità nella risposta.

Una giornata di preghiera per vocazioni che non ci sono, almeno non come siamo stati abituati a pensarle.

Anche il papa prova a dirci cosa è la vocazione:

Vocazione come chiamata ad accogliere lo sguardo di Dio che raggiunge ciò che ciascuno di noi già rappresenta e custodisce. Così Dio guarda ciascuno di noi e vede le potenzialità, talvolta ignote a noi stessi, e si pone in opera affinché ciascuno possa mettersi a servizio del bene comune, cioè la propria felicità.

Occorre però consentire a Dio di lavorare su di noi, di far emergere il seme di santità che portiamo dentro. Come diceva Michelangelo Buonarroti a proposito delle sculture: «Ogni blocco di pietra ha al suo interno una statua, ed è compito dello scultore scoprirla»

Oggi dice papa Francesco: Preghiamo, fratelli e sorelle, perché il Popolo di Dio, in mezzo alle vicende drammatiche della storia, risponda sempre più a questa chiamata. Invochiamo la luce dello Spirito Santo, affinché ciascuno e ciascuna di noi possa trovare il proprio posto e dare il meglio di sé in questo grande disegno!

 

sabato 7 maggio 2022

Un Dio fragile

Atti 9,31-42 e Giovanni 6,60-69

L'evangelista Giovanni, nella conclusione del brano di ieri - "Gesù disse queste cose, insegnando nella sinagoga a Cafàrnao." -, sembrava chiudere la narrazione circa il discorso nella Sinagoga a Cafarnao. Oggi, la ripresa del discorso sembra volerci mettere di fronte alle conseguenze del discorso di Gesù nella comunità dei credenti, e come queste conseguenze da allora, continuano fino ad oggi. La Parole di Gesù a volte sono dure e urtano anche i discepoli che lo seguono, urtano anche noi oggi, o se non ci urtano siamo noi che le percepiamo inadeguate. Gesù conosce bene le mormorazioni dei discepoli, eppure, non ha paura di dire tutta la verità di sé stesso a costo di causare una divisione: “Questo vi scandalizza? E quando vedrete il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima?” Cioè dice: “Quando sarete messi di fronte alla realtà della resurrezione, allora lo scandalo sarà più grande?” Ma ciò che di Gesù scandalizza ancora di più è il suo consegnarsi in un corpo mortale a carni fragili, cioè il consegnarsi agli esseri umani. Com’è possibile che Dio si consegni in un uomo che può essere tradito e dato in mano ai carnefici?

Qui la fede inciampa nel dover accogliere l’immagine di un Dio al contrario, di un Dio che è fragile, di un Dio povero e debole, di un Dio degli emarginati e degli esclusi, di un Dio delle vedove e degli orfani, di un Dio del quale gli uomini possono fare tutto ciò che vogliono.


venerdì 6 maggio 2022

Se è vero cibo e vera bevanda ...

Atti 9,1-20 e Giovanni 6,52-59

"Se il mio corpo è vero cibo e il mio sangue vera bevanda", dovremo in verità trarre le estreme conseguenze: Cristo nella sua natura divina incarnata è pienezza di amore e di giustizia, e in quanto tale ci dice che persino il Padre è uscito allo scoperto dal suo "nascondiglio" celeste per rivelare e donare se stesso, per incontrare chi ama, come e attraverso Gesù Cristo.
Appunto, "Se è vero cibo e vera bevanda ...", non siamo più di fronte a un raffigurazione simbolica, non è un simbolo, ma è realtà vera del suo corpo del suo sangue. A Cafàrnao, nella Sinagoga, lo avevano capito molto bene, infatti, da una parte inorridiscono all'idea di mangiare la carne di un uomo, e poi si scandalizzano della possibilità/pretesa di Gesù che la sua carne - ossia il dono della sua vita -, sia salvezza per il mondo intero; cioè che la salvezza dipenda proprio da Lui; ecco lo scandalo dei Giudei.
Se è vero cibo e vera bevanda ... Gesù pone nel pane e nel vino la possibilità di darsi a noi,  dare la sua vita di uomo, perché ogni uomo possa alimentarsi di Lui e avere così la vita e la resurrezione. È fortissima l'allusione all'eucaristia, è infatti nel segno eucaristico che giunge al culmine l’appartenenza del credente a Gesù e al Padre, e indipendentemente dalla nostra consapevolezza, pur nel rispetto della nostra umana libertà,  Gesù entra in noi e noi veniamo trasfigurati in Lui: mistero dell'amore, che sempre trasforma e rinnova.

giovedì 5 maggio 2022

Atratti da Lui

Atti 8,26-40 e Giovanni 6,44-51


Con facilità diciamo: "Gesù è il signore della nostra vita"; apparentemente, di questo tutti ne siamo convinti; in un certo senso crediamo di conoscerlo e di "possederlo nella fede". Eppure in realtà, per molti di noi risulta complicato o difficile intercettare Gesù nella vita. Quanta fatica per stabilire una connessione duratura e stabile. Nel discorso nella Sinagoga di Cafarnao, lì dove forse si aveva la presunzione di una relazione preferenziale con Yhwh, Gesù rivela il modo di entrare in relazione con Lui, con il figlio di Dio, che in molti ostentiamo già di conoscere. Gesù ribalta ogni precomprensione: non siamo noi per primi che crediamo di conoscerlo, ma è il Padre che ci “attira/attrae” per primo a Lui, al suo Figlio. Se iniziassimo a guardare la nostra vita dal suo punto di vista, forse scopriremmo che “la ricerca di Dio”, porta in sé due significati: non solo la ricerca che ha per oggetto Dio, ma anche quella che compie Dio stesso. Ecco allora, in quale modo il Padre mi attira/attrae verso Gesù? È proprio l'esercizio della fede: il lasciarsi interrogare da Gesù; il lasciarsi provocare dal Padre; lo stupirsi di fronte a un pane che è la sua vita; tutto questo porta nella nostra esperienza credente una percezione straordinaria e concreta del mistero di Gesù, a cui il Padre ci attira oggi, attraverso la Chiesa, e non a caso una Chiesa che richiede un ulteriore cammino di fede; come anche in modo estremamente oggettivo e concreto attraverso il pane che è Gesù. Quando ci priviamo di quel pane del cielo, del pane della vita, viene meno il fulcro concreto e reale di attrazione, perché resta solo un concetto astratto e virtuale ..., ma sinceramente, questo rimando astratto ci basterebbe?

mercoledì 4 maggio 2022

Questa é la volontà di Dio

Atti 8,1-8 e Giovanni 6,35-40

Ci arrovelliamo costantemente di fronte a questa espressione: "fare la volontà di Dio". Da una parte ce l'hanno inculcata fin dai tempi del catechismo quasi una necessità esistenziale; dall'altra sembra di precipitare in un dualismo contrapposto: la mia volontà sempre diversa e distante da quella di Dio. Ma quando Gesù parla della volontà di Dio cosa intende cosa vuole dire?
La consapevolezza che ha Gesù della volontà del Padre, è prima di tutto espressione della sua relazione di comunione e di amore con il Padre. La volontà di Dio si realizza e si identifica nell'amore e nella conoscenza reciproca (comunione).
Al punto che chiunque entra - (viene) - in quella relazione - (a Gesù) - non verrà cacciato, cioè esisterà in quella comunione, perché Gesù è disceso dal cielo come dono di misericordia infinita, cioè come dono di amore e di vita, per generare comunione e per condividere quella relazione di amore con tutti coloro che decidono di vivere in lui, e con lui. Tutto questo è già origine dell’eternità. Il cuore di Dio è molto umano; Gesù ci dice prima di tutto questa ovvietà, e la via per il paradiso è fatta proprio di piccoli gesti quotidiani, semplici, alla portata di tutti, non da speculazioni teologiche.

martedì 3 maggio 2022

Ultimo fra tutti apparve a me ...

1 Cor 15,1-8 e Giovanni 14,6-14 / Santi Filippo e Giacomo apostoli

Il vangelo di Giovanni, riporta il dialogo strettissimo tra Gesù, Tommaso e Filippo; un dialogo nel quale Gesù cerca di portare i due discepoli all'estremo della loro consapevolezza circa il rapporto di amicizia e convivenza che i due hanno realizzato con Lui. Gesù sembra dire con sorpresa: "Come fate a non conoscermi, dopo tutto ciò che abbiamo vissuto insieme?"
Se anche noi potessimo fare nostro il dialogo del vangelo di oggi, sarebbe fonte di immensa consolazione: Dio nessuno lo ha visto, ma il Figlio ne ha rivelato il volto e noi lo conosciamo. Ma effettivamente lo conosciamo? Conosciamo il volto di chi ci ama per primo e da prima; è l'amore, è l'amare il volto di Dio. Gesù rivela il Padre come amore, e nei gesti del suo amare.
Anche san Paolo, nella prima lettura ci dice come Gesù dopo tutti gli altri (Cefa, i Dodici, Giacomo e 500 fratelli ..) apparve anche a lui ... Non credo si tratti di una visione virtuale o fotografica, nemmeno una allocazione interiore. Paolo ci testimonia di aver visto Gesù come compimento di ciò che nella fede ha accolto del Signore.
Vedere il volto di Gesù oggi, vedere il volto del Padre, è realmente il compimento della nostra fede, nella esperienza concreta di una vita che ama. Una esistenza capace di amare illuminata dalla fede in Gesù, rivela intimamente il volto umano di Gesù e quello del Padre. 


lunedì 2 maggio 2022

Il pane è Gesù

Atti 6,8-15 Giovanni 6,22-29

La folla cerca Gesù perché ha mangiato, si è sfamata, lo cerca perché vorrebbe ancora del pane da mangiare ...
È una folla che ha gustato il pane ed è rimasta sfiorata dalla sua fragranza, ma non ha compreso il segno nella sua verità, non ha compreso che quel pane sfama veramente e rende la vita eterna.
Non è facile per nessuno comprendere ciò che Gesù rappresenta, anche se lo avessero conosciuto come il messia, lo a avrebbero rivestito di un manto regale e di una corona, ma tutto in una logica puramente umana. Nella comprensione terrena quel pane riempie la pancia, e quel Gesù è semplicemente l'uomo che politicamente fa la differenza. Ma ciò che è umanamente comprensibile, contiene anche una verità più profonda: il pane nutre la vita perché quel pane è Gesù, è la vita stessa.
È così difficile credere che quel pane "sono proprio io?" É così difficile comprendere che quel che conta non è il pane che mangi, per saziare la fame ma il pane che "il Figlio dell'uomo vi darà?" Un pane fatto di relazioni, di amore, di condivisione, di giustizia, di fraternità e di libertà. Tutto ciò che Gesù realizza con ciascuno di noi, ora. Questa è la vita eterna che vince la morte.

domenica 1 maggio 2022

Un amore così piccolo ... e così grande

Atti 5,27b-32.40b-41; Sal 29; Ap 5,11-14; Gv 21,1-19


Galilea alcuni mesi dopo i fatti di Gerusalemme. Pietro e altri sei discepoli sono tornati dove Gesù - alle donne - ha detto dì andare, ma giunti a Cafàrnao, il quotidiano li ha riassorbiti completamente.
Questa pagina di Vangelo sembra proprio adeguata anche alle nostre rese, alle nostre sconfitte. Come è facile dopo una delusione ritirarsi in disparte, ritratti dagli occhi del mondo. Chiusa la parentesi di quei tre anni vissuti insieme (strade, città, villaggi, incontri, folle, malati, scribi e farisei, parole, segni, guarigioni, ...), i sette, si sono arresi, hanno abbandonato e rinunciato ai loro sogni e progetti e sono tornati a vivere il loro quotidiano. Ma per loro il quotidiano è "quella notte nella quale non presero nulla". Ma é in quella fatica, in un incontro del tutto inatteso, che tutto si rimette in gioco, tutto! Quell'uomo sulla spiaggia sconvolge l'ordinario per essere di nuovo occasione straordinaria di sognare e progettare il regno di Dio.
Gli incontri pasquali sono veri, è davvero Gesù! Incontri unici nei quali insegna e pone i gesti di un amico, egli si prende cura dei suoi amici!
Sulla spiaggia di Cafarnao attorno a quella grigliata di pesce, finalmente, in una fraternità ritrovata, in una vicinanza che scalda il cuore, si schiude il più bel dialogo del mondo. Tre brevissime, fulminanti domande: "mi ami tu?"
Domande a quel tempo rivolte a Pietro, ma ora a noi. Oggi, noi siamo "incontrati" da questa domanda che con delicata insistenza Gesù ci ripete.
Per essere suoi discepoli, Gesù non ci sottopone a un esame di ammissione, ma semplicemente ci chiede di corrispondere al suo amarci. Lui ci ama, per questo ci chiede se lo amiamo, perché possiamo prendere consapevolezza che il regno dei cieli, il regno di Dio non è una dottrina, non sono omelie, neppure regole e precetti da osservare, ma è il rivelarsi dell'amore di Dio Padre nel nostro amore umano.
Quando l'umano esprime la possibilità di amare, lì Dio pone e manifesta la sua esistenza, la sua vita eterna  la possibilità di essere felicità.
“Simone, mi ami?”. Gesù non si ferma ai tradimenti, ai limiti di Pietro; non gli interessa rivangare il passato, a Gesù interessa Pietro e la sua risposta di amore, ora, oggi. Pietro, come noi, è ancora immaturo nell'amare, non sa amare, non riesce a corrispondere; ed ecco che di fronte alla domanda di Gesù egli riesce solo a rispondere con quella briciola di “ti voglio bene”.
Ma l'incontro con il Risorto è la possibilità affinché ogni briciola di amore possa maturare fino a pienezza.
Gesù nel suo cercarci sulla spiaggia del lago, cioè nel nostro quotidiano, nel suo esserci accanto nella parola, nel pane e nella comunità, raccoglie le nostre briciole, e le rende capaci di rinnovare la faccia della terra, fare del nostro amore la possibilità della rivelazione del suo amore.
Ecco che il nostro quotidiano alla luce del Risorto, diventa come quello di Pietro: superata la tentazione della normalità, Pietro impara da Gesù a cucinare per i fratelli; impara la fraternità e la fratellanza; impara a custodire e pascere il gregge (popolo di Dio); non ne era capace, era un pescatore, ma impara dal maestro.
È da questo incontro con Gesù vivo che Pietro comprende la logica e la legge dell'amore: amare significa donare e donarsi, sempre, disposti anche a rinunciare a sé stesso per amore dell'altro. Quanto abbiamo ancora da imparare anche noi?