lunedì 31 maggio 2021

Dalla Galilea alla Giudea per un cantico di gioia.

Sofonia 3,14-18 e Luca 1, 39-56


Possiamo spiegare in molti modi il viaggio che porta Maria da Nazareth, in Galilea, alle vicinanze di Gerusalemme, i monti della Giudea. A me piace sottolineare la curiosità di Maria per verificare la riprova della Parola che ha ricevuto: anche Elisabetta attende in grembo un figlio, lei che era detta sterile ... Ma anche la necessità di raccontare, di confrontarsi, di non tenere solo per sé quanto è accaduto a Nazareth in forza delle parole dell'angelo: lo Spirito ti coprirà con la sua ombra, è colui che narra sarà santo, sarà il Figlio di Dio. Una ragazza di 16 anni o poco più come potrebbe reagire diversamente di finte al contenuto di tali parole?
Ecco che quel cammino è un itinerario di condivisione e di conferma; di affidamento a quella Parola, logos di Dio, che in un modo sorprendente ha percorso e incontrato le vie dell'umano, e ha preso dimora in mezzo a noi proprio nel segno più intimo e originario della nostra umanità: si è fatta carne nel grembo di Maria. Ma è anche la stessa Parola che annuncia il concepimento nel grembo di Elisabetta; come è la stessa parola gioiosa che scaturisce dalle labbra di Elisabetta e nel contempo sprigiona in Maria una lode profetica all'Onnipotente. È un cammino umanamente necessario, per riconoscere la vicinanza e l'intima comunione con Dio Padre che così porta a compimento la salvezza, ovvero la nostra pienezza; con il Figlio che si fa carne, e proprio dalla carne condivide tutto di noi, non scarta neppure il nostro peccato; con lo Spirito, che costantemente si rivela e rinnova negli slanci di gioia che l'amore sprigiona.

domenica 30 maggio 2021

Insegnamo le cose che Gesù ci ha comandato.

Dt 4,32-40; Sal 32; Rm 8,14-17; Mt 28,16-20

 

Quando sentiamo la parola insegnare, subito un pesante pensiero corre alla scuola, al catechismo, allo studio e agli esami ... Peggio ancora se tutto converge al ricordo di precetti e delle norme morali insegnate con autorità divina.

Ripercorrendo la pagina del Vangelo, credo di poter dire senza ombra dubbio è senza essere frainteso che per Gesù insegnare è stato prima di tutto una esperienza di vita, una vicinanza, una amicizia intima e profonda. 

Gesù non accetta distanze, non è stanco di avvicinarsi e di spiegare; non è stanco di attendermi nella mia lentezza a credere, ma si avvicina, occhi negli occhi, respiro su respiro. È il viaggio eterno del nostro Dio “in uscita”, incamminato per tutta la terra, che bussa alla porta dell’umano. E se io non apro, come tante volte è successo, lui tornerà, fino alla fine del mondo.

Oggi, per noi il rischio quello di trasformare questa vicinanza vissuta da Gesù, in un ricordo passato, scritto in un libro, e tutto quanto riassunto in affermazioni teologiche per fissare in modo stabile il mistero di Dio.

Sì … perché, proviamo a spiegare, o a insegnare chi o cosa è Dio; proviamo a parlare di Trinità oggi! È tanto difficile per quanto è poco interessante; il complesso teologico che è ha fondamento del dogma trinitario, oggi, è privo di ogni attrattiva.

In quale modo possiamo oggi parlare di Dio? Gesù ai discepoli in un modo quasi didattico e catechistico, dice di battezzare, cioè immergere nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo e di insegnare ciò che ci ha comandato ...

Cerchiamo di attualizzare in un linguaggio adeguato alla situazione. La nostra quotidianità è segnata profondamente dalla secolarizzazione che porta con sé il desiderio di autonomia e di affrancamento da ogni forma religiosa che condizioni la vita. Il mondo digitale e virtuale nasconde la possibilità di un Dio auto-compreso e auto-referente, un dio digitale e informatico che risponde ad ogni domanda.

La situazione, poi, di estrema impotenza e fragilità sperimentata con la pandemia, evidenzia che il Dio tradizionale è il grande assente che ha lasciato ogni possibilità alla scienza e alla medicina.

Forse dobbiamo ammettere che non abbiamo "immerso" nessuno in Dio Padre, Figlio e Spirito, e che neppure abbiamo insegnato ciò che ci ha comandato ...

Ciò che difetta nel nostro insegnare è la possibilità dell'“incontro”. Una esperienza che consente di andare direttamente al cuore dell’umano. Come può oggi la Chiesa raggiungere questo “cuore”? Cosa vuole dire incontrare?

Papa Francesco dice che la teologia, non può essere astratta ma deve nascere nasce dall’incontro col Verbo fatto carne!

La teologia è chiamata allora a comunicare la concretezza e tenerezza del Dio amore.

Oggi, infatti, ci si concentra meno, rispetto al passato, sui concetti teorici ma più sul “sentire” sullo sperimentare.

Può non piacere, ma è un dato di fatto: le persone partono da quello che sentono. La teologia non può certamente ridursi a sentimento, ma non può nemmeno ignorare che l’approccio alle questioni vitali non inizia più dalle domande ultime e di senso, ma da ciò che la persona avverte emotivamente. Ma d'altronde Gesù cosa è come ha insegnato se non ad amare Dio e il prossimo attraverso una amicizia concreta e personale, ha insegnato ad amare, amando. Ha raccolto il bisogno viscerale dell'uomo, di essere amato, per collocare il suo amore. L'amore non si insegna con un approccio teoretico, l’amore si insegna a partire dalla dimensione emotiva della persona. L’uomo di oggi è, nella sua fragilità risulta  particolarmente ricettivo alla dimensione affettiva, al sentirsi amato, voluto bene ...

sabato 29 maggio 2021

Rappresentanza legale ...

Siracide 51,17-27 e Marco 11,27-33


Certi tuoi atteggiamenti e certe tue azioni non sono proprio piaciute! Finalmente il Tempio è tornato al suo splendore, come al tempo di Salmone, e tu, piccolo maestro di Galilea, arrivi e critichi tutto! Cacciare i mercanti, sovvertire le abitudini e i ruoli consolidati ha provocato un vero e proprio terremoto tra i sacerdoti, gli anziani e i membri del Sinedrio. Non stupirti se questi "capi" del popolo, si sentono in diritto di interrogarti: "chi ti ha dato l'autorità di fare queste cose?"
Non stupirti se a chiunque non vive il "si è sempre fatto così ..." viene imputato la colpa di voler sovvertire, distruggere, snaturare. Ma a guardare bene, profeti, maestri e rivoluzionari, non hanno bisogno di un timbro di convalida. Il loro agire, anche se umanamente istintivo, è sempre sull'onda della volontà di esaltare il bene, il bello e il vero, diversamente sarebbe ideologia.
Anche oggi, nelle nostre comunità, alcuni si ergono a "sacerdoti e scribi", con la pretesa di legittimare se un agire è secondo il Vangelo oppure no, se si può rilasciare una qualche autorizzazione; per il gusto di potere dire dei no, porre dei limiti, esprimere un controllo.
Come faresti Gesù oggi? Credo come hai fatto quella volta nel tempio: "non è il caso, non meritate che mi metta a darvi una risposta!"
Gesù ci suggerisce di non lasciarci turbare da questi super devoti che nascondono nelle rigidità la loro fragilità e di coltivare invece lo spirito di profezia nella Chiesa (non di anarchia!) iniziando, in qualche modo, la conversione della Chiesa a partire da noi stessi.


venerdì 28 maggio 2021

O beata nostra umanità!

Siracide 44,1.9-13 e Marco 11.11-25


Rileggendo il Vangelo di Marco, quest'anno mi sembra di cogliere sfumature e approcci completamente nuovi. Nuovamente la pagina del Vangelo di scuote; da un lato fa emergere i tratti umani di Gesù, che mi portano a considerare che ciò che appartiene all'umano non va primariamente giudicato moralmente: Gesù irritato per la mancanza di fichi; Gesù che istintivamente maledice il fico; Gesù furibondo che scaccia i mercanti dal tempio; ecc ... Dall'altro, la stessa umanità del figlio di Dio ha in sé tutta la forza e l'istintività della sua natura, e non per questo va tutto collocato come moralmente corrotto o imperfetto. Emozioni, istintività, pulsioni e tante altre reazioni interiori ed emotive esprimono e traducono l'esistenza e la vita della persona, anche del Figlio di Dio. Forse per troppo tempo abbiamo rinchiuso l'uomo nella gabbia del perbenismo e del moralismo, adombrando la natura umana con il velo del peccato originale da renderla sempre o quasi inadeguata. Ma questa pagina di Vangelo ci racconta anche di una umanità di Gesù capace di pregare, in un modo che solo chi è umano può fare. Pregare nella certezza di essere non solo ascoltato ma soprattutto esaudito, e questo perché si ha fede in colui che ascolta, si ha certezza nell'amore di Dio per noi. Questa esperienza spirituale appartiene all'umano. 

giovedì 27 maggio 2021

Gesù parte dal desiderio

Siracide 42,15-26 e Marco 10,46-52


"Che cosa vuoi che io faccia per te?" È una domanda bellissima e importantissima, che Gesù rivolge al cieco, come ieri a Giacomo e Giovanni ("Che cosa volete che io faccia per voi?"). Ma è anche la stessa domanda che Gesù pone a ciascuno di noi per intercettare il desiderio più profondo del cuore. Cosa provoca in noi questa domanda, sapendo che è Gesù a farcela? È una domanda che ci appartiene, fa parte di noi, della nostra chiamata, della nostra fede.
Quante volte nella preghiera, nell'ascolto della Parola, nell'Eucaristia ho sentito vibrare in me queste parole di Gesù: “Che cosa vuoi che io faccia per te?” O piuttosto: "ti chiedo di fare questo per me!"
Quale desiderio più intimo e vero vuole intercettare questa domanda del Signore?
"Signore fa che io veda!" Fa che io veda le mie miserie e le mie meschinità, fa che io mi accorga del dolore dei miei fratelli e delle loro sofferenze. Signore fa che io ti riconosca nei più piccoli, nei poveri, negli ammalati, così come ti riconosco nella preghiera, nella tua parola e nei sacramenti. Fa che tutto quello che ogni giorno accade nel mondo mi parli di te e mi spinga a servirti, senza mai stancarmi. Fa che nulla e nessuno, in questo mondo, che sembra andare a rotoli mi sia indifferente, tanto lontano da estraniarmi e chiudermi in me stesso. Ma la cosa più bella sarebbe fare noi quella domanda a Gesù, avremmo centrato il suo desiderio!

mercoledì 26 maggio 2021

Direzione: Gerusalemme!

Siracide 36,1-2.5-6.13-19 e Marco 10,32-45


Una pagina complessa, in cui l'evangelista anticipa in modo dettagliato immagini della passione, questo per mettere in rilievo come il salire a Gerusalemme da parte di Gesù e dei suoi, non è un semplice pellegrinaggio alla città Santa. Il Salire a Gerusalemme ha il suo compimento nella passione, morte e risurrezione di Cristo; è una immersione totale nella volontà del Padre,  ma anche nel suo amore e nella sua vita. Il battesimo di cui Gesù parla dobbiamo proprio intenderlo come donare (mettere) la sua vita nella vita del mondo, e quindi morire. Il battesimo è immersione nel mistero di morte-vita-amore. Una immersione a cui tutti gli uomini sono chiamati, nella loro morte personale, ma per i discepoli, per i suoi amici, rappresenta il vertice della testimonianza. Salire a Gerusalemme, dice l'evangelista lascia tutti sgomenti, ovviamente, perché in quel tragitto l'evangelista pone in evidenza tutto ciò che c'è in gioco. La vita e la morte; lo steso vincolo di amicizia che lega i discepoli al maestro; la prospettiva futura: prendere coscienza del servire i fratelli con la propria esistenza. 
È una pagina che interroga sul cammino di ciascuno, sul nostro salire a Gerusalemme con il Signore, il che significa prendere seriamente la vita come spazio di immersine nella volontà del Padre e occasione di essere uniti a Cristo nella redenzione del mondo: vivendo il Vangelo. Stare alla sua destra o alla sinistra, non spetta a Gesù concederlo, ma una cosa è certa anche per il Signore, chi lo segue e vive il servizio all'uomo, gli dà testimonianza. Che cosa voglio realmente nella mia vita, voglio che il Signore faccia ciò che io gli chiedo, o piuttosto voglio fare io ciò che lui mi chiede? La sua gloria è l'amore per ogni uomo, il farsi servo, il donare la vita; il suo battesimo è immersine nel disegno di salvezza di Dio; il suo calice è la volontà del Padre, che a volte è un poco dura da capire e vivere con abbandono. Però devo dirvi che Gerusalemme è bellissima!

martedì 25 maggio 2021

Lasciare tutto? No!

Siracide  35,1-15 e Marco 10,28-31

La parola "lasciare" già di per sé suscita in noi un grande turbamento, ad alcuni pure angoscia; credo che la motivazione principale sia che in forma estrema, questa parola rimanda alla nostra morte, quando dovremo, per forza, lasciare questo mondo, senza nulla obiettare, nonostante non lo vorremmo mai lasciare.
Si potrebbe argomentare mettendo in luce come il nostro bisogno di relazione con le persone e le cose si oppone all'esperienza di lasciarle.
Ma può il cristianesimo fondarsi su una priorità esistenziale che pone il lasciare come condizione per appartenervi? Sembra in questo senso la domanda di Pietro!
Credo che se ci fissiamo sull'esigenza di lasciare tutto, per poter essere discepoli di Cristo, o per poter annunciare con libertà il Vangelo, pochi, molto pochi saranno disposti a un simile cambiamento di vita.
Il verbo lasciare, rappresenta, nell'espressione greca, una vasta gamma di sfumature di significato, dal perdonare, all'attendere, al pazientare ... come anche al separare decisamente. Ma di fronte all'esperienza che i discepoli, per bocca di Pietro hanno fatto, cioè la privazione di una parte importante dei loro affetti, dei loro legami, delle loro "cose", Gesù oppone una visione inclusiva del "lasciare", che invece di precludere, dilata la possibilità di affetti, legami e cose.
Credo che nell'idea di Gesù, il lasciare non sia una rinuncia, ma una vera esperienza di libertà e maturità. Spesso infatti, il possesso, uccide la nostra capacità di amare, il "lasciare" invece esprime uno spossessarsi per amare ancora di più, alla grande ... Includendo "tutto" dentro la mia piccola esperienza di vita.
Il "Lasciare" non va oggettivizzato troppo, ma è invece, una proposta interessante, alquanto contro corrente, un'importante esercizio di quotidianità: includere!


lunedì 24 maggio 2021

Madre dei viventi ...

Genesi 3,9-15.20 e Giovanni 19,25-34


Fu papà Paolo VI, a conclusione del Concilio Vaticano II, che dichiarò la beata Vergine Maria «Madre della Chiesa, cioè di tutto il popolo cristiano, tanto dei fedeli quanto dei Pastori, ma questa da maternità passa attraverso l'essere madre di Cristo e insieme madre della Chiesa, come pure madre di tutti i viventi.
La maternità di Maria rispetto a Cristo, rappresenta quell'immagine e mistero insieme, per cui il Figlio di Dio è concepito in lei in tutta la sua divinità, cioè volontà e libertà come pure in tutta la sua natura. Maria da parte sua non è un utero in affitto, ma unisce tutta la sua umanità e quindi misteriosamente anche la nostra. Nel suo concepire, Maria porta nel grembo anche tutto ciò che appartiene al verbo di Dio, quindi anche la Chiesa che nasce dal desiderio e dall'amore di Cristo crocifisso per l'uomo.
Ecco che allora la maternità di Maria non è una convenzione tradizionale, ma rappresenta realmente una espressione della maternità,  si estende a tutta la Chiesa proprio perché la Chiesa appartiene a Cristo, ed è generata in Cristo. L'espressione più attuale della maternità di Maria credo sia da associarsi alla maternità che la Chiesa oggi esprime per ogni vivente, perché chiamato all'esistenza nel Figlio di Dio. La maternità di Maria non è qui di esclusiva ma è inclusiva, e come Eva è madre di tutti i viventi così pure Maria, e la Chiesa con lei, lo è proprio di tutti i viventi.

domenica 23 maggio 2021

Pandemia ... Eppure è Pentecoste!

At 2,1-11; Sal 103; Gal 5,16-25; Gv 15,26-27; 16,13-15



Scrive L’Osservatore Romano: Le Chiese vuote, in Italia i “praticanti” sono scesi in dieci anni dal 33% al 27%; tra i giovani (18-29 anni) i praticanti sono solo il 14%, e continuano a calare di quasi il 3% l’anno». 

Le motivazioni consuete non riescono a dare nessuna risposta soddisfacente; neppure attribuire responsabilità alla Chiesa conservatrice o progressista ... giustifica la situazione di attuale abbandono ... Ma allora tutto questo cosa significa?

Qualcuno azzarda dire che la crisi attuale delle “Chiese vuote” viene da lontano, inizia quando le chiese erano piene, viene dagli anni ‘50, da una chiesa militante, tosta nella dottrina, influente sulla vita politica, ma ugualmente una Chiesa che non catturava più il cuore e le menti di gran parte delle giovani generazioni.

Una chiesa che non ha attrattiva, che non cattura il cuore, che non ha parole capaci di entrare nella vita, di entrare nel confronto e nel dialogo con le problematiche del mondo contemporaneo. Ora non diamo la colpa alla pandemia per giustificare l’esodo attuale ... Questa è stata solo una spallata ... 

Ma la Chiesa da dove è partita? La Pentecoste è l'inizio della Chiesa ...

L'immagine è suggestiva, gli apostoli sono ancora insieme, si ritrovano timorosi, di nascosto, senza fare clamore, attenti a non suscitare le reazioni dei capi del popolo e del Sinedrio. Hanno paura; negli occhi e nel cuore risuonano ancora  le parole e le grida e ciò che accadde quella notte in cui Gesù veniva catturato ... Il loro silenzio dice tutto il loro sgomento per ciò che era accaduto e per ciò che poteva loro accadere. Si sono riuniti, di nascosto, ancorar una volta in quel cinquantesimo giorno. Neppure stare insieme al Risorto, neppure l'invio in missione, sembra aver vinto la paura e riacceso il coraggio.

Forse anche noi oggi, dopo due anni in cui l'epidemia virale ha umiliato le nostre certezze e offuscato le aspirazioni; ha limitato i nostri gesti e nostri sentimenti; ci ha tolto parte della libertà ... ci sentiamo impauriti e smarriti.

Abbiamo visto venir meno tanti amici, abbiamo visto che tanti altri non vivono più la comunità di fede; e che il ritrovarsi virtuale non garantisce la comunione; altri poi, che si sono allontanati e non faranno più ritorno nella Chiesa ... Sembra che tutto segni ormai in declino. Ma noi che siamo rimasti abbiamo parole per annunciare che il Signore è risorto? Che Dio ha vinto la morte e che le tenebre sono come luce, che l’amore di Dio riempie ogni cosa?

Ci occorre proprio una nuova Pentecoste!?

Forse ci siamo dimenticati che Gesù ha detto che manderà il Paraclito, il consolatore. Pentecoste significa proprio questa venuta, è necessario che Gesù vada al cielo per poter mandare lo spirto consolatore!

È proprio in questa fatica che viviamo, in questa fase di transizione della Chiesa che Gesù suscita lo Spirito di verità lo Spirito dell'amore ... è la rinnovata Pentecoste.

È in questa limitazione; è in questa ostinata ripresa; è in questa ricerca di normalità dove tutto non sarà più come prima ... che la realtà si rinnova e rinasce come conseguenza dell'esperienza vissuta. Gesù, attraverso l'esperienza di Paolo, ci invita ora e di nuovo a camminare secondo lo Spirito!

Camminare nello Spirito non è l'eco di una antica predica apostolica ma è la vera sfida di chi vuole testimoniare la propria fedeltà al Signore, il proprio desiderio di amore e la pienezza di vita che lo Spirito suscita in coloro che si affidano al Padre.

Oggi più che mai possiamo camminare, cioè andare avanti secondo lo Spirito, vivendo fino in fondo quel frutto che è la nostra vita quando accoglie il dono di Dio: "il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé".

Ecco che la Chiesa, i credenti sempre fanno esperienza del turbamento, della codardia, ma è proprio e solo da loro, per il frutto dello Spirito che può scaturire come sorgente di acqua viva la forza della testimonianza e il coraggio di parlare.

La forza di testimoniare il Signore Gesù, morto in croce, sepolto e ora risorto vive; e il coraggio di raccontare la buona notizia del Vangelo: Dio Padre ci ama, ha tanto amato il mondo ... E che attraverso noi stessi non smette mai di amare.

Che cosa d'altronde Papa Francesco ci ripete con insistenza se non riproponendoci la tenerezza di Dio?

Il Dio della tenerezza non è un Dio sdolcinato, ma il Padre che si prende a cuore i suoi figli, tutti i suoi figli e le loro fragilità, camminando insieme a loro.

Questo Padre si manifesta nella Chiesa e quindi anche nei suoi pastori, i quali non esprimono tenerezza se sono freddi burocrati, funzionari del rito, bottegai dei sacramenti. Tutto questo rende le Chiese vuote ...

La dimensione affettiva, oggi, dice quale ambito dell'esistenza umana è quella in cui costruire ed edificare relazioni efficaci e vere, dove tutti i battezzati possano ci dividere insieme relazioni vere e soprattutto nuove, non solo gerarchicamente costruite ... Ma vissute in comunione ... Forse anche a questo mira la riforma del cammino del Sinodo dei vescovi? Un altro tassello del dialogo tra chiesa e mondo ... Chissà dove ci porta lo spirito …nel rinnovare la faccia della terra …



sabato 22 maggio 2021

Fine degli Atti degli apostoli

Atti 28,16-20.30-31 e Giovanni 21,20-25


Con questa pagina si conclude la narrazione di Atti attraverso la figura di Paolo, ormai arrivato a Roma in attesa del giudizio dell'imperatore.
Ma non è una vicenda giudiziaria che conclude la narrazione lucana, ma il senso profondo che Paolo riesce a scorgere nella sua vicenda personale: tutto è in funzione dell'annunciando il regno di Dio e insegnando le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo.
I due anni che Paolo trascorre a Roma, rappresentano il tempo utile per consolidare e generare la comunità cristiana di Roma perché possa maturare e crescere in quella comunione con il Signore che è il fondamento dell'esperienza apostolica.
Anche il dialogare con la comunità giudaica, non è un semplice "escamotage", per accattivassi il consenso o la vicinanza dei Giudei di Roma, ma per Paolo è la prima occasione di testimoniare a Roma il Signore risorto; una continua memoria delle Parole che il Signore aveva annunciato di lui attraverso Anania: "costui è l’oggetto della mia scelta, per portare il mio nome davanti alle nazioni, nonché ai re e ai figli d’Israele. Perché sono io che gli mostrerò tutto ciò che dovrà soffrire per il mio nome"(Atti 9,15-16). A Roma Paolo riesce a comprendere come quella scelta particolare che il Signore ha fatto di lui, era finalizzata a portare nel cuore del mondo di allora l'annuncio del Vangelo. Il Vangelo è per sua natura destinato al cuore di ogni uomo e a generare nel cuore del mondo l'intima nostalgia di Dio. Ogni discepolo di Gesù, è chiamato dal maestro ad andare a Roma, a immergersi nel cuore del mondo, per essere giudicato dal mondo per l'amore che nutre per il maestro. È questa esperienza che focalizza il finale mettendo in secondo piano, quasi in ombra, tutta la questione personale e le vicende che porteranno Paolo a testimoniare con il dono della vita.

venerdì 21 maggio 2021

... alcune questioni relative alla loro religione ...

Atti 25,13-21 e Giovanni 21,15-19

Lo sfondo della predicazione dei discepoli di Gesù è quello della loro incapacità di essere offensivi, non siamo di fronte a sovvertitori dell'ordine pubblico, o a cospiratori contro lo stato; ma sono semplicemente uomini e donne che seguono le parole di un maestro di cui affermano essere risorto dalla morte. Non emerge ancora, però, la vera accusa contro i discepoli di Gesù, come d'altronde neanche contro Gesù al procuratore Romano, Pilato, furono portate prove per giustificare la condanna a morte; più volte Pilato affermerà che "non trova il Lui alcuna colpa". La irrilevanza per l'autorità Romana delle accuse portare contro Paolo dai giudei è testimoniata dalla lungaggine decisionale e indecisione circa il suo caso. Col procuratore Felice inizia l'iter giudiziario, e nel frattempo passano due anni, poi Festo riconoscendo che le accuse sono solo questioni religiose giudaiche, tergiversa e poi per poterlo inviare a Roma cerca in tutti i modi anche con l'aiuto di re Agrippa e Berenice, di raccogliere un capo di accusa, non facile da sinterizzare. Sotto certi assetti in ciò che accade a Paolo risuona tutto ciò che accadde a Gesù, condotto alla morte è tolto di mezzo per una ingiusta sentenza. In tutto questo cosa emerge se non che l'agire dei discepoli di Gesù e il loro modo di annunciare il Vangelo con la vita vivendo l'esperienza di Cristo in loro, interagendo con la realtà e la quotidianità. Essere Chiesa non significa occupare spazi di potere e di prestigio sociale, ma significa interagire con la vita, perché la vita di Cristo risorto dalla morte sia il tesoro nascosto e scoperto da ciascun uomo e donna, nella propria esistenza. Chiaro, non sono solo questioni circa la religione ...

giovedì 20 maggio 2021

Coraggio, mi sarai testimone!

Atti 22,30;23,6-11 e Giovanni 17,20-26


La vita di Paolo trova compimento nella testimonianza che l'apostolo darà a Roma. È questa prospettiva che ci permette di leggere in modo più attento ciò che prepara questa testimonianza, che si avvicina e associa alla passione morte e risurrezione di Gesù a Gerusalemme. Anche a Paolo viene chiesto di essere testimonianza viva del dono della vita. Non è una sconfitta giudiziaria, non una sentenza di morte per decapitazione, ma è il dono della vita. Paolo stesso nel sinedrio pone e sottolinea il motivo di ciò che sta accadendo: "la speranza bella risurrezione dei morti".
"Mi sarai testimone a Roma!" Ma testimone di cosa? "Della risurrezione dei morti?" Ovvero di tutto ciò che il risorto è protagonista nella sua esistenza terrena. La disputa che si accende nel Sinedrio, il rapporto c'è l'autorità romana, tutto si esprime come logica del mondo e dei limiti dell'umano, ma ciò che Paolo custodisce in se stesso è proprio la consapevolezza di passare attraverso a strettoia del mondo con la novità che può rendere il mondo completamente nuovo: "la risurrezione dei morti".
Anche a nostra quotidianità chiede di essere vivificata dalla nostra testimonianza! Quale testimonianza possiamo portare del nostro amore al Signore, dell'amore alla gli amici e fratelli. Del nostro spendere la vita per rendere la realtà più umana e di Dio insieme?


mercoledì 19 maggio 2021

Un padre apostolico

Atti 20,28-38 e Giovanni 17,11-19


Il discorso di saluto di Paolo alla comunità di Efeso, ci consegna un ritratto straordinario di un uomo, di un predicatore instancabile e di un padre amorevole. Non siamo abituati a riconoscere nei tratti forti e radicali di Paolo, tanto spessore umanizzato dalla grazia, eppure è proprio così: Paolo trae consistenza da una umanità estremamente articolata e complessa, come anche estremamente sensibile e attenta a confrontarsi sempre con l'umanità del Signore Gesù. Rileggiamo il passo di Atti, di oggi per fare risuonare anche in noi la stesa attenzione, lo stesso desiderio di cura, la stessa paternità e amorevolezza che Paolo a affidato alla comunità di Efeso. Ecco, il suo saluto è proprio un affidare l'eredità di sé stesso. Ciò che chiede agli anziani della comunità è ciò che lui stesso a vissuto e a espresso nel generare alla fede quella comunità; egli ha custodito fin dal principio ciò che gli era stato affidato. La comunità non era un suo possesso, la comunità che lo spirito suscitava nasceva in forza del sangue (amore gratuito) di Cristo, e non per un personale suo carisma. È in questo confronto che possiamo maturare uno stile comunitario privo di doppiezze e convenienze. Oggi questa lettura non solo suggerisce, ma pone al cuore della comunità il prendersi cura prima di un qualsiasi fare e progettare. È un saluto che diviene una disanima corretta e cordiale circa il nostro modo di vivere la comunità in modo libero e liberante insieme, garanzia di una crescita continua anche rispetto a tutte quelle fragilità che ci accompagnano.


martedì 18 maggio 2021

Testimoniare servendo

Atti 20,17-27 e Giovanni 17,1-11


"Voi sapete come mi sono comportato ...", di fronte ai responsabili delle comunità da lui generate, Paolo fa la sintesi e la presentazione della propria testimonianza. Non è un vanto; non è un voler emergere per la propria autenticità; ma si propone come discepolo del Signore che fa della vita una testimonianza efficace e veritiera di conte amore: "ho servito il Signore con tutta umiltà, tra le lacrime e le prove che mi hanno procurato le insidie dei Giudei; non mi sono mai tirato indietro da ciò che poteva essere utile, al fine di predicare a voi e di istruirvi, in pubblico e nelle case, testimoniando a Giudei e Greci la conversione a Dio e la fede nel Signore nostro Gesù".
Per Paolo il senso più profondo della "testimonianza" è il servizio al Signore. Un servizio che si manifesta nel predicare, insegnare, annunciare; nel narrare la parola con la propria vita. Paolo sente che per lui servire è stato farsi umile come Gesù di fronte ai fratelli, pur senza rinnegare il ruolo che il Signore gli ha affidato: essere un Apostolo. L'umiltà è lo stile che permette a Paolo di accogliere il rifiuto e lo scontro nel vivere quotidiano come condizione, forse necessaria, per dare una testimonianza credibile; egli è un esempio da imitare se si vuole essere a servizio di Cristo.
Paolo ci testimonia che tutta la sua vita non è stata vissuta per se stesso, ma è stata tutta spesa nel mettersi a servizio di Gesù, offrendosi a Lui totalmente: "Non ritengo in nessun modo preziosa la mia vita, purché conduca a termine la mia corsa e il servizio che mi fu affidato dal Signore Gesù, di dare testimonianza al vangelo della grazia di Dio".
Ciò che emerge con evidenza dalle parole di Paolo, è la sua eredità di fronte a coloro che egli ama e che ha generato nella fede: "il coraggio di scegliere Cristo ogni giorno della vita".

lunedì 17 maggio 2021

Impose le mani ...

Atti 19,1-8 e Giovanni 16,19-23


Esiste una conversione alla "Giovanni Battista", che è la conversione della vita che si apre alla consapevolezza del bene; è la conversione come cambiamento degli stili e degli atti morali che seguendo il principio della ragionevolezza, abbandonano l'istintività; è la conversione del cuore, cioè attrazione di tutto ciò che siamo quando viene in contatto con la promessa di felicità e pienezza che ancora non si possiede.
Ma esiste anche la conversione nello Spirito Santo. A leggere bene questa pagina di Atti, si intuisce ciò che Paolo viene a portare il di più, il compimento, nella fede di quella nascente comunità di Efeso. Il gesto di imporre le mani da parte di Paolo raccoglie tutta la tradizione di Israele e ripropone il gesto stesso di Gesù nel portare a compimento la Parola. Il gesto di imporre le mani accoglie la nostra disponibilità alla conversione della vita, e pone in essere una condizione nuova: non è battesimo (immersione) nell'acqua, ma è immersione nella vita di Gesù.
Lo spirito non è un sigillo di perfezione, di autenticazione, ma è il dono di amore che ci permette di immergerci bella vita di Cristo, nella sua vita, morte risurrezione.
È questo il veto battesimo, che ci rende veri discepoli del Signore. Ogni giorno, allora, è occasione di recuperare la nostra immersi e battesimale e riscoprire il nostro amore al Signore che trova la sua origine nell'imposizione delle mani ...

domenica 16 maggio 2021

Non sedetevi

At 1,1-11; Sal 46; Ef 4,1-13; Mc 16,15-20


 

Essi continuarono a guardare il cielo, ed ecco che subito furono richiamati a riappropriarsi delle parole ascoltate: "andate in tutto il mondo è annunciate il Vangelo a ogni creatura".

Gesù porta a compimento l'opera della salvezza per ogni uomo, nella sua morte e risurrezione, affidando ai discepoli il mondo.

Esattamente così, a noi - che ci riconosciamo suoi discepoli - è affidata la cura e la custodia del mondo intero, e di tutti gli uomini; affinché il Vangelo possa essere udito, e la parola di Gesù aprire alla pienezza della verità la loro vita.

A noi è affidato il Vangelo, l'annuncio del regno dei cieli; ci è affidato il riscatto di ogni uomo dalla condizione e di peccato e di tenebra; recuperare ogni uomo nella dignità di riconoscersi figlio di Dio.

Si, ci è stato affidato di portare a compimento nel tempo ciò che Gesù, non solo ha iniziato, ma che ha realizzato nella sua morte e risurrezione.

Ma forse anche noi ci siamo fermati a guardare il cielo, in attesa del suo ritorno?

Ci siamo seduti, ascoltando quelle parole che sono ben più di un invito: "andate in tutto il mondo ..."

Parole che non sono rivolte allo spaurito gruppo degli undici rimasto a Gerusalemme. Quelle parole sono per tutti coloro che credono in Gesù.

Ecco allora che oggi l'andare deve veramente essere un muoverci dalla nostra staticità, dal nostro vivere il cristianesimo come una religione, o. Una filosofia morale.

Annunciare, vivere da credenti, non può essere una semplice opera di conservazione. La nostra vita di fede non può ridursi nell'andare a Messa la domenica; ad organizzare la festa patronale; a ripetere come routine i sacramenti della fede. Che testimonianza sarebbe, il nostro annunciare il Vangelo a ogni creatura?

Annunciare il Vangelo, battezzare ... Ecco oggi a partire da noi, dalla nostra vita, che cosa è il battezzare? Prima di tutto deve essere immergerci in Gesù nella sua vita.

Non è una semplice immersione in acqua per la purificazione dai peccati, ma è mettere la nostra vita nella Sua – di Gesù - ogni giorno, ed ecco che allora la nostra vita diviene Vangelo che si annuncia da sé ai fratelli.

Oggi devo chiedermi come con la mia vita realizzo le parole del Vangelo, come realizzo la volontà di Dio Padre?

Devo chiedermi: come ogni giorno mi affaccio al mondo? Come individuo, oppure come cristiano, unito e immerso in Cristo?

È la mia vita cristiana che oggi fa la differenza rispetto a tutto il mondo. Ma non per una contrapposizione, ma per una inclusione: il mondo mi appartiene; il mondo è da amare; gli uomini sono i miei fratelli; sono coloro che Gesù mi ha affidato.

Non possiamo rimanere inermi, seduti a guardare il cielo; non possiamo restare seduti in Chiesa di domenica in domenica ripetendo dei segni, ma non trasfigurando la vita.

Quelle parole di Gesù sono la più vera eredità che il Signore ha lasciato agli apostoli, alla Chiesa nel suo nascere. È una eredità preziosa!

I primi cristiani, consapevoli di tutto questo, ricordavano l’Ascensione riunendosi in una grotta sulla cima del Monte degli Ulivi.

L’attuale Edicola (il luogo del ricordo)è tutto ciò che rimane di una chiesa crociata, distrutta dai musulmani, che l'hanno comprato il luogo nel 1198.

Che bel segno questa situazione così anomala sotto certi versi, qualcuno potrebbe restare scandalizzato da questo … eppure a Dio piace che sia così, il luogo dell'ascensione è già in questo, segno della storia  proiettato nel mondo ... è già posto accanto e nelle mani di chi Cristo non lo conosce … Ecco, un santuario che non è una mostra esclusiva, un nostro possesso … che bello!

Che cosa rappresenta quel luogo se non il segno in cui Gesù ci affida una vocazione e una missione, una fino alla fine di tutto, quando lui tornerà nella gloria.

L'impronta incisa su quella roccia, anche se solo fosse un simbolo della tradizione, rappresenta il segno di una parola e di una promessa, ma anche la consegna che la Chiesa fa sua, dal suo inizio ... è un richiamo costante e continuo all’’Andate incontro ad ogni uomo, a ogni creatura, per portare Gesù, per portare il Vangelo.

sabato 15 maggio 2021

La fecondità della missione

Atti 18,23-28 e Giovanni 16,23-28


Più  entriamo nel particolare del racconto di Atti, e più ci immergiamo nello specifico della vita di Paolo, e nella fecondità del suo annuncio. Il ministero di Paolo, rappresenta l'esperienza più prossima è simile, all'andare di città in città, di villaggio in villaggio da parte di Gesù, per annunciare il regno di Dio.
Una itineranza che non è certo nomadismo, ma che rappresenta il fulcro dell'identità missionaria. Il suo venite, annunciare, consolidare e andare altrove è una garanzia per suscitare discepoli che dopo di Lui, sappiano proseguire l'opera iniziata. La stabilità non è garanzia di solidità in una comunità credente. Nel suo essere missionario, Paolo, ha sempre suscitato la presa di responsabilità di uomini e donne che per amore di Gesù si sono votati al servizio dei fratelli e alla vita delle comunità (la Chiesa).
È in questa prospettiva che va guardata la particolare figura di Apollo. Nella predicazione di Paolo, l'incontro con Apollo rappresenta una occasione ulteriore per farci comprendere come l'azione missionaria è veramente frutto dello Spirito e dell'opera di Dio, e che i doni di grazia sono suscitati in ragione della disponibilità del cuore dell'uomo:"Apollo, nativo di Alessandria, uomo colto, esperto nelle Scritture. Questi era stato istruito nella via del Signore e, con animo ispirato, parlava e insegnava con accuratezza ciò che si riferiva a Gesù, sebbene conoscesse soltanto il battesimo di Giovanni".

venerdì 14 maggio 2021

L'integrità di un numero.

Atti 1,15-17.20-26 e Giovanni 15,9-17

La scelta di Mattia, ruota attorno al ripristinare il numero, quel numero dodici che era all'origine la "forma" del gruppo. Non è solo una cifra simbolica e neppure una sorta di rigidità. Quel numero, rappresenta la memoria di una chiamata e di una esperienza viva. In quel numero si custodisce l'amicizia vissuta con Gesù, le relazioni generate e scoperte, nei giorni della vita in Galilea; come pure la fatica e la sofferenza sperimentata a Gerusalemme, quando si compirono i giorni della passione morte e risurrezione. È quel gruppo insieme che è immagine di una comunità - la Chiesa - capace di aggregare a sé un popolo numeroso per testimoniare non solo dei principi, dottrine e insegnamenti, ma ciò che è realmente al cuore della vita di Gesù, la dura risurrezione. "Bisogna dunque che, tra coloro che sono stati con noi per tutto il tempo nel quale il Signore Gesù ha vissuto fra noi, cominciando dal battesimo di Giovanni fino al giorno in cui è stato di mezzo a noi assunto in cielo, uno divenga testimone, insieme a noi, della sua risurrezione".
Esiste una sorta di continuità, una sorta di necessità che ci unisce a quel gruppo, nella sua integrità. Una forma di legame spirituale e formale che garantisce la vera traduzione fondata sulla testimonianza del risorto.
Il ripristino di questo gruppo originario, non è neppure una necessità istituzionale, come oggi potrebbe essere vista nel ripristino del "numero legale", ma in questa composizione, arbitro e attore principale non è il caso, neppure le competenze di candidati, ma l'azione dello Spirito Santo: "Poi pregarono dicendo: Tu, Signore, che conosci il cuore di tutti, mostra quale di questi due tu hai scelto per prendere il posto in questo ministero e apostolato". Ecco che il senso del numero non è per se stesso ma per ciò che il numero deve rappresentare: la testimonianza di un servizio, un ministero, all'uomo di tutti i tempi.


giovedì 13 maggio 2021

La Chiesa degli impuri

Atti 18,1-8 e Giovanni 16,16-20


"Molti dei Corinzi, ascoltando Paolo, credettero si facevano battezzare". Corinto è una grande città, dalle cronache del tempo sappiamo abitata da circa 300.000 abitanti di cui 2/3 sono schiavi. È una città ricca, una città cosmopolita, in cui confluiscono tutte le culture dell'area egeo-mediorientale. Anche da un punto di vista religioso, non ha una identità propria, solo una componente prevalente legata al culto di Afrodite e alla prostituzione sacra. In questa città in cui Paolo resta un anno e mezzo, dopo una iniziale resistenza da parte della "sinagoga", trova nei pagani la possibilità di generare una nuova comunità. 
Arrivato a Corinto, Paolo, trova ospitalità nella casa di Aquila e Priscilla, e per non essere di peso a nessuno, lavora; si immerge così nella vita quotidiana della componente più umile e maggioritaria della popolazione. Le scelte di Paolo, generano una vicinanza, capace di suscitare interesse da parte di chi, arrivato a Corinto, come straniero, come lui, non trova nella nuova città l'integrazione per mettere radici. L'annuncio del Vangelo catalizza immediatamente poveri, schiavi, uomini e donne desiderosi di libertà, di giustizia e di verità. Saranno le relazioni di amicizia che in quei diciotto mesi Paolo riesce a tessere che garantiranno la genesi della comunità. Quale annuncio riesce a infrangere quella struttura sociale che vive grazie alla schiavitù, o vincere quella vita licenziosa, egoista e gaudente di alcuni, e che per altri è solo un triste susseguirsi di giorni? È la provocazione che Paolo nella confidenza della vicinanza condivide con tutti; è il modo più immediato e semplice di catechizzare, di suscitare il desiderio di credere in Gesù Salvatore.
Come è possibile credere in un Salvatore se non si percepisce che la nostra umanità è completa solo se salvata? A Corinto Paolo trova tanti che vivono questa attesa. La Chiesa di Corinto nasce allora nella ferialità delle relazioni e nell’attesa di un compimento.

mercoledì 12 maggio 2021

Il Dio ignoto

Atti 17,15.22-18,1 e Giovanni 16,12-15


Annunciare Cristo, non significa parlare o discutere dei massimi sistemi. Anzi, ad Atene percepiamo che il confronto con una cultura diversa, con un pensiero e una filosofia che ha tutt'altro fondamento rispetto alla tradizione ebraica, non deve essere considerato un ostacolo ma è invece una opportunità per entrare in dialogo. Certamente all'inizio dell'annuncio del Regno di Dio, non ha escluso il dialogo con nessuno, neppure l'esperienza di essere screditati e scartati, sentirsi derisi come anche percepire di essere ascoltati e che il dialogo non produce l'esito sperato; tutto questo non comporta una chiusura o una rinuncia rispetto alla missione che si sta compiendo. Esiste un rapporto con la realtà che non è quello di una autorità (della Chiesa) che si rivolge a chi è attorno/vicino; ma è prima di tutto un comprendere e conoscere chi è attorno/vicino: "Ateniesi, vedo che, in tutto, siete molto religiosi. Passando infatti e osservando i vostri monumenti sacri, ho trovato anche un altare con l’iscrizione: A un Dio ignoto”.
Paolo, senza nulla negare della sua esperienza di Gesù Cristo, entra in dialogo cercando di valorizzare ciò che la cultura, la religiosità e la tradizione di Atene rappresenta di buono e di importante come valore da comunicare.
Che cosa è questo "Dio ignoto?" Forse pensiamo che rappresenti una divinità nascosta; una divinità che risulta avvolta dal mistero? Paolo rilegge quell'altare alla luce della sua esperienza e comprende il Dio ignoto come il Dio che non corrisponde a qualsiasi nostra rappresentazione. Dio non è rappresentabile, anche se, è facile anche per noi, ridurre Dio a un'insieme di conoscenze o indicazioni per ma morale, utili nelle varie situazioni della vita. Ma Dio non è questo ... 

lunedì 10 maggio 2021

La Chiesa deve rinascere in noi

Atti 16,22-34 e Giovanni 16,5-11 


In questa pagina degli Atti è narrata la nascita di una comunità dei discepoli di Gesù. Per noi è difficilissimo teorizzare e pensare al come nasce una Chiesa?
Siamo abituati a vivere all'interno di un contenitore Chiesa, che esiste già; che ci precede ed è di una stabilità a dir poco granitica. Ma questo approccio con la realtà deforma anche l'identità della Chiesa.
Come nasce una Chiesa? Nasce a partire dalla Parola che Paolo e Sila condividono e diffondono, e anche se questo Parola non è accolta immediatamente, ed è causa di le risse e di prigionia, nel cuore dl carceriere, la forza dello Spirito fa breccia e avvia il processo di conversine che farà si che - Lui è tutta la sua famiglia - chiederanno il Battesimo. Nessuna imposizione, nessuna forzatura, nessuna abitudine ... Tutto si compie nella spontaneità di chi fa propria la parola di Gesù e da subito, adegua i propri gesti della vita: "Egli li prese con sé, a quell’ora della notte, ne lavò le piaghe e subito fu battezzato lui con tutti i suoi; poi li fece salire in casa, apparecchiò la tavola e fu pieno di gioia insieme a tutti i suoi per avere creduto in Dio".
La Chiesa a partire dal suo nascere  manifesta tutta la sua appartenenza al mistero del Suo Signore:  la Chiesa non elabora il servizio, ma è servizio; la Chiesa non compie azioni di accoglienza, essa è accoglienza e inclusone; la Chiesa non promuove la gioia dell'uomo, ma deve essere a partire da se stessa la gioia dell'uomo.

Un annuncio famigliare

Atti 16,11-15 e Giovanni 15,26-16,4


Da che cosa nasce la nostra conversione a Dio?
Noi nativi catechistici, da una parte abbiamo un modo di pensare la conversione come conseguenza di un ragionamento intellettuale, come il punto di approdo della razionalità; come pure dall'altra accettiamo - una idea romantica - la conversione come conseguenza di una irruzione di Dio nella sfera sentimentale-istintiva. Tutto questo agita la modalità di vivere la conversine in relazione alla nostra umanità, con la conseguenza che viviamo sbilanciati da un estremo all'altro. Il testo di Atti di oggi, ci accosta invece a una modalità di conversione e che non ha nulla di quanto noi presumiamo a origini. La conversione al Dio della vita scaturisce da questa vita stessa e si esprime nelle parole che ci vengono condivise; come anche negli incontri che facciamo; negli atteggiamenti che ci vengono offerti; nei pensieri che si intrecciano con i nostri pensieri; nel confronto con la differenza di "linguaggio culturale"; ma pure nell’immediatezza di un reagire a ciò che viviamo, un reagire viscerale. Nel racconto di atti, il modo in cui Paolo condivide la conoscenza di Cristo, parte dall'estrema famigliarità dei luoghi, e delle situazioni di vita. Per Lidia il momento della spiritualità è quello del confronto con le parole che si intrecciano senza confusione ma anche senza segnare fratture, generare distanze. Questo generarsi della fede - la conversione - si esprime nell'atteggiamento di generosa e gratuita ospitalità.

domenica 9 maggio 2021

Voi siete miei amici ...

At 10,25-27.34-35.44-48; Sal 97; 1 Gv 4,7-10; Gv 15,9-17


La parola amicizia, non è univoca nel significato, essa è stata riletta è confrontata con diverse esperienze di relazione umana; ha subito tanti confronti ed è entrata nel pensiero è consuetudine culturale mediata dalla filosofia, e anche dalla teologia. Parole come Eros, agape, filia ... Interagiscono con la Ilaria amicizia ma forse ne condizionano anche il significato e la comprensione.
Credo che ore parlare di amicizia, per come l'ha vissuta Gesù e re cime a intendesse, occorre una vera immersione nel nostro intimo, per recuperare le radici di una relazione che è originaria anche a livello biblico.
Abramo è definito amico di Dio. Senza tanti altri aggettivi, nell'origine della fede del nostro patriarca, si colloca ben di più di un dogma o di una opzione fondamentale, ma l'amicizia con Dio.
L’amicizia è importante, per questo la Bibbia ne parla. Il Dio in cui credono i cristiani è un Dio che si è fatto amico dell’uomo, compagno di vita. Ed è attraverso l'esperienza amicale che ciascuno può comprendere e umanizzare la propria relazione con l'Onnipotente, e fisi vivere come amici.

Nella Bibbia si narrano storie di amicizia, come quella tra Gionata e David o tra Rut e Noemi. Ci sono espressioni che descrivono l'amicizia che suscitano commozione: "Perché dove andrai tu andrò anch’io; dove ti fermerai mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio; dove morirai tu, morirò anch’io e vi sarò sepolta. Il Signore mi punisca come vuole, se altra cosa che la morte mi separerà da te" (Rt 1,16-18). O anche parole di una sensibilità intima come: "Una grande pena ho per te fratello mio, Gionata! Tu mi eri molto caro: la tua amicizia era per me preziosa più che amore di donna" (2 Samuele 1,26). La parola amicizia esprime un contenuto che raccoglie un moto interiore che in realtà è un flusso sentimentale, istintivo e razionale che coinvolge tutta la persona. L'amicizia, non è la conoscenza, la simpatia o l'inclinazione naturale e sentimentale verso una persona scelta a priori. L'amicizia è scoperta dell'intimo ed esistenziale legame che ci unisce ai nostri fratelli. Gesù non usa mai, così come ci testimoniano i vangeli la parola amicizia con sufficienza o facilità, solo Giovanni ci riporta questo utilizzo, in riferimento all'amico Lazzaro, a Marta e Maria e in riferimento al gruppo dei discepoli. Questa particolare rarità ci testimonia una consapevolezza dell'amicizia che forse nel senso comune non era percepita. Per Gesù l'amicizia esprime un amore autentico in cui sentimenti e vita si intrecciano in una comunione di affetti, di pensieri, di scelte, di ideali. Ed è per questo che quando l’altro muore, tu senti "una grande pena", come afferma Davide, perché è come se fosse strappata una parte di te stesso. In una società come la nostra ricca di relazioni facili, sbrigative e superficiali i legami profondi interpersonali si allentano, ci si accontenta di contatti, spesso segnati dal calcolo e dall’interesse, incapaci della gratuità che è la caratteristica specifica dell’amore. Oggi il Vangelo, ci obbliga a dare una estrema concretezza e autenticità  all’amicizia, con lo stesso stile,con la stessa passione e vita di Gesù che visse in profondità questo sentimento e che ci lasciò parole ancor più ardenti di quelle di Gionata, proprio poche ore prima della sua morte: "Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i suoi amici… Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone, ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi" (Giovanni 15, 13.15). Scopriremo Dio onnipotente amico e l'amicizia di Gesù se anche noi nei nostri rapporti sapremo fare emergere l'amicizia come relazione autentica e scelta dell'altro, ma questo scopriremo essere il presupposto per vivere il comandamento di amarci bella più bella libertà e autenticità; questo ci dimostra che umanamente siamo capaci di essere a immagine e somiglianza di Dio.

sabato 8 maggio 2021

La missione è evangelizzare ...

Atti 16,1-10 e Giovanni 15,18-21


Il fine della Chiesa, è l'annuncio del Vangelo. Gli apostoli ricevono dal Signore il mandato di annunciare il Vangelo ad ogni creatura. Il nostro catechismo dice che il fine della Chiesa è: "essere il sacramento dell'intima unione degli uomini con Dio" e "la sua struttura è completamente ordinata alla santità delle membra di Cristo" (Catechismo della Chiesa Cattolica 775, 773). Credo che le due espressioni, si incontrino nel destinatario dell'azione: l'uomo. L'evangelizzazione non è una propaganda ideologica e neppure un'articolato progetto umano. Negli Atti degli Apostoli, quando i progetti dei missionari prevalgono rispetto all'opera dell'evangelizzazione, si manifestano subito i limiti, le divisioni e le divergenze di opinioni.
Ma anche questo mette in risalto che l'evangelizzazione, anche se passa attraverso la nostra capacità umana, attraverso le nostre forze e limiti, è opera dello Spirito.
È lo Spirito che attraverso le situazioni del vissuto scompiglia i progetti, forse troppo facili di convertire l'Asia minore e orienta invece tutte le energie e le forze di Paolo e Timoteo verso l'Europa, verso il mondo greco. Siamo di fronte ad un orizzonte nuovo; ma non è forse questo nuovo la garanzia che siamo di fronte all'azione dello Spirito.
L'evangelizzazione chiede il confronto con un mondo che si trasforma e che cambia, con tutto ciò che comporta il cambiamento; questo non è modernismo! Siamo di fronte al compimento del tempo! Ed è sempre questo stesso mondo destinato all'intima comunione con Dio. La Chiesa deve essere capace di generare questo cammino di santificazione, diversamente l'evangelizzazione diviene conservazione e il segno sacramentale, semplice prassi di iniziazione.

venerdì 7 maggio 2021

Una Chiesa piena di attenzione ... materna!

Atti 15,22-31 e Giovanni 15,12-17


Dopo il confronto è soprattutto, dopo l'essere giunti al discernimento secondo lo Spirito di Cristo, la Chiesa di Gerusalemme non emette dei decreti, non da comunicazioni ufficiali e formali, ma invia una delegazione alle Chiese sorelle. Certo, questa condizione si addice alla realtà della Chiesa delle origini, ma non per questo deve essere allontanato o dimenticato lo stile di cui al "Concilio di Gerusalemme" si è fatto esperienza.
La Chiesa di Gerusalemme si fa vicina, si riversa con premura nei confronti delle Chiese di Antiochia, di Siria e di Cilicia; si dimostra attenta e desiderosa di comunicare e condividere con i discepoli del Signore che provengono dai pagani, perché anche in loro e su di loro - per volontà di Dio - opera la grazia e la potenza dello Spirito Santo.
È con questa consapevolezza che la Chiesa Madre, è capace di dire: "È parso bene, infatti, allo Spirito Santo e a noi, di non imporvi altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie: astenersi dalle carni offerte agli idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalle unioni illegittime. Farete cosa buona a stare lontani da queste cose. State bene!"
"È parso bene, infatti, allo Spirito Santo e a noi ..." Che bel senso di comunione, non solo interno alla comunità, ma frutto della comunione generata dall'essere abitati da un unico Spirito di amore. È lo spirito che ha guidato la Chiesa di Gerusalemme nella scelta, e che ha fatto scoprire il vincolo dell'unità. "Lo Spirito e noi": è bello osservare come anche il "noi" obbedisce a ciò che lo Spirito Santo esprime nei fatti e nei segni della realtà, e che si riconosce come agire di Dio nel cuore dei suoi figli, anche se organi, anche diversi, anche se ...  Ma prima di ogni anche la Chiesa esprime la sua premura materna. Gerusalemme è in questo segno di autentica maternità.

giovedì 6 maggio 2021

Quali segni e prodigi riconosce la Chiesa?

Atti 15,7-21 e Giovanni 15,9-11


Il "Concilio di Gerusalemme" raccontato nella pagina di Atti mette in risalto la tensione nella Chiesa delle origini tra provenienza giudaica e provenienza pagana; mette in evidenza le diversità culturali, di pensiero e di costume ... e non solo.
Ciò che emerge nel Concilio, non è semplicemente una decisione frutto di compromessi, ma la risposta di tutta la Chiesa, cioè di tutte le comunità che ormai in piena diffusione, hanno in Gerusalemme il punto più alto dell'esperienza di comunione: lasciare che la "parola" risuoni e parli ancora,  mostrando i segni e i riferiti dell'opera di Dio nella storia. 
A Gerusalemme tutti riconoscono di essere salvati per grazia, cioè per dono di amore di Dio, nella morte e risurrezione di Gesù, realtà che è per tutti gli uomini, in quanto tutti figli e fratelli. Si apre in origine - non dobbiamo dimenticarlo mai - la possibilità di essere discepoli di Gesù a prescindere dalle differenze di religione, condizione sociale e genere.
Questo convincimento è il frutto bello del discernimento comunitario, che non è un processo attraverso il quale arriviamo a conciliare posizioni differenti, ma è il modello di come agisce la Chiesa nelle scelte importanti. Contestazioni e crisi sono inevitabili perché la Chiesa è un corpo unico nel quale ogni diversità che lo costituisce appartiene a tutti i diversi. Il discernimento comunitario è un processo di crescita della Chiesa che si vede e percepisce in cammino,  approfondisce e accoglie l'evolversi della sua identità che consiste nel riconoscersi strumento per la fede di tutti, non certo solo dei devoti.

mercoledì 5 maggio 2021

Salirono a Gerusalemme per incontrare la Chiesa

Atti 15,1-6 e Giovanni 15,1-8


Ciascuno può dire ciò che vuole ma, ciò che rappresenta Gerusalemme non è scontato!
In questa lettura di Atti scopriamo uno ddi fondamenti indennitari della Chiesa: "essa è un corpo unico, in cui tutti siamo membra, pur nella diversità, nella disuguaglianza, la comunità dei discepoli di Gesù cresce e crescerà in un continuo conflitto/dialogo tra ciò che ci precede, e ciò che rappresenta lo slancio che anima il quotidiano.
A Gerusalemme si sperimenta l'essere Chiesa nel divenire. È questo è bellissimo, perché mette in evidenza quel discernimento comunitario che abita la comunità di fede e dimostra inoltre l'opera di Dio, l'azione dello Spirito di amore che non cessa mai di aprire il cuore e la mente per una piena coni scena di Cristo.
Anche la nostra Chiesa, oggi, necessità di salti di qualità coraggiosi per entrare nell'ottica di superamento dei momenti di crisi; di traghettatori in acque turbolenti. Non è solo un confronto tra tradizionalisti e progressisti, ma è la transizione, il passaggio necessario per mostrare la freschezza della fede e la dinamicità e la bellezza del Dio di Gesù Cristo, "Padre dei molti figli", che ama di un amore unico e irrinunciabile, come anche irriducibile. Questa esperienza delle origini pone una pietra fondamentale nel come essere Chiesa, nel tempo che viene.


martedì 4 maggio 2021

I passi della Chiesa

Atti 14,19-28 e Giovanni 14,27-31


Attraverso il racconto degli avvenimenti che toccano la vita di Paolo, in realtà ci immergiamo nelle vicende che caratterizzano la vita della Chiesa nel suo inizio e nel suo annunciate il Vangelo ad ogni creatura.
Nella vicenda personale di Paolo, ciascuno di noi trova lo spazio di un confronto o anche di una identificazione. La sua passione, i suoi desideri, la sua conversione, le ostilità subite ..., ma soprattutto la sua tenacia e perseveranza, ci introducono nel rapporto tra annuncio e tribolazione che appartiene alla Chiesa che testimonia nel mondo il Signore risorto. Non dobbiamo trovare in questo il nostro inciampo, il nostro scandalo!
Tutto questo travaglio, non è fine a se stesso, ma è il crogiolo della fede dei pagani: "... e riferirono tutto quello che Dio aveva fatto per mezzo loro e come avesse aperto ai pagani la porta della fede". Questa è l'opera di Dio, che Dio ha loro affidato. 
Come è significativo anche per noi oggi questo brano, in un tempo in cui essere discepoli del Signore richiede una testimonianza sempre più profonda e autentica della nostra fede, che non può limitarsi alla adesione precettistica; dall'altro deve incarnarsi nel tessuto sociale e nel quotidiano, confrontarsi apertamente con la pluralità e la diversità.
La conversine dei pagani, non fu una omologazione ma una esperienza di accoglienza - anche se tribolata - vissuta dalla prima comunità, una vera inculturazione.

lunedì 3 maggio 2021

Deve essere veramente morto!

1 Cor 15,1-8 e Giovanni 14,6-14 - Festa dei Santi apostoli Filippo e Giacomo il minore


Paolo non si perde in tanti giri di parole, la sua esperienza di Gesù parte dal suo essere un persecutore dei discepoli del Nazzareno. Persecutore dei discepoli di un uomo, che per Saulo - a quel tempo - era morto in croce. Su questo non ci sono dubbi o incertezze. 
Ed è proprio questo il punto in cui in un certo momento della sua vita, troviamo Saulo di fronte a un uomo che riconosce come il Nazzareno, ma che lo riconosce vivo. È a partire da quella esperienza che Saulo diventa Paolo e inizia a tessere la sua testimonianza di fede in Cristo. Non è solo una semplice testimonianza, ma si tratta di una vera e propria "professione di fede", articolata e teologicamente strutturata.
Certamente il contesto della lettera: la comunità di Corinto, proveniente dalla cultura greca e pagana, in cui le filosofie della separazione del corpo dallo spirito, segnano profondamente l'accesso al discepolato di Cristo, sono lo sfondo giustificativo di un contenuto così chiaro della fede nella risurrezione. Ma ciò che mi tocca ora, personalmente, è come Paolo non si pone come un super maestro che insegna una nuova dottrina, ma come un uomo che ha fatto una esperienza, uno che ha ricevuto un "dono", del quale non può che condividerlo con i suoi amici e fratelli. È lui stesso che nel fare questa professione di fede, raccoglie le esperienze le testimonianze di tutta una comunità; ma non solo, egli stesso aggiunge particolari che ci confermano come la risurrezione si impone come evento reale e non di pensiero intellettuale: "In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta ...".
Paolo ci sta dicendo che se è vero che alla risurrezione si accede per fede, è pure ugualmente vero che la risurrezione di fonda su testimonianze di avvenimenti della storia, realtà che ha da parte sua un proprio valore.

domenica 2 maggio 2021

Dalla vera vite alla vera vigna.

At 9,26-31; Sal 21; 1 Gv 3,18-24; Gv 15,1-8

Un Vangelo, ovvio per l'immagine e la famigliarità che in campagna si ha, per la coltivazione della vite. Ma il testo del non si limita ad esortare i discepoli a portare molto frutto, ma a prendersi a cuore, a indagare come fare a essere tralci uniti a Cristo che producono un frutto abbondante.
Ecco allora che questo testo/immagine - metafora di Gesù vite e noi tralci - parla della nostra comunione con Gesù, in cosa consiste e come si fa concretamente questa unione. Gesù è la vite vera, di cui Dio, il Padre, si prende cura con amore e che produce il frutto sperato, altrettanto amore. Nella metafora, rimanendo uniti a Lui, riceviamo le stesse cure, lo stesso amore di misericordia di Dio e produciamo lo stesso amore per il Padre e per i fratelli.
È con questa chiave di lettura che possiamo accostarci a rendere attuale questa Parola: approfondiamo la nostra unione con Gesù - vera vite - in modo che anche noi possiamo realizzarci come figli di Dio, nel produrre un frutto abbondante di amore, un amore che si percepisce fraterno e fonte di gioia relazionale.
Detto questo sembra tutto chiaro e, come dice Papa Francesco: " Gesù è la vite, e attraverso di lui - come la linfa nell'albero - passa ai tralci l'amore stesso di Dio, lo Spirito Santo. Ecco: noi siamo tralci, e attraverso questa parabola Gesù vuole farci capire l'importanza di rimanere uniti a Lui. I tralci non sono autosufficienti, ma dipendono totalmente dalla vite, in cui si trova la sorgente della loro vita. Così è per noi cristiani"; ecco allora come bene risuona quel "Rimanete in me e io in voi ...".
Però non basta essere battezzati per rimanere uniti a Cristo - questo lo vediamo bene -, non è neppure sufficiente andare a Messa tutte le domeniche e osservare tutti i comandamenti, capiamo che l'unione con Cristo non è una formalità religiosa.
L'immagine del rapporto personale Gesù vite e noi tralci si moltiplica e dilata in una immagine plurale: Gesù vera vite e noi suoi tralci diventiamo la sua vigna; è la vigna del Signore che produce i frutti sperati di amore, e di fratellanza. 
La verifica del nostro essere uniti a cristo non è data dalla nostra valutazione soggettiva, ma si concretizza e si realizza nell'essere vigna, nell'essere Chiesa, cioè comunità dei discepoli di Gesù.
Un discepolo può credere in Cristo, ma questo rapporto personale non è fine a se stesso; non può rimanere in se stesso. La sua unione, si manifesta nella sua appartenenza a Gesù cioè dell'essere Chiesa, nell'essere "vigna".
La Chiesa, la comunità dei discepoli, ma anche la nostra comunità è mistero di quell'amore di Dio che la vera vite - Gesù - condivide con i tralci e che si manifesta nei frutti abbondanti e buoni.
Per comprendere la necessità di questa appartenenza vi leggo una storia di Bruno Ferrero.

È possibile amare Gesù e non la Chiesa che egli ha voluto, fondato e amato. Né i suoi errori e limiti possono farci dimenticare che Dio la ama, la edifica e ha cura di essa instancabilmente e nonostante le sue fragilità che, a ben vedere, sono quelle di ogni uomo.
Il tralcio e la vite, è l'immagine di Gesù con ogni discepolo, ma anche con la Chiesa vigna; con ogni battezzato tralcio, e ancor di più con ogni uomo.
Un giorno un tale si avvicinò a Gesù e gli disse: “Maestro, tutti noi sappiamo che tu vieni da Dio e insegni la via della verità. Ma devo proprio dirti che i tuoi seguaci, quelli che chiami tuoi apostoli o la tua comunità, non mi piacciono per niente.
Ho notato che non si distinguono molto dagli altri uomini. Ultimamente ho fatto una solenne litigata con uno di essi. E poi, lo sanno tutti che i tuoi discepoli non vanno sempre d'amore e d'accordo. Ne conosco uno che fa certi traffici poco puliti ...
Voglio perciò farti una domanda molto franca: è possibile essere unito a te senza avere niente a che fare con i tuoi cosiddetti apostoli?
Io vorrei seguirti ed essere cristiano (se mi passi la parola), ma senza la comunità, senza la Chiesa, senza tutti questi tuoi discepoli!”
Gesù lo guardò con dolcezza e attenzione. “Ascolta”, gli disse ti racconterò una storia.
C’erano una volta alcuni uomini che si erano seduti a chiacchierare insieme. Quando la notte li coprì con il suo nero manto, fecero una bella catasta di legna ed accesero il fuoco. Se ne stavano seduti ben stretti, mentre il fuoco li scaldava ed il bagliore della fiamma illuminava i loro volti. Ma uno di loro, ad un certo punto, non volle più rimanere con gli altri e se ne andò per conto suo, tutto solo. Si prese un tizzone ardente dal falò e andò a sedersi lontano dagli altri. Il suo pezzo di legno in principio brillava e scaldava, ma non impiegò molto ad illanguidire ed a spegnersi. L’uomo che sedeva da solo fu inghiottito dall'oscurità e dal gelo della notte. Ci pensò un momento, poi si alzò, prese il suo pezzettino di legna e lo riportò nella catasta dei suoi compagni.
Il pezzo di legno si riaccese immediatamente e divampò di fuoco nuovo. L'uomo si sedette nuovamente nel cerchio degli altri. Si scaldò ed il bagliore della fiamma illuminava il suo volto”. Sorridendo, Gesù aggiunse: “Chi mi appartiene sta vicino al fuoco, insieme ai miei amici. Perché io sono venuto a portare il fuoco sulla Terra e ciò che desidero di più è vederlo divampare”.
Non è possibile restare uniti a Cristo da soli, rischieremo solo di inaridirci, di finire nella tenebra della nostra notte. Restare nella luce, al calore del fuoco dello Spirito è vivere fino in fondo una vera appartenenza alla Chiesa.
Questa è una scommessa, ma anche la vera proposta che Gesù fa ad ogni uomo e donna, ed è la garanzia di essere suoi tralci, perché la Chiesa è veramente sua, mistero del suo amore.