mercoledì 31 marzo 2021

Dove vuoi che prepariamo la Pasqua?

Isaia 50,4-9 e Matteo 26,14-25


"Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?" Siamo prossimi a Gerusalemme, e già si respira il clima della grande festa della Pasqua; cresce il desiderio e la frenesia di ripercorrere nei segni e nei riti dei Padri quella liberazione dalla schiavitù, quel passare illesi il Mare Rosso; l'entrata nella terra della promessa ... Ma ancora di più si percepisce come la Pasqua è offrire a Yhwh la primizia della nostra vita, così come fin dalla notte dei tempi, nelle steppe di Moab, dei nomadi Aramei, erranti, offrivano Dio le primizie dei frutti della terra così come il loro padre Abramo aveva insegnato. Preparare la Pasqua è offrire le primizie della propria vita, sempre, anche nel momento della prova, o in vista di una fatica grande della vita.
Per Gesù vivere quella Pasqua significò, ben di più di un momento memoriale in continuità con il passato, ma un vero offrire se stesso per liberare i suoi amici, a partire dai discepoli, dalla schiavitù del male ... anche dal tradimento.
Offrire se stesso significare coinvolgersi e mettersi in gioco al punto che tutta la vita ne viene assorbita. Per generare il cambiamento, cioè la libertà rispetto al male che si annida dentro l'uomo, Gesù deve lottare con tutta la sua vita, con tutto il suo amore; è questo che Lui offre; cioè mettersi in gioco ... fino alla fine, cioè fino a consumare tutto di sé sulla croce. 
"Dove vuoi che prepariamo perché tu possa mangiare con noi la Pasqua?"
Prepariamo (cioè mettiamo a disposizione) lo spazio della mostra fragilità, della nostra paura e fatica di fronte alla drammaticità degli eventi; prepariamo il nostro cuore con tutto il desideri di riscatto e liberazione di cui possiamo disporre ... È questa a sala dove il pane si spezza per ciascuno è il calice è condiviso fra tutti ... 

martedì 30 marzo 2021

Il tradimento

Isaia 49,1-6 e Giovanni 13,21-38


Quante volte anche noi abbiamo sperimentato il tradimento! Quante volte nella vita, noi stessi abbiamo tradito. Sappiamo bene che tradire ferisce, lascia cicatrici che difficilmente si rimarginano. Leggendo il Vangelo di oggi, comprendiamo il disorientamento, la paura, la tristezza che le parole di Gesù hanno generato nei discepoli, i suoi amici. Il tradire corrode l'amore che è il vincolo di amicizia.
Questa esperienza di amarezza accompagna gli ultimi momenti della vita fi Gesù, e coinvolge il gruppo dei discepoli, che da questo momento iniziano a sperimentare la paura e prendono coscienza di essere attirato come "quelli che erano con Lui", dei Galilei. Tutto questo accompagna quella ultima cena, che Giovanni descrive a l'attore dal capitolo 13, ma nonostante la drammaticità del momento, Gesù non cessa di condividere la sovrabbondanza del suo amare. Quel tempo che è notte, e lo sarà per tutti, non solo per Giuda, ma anche per Pietro e gli altri, è ugualmente il tempo della glorificazione. Nello spazio tenebroso fa breccia la luminosa presenza della gloria del Figlio di Dio: "Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito". Il figlio dell'uomo, non si sottrarre al tempo presente, ma continua inesorabile il cammino della storia, come possibilità per raccogliere ogni uomo nell'amore del padre. Tutto questo ha un prezzo: vincere con l'amore i nostri continui tradimenti.

lunedì 29 marzo 2021

Il profumo dell'amicizia

Isaia 42,1-7 e Giovanni 12,1-11

Il brano del Vangelo di Giovanni di oggi, rimanda a ad alcuni paralleli, con la cena a casa di Simone il lebbroso (Marco 14,3-9); come anche con in Matteo 26,6-13. Notevoli vicinanze si possono riconoscere anche con il Vangelo di Luca 7,36-50. Sta di fatto che le tradizioni si sono toccare e sono emersi delle profonde sinergie che danno risalto al contenuto ad alcune particolarità che i diversi evangelisti o redattori, ha poi utilizzato secondo la loro interpretazione.
Certamente emerge una figura di Gesù, compassionevole, dolce e delicato con la donna (che sia o meno peccatrice); e che con pacatezza reagisce rispetto alle insinuazioni di tanti. C'è poi l'Olio di Nardo che diffonde il profumo "dell'unzione al suo corpo", segno profetico della sua passione, ma soprattutto della passione/partecipazione di Cristo alla fragilità della nostra natura umana. Sono pagine di tenerezza che ci accostano a un mistero di prossimità di Dio che non si rivela con potenza e forza di dominazione, ma come dice Isaia: "Non griderà né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce, non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta; proclamerà il diritto con verità".
Sono i tratti umani e più veri del figlio di Dio, che ci mettono di fronte alla necessità di alimentare la nostra "umanità" della stessa compassione, dolcezza e delicatezza, per mettere nelle nostre relazioni la sua stessa passione per l'umano.

domenica 28 marzo 2021

Narrazione della passione ...

Is 50,4-7; Sal 21; Fil 2,6-11; Mc 14,1-15,47

Domenica delle Palme

Ritorno con il ricordo a quei luoghi, in quella settimana, nella quale per quelle strade, ho vissuto questi santi giorni. Ritorno col ricordo al momento nel quale arrivati a Gerusalemme, si rimane incantati nel vedere dal monte degli Ulivi; le mura della città Santa; la spianata delle Moschee (del Tempio); le cupole del Santo Sepolcro e i campanili delle chiese antiche sopravvissute alla distruzione del tempo e degli uomini. Quando oggi sentiremo il racconto della passione, non solo potremo immaginare ciò che il Signore a vissuto nella sua carne, ma potremo dire di essere stati nello spazio in cui il tempo ha consacrato il mistero del Dio fatto uomo per la nostra salvezza. È molto diverso fare memoria ed essere stati nel luogo in cui la memoria ha avuto origine. Dopo aver baciato il Sepolcro, dopo essere saliti al Golgota, ascoltare la “Passione” non è semplice, anzi è più complesso di quanto prima si possa immaginare: perché si percepisce senza scandalo che “è dal dolore che viene la risurrezione”. Ed ecco che la fredda roccia della tomba ci è testimone del calore della vita che risorge. Baciare il Sepolcro è molto, molto di più che un gesto di venerazione, baciarlo significa adorare, amare il mistero.

sabato 27 marzo 2021

Alcuni andarono dai Farisei a riferirlo ...

Ezechiele 37,21-28 e Giovanni 11,45-56


Una costante della storia umana è il pettegolezzo come anche la denuncia nell'ombra. Atteggiamenti distruttivi della comunione, della fraternità e dell'amicizia. È il presupposto di chi ha nel cuore il "tradimento", l'infedeltà e l'adulterio. L'evangelista Giovanni, a conclusione di questa parte, pone a conclusione l'anticipo della condanna: "Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo". 
Gesù sarà ucciso ..., deve morire non solo per Israele ... Ma la sua morte diviene profeticamente un destino che in modo trasversale tocca ogni uomo. Nella sua morte in croce si genererà il venire a lui di ogni uomo. Ogni uomo fa esperienza di fragilità e di peccato; ogni uomo almeno una volta sperimenta il suo limite; ogni uomo si confronta con il tradimento dell'amico, con l'infedeltà dell'amare. È nel limite e nell'umiliazione della natura che Dio viene incontro attraverso la croce a ogni uomo, per innalzarlo con se nella "Gloria", cioè caricarsi ancora ogni uomo sulle spalle, come fa il pastore con le pecore, e pascerle, cioè portarle a compimento dell'esistenza: l'amore del Padre.
Gesù non si nasconde a Efraim, ma si prepara a entrare a Gerusalemme ... Ormai sono prossimi i giorni in cui ciò che è profezia diviene realtà; ciò che è stato oggetto di congiura sarà svelato e il Figlio dell'uomo rivelerà con la sua vita quanto l'amore fedele di Dio Padre opera meraviglie.
Domani vivremo, seppur nella "ristrettezza" delle norme anti-covid, il nostro salire a Gerusalemme per la Pasqua. Io ringrazio il Signore che tre anni fa mi ha dato la gioia di una esperienza che in questi tempi non è solo un caro ricordo, ma una occasione viva di stare unito a Lui, come a tanti di voi, nella certezza di una vera storia di salvezza.

venerdì 26 marzo 2021

Quando quel "Cristo" diventa importante?

Geremia 20,10-13 e Giovanni 10,31-42


Il problema reale è sorto quando alla domanda dei giudei: "Fino a quando ci terrai nell'incertezza? Se tu sei il Cristo dillo a noi apertamente" (Gv 10,24). A cui segue una risposta molto articolata in cui Gesù mette in evidenza le opere da lui compiute, il vincolo di amore che si può realizzare con lui e la relazione con il Padre; tutto di conclude con: "Io e il Padre siamo una cosa sola" (Gv 10,25-30).
"Sei tu il Cristo?"
Le opere di Gesù,  il suo agire nella volontà del padre coinvolge il mio agire?
La relazione che io ho con Gesù corrisponde a quella prendersi cura dell'intimità pecora-pastore, che nasce  dall'ascolto della Parola, e da un vincolo reciproco di amore che è mettere in comunione la vita?
L'esperienza di figliolanza che Gesù vive è una esperienza solo sua, oppure è una relazione in cui anche io mi sento oggetto della paternità di Dio?
Questi punti in realtà costituiscono il motivo per cui molti seguono Gesù oltre il Giordano ... tornano nei luoghi del Battista, e fanno memoria di ciò che il Battista disse di quel Maestro di Galilea: "Ecco l'agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo" (...) "E ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio" (Gv 1,28-34).
Non fu facile nemmeno in presenza riconoscere in Gesù il Cristo, al punto che tutta l'ortodossia giudaica già aveva preparato il tumulo di pietre per nascondere agli occhi del mondo il ricordo di quell'uomo, la cui azione e presenza era diventata  ingombrante.
Io oggi posso anche riconoscere e affermare che Gesù è il Cristo, ma se non cambia nulla nella mia vita di fade è una adesione formalmente vuota, è un parlare senza convinzione, senza cuore. Quando quel "Cristo" diventa importante?
... Ripercorri le parole che Gesù dice ai giudei (Gv 10,25-30).

giovedì 25 marzo 2021

Sconvolgere la prassi

Isaia 7,10-14;8,10 - Ebrei 10,4-10 e Luca 1,26-38
Annunciazione del Signore

Non ci resta che ammetterlo, la vita cristiana è spesso una prassi. Tutto si svolge con regolarità e monotonia: celebrazioni, sacramenti, ritiri, processioni, attività ludiche, ricreative ... Ma dove è veramente la progressione e la crescita?
Quando rileggo la pagina della annunciazione a Maria, sento la forza dirompente del venire di Dio, che scompiglia la quiete della vita di una ragazza, Maria Nazareth; uno sconvolgimento a cui non corrisponde non una tacita accoglienza, ma la silenziosa accettazione di un processo di cambiamento che non si arresta. Quando Maria risponde all'Angelo: "sia fatto in me secondo la tua Parola", accoglie lo sconvolgimento della prassi; da quel momento la sua vita sarà un continuo progredire; sarà un'incessante crescere alla presenza del mistero di quel Figlio di Dio che dal suo grembo arriverà sulla croce; sarà deposto nel sepolcro e poi sarà il risorto nel tempo e per l'eternità. La dirompente presenza di Dio che sconvolge la prassi della religiosità è quella vicinanza al mistero che senza violenza e senza forzare, ci accosta a questa domanda: "come il fare la volontà di Dio cambia la mia esistenza? Come il farsi della volontà di Dio non fa a meno della mia vita?"
Non possiamo abituarci alla normalità della prassi, sarebbe come negare il mistero del Dio con noi, dell'incarnazione del Verbo. La nostra vita è testimonianza di una esistenza che cerca il suo compimento, la sua felicità; ma questo cercare non è un indizio sufficiente della presenza nell'umano del "nuovo" di Dio che ci sospinge?


mercoledì 24 marzo 2021

Diventare liberi!

Daniele 3,14-20.46-50.91-92.95 e Giovanni 8,31-42


Cosa significa che "la verità ci farà liberi"?
Detta da Gesù questa frase, scatena immediatamente macerazione di Scribi e Farisei: "noi non siamo mai stati schiavi"; come puoi dirci: "diventerete liberi?"
Dice papa Francesco: nella visione cristiana la verità non è solo una realtà concettuale, che riguarda il giudizio sulle cose, definendole vere o false. La verità ha a che fare con la vita intera. Nella Bibbia, verità porta con sé i significati di sostegno, solidità, fiducia, così come esprime la parola "amen", che Gesù più volte utilizza nei vangeli per affermare una realtà assoluta, immutabile, non opinabile: "amene, amen, dico a voi".
Ma da dove nasce la verità per Gesù? Il fondamento della verità per Gesù è il Padre, è lui la sua solidità che Lui stesso manifesta nella relazione Padre-Figlio, di cui Gesù ha piena coscienza e nella quale trova la condizione per compiere la volontà di Dio, che non obbliga ma che rende liberi. La verità allora è ciò su cui ci si può appoggiare per non cadere. È a partire dalle relazioni che si sperimenta ciò che è vero dell'altro e la libertà che in quella relazione si respira perché si genera dalla verità. Questo dovrebbe servire a tutti per capire come noi spesso usiamo delle relazioni, delle persine, per plagiare ciò che è vero è trasformare la libertà in obblighi e condizionamenti.
Una relazione è vera se mi rende libero ... Se non mi da libertà, occorre dubitare della solidità delle fondamenta, cioè quanto sia vera come relazione umana e di amicizia.

martedì 23 marzo 2021

Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io-Sono

Numeri 21,4-9 e Giovanni 8,21-30


È questo il cuore del discorso che Gesù sta facendo con i Farisei. Ormai ogni parola di Gesù è occasione di scontro, di giudizio di fraintendimento. La distanza tra Gesù e i capi di Israele è chiaramente incolmabile. Lui si erge a Messia, ma come mai è stato pensato; Lui si dichiara figlio dell'uomo, ma per un uomo povero e umiliato; Lui si dichiara di lassù, ma tutti noi, insieme ai Farisei del suo tempo, siamo molto di quaggiù, legati alla terra e alle trame di questo mondo. È in questo clima che Gesù compie un ultimo affondo, come se dovesse dare un colpo estremo, gli acerrimi avversari che continuano a chiedergli "ma tu chi sei?"
Gesù dice tutto di se stesso, e lo dice con quella veste di mistero che tutti lascia perplessi e increduli, ma però alla luce dei fatti che accadranno (passione, morte e risurrezione), ogni dubbio si risolve, si dissolve ...
Credo si importante tornare alle parole di Gesù: "non faccio nulla da me stesso, ma parlo come il Padre mi ha insegnato. Colui che mi ha mandato è con me: non mi ha lasciato solo, perché faccio sempre le cose che gli sono gradite".
Chi sei Gesù? Tu stesso ci dici che sei colui che il padre ci ha donato, colui che è stato mandato; già in questo tuo esserci con noi e accanto a noi (che è il significato dell'espressione ebraica Io-Sono), riveli e realizzi la volontà del padre. L'innalzamento, la croce, allora non è tanto lo strumento di morte a cui sarai inchiodato, ma la nostra risposta al tuo venire per noi.
Dio Padre accoglie nella sua volontà quel legno che noi gli offriamo come spazio terreno e umano per stare con noi e accanto a noi.
Quando sarai innalzato, "attirerai tutti a te", non per una tua forza di attrazione, ma perché tutti noi saremo lì a portarti la croce dove tu, Signore, ci farai dono del tuo amore totale.

lunedì 22 marzo 2021

Nessuno ti ha condannata!

Daniele 13,42-62 e Giovanni 8,1-11

Per la legge, Levitico 20,10 e Deuteronomio 22,22-24, di fronte all'infedeltà e all'adulterio occorre estirpare il male con la lapidazione; secondo la legge non c'è scampo. Secondo la legge di Mosè ... Quella legge che Scribi è Farisei applicano con fierezza, decisione e senza sconti per la donna.
Di fronte a tanta fermezza Gesù si mostra quasi tra l'indifferenza e il disturbato ... Scribi e Farisei provocano Gesù: "lui che insegna nel tempio ..., chissà cosa insegna realmente?"
Esiste un male da estirpare ... Ma non è l'infedeltà che nasce dalla concupiscenza e dalla passione della carne; ma è il male che ci oppone gli uni agli altri. È il male che si manifesta nel tradimento degli uni verso gli altri. Esiste una fedeltà nell'amore rispetto alla quale siamo tutti adulteri e traditori: "diciamo di amare, ma siamo i primi traditori rispetto al comandamento di amare Dio e di amare il prossimo". Il prossimo lo si deve amare anche nella sua fragilità; Dio ci ama anche, e soprattutto, per la compassione della nostra fragilità. Di fronte alla richiesta di estirpare il male, a Gesù viene presentata una donna ... Non non è possibile estirpare il male lapidando, uccidendo quella poveretta, altrimenti tutti dovremmo essere lapidati. Quella donna che è il male da estirpare, per i giusti di Israele, diviene per Gesù l'occasione di vivere totalmente l'amore per il Padre e per il prossimo. Un amore che supera la forza di quel peccato, che rende ciascuno capace di tradire, di essere adultero; e che è l'unica soluzione possibile che corrisponde alla nostra natura. Non saranno i sassi a coprire il male dei nostri adulteri, ma sarà la sovrabbondanza dell'amore di Gesù che ci ricopre di misericordia e di verità.

domenica 21 marzo 2021

Il chicco ancora muore ... nel dono di noi stessi

Ger 31,31-31; Sal 50; Eb 5,7-9; Gv 12, 20-33

La traduzione letterale dal testo greco direbbe: "c'erano ora, alcuni greci, fra i salenti per adorare alla festa. Questi dunque si avvicinarono a Filippo, quello di Betsaida di Galilea e domandarono a lui dicendo: Signore, vogliamo Gesù vedere".
"Saliti per adorare" è ben di più che "saliti per il culto". È proprio la parola adorare che mi attrae e affascina: questi greci sono venuti alla festa per esprimere tutto il loro amore a Dio (al dio del padre Abramo) in quelle modalità che la venerazione dei luoghi e la preghiera nel Tempio promettevano. Ma questa adorazione, questo amore, che si esprime quasi nell'atto di voler baciare, non si contiene nei gesti religiosi e di culto, ma per Giovanni (il discepolo amato) diviene il desiderio di vedere il volto di Dio, l'oggetto di tanto amore: "vogliamo vedere Gesù".
La risposta di Gesù è disarmante: "Per vederlo, occorre che ti immergersi nelle sue parole, devi lasciale risuonare con la loro evidenza; esse non sono una provocazione, esse sono la voce del suo cuore".
Ed ecco che Gesù ci mette di fronte ad alcune immagini e situazioni.
Se il chicco di grano non muore resta solo, se muore produce molto frutto. Una delle
 frasi più celebri e più difficili del Vangelo. Il "se muore" è molto pesante sul nostro cuore, e oscura tutto il resto. Ma se ascoltiamo la vicenda del chicco, il peso viene meno; se osservi, vedi che il chicco in realtà è un forziere di vita che lentamente si apre. Quando il chicco muore, in realtà la "vita non gli è tolta ma trasformata": Ciò che il bruco chiama fine del mondo tutti gli altri chiamano farfalla.
Ciò che la parabola sottolinea come evento principale non è però la morte del seme ma  è quel "produce frutto". Ecco allora che Giovanni ci racconta come nel suo morire innalzato sulla croce, Gesù dà il meglio di sé, produce il frutto della nostra salvezza, della nostra vita eterna, che si genera proprio nel darsi della sua vita sulla croce. Ecco perché Gesù, nella pagina di Giovanni, non si ferma alla parabola ma passa subito all'immagine dell'innalzamento cioè della croce. La croce è la piena evidenza di come si dona la vita che produce frutto. Una immagine che suscita in noi paura, dubbio, ma è anche l’immagine più pura per vedere il volto di Dio. Per vederlo devo solo inginocchiarmi ai piedi della Croce, e fissare lo sguardo sul crocifisso, e riconoscere che prima di tutto quella è l'immagine di un uomo crocifisso, che è il figlio di Dio, che ha messo liberamente la sua vita sulla croce; ma ci è stato appunto come uomo, con tutte le fragilità e limitazioni umane. Cristo sulla croce era davvero un uomo, oltre ad essere il figlio di Dio, per questo ci sentiamo più vicini a lui, una vicinanza che ce lo fa vedere al vivo.
In questo tempo in cui tutto sembra avverso, ci è chiesto di vedere Gesù innalzato sulla croce, nella sofferenza di chi perde il lavoro, di chi è segregato, di chi è malato in ospedale, di chi muore nella solitudine. Non è un tempo  privo di Dio, anzi Dio si mostra proprio quando accettiamo di poterlo vedere anche nel limite e nella fragilità. Ancora una volta la realtà diviene spazio di una rinnovata profezia del seme: "è necessario che muoia perché porti frutto". Anche questa è l’ora decisiva, che inaugura un nuovo tempo per la fede della Chiesa e per la nostra fede; per l’adorazione di Dio; come anche un tempo nuovo per la salvezza dei morti e dei vivi.

sabato 20 marzo 2021

Un amico di nome Nicodemo.

Geremia 11,18-20 e Giovanni 7,40-53

Tanti parlano di lui, della sua Chiesa; tantissimi gli anno voltato le spalle pensando che ciò che dice siano cose per bambini, ma ora cresciuti, possono fare da sé. Ci sono alcuni, poi, che non solo lo contestano ma che rivestono i panni dei giustizieri, per tutte le colpe di cui nel tempo viene accusato. Per non dimenticare quelli che non lo vorrebbero assolutamente mettere in croce, ma lo vorrebbero eliminare, fare sparire dalla vita di tutti i giorni, come se non ci fosse mai stato.
C'è poi chi ha cercato di limitarne l'agire, ricorrendo a mezzi ordinari di opposizione come anche a mezzi straordinari, coercitivi e repressivi. Appena apre bocca, le sue parole affascinano ..., come anche altre, provocano reazioni ostili, e improvvisa sale una marea di oppositori. A leggere queste poche righe del Vangelo ci immaginiamo la situazione concreta nella quale Gesù ha vissuto, e soprattutto il clima di ostile opposizione che ha alimentato quel processo che ha condotto al suo arresto, crocifissione e morte. Ma oggi quante situazioni sembrano riproporre in altre parti del mondo situazioni simili, per la sua Chiesa e per i suoi discepoli?
È proprio questa realtà che rilancia la consapevolezza e la certezza di seguire un maestro straordinario, capace di agire anche nella fragilità e nella sconfitta ...
In tutto il vissuto faticoso, così come è narrato dal Vangelo, si scorge un amico, un uomo di nome Nicodemo, quello che andò da Gesù di notte ... Ecco lo ritroviamo ora a difendere il maestro e sopratutto a custodire una amicizia divenuta per lui fondamentale. Nicodemo è amico proprio ora che tutti gli amici si scostano da Gesù, sembra proprio che Nicodemo stia sperimentando il coraggio che nasce dalla vera amicizia.
Oggi quel Nicodemo, forse, deve essere ciascuno di noi ...


venerdì 19 marzo 2021

Lo fece Signore nella sua casa!

2 Sam 7,4-5.12-16.16 e Matteo 1,16-18.21-24

Solennità di San Giuseppe


Questo versetto conclude la preghiera dell'ora terza: " Dio lo fece signore nella sua casa, gli affidò i beni più cari".
In questa solennità della Chiesa in cui anche tutti i "babbi" o "papà" vengono ricordati e benedetti, la Parola ci riempie di consolazione e ci riconduce all'essenziale: "la paternità di Dio per i suoi figli".
"Con cuore di Padre", non è solo un titolo ad effetto di una lettera che introduce l'anno dedicato a San Giuseppe, ma è la condizione che ogni uomo, deve sentire in se stesso. La paternità è cura, è servizio, è sentimento, è voler bene, ma soprattutto è generare ... E ogni uomo in quanto tale genera, e non solo nella carne. La paternità esprime e ci rappresenta una via di intima relazione con Dio che è il Padre! Ci avvicina a lui e ci mostra come restituire quell'amorevolezza che l'Onnipotente pone con larghezza nel nostro cuore ... Il "cuore di padre" è largo e grande nella amorevolezza, è questa la dimensione generativa che unisce tutti gli uomini. L'esercizio di questa paternità, la insegna a tutti noi, il custode del figlio di Dio, il quale tutto ha espresso nella cura premurosa di quel figlio che era suo, oltre che Padre del cielo, per amore e, nell'amorevolezza lo ha generato come suo.
La paternità non si addice alla "sdolcineria", ma è cosa seria, al pari della maternità di Maria e della Chiesa. Nella paternità Dio ha tessuto la trama della storia di salvezza, usandola come filo che tutto unisce, da Adamo fino a noi, passando per i Patriarchi e intrecciandosi con la storia di tutti i giorni. Giuseppe di questo intreccio ne ha fatto vera esperienza, e ha alimentato in essa la sua fede.

giovedì 18 marzo 2021

Le mie opere mi danno testimonianza

Esodo 32,7-14 e Giovanni 5,31-47


Sembra proprio di essere in un tribunale e di ascoltare una arringa difensiva di chi deve giustificate ciò che ha fatto e deve garantire sulla autenticità della propria identità. Chi sei Gesù? Che cosa hai fatto?
Sei un illusionista, un taumaturgo, un seduttore di folle, un ciarlatano ...
Come facciamo a credere che ciò che tu fai e dici sia da Dio e che non ci siano altri fini ...
E poi dopo duemila anni ... che cosa è tutto questo dire su Mosè e sulla legge, sulle scritture ...
Noi oggi crediamo a ciò che vediamo e seguivamo ciò che corrisponde al nostro desiderio; noi cambiamo direzione di marcia ogni volta che si presenta una occasione propizia, che sia più vantaggiosa, o che soddisfi i nostri bisogni.
Così come trovasti opposizione allora, così sarebbe anche oggi; anzi ti inviterebbero in tutti i “Reality” e ti massacrerebbero tutti gli opinionisti ...
Ecco tu non vuoi e non puoi essere una opinione tra altre!
Sei sempre il richiamo concreto nella fluidità del mondo reale dell’agire/operare del Padre ...: “il Padre sempre opera, e anche io opero ...” e sono proprio le tue opere a dare testimonianza, allora come oggi, perché nel tuo agire è l’agire del Padre.
Un agire che testimonia, cioè che racconta un fatto, una evidenza, che non viene mai meno, neppure di fronte al disconoscimento da parte degli uomini.
Oggetto della testimonianza è ciò che resta fondamentale per l’uomo: il suo essere figlio, il suo essere figlio di Dio e quindi esistere in quanto amato, diversamente si è solo degli infelici naufragi in una storia senza prospettive.
Oggetto della testimonianza è che Gesù da a ciascuno quell’amore assoluto di cui siamo tutti in ricerca, è l’amore che Gesù vive come relazione con il Padre e che manifesta nelle sue opere.
Noi siamo oggi i destinatari della sua testimonianza, a noi è data la possibilità di riconoscerla vera o falsa, di appartenervi o rifiutarla. Ma se viviamo nel pregiudizio come potrò mai aprirmi alla testimonianza di Gesù?

mercoledì 17 marzo 2021

Il Padre ama il Figlio

Isaia 49,8-15 e Giovanni 5,17-30


Gesù ci rivela una cosa molto semplice, quasi quasi molto banale: "che il Padre ama il Figlio e il Figlio ama il Padre e fa quel che vede fare il Padre, che ama tutti i suoi figli, e Gesù quindi ama tutti i fratelli"
Se non in tutti, ma almeno in molti di noi è presente un immagine conflittuale con il padre, che parallelamente genera anche una immagine falsa di Dio. Il nostro non accettare noi stessi, la nostra storia, i nostri limiti, è spesso da mettersi in relazione al nostro non accettarci come figli. Rifiutando la nostra condizione di figli, in realtà denunciamo e rifiutiamo il legame viscerale ed intimo con il padre. Gesù è il facitore del recupero da parte nostra della esperienza di paternità. Chi non conosce il Padre e l’amore del Padre, chiaramente non ama se stesso come figlio e non riconosce gli altri come fratelli; questa è l’origine di tutti i nostri rigetti, delle nostre inconsistenze.
Riascoltare le Parole di Gesù in questo discorso che rivolge al paralitico guarito, come ai giudei in generale, sembra proprio per lasciar risuonare nel nostro profondo, parole che ci corrispondono alla verità, e che ci fanno uscire da tutto quel frastuono; da quel buio, da quella menzogna, che è all'origine della cattiva immagine di Dio, del Padre in noi.
Cosa co propone Gesù nel suo agire se non l'esperienza che Lui ha del Padre e che Giovanni traduce in: "Dio è amore!" 
L'agire del Figlio è uguale all’agire del Padre, perché? Perché il Padre ama il Figlio ed allora gli mostra (rivela) tutto.  In realtà tutto il dialogo ruota intorno a questo amarsi del Padre e del Figlio, che non rimane chiuso in se stesso, ma si mostra pienamente nell'agire del Figlio: "semplicemente Figlio, vede quel che fa il Padre e fa ciò che fa il Padre ...". Questo rapporto tra Padre e Figlio esprime la relazione di amore che lega visceralmente ogni figlio con il padre al punto che io non posso vivere se non sono accettato e amato, ed è fondamentale che questo avvenga nella origine di ogni uomo.
Gesù vuole mostrarci questo aspetto profondo e irrinunciabile dell’amore.

martedì 16 marzo 2021

Gesù si fa fratello al paralitico

Ezechiele 47,1-9.12 e Giovanni 5,1-16


"Vuoi guarire?"
Certo che è una strana domanda - questa di Gesù - da fare a un uomo paralitico. Una domanda superflua fatta a un uomo,  malato da trentotto anni. Un uomo che come lui stesso attesta non ha nessuno ... "Che lo introduca nell'acqua" , per poter essere guarito. Non ha nessuno; la sua vita è diventata la sua solitudine ... Attesa della morte senza poter fare nulla. La risposta del paralitico è una resa su tutti i fronti, non vi è desiderio, non speranza, solo rassegnazione.
"Àlzati, prendi la tua barella e cammina!"
Gesù non aspetta una risposta affermativa, non attende una invocazione come il grido del circo di Gerico ... La vicinanza di Gesù, si esprime la tenerezza delle sue parole che immediatamente riempiono la solitudine e divengono la guarigione, ma soprattutto la possibilità per una vita che non sia più solitudine.
Non è tanto il miracolo della guarigione che l'evangelista vuole sottolineare, quanto la situazione di questo uomo, che nella sua fragilità sperimenta la solitudine, il suo isolamento; tutto è precario, anche le relazioni. Ma la malattia più grave non è quella fisica, ma la mancanza di fratelli ... In quella solitudine viene meno e si logora ogni vincolo di fraternità. Gesù con quel "vuoi guarire", mostra la su attenzione, si rivolge all'uomo, come forse da tempo più nessuno osava. È la fraternità che crea la possibilità di un vero miracolo ... La vicinanza di Gesù da forza, da coraggio. Quel paralitico, non andrà a immergere le sue membra malate nella piscina, ma aggrappato alla parola ricevuta da Gesù, si alza dal "lettuccio" e si rimette nel cammino della vita, in quel cammino dal quale si era dissociato, si era allontanato, vivendo per scelta o per forza una solitudine disumana, la solitudine di tutti quei poveri infermi, ciechi, zoppi e paralitici, che alla porta delle pecore, alla piscina, attendevano un segno di misericordia da Dio, non potendo sperare nulla da loro fratelli di carne.

lunedì 15 marzo 2021

Cammino, parole e fede.

Isaia 65,17-21 e Giovanni 4,43-54


Continua il cammino di Gesù, dalla Giudea, alla Samaria e ora di nuovo in Galilea. A Cana Gesù nel suo andare di città in città. Incontra un uomo, funzionario del re, ma prima di tutto un padre, il cui figlio sta morendo. Il cammino di Gesù in realtà è fatto di incontro e di sguardi di vicinanze, di volti. Abbiamo già visto come non c'è distinzione, Gesù incontra poveri e ricchi, peccatori e presunti giusti, uomini e donne, scribi e farisei ecc...
Quando pensiamo all'annuncio della Parola, alla predicazione, non dobbiamo mai distogliere la nostra attenzione da questo retroterra: la Parola annunciata è accolta nella quotidiana feriali tra della vita. È questo incontro tra parola e vita che determina lo spazio in cui nasce e si sviluppa la fede. È quanto succede a quell'uomo, funzionario del re, che carico della sua fragilità e impossibilità, fa appello a quelle parole, che ora sono ormai la sua unica speranza di guarigione ore il proprio figlio Amato.
Lui che è un uomo del potere fa esperienza che non può nulla, se non affidarsi a quelle parole a volte accettate a volte contestate del maestro di Galilea. Ma è proprio quella esperienza di affidamento, forse un po' forzata, che diviene condizione necessaria ma fondamentale per la sua fede: "Quell’uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino". Il potere della parola, più che un atto di potenza manifesta è un segno riconosciuto nella umiltà di un cammino da Cana di Galilea Cafarnao.

domenica 14 marzo 2021

Nicodemo ha scoperto che Dio ci ama!

2 Cr 33,14-16.19-23; Sal 136; Ef 2,4-10; Gv 3,14-21

Siamo già a metà quaresima alla quarta domenica, che nella liturgia corrisponde alla domenica "Laetare", cioè della gioia, della Letizia. 

Gioia e Letizia anche in questo momento in cui, le restrizioni si fanno più forti e pressati; le limitazioni diffondono la loro preoccupante urgenza ... La fatica del quotidiano avvilisce ogni aspettativa, gli ospedali sono intasati; tanti amici accanto a noi soffrono e vivono la fragilità della malattia e altri a cui volevamo bene il virus se li è portati drammaticamente via.

Come! ... domenica della Letizia? Quale gioia vi può essere in tutto questo che viviamo?

Come riconoscere in questa realtà la gioia; come innestare un germe di Letizia, cioè speranza per un futuro vicino in cui potremo ancora tenerci per mano sentire il battito del cuore di un amico, di una moglie, di un figlio? La Letizia diviene oggi, la benevolenza, cioè il volere il bene dell'altro e la solidarietà, cioè la disponibilità al servizio si fratelli.

Oggi nel Vangelo ho letto e abbiamo ascoltato una frase che è solo in questo Vangelo e non è mai detta  in nessun'altra parte della Bibbia. Una espressione che è dirompente, che spiazza tutta la nostra comprensione dell'amore, e di Dio: "Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto".

Spesso colleghiamo l'amore ai sentimenti, alla relazione affettiva, all'essere della coppia ecc... Ma l'amore è ben di più ... 

Noi siamo fatti per amare siamo fatti di amore. La nostra carne, non è solo carne umana, ma è una carne di amore. Quando amiamo tutta la nostra persona ne è coinvolta e vibra dell'esperienza di amare. Amare non è solo passione di adolescenti o giovani; non lo è, perché da adulti si comprende e percepisce che l'amore resta e supera quella condizione di giovinezza che invece viene meno: l'amore resta possibile.

L'evangelista Giovanni vorrebbe che anche noi, ascoltando queste parole, vivessimo l'esperienza unica e straordinaria di Nicodemo: sentire risuonare in noi le parole di Gesù, parole che ti cambiano radicalmente lo sguardo sulla realtà, sul mondo e sui fratelli. 

Come può l'uomo fare esperienza di questo amore di Dio, come ci si può fidare di questo amore? Come credere che Dio ci ami in modo così totale?

Credo che oggi più che mai, soprattutto in questo tempo di segregazione, di astinenza dagli abbracci, dalle carezze,  riusciamo a capire che l'amore che sentiamo dentro di noi vorrebbe dilatarsi e dilagare fuori di noi ... e raggiungere la persona amata, raggiungere comunque un altro.

Ecco che anche Dio ama, come noi! Perché in realtà noi nella nostra umanità amiamo come Dio. L'amore che Dio ha in sé non può rimane congelato nella eternità, aspettando di manifestarsi al termine della nostra vita, ma deve uscire da lui per raggiungere l'altro! Raggiunge noi, che siamo amati da Lui fin dal principio. Quell'amore ci è donato nella carne - come a nostra -, di Gesù, suo figlio, l'amato.

Dio vuole amarci, ecco proprio questo è il punto di partenza, Lui che è amore - come ci dice l'evangelista Giovanni -, vuole amarci e lo fa, oggi, attraverso il nostro amare, attraverso la nostra carne, perché questa carne è la stessa carne di Gesù, nella quale siamo tutti fratelli. Gesù vive di questo amore del Padre e anche con fatica - la fatica del Getzemani - quell'amore è crocifisso per donarlo totalmente a noi, in quel suo morire ci dona il meglio di sè ... Tutto il suo amore. Sulla croce Dio donna il meglio di se ... 

È bella esperienza di amare e di amarci, in essa, noi percepiamo di essere fatti per amare, e sappiamo che l'amore genera la nostra stessa umanità.

Ma ugualmente amare per noi è fatica per quanto è bello; è difficile per quanto necessario; è impossibile per quanto desiderabile.

Noi viviamo ma contraddizione del nostro limite e della nostra fragilità proprio in ragione della possibilità di amare ... Amare ci destabilizza per quanto ci umanizza.

È questo guazzebuglio che abita il cuore di Nicodemo ... È questo guazzebuglio che è affascinato dalle parole di Gesù ...

Queste parole non sono un monologo, ma sono quelle che Gesù confidò a Nicodemo in quella notte, nella quale, raccolto un po' di coraggio Nicodemo andò a cercare il Signore.

Chi era Nicodemo?  È un membro del Sinedrio, e in questo ruolo difenderà Gesù quando i Farisei avrebbero già voluto farlo arrestare.  A differenza di altri del sinedrio è rimasto colpito in modo positivo dalle parole di questo Maestro della Galilea.

Era un dottore della legge, un uomo di fede, un uomo buono, forse non un uomo particolarmente coraggioso, ma che ugualmente sarà insieme a Giuseppe di Arimatea - dopo ma morte di Gesù - per deporre il corpo nel sepolcro.

Ed ecco che spinto dal desiderio e dalla curiosità Nicodemo va da Gesù di notte, per parlare con Lui, fuori città, lontano dagli occhi dei "colleghi farisei". Essi provano fastidio per questo nuovo rabbì senza diploma, con i sandali polverosi, che viene da Nazaret, dalla Galilea dei pagani, una terra da cui non è mai venuto fuori un profeta, mai nulla di buono. Eppure Nicodemo, nonostante viva tutto di quella città Santa, in cui tutto soddisfa il senso di Dio, dove il Tempio era splendido, le liturgie solenni, le regole morali erano chiare; Nicodemo sprofonda nelle domande e nella ricerca di quel mistero di cui quel Messia è Luce.

sabato 13 marzo 2021

"I giusti ..." che disprezzano gli altri.

Osea 6,1-6 e Luca 18,9-14


"L'intima presunzione ..." Andiamo anche noi a scoprire e nostre intime presunzioni!
A volte non vogliamo essere attenti nel guardare il fondo del nostro cuore, più per la paura e di ciò che potremo scoprire ... Scoprire le nostre presunzioni, quanto ci umilierebbe! Ma quanto ci liberebbe dal commettere ingiustizie?
La presunzione è ciò che ci pone di fronte a Dio con la convinzione di essere "bravi", di essere già santi ... A volte anche solo, contenti di ciò che siamo. Quasi non ci accorgiamo del bisogno di riconoscere i nostri limiti, il nostro orgoglio o meglio il nostro "ego" che si sostituisce al buon Dio.
Con fatica ci confrontiamo con l'amorevolezza del Padre; non ci avviciniamo alla sua misericordia, per cui il confronto cade sempre nei riguardi di qualcun altro, magari e preferibilmente - a naso - "peggiore" dei sottoscritti.
Ma il confronto non va mai fatto, soprattutto se lo spirito è quello di demolire l'altro per auto giustificarci. Il discepolo di Gesù, ben conosce il valore dell'altro, dei fratelli, la cui dignità non dipende dal giudizio ma dalla carne di Cristo, e dall'essere quindi tutti fratelli. La dignità del fratello, mi richiede di non giudicarlo, ma di accostarmi a lui e, insieme, guardare alle nostre fragilità, i nostri limiti e offrire a Dio l'occasione per mettere in noi il desiderio di santità.
Nella parabola, Ciò che rende il pubblicano corretto è il non nasconde a se stesso il suo peccato, e neppure cerca una giustificazione tra le pieghe della Legge. Egli è autentico e riconosce la distanza tra la sua vita e ciò che invece potrebbe diventare aprendosi alla volontà di Dio. Riconoscere l'intima presunzione, alla fine non è una umiliazione, ma una grazia: toglie l'ostacolo che mi allontana dai fratelli, e mi impedisce di ricercare una giustizia insieme.

venerdì 12 marzo 2021

Amore totale

 Osea 14,2-10 e Matteo 12,28-34


L'amore a Dio è totale e non totalitario. Questa sottile distinzione serve a recuperare una condizione distorta dell'amore verso Dio che si annida negli scrupoli di molti credenti: l'amore antagonista tra Dio e i fratelli. Ma non è solo questo, la visione dell'amore, è in una costante e profonda trasformazione; forse anche anche un poco in antitesi con la visione cristiana dell'amore, colpevole di aver ingabbiato l'amore all'interno di una rigidità morale che esalta l'esperienza dell'amore al parossismo, mortificando l'amore dei sentimenti e del corpo. Ma in realtà questa interpretazione trasforma l'amore in un Dio, che dalla fede cristiana è ingabbiato, e avvilito.
L'evangelista Giovanni non ci parla dell'amore che è Dio, ma di Dio che è amore! È questo il vero punto di partenza della fede in Gesù Cristo. Ma il mondo di oggi, pone un ben altro interrogativo, cioè: "Chi può stabilire che cosa è oggi l'amore?"
Per noi discepoli di Gesù, dire "Dio è amore", significa riconoscere che Dio non resta in se stesso ma si comunica attraverso l'esperienza dell'amore. Gesù stesso (il figlio di Dio) è l'amore mandato a intercettare la nostra umanità, ferita e bisognosa di essere amata. Alla fine si capisce che è il punto di partenza dell'amore, che determina le conseguenze di ciò che è riconosciuto come amore e di come l'amore appartiene alla nostra umanità. Il comandamento non vuole fissare rigidamente un totalitarismo, ma porre un punto fermo sulla origine dell'esperienza di amare. In questo amore totale ci stanno tutti i nostri amori, tutte le espressioni dei sentimenti, come anche i desideri di dare forma all'amore. Il nostro discernimento morale è altra cosa ancora. Perché significa rileggere l'esperienza di amare rispetto alla sua origine, e rispetto alla nostra vita oggi, e dare un giudizio per non smarrire il riferimento con ciò che è all'origine dell'amore, cioè Dio. La libera frenesia di un tempo passato, si infrange ora nei limiti e restrizioni della pandemia, ma tutto questo mostra un disastro umano e ci fa cogliere lo smarrimento per le cose più belle e più care, i nostri affetti, la nostra capacità di amare e soprattutto di ricevere amore. Il discepolo di Gesù, senza nulla imporre, riconosce che l'amore prima di essere un diritto, trova come origine il Padre, Dio, che ci precede nell'amare.

giovedì 11 marzo 2021

Il dito di Dio

Geremia 7,23-28 e Luca 11,14-23


Nella scrittura, quando si dice "dito di Dio", l'espressione conduce a descrivere la cura premurosa e attenta di Dio verso le sue creature. Esprime la Sua potenza che sostiene la vita; rimanda al dono della legge e dello Spirito che scrive incidendo le sue parole nel cuore.
Generalmente il "dito di Dio" indica la potenza che Dio usa per salvare il suo popolo schiavo in Egitto; come anche i prodigi che il Signore compie a suo favore sorprendono gli egiziani: "Allora i maghi dissero al faraone: È il dito di Dio!" (Es 8,15). Sono diversi i riferimenti della scrittura, essi spaziano dai salmi, cui si esprime stupore per l'opera delle dita di Dio; sono il dito che incide le tavole della legge, che Geremia auspica come scrittura nel cuore; in Daniele queste dita sono profezia del compiersi della volontà dell'onnipotente.

Quando questa espressione viene accostata all'agire fi Gesù, lo è in riferimento alla sua azione di liberatore dal maligno, ma è anche il dito della Misericordia che scrive per terra, di fronte al tentativo di lapidare la donna peccatrice. Al di là di tanti ritorni della scrittura, l'espressione in bocca a Gesù lascia quasi intuire nel non solo è giunto a voi il regno di Dio, ma che lo stesso regno è opera del dito di Dio. Espressione che coinvolge direttamente l'agire del Padre nell'agire di Gesù per vincere il male del mondo e dell'uomo, come anche il suo agire per rinnovare ogni cosa, "è, appunto, il Dio di Dio".


mercoledì 10 marzo 2021

Compimento della legge è amare.

Deuteronomio 4,1.5-9 e Matteo 5,17-19


Anche per noi, come per i primi cristiani provenienti dal giudaismo, Gesù è colui che 
porta a compimento, cioè a pienezza la legge di Dio. Ma cosa significa realmente dare compimento? Gesù non è uno Scriba e neppure un Fariseo, non è un maestro convenzionale che insegna una dottrina, o ad applicare determinare leggi. Per Gesù la legge da osservare e da fare è la volontà di Yhwh, compiere a sua volontà, così come ci insegna nel Padre nostro: "sia fatta la tua volontà ..."
Ma di quale volontà si sta parlando? Quale è la volontà di Dio?
Sappiamo che la pienezza della legge di Mosè è il comandamento di amare Dio e di amare il prossimo (Deuteronomio 6,5 e Levitico 19,18). Ma sappiamo anche che l'amore a Dio è un amore totale, che però non può esclude l'amore al prossimo, ma ugualmente l'amore a Dio porta in sé un assoluto una priorità: La volontà di Dio è che l'amore a Lui si esprima anche nell'amore al prossimo. Questo amare dice tutto il desiderio di Dio, dice ma volontà di Yhwh; chi ama compie tutta la legge ed eredita la vita eterna. È questo sguardo nuovo che supera le minuzie dei precetti e che non fissa la legge a dei canoni scritti su una pietra, ma svela la legge come la volontà di Dio Padre, il desiderio di amore, e il suo realizzarsi nella vita di ogni uomo. L'amore porta, in questo modo a compimento ogni esistenza, e crea quella realtà nuova di cui tutti possono stupirsi, se amano.
Credo che ora occorra darci una scossa! Se non siamo disposti a cambiare noi stessi amando, cioè se non mettiamo l'amore come punto di riferimento del nostro essere e del nostro fare, non riusciremo mai a comprendere il pensiero di un Dio che è amore, e nemmeno di Gesù, suo figlio, che è l'amore donato e che continuamente come Spirito ci sollecita ad amare.

martedì 9 marzo 2021

Un ... fare l'amore

Daniele 3,25.34-43 e Matteo 18,21-35


La parabola - ormai lo abbiamo imparato ... spero -, non è una storia che conduce a una morale, ma è un raccontare un fatto, una vicenda che provoca in chi ascolta quel coinvolgimento che tocca la sua stessa esistenza. È nei punti di contatto tra parabola e vita, che si aprono gli spazi, la possibilità,  per "il nuovo fare" secondo il Vangelo, secondo quella intuizione nella che Gesù cerca in ogni modo di condividere, in questo caso con Pietro, ma da lui con tutti i discepoli, e anche con noi. Detto questo oggi vorrei proprio partire da quella frase finale che è una provocazione e quasi una minaccia: "Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello".
"Se non perdonate di cuore"; Dio perdona di cuore, cioè non ricorda e non perché ha problemi di memoria, ma perché di ciascuno ha altri ricordi che gli riempiono il cuore e la mente. Noi stesso invece diciamo di perdonare, ma ricordiamo benissimo ogni lite, ogni rancore, ogni offesa ricevi punta, ogni torto subito ecc ...
Come può Pietro perdonate, sette volte - non scattata volte sette - se nel suo cuore continuamente ritorna il ricordo del mio errore o dell'errore del mio fratello, ma non c'è spazio per il perdono del Padre?
Ecco il perdono del Padre è nel cuore del discepolo di Gesù! Anzi quando questo ricordo diventa il fare memoria della mia sentirmi amato e perdonato dal Padre, è allora che sono realmente nella sequela del Signore che mi rende veramente discepolo.
Quando nel cuore ho il il ricordo del perdono del Padre, ho il ricordo dell'amore per il fratello, sarà su questo rivedrò che il mio "fare" sarà il perdonare di cuore. Se il perdono non è conseguenza dell'esperienza dell'amore infinito del Padre per me e per l'altro, il mio perdonare si trasforma in un fare superbo, quasi una concessione della mia benevolenza; questo non è perdono ma in realtà violenta e uccide ogni fratello, annullando la possibilità di amarlo per ciò che è.
La parabola ci porta a vivere con consapevolezza i punto di cintato tra la nostra vita e i gesti di amore, che rappresentano lo spazio umano dell'amare di Dio, del Padre.

lunedì 8 marzo 2021

Essere i profeti desiderati e attesi.

2 Re 5,1-15 e Luca 4,24-30


Perché tanto sconcerò e sdegno a Nazareth? Forse perché erano state deluse le loro aspettative. Gesù stesso ci dice, fra le righe, quanta delusione di fronte alle sue parole e alla sua persona. Delusione per le sue parole che non sono rivolte esclusivamente a coloro, che si riconoscono gli eletti. Ma come al tempo di Elia, la Parola di Dio diviene vita per una vedova di Sarepta di Sidone - una donna pagana - così oggi la Parola sfugge agli eletti ... è come ci ricorda il papa nella "Fratelli tutti": "Il paradosso è che, a volte, coloro che dicono di non credere possono vivere la volontà di Dio meglio dei credenti" (FT n. 74).
Delusione per la sua persona, come la delusione dello stesso Naman, il comandante dell'esercito del re di Aram, che di fronte a Eliseo, rimane deluso per la "normalità del suo intervento" taumaturgico. Il profeta, uomo di Dio, ma soprattutto che il profeta che è in Israele, in quel popolo che il Signore ha scelto come segno per tutti i popoli.
Gesù riconosce nell'atteggiamento degli abitanti di Nazareth lo sdegno per la delusione; è una reazione sproporzionata che corrisponde alla loro fragilità: non sono i soli destinatari della parola di Yhwh. Essere una primizia non è un privilegio esclusivo, ma è anch'esso un dono di amore. Essere il popolo prescelto non per merito, ma per misericordia, permetterebbe di non cadere nella delusione ma di gioire della Parola, anche quando è profezia di salvezza per ogni uomo; permetterebbe di riconoscere come Dio è padre nella quotidianità dei piccoli segni, delle piccole attenzioni, della normale accoglienza; che chi è "privilegiato" è profeticamente chiamato a esercitare.

domenica 7 marzo 2021

Un tempo (Tempio) nuovo

 Es 20,1-17; Sal 18; 1 Cor 1,22-25; Gv 2,13-25


“Gesù parlava del suo corpo ...”, ma loro restavano concentrati su quel luogo, su quelle pietre, e non capivano la forza e la verità di quel gesto. Erano tutti arrabbiati: “Gesù, non di può fare come hai fatto ... Buttare all'aria tutti quei soldi ... Cacciare i venditori di animali, e liberare tutte quelle colombe ... No, non si può fare così nel tempio del Signore!”
Per Scribi, Farisei e Sacerdoti, si tratta di un atto sconsiderato, sacrilego, una vera profanazione ...
Ma per Gesù è una provocazione, ma soprattutto una purificazione e una liberazione.
Perché un tempio?
Il re Davide voleva costruire un tempio, una casa per Dio, per custodire l'Arca dell'alleanza, segno della fedeltà e dell'amore di Yhwh per il suo popolo. Lo voleva fare in cima al monte del sacrificio di Isacco; su quel Monte Moira ai cui piedi sorgeva la città di Gerusalemme, dove Abramo offrì il pane del sacrificio a Melchisedc re e sacerdote del Dio altissimo. Ma fu Dio a prendere l'iniziativa e a trasformare il desiderio di Davide in una promessa messianica: " tu vuoi fare a me una casa ... Sarò io a fare a te una casa...". Sarà poi Salomone a edificare il primo Tempio; nei secoli successivi dopo la cattività babilonese sarà restaurato da Zorobabele e negli anni in cui Gesù visse, fu Erode il Grande a dare impulso alla grandiosa trasformazione del Tempio - per la quale occorsero 46 anni - fino a renderlo un segno di splendore e di potenza. Tutto si infrange negli eventi della storia, e nel 70 dC il tempio verrà distrutto dai Romani.
Ma quanto era grande questo Tempio?
Una superfice di circa 15 ettari, cioè circa 15 campi da calcio!!
Quel luogo, quella grandiosità non è solo uno spazio fatto di grandi e belle pietre, in realtà porta con sé la storia degli uomini in cerca del loro Padre, in cerca di Dio: Il tempio è eco di una nostalgia che non si estingue: Dove Dio Dimora. 
Ecco allora chiediamoci: che cosa è il tempio per Gesù?
Il tempio è la casa di Suo padre. È il luogo dell'amorevolezza del Padre! È il segno della presenza e della fedeltà, è lo spazio e il tempo unito insieme per essere di Dio e dell'uomo in un unico originario mistero.
Che cosa sono i nostri templi oggi, le nostre Chiese ...
Sono luoghi vuoti e non solo a causa della epidemia virale ... Più virale del virus è la nostra scarsa contagiosità ... incapaci di annunciare il vangelo.
Non occorre che Gesù scacci i mercanti; oggi, neppure quelli frequentano più i nostri templi, e quelli che ci sono, sono mercanti da poco ... mercanti di reperti del passato.
Oggi nel tempio ci sono ben pochi cambiamonete e mercanti, anche loro oggi disdegnano i luoghi sacri. Non ci sono più animali da vendere o interessi da coltivare ...
Il vuoto nel tempio corrisponde al vuoto di Dio nel nostro intimo, nel nostro cuore, nelle nostre relazioni. Il vuoto fa eco alla nostra irrilevanza circa l'essere del Signore Gesù Cristo. Questo Tempio cosi vuoto, cosi spento, è fatto di pietre ...
Ma Tu parlavi del tuo corpo, del Nuovo Tempio che eri Tu ... Ma oggi, il tempio del tuo corpo che cosa è ...
Ho una strana sensazione; mi sembra di essere tornato al tempo della sepoltura del tuo corpo, al tempo in cui i tuoi discepoli erano ben poco tollerati e rilevanti ...
Al tempo in cui eravamo in pochi a starti accanto, a seguirti ... Pur con tutti i nostri limiti.
In realtà siamo stati capaci di distruggere la rilevanza fatta di pietre e di rituali solenni ... Tutto ciò è crollato e progressivamente viene distrutto, perché un tempio di pietra non accoglie proprio nessuno, né Dio, né gli uomini, soprattutto se a quella immagine di Tempio non corrisponde il tuo corpo. 
Nella suggestione che nasce da questa pagina di Vangelo, credo che la conseguenza più immediata sia accogliere le parole di Gesù circa il suo corpo, che distrutto (ucciso) dal nostro essere mercanti di buoi, pecore e colombe, e umiliato dagli interassi legati al denaro e a mammona; ora risorto, si offre come occasione vera e come spazio di comunione tra i fratelli con il loro Padre. È questo il nuovo culto spirituale (dice Gesù alla donna Samaritana), è questo il vero spazio per la preghiera, è quel corpo risorto la vera casa in cui i figli sono accolti nell'abbraccio della Misericordia.
La casa di preghiera è la casa dei tanti fratelli, amati da Dio; amati tutti indipendentemente dalle molteplici differenze, ma amati perché figli, e se figli, fratelli tutti.


Inviato da iPad

sabato 6 marzo 2021

Con i peccatori!

Michea 7,14-15.18-20 e Luca 15,1-3.11-32


"Costui accoglie i peccatori e mangia con loro". Non è un gruppo circoscritto e di èlite che Gesù va radunando attorno a lui; non sono le menti eccelse di Israele; neppure i più devoti cultori delle tradizioni, ma Gesù si lascia avvicinare, si lascia accostare da pubblicani e peccatori, e si intrattiene con loro, fino a condividerne anche la mensa. È questa l'immagine originaria e autentica della Chiesa. La Chiesa non è la congrega dei buoni, e non si costituisce intorno a interessi eccelsi, e neppure è l'istituzione di morale e di etica pubblica mondiale. La Chiesa ha bisogno oggi, come sempre, di recuperare e rispecchiarsi nel suo Signore e nelle sue parole. Solo con una tale capacità di includere anche i figli che se ne vanno sbattendo la porta, come quelli irritati che custodisce nelle sicure stanze della propria "dimora", la Chiesa può fare esperienza della gioia e della festa"per quel figlio che era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato".
Non rimpiangiamo una Chiesa istituzione a cui tanti fanno riferimento, più per convenzione che per adesione del cuore. Non desideriamo una Chiesa che richiama folle osannanti ma che cerca solo di mostrare i muscoli di fronte a un mondo che va per la sua strada. Non chiediamo alla Chiesa di rivestire i panni austeri del giudizio, per fare contenti i figli tristi che vivono una relazione di fede frustrante, fatta di prescrizioni e precetti, ma nulla o quasi hanno a che fare con della Legge di Dio.
La parabola dei due fratelli non usiamola solo come espediente catechetico alla prima confessione, ma usiamola  come paradigma di ciò che ogni discepolo di Gesù è chiamato ad essere di fronte al prossimo, per generare la quella Chiesa capace di essere il Vangelo della fraternità.

venerdì 5 marzo 2021

Il segno dei figli amati ...

Genesi 37,3-28 e Matteo 21,33-43.45


Israele, cioè Giacobbe amava Giuseppe ... È questo antefatto che tratteggia il filo della misericordia e della provvidenza che si snoda in modo inconsueto nella ingarbugliata storia di Giuseppe viceré di Egitto. Questo racconto della Genesi appartiene alla storia di Israele, e mette in luce, il concorso delle diverse tradizioni, a cui l'autore sacro fa riferimento, per dare un senso unitario a una vicenda che è all'origine della nascita del Popolo: la migrazione in Egitto della famiglia di Giacobbe e dei  suoi figli. È una storia avvincente, ma soprattutto dai tratti realistici, che mette in campo risvolti umani e drammatici che in verità appartengono alla fragilità di tutti: la gelosia, la predilezione, le differenze; l'invidia, l'inganno, il complotto, la menzogna, il pentimento, il perdono, il pianto ... Tutto il racconto vuole affermare come l'agire di Yhwh, non si arresta di fronte ai limiti umani, ma si manifesta anche nelle vicende segnate dai limiti e dai condizionamenti dell'uomo. Dio porta a compimento, con stupore di tutti e meraviglia, l'opera delle proprie mani. Anche Gesù, il figlio amato e prediletto, che viene inviato nella vigna del padre, troverà la morte per mano dei vignaioli, suoi fratelli, diviene segno di come il Padre non si arrende neppure di fronte a questo tragico epilogo, anzi: "... a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti".
Che cos'è il regno di Dio? Il regno di Dio è tutto ciò che si genera a partire dall'amore del Padre: regno di Dio è la sua cura per la vigna, opera delle sue mani, il suo affidare tutto ai vignaioli, il suo attendersi i frutti buoni di tanta fatica e di tanto lavoro ...
Dio non si arrende neppure di fronte al rifiuto dell'uomo; non si ferma neppure per l'ostilità omicida dei vignaioli ... Il suo amore non può restare "inerme e ucciso", ma quell'amore può solo portare frutto. Dio cerca gli amanti del suo amore, perché solo nel vivere e realizzare il suo amore sta la pienezza del regno.

giovedì 4 marzo 2021

Non bastano i soldi ...

Geremia 17,5-10 e Luca 16,19-31


Al versetto 14, l'evangelista Luca riporta questa frase: "Udivano tutte queste cose i Farisei, amanti del denaro essi, e deridevano lui"; ciò che udivano erano gli insegnamenti del maestro in parabole, come quella dell'amministratore disonesto ecc... 
È evidente che di fronte alle parole di Gesù ci si schiera o con lui o, se non, contro di lui, in una posizione critica e soprattutto denigratoria. Ma questo atteggiamento evidenzia la condizione di questi Farisei, vengono inquadrati come amanti del denaro ... È questa la condizione per cui nessuno di questi potrà mai essere discepolo di Gesù: " nessun servo può servire due padroni: o odierà uno e amerà l'altro; oppure preferirà l'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire a Dio e a mammona". Chi vuole essere discepolo del Signore non può "amare" il denaro ..., quell'amore di amicizia che si dovrebbe dare alle relazioni fraterne. I Farisei sono coloro che preferiscono concedere l'amicizia al denaro piuttosto che ai fratelli.
Amare il denaro significa avere con la ricchezza un rapporto possessivo, e forse anche ossessivo. È la relazione con le cose, con la "roba", la verifica della nostra libertà. Amare il denaro non significa solo possederne tanto, ma essere dal denaro posseduti. 
Ci si accorge di questo possesso, quando non sono più libero di spenderlo ... Condizione che posso anche mascherare con uno stile risparmioso, ma che in realtà corrisponde alla ossessività dell'accumulo, fine a se stesso. Le conseguenze di questo amare il denaro, sono evidenziate nella parabola del povero Lazzaro e del ricco epulone: racconto estremamente evidente per il senso ... ma anche capace di interrogare ciascuno attraverso l'identificazione dei personaggi. La ricchezza, se pur soddisfa i sensi umani terreni, nulla soddisfa nella vita eterna. I soldi a cui ho attaccato il cuore non cambiano il mio destino eterno a causa del disprezzo e del non amore a Cristo e ai poveri Lazzaro, che con costante insistenza accostano la mia vita di ogni giorno. I poveri Lazzaro meritano un poco della mia amicizia/amore.

mercoledì 3 marzo 2021

All'apice di tutto il dono della vita

Geremia 18,18-20 e Matteo 20,17-28


Quando il cammino di Gesù si dirige a Gerusalemme, è chiaro che il tempo del Vangelo corrisponde agli eventi della passione; cioè l'insegnamento, la fraternità, il condividere la vita, tutto si misura con la drammaticità di quell'evento che è la passione, morte e risurrezione. Questo compimento cruento e tragico della vita di Gesù non deve portarci fuori strada, in un angoscioso richiuderci in noi stessi. La drammaticità corrisponde all'irrazionalità del peccato dell'uomo, a cui nel mistero, il Signore si consegna inerme. Gesù fa dono di sé stesso, della propria vita, offre tutto il vissuto di quegli anni, affinché sia anche possibile distruggerlo e umiliarlo; affinché la morte possa mettere la sua pietra tombale. Gesù non si preoccupa di tutto questo e nel suo salire, nel suo avvicinarsi, nel suo partecipare al compimento degli eventi, già apre alla comprensione della salvezza. Gesù non subisce la "passione", ma ogni suo sforzo mira a coltivare nel cuore dei suoi amici, i dodici, il germe vitale del Vangelo. La buona notizia, la notizia nuova si radica attraverso quella relazione amicale che è amorevolezza, e servizio reciproco. Il servire è per Gesù donare se stesso, fino a dare la vita. Questo è il vertice del Vangelo, Dio dona la sua vita ... e salva l'uomo dal suo male. I discepoli di Gesù, da allora, hanno iniziato a sperimentare come nel servizio e nel donarsi gli uni agli altri, tutto viene redento e salvato. Nel dono di noi stessi, ogni giorno poniamo, il germe delle cose nuove di Dio, seminando amore nella dura realtà dell'uomo. Il salire a Gerusalemme corrisponde quindi, al salire il monte del nostro IO, raggiungere il vertice dell'essere uomo e donna e innalzarvi sopra la croce del proprio donarsi gratuitamente. 

martedì 2 marzo 2021

E voi siete tutti fratelli ...

Isaia 1,10-20 e Matteo 23,1-12

"Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo."
La fratellanza non è semplicemente una esigenza religiosa, o una istanza di carattere sociale. Il Vangelo la propone come espressione e contenuto della nostra umanità. Essere uomini e donne trova il suo fondamento nel riconoscimento della fratellanza. Questa condizione ha in Dio la sua piena rivelazione; come dire il fondamento antropologico della nostra natura umana è nell'essere figli di Dio e quindi fratelli tra di noi. Gesù, il figlio unigenito, ci è maestro di vita e di umanità nel riconoscere il cuore del nostro essere fratelli. Nell'Enciclica "Fratelli Tutti", il papa, risveglia in noi il senso sopito della fraternità. Una fraternità che ha in Gesù il "Maestro", cioè nasce dall'esperienza che facciamo di lui, come fratello e amico. Gesù è maestro perché è fratello. Il papa ci presenta la fratellanza alla pari di “un nuovo sogno", un sogno bello e al tempo necessario per rigenerare la parte buona di ogni essere umano. E' questa la fratellanza universale, che per noi cristiani si trasforma in fraternità e di amicizia sociale. San Francesco, a cui il papa si ispira per questa Enciclica si sentiva fratello del sole, del mare e del vento, e sapeva di essere ancora più unito a quelli che erano della sua stessa carne. Dappertutto seminò pace e camminò accanto ai poveri, agli abbandonati, ai malati, agli scartati, agli ultimi.

lunedì 1 marzo 2021

Quaresima di amore ...

Daniele 9,4-10 e Luca 6,36-38


Il messaggio di Quaresima 2021 di papa Francesco, ripercorrendo le tre virtù teologali approda alla carità, a quella carità che non è la semplice elemosina (delega al denaro della nostra azione concreta) ma che si traduce nel "rallegrarsi di veder crescere l'altro". Ecco perché soffre quando l’altro si trova nell’angoscia: solo, malato, senzatetto, disprezzato, nel bisogno… La carità è lo slancio del cuore che ci fa uscire da noi stessi e che genera il vincolo della condivisione e della comunione (cit. Messaggio Quaresima 2021).
Il Vangelo di questa mattina supera ogni lettura puramente spirituale, come anche non ci indirizza a una carità solamente concreta. Il Vangelo, nelle parole di Gesù, recupera per tutti i discepoli il fondamento della natura umana. La persona umana esiste come essere che ama, e che è generato in un atto di amore. Se non ci educhiamo ad esprimere l'amore che è originario, e originato in noi, saremo sempre delle persone infelici o "mancate", senza un compimento del desiderio. Siamo sinceri! Qual'è il primo e unico desiderio che abita il nostro intimo? Non è forse quello - contemporaneamente - di amare e di essere amati?
La quaresima è un tempo privilegiato per vivere integralmente l'amore. Per farlo, allora, ho bisogno di farmi prossimo e di abbracciare il mio prossimo. Ho bisogno di misericordia e di essere misericordioso; ho bisogno di allontanare la tentazione del giudizio su me stesso e sui miei fratelli; ho bisogno di non condannare cioè di esondare la speranza; ho bisogno di perdonare cioè di amare fino in fondo ... Ho bisogno di essere colmato, riempito con molta farina ... Ne ho bisogno!