giovedì 31 gennaio 2019

Ebrei 10,19-25 e Marco 4,21-25
Facciamo attenzione a come ascoltiamo ...

L'invito del Vangelo per l'ascolto ha ora la prospettiva sia dell'ascolto della Parola (Gesù parla alla folla in parabole), sia all'ascolto dello Spirito in noi, cioè l'ascolto del cuore, della coscienza, dell'intimità profonda di noi stessi dove il mistero di Dio come lampada ci illumina. Questo ascolto è quello non "predefinito", non è quello che corrisponde a ciò che già sappiamo è che già abbiamo imparato. C'è un ascolto infatti che, anche come discepoli di Gesù, è in un certo senso addomesticato dalle nostre autogiustificazioni e dai nostri progetti personali. C'è poi un ascolto che è la disponibilità, ogni giorno, a vivere il Vangelo con l'umiltà di chi vuole essere formato nel compiere la volontà del Padre.
Ecco allora la straordinaria bellezza che apre a noi l'ascolto del passo di oggi della Lettera agli Ebrei: finalmente, dopo i giorni di un progressivo avvicinamento, la realtà, le cose, assumono la loro esplicita identità: sono strumentali al mistero di cui sono parte. Il velo del tempio che separa il mistero di Dio (il Santo dei Santi) dallo spazio dell'uomo (la realtà profana) è la carne stessa di Gesù, la sua umanità, la sua vita, la sua vicenda di uomo. Essa rappresenta l'accesso al mistero trascinando attraverso sé stesso, nell'offerta della sua vita, passione, morte e risurrezione, tutto ciò che appartiene alla esistenza umana, per i secoli dei secoli. È questa la condizione sacerdotale che vive la Chiesa popolo di Dio. Questo popolo in ascolto adorante della Parola, costantemente si accosta con cuore purificato dal Signore, nella continua comprensione della sua stessa fede. Non è una perfezione giuridica che permette questo accostarci, ma il desiderio di una vita santa, a immagine del Signore. Ecco allora ciò che consegue e si sperimenta nell'ascolto: "Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è degno di fede colui che ha promesso. Prestiamo attenzione gli uni agli altri, per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone. Non disertiamo le nostre riunioni, come alcuni hanno l’abitudine di fare, ma esortiamoci a vicenda, tanto più che vedete avvicinarsi il giorno del Signore".

mercoledì 30 gennaio 2019

Ebrei 10,11-18 e Marco 4,1-20
Il sacrificio: perdono unilaterale ...

La misericordia di Dio raggiunge la sua pienezza nel sacrificio di Gesù. La Lettera agli Ebrei arriva al cuore e al perché la comunità cristiana celebra ogni domenica il sacrificio, e noi, potremo aggiungere il perché del celebrare il sacrificio ogni giorno. Se fosse una ripetizione di un rito, saremmo ancora nella medesima condizione dei sacerdoti dell'antica legge: "ogni sacerdote si presenta giorno per giorno a celebrare il culto e a offrire molte volte gli stessi sacrifici, che non possono mai eliminare i peccati". Ma appunto perché non è una ripetizione, e poiché coinvolge tutto il popolo rispetto al sacerdozio battesimale, il nostro celebrare esprime, appartiene e rappresenta nel tempo, l'unico sacrifico, offerto come adesione piena alla volontà del Padre, del Signore Gesù. Non è un misticismo dire che il nostro sacerdozio rappresenta ed esprime costantemente la passione, morte e risurrezione di Cristo che "con un’unica offerta ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati". La ripetizione rituale, non è duplicare e riprodurre un evento, ma è come estendere l'evento annullando la successione cronologica (ogni giorno) del tempo. È in questa realtà di mistero che si può comprendere quanto dice Ebrei: "e non mi ricorderò più dei loro peccati e delle loro iniquità". Ora, dove c’è il perdono di queste cose, non c’è più offerta per il peccato.
Ecco perché la misericordia di Dio Padre, il perdono del peccato è una volta per tutte, ed esprime la potenza di un amore che in quanto tale è salvezza di tutto e in tutto; è un unico "atto" unilaterale di amore che in Cristo, morto e risorto trova origine, compimento ed estensione universale.
La comprensione del mistero è, secondo le parole di Gesù (vangelo del giorno), conseguenza dell'ascolto della Parola, che trova nella nostra umana condizione di fragilità, anche la possibilità di un terreno buono dove rivelarsi pienamente per portare a comprendere ciò che in realtà riguarda tutti e tutto. Di fronte a questa prospettiva, ogni sforzo del discepolo è di dissodare il terreno per renderlo "buono" è idoneo alla seminagione della Parola.

martedì 29 gennaio 2019

Ebrei 10,1-10 e Marco 3,31-35
Superare le mentalità troppo strette ...

"È impossibile infatti che il sangue di tori e di capri elimini i peccati". La logica che normalmente esprimiamo, è portatrice del concetto della espiazione; rispetto al male e al peccato si pone la possibilità riparatrice del sacrificio di espiazione, ma è anche facilmente comprensibile che si tratta di una consapevolezza molto "materiale" ed "economica", quasi che tutto sia risolvibile con un "indennizzo". La lettera agli Ebrei invece ci conduce alle soglie del mistero di ciò che esiste, e della esperienza di male e di peccato. Siamo immersi in un mistero esistenziale quello delle creature che partecipano a una realtà più grande di loro stesse.  Ciò che è creato percepisce una profonda tensione verso ciò che è perfetto: cioè Dio. 
Fare la volontà di Dio (percepirne il mistero esistenziale) ha un senso ben altro dal semplice compiere dei gesti morali o adattare la propria mentalità a precetti e insegnamenti. Fare, in questo senso è più avvicinabile al concetto di esistere come volontà di Dio. Per Gesù stesso la volontà di Dio, del Padre viene costantemente accostata alla propria esistenza e anche le relazioni parentali (madre, padre fratelli) entrano a far parte della volontà di Dio. Tutto per Gesù è esistere nel superamento del male e come progressiva e quotidiana concretizzazione dell'amore. Il vero atto di culto non è nel sacrificio con il sangue di tori e capri, ma il rendere perfetto ciò che esiste attraverso l'esperienza dell'amore. È l'amore che redime  (rendere perfetto) ciò che è chiamato all'esistenza, sciogliendo lo dai legami (vincoli) con ciò che è il non amore, il male e il peccato.
Ebrei 10,11-18 e Marco 4,1-20
Il sacrificio: perdono unilaterale ...

La misericordia di Dio raggiunge la sua pienezza nel sacrificio di Gesù. La Lettera agli Ebrei arriva al cuore e al perché la comunità cristiana celebra ogni domenica il sacrificio, e noi, potremo aggiungere il perché del celebrare il sacrificio ogni giorno. Se fosse una ripetizione di un rito, saremmo ancora nella medesima condizione dei sacerdoti dell'antica legge: "ogni sacerdote si presenta giorno per giorno a celebrare il culto e a offrire molte volte gli stessi sacrifici, che non possono mai eliminare i peccati". Ma appunto perché non è una ripetizione, e poiché coinvolge tutto il popolo rispetto al sacerdozio battesimale, il nostro celebrare esprime, appartiene e rappresenta nel tempo, l'unico sacrifico, offerto come adesione piena alla volontà del Padre, del Signore Gesù. Non è un misticismo dire che il nostro sacerdozio rappresenta ed esprime costantemente la passione, morte e risurrezione di Cristo che "con un’unica offerta ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati". La ripetizione rituale, non è duplicare e riprodurre un evento, ma è come estendere l'evento annullando la successione cronologica (ogni giorno) del tempo. È in questa realtà di mistero che si può comprendere quanto dice Ebrei: "e non mi ricorderò più dei loro peccati e delle loro iniquità". Ora, dove c’è il perdono di queste cose, non c’è più offerta per il peccato.
Ecco perché la misericordia di Dio Padre, il perdono del peccato è una volta per tutte, ed esprime la potenza di un amore che in quanto tale è salvezza di tutto e in tutto; è un unico "atto" unilaterale di amore che in Cristo, morto e risorto trova origine, compimento ed estensione universale.
La comprensione del mistero è, secondo le parole di Gesù (vangelo del giorno), conseguenza dell'ascolto della Parola, che trova nella nostra umana condizione di fragilità, anche la possibilità di un terreno buono dove rivelarsi pienamente per portare a comprendere ciò che in realtà riguarda tutti e tutto. Di fronte a questa prospettiva, ogni sforzo del discepolo è di dissodare il terreno per renderlo "buono" è idoneo alla seminagione della Parola.

lunedì 28 gennaio 2019

Ebrei 9,15.24-28 e Marco 3,22-30
Mediatore di un'alleanza nuova ...

Papa Benedetto XVI così traduce la mediazione di Gesù: "In Gesù anche la mediazione tra Dio e l’uomo trova la sua pienezza. (...) Gesù, vero Dio e vero uomo, non è semplicemente uno dei mediatori tra Dio e l’uomo, ma è “il mediatore” della nuova ed eterna alleanza (cfr Eb 8,6; 9,15; 12,24); «uno solo, infatti, è Dio - dice Paolo - e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù» (1 Tm 2,5; cfr Gal 3,19-20). In Lui noi vediamo e incontriamo il Padre; in Lui possiamo invocare Dio con il nome di “Abbà, Padre”; in Lui ci viene donata la salvezza."
Di questa mediazione, noi tutti non solo ne percepiamo le conseguenze, ma in forza del nostro sacerdozio battesimale, che ci unisce intimamente al sacerdozio di Cristo, ne siamo pure parte. Essere "parte" della mediazione della salvezza cosa significa?
Significa che la nostra vita cristiana ha un valore esistenziale difficilmente immaginabile, tale per cui tutto di noi è offerta a Dio, ogni giorno è espressione della comunione con lui. Quando con la mia esistenza ringrazio Dio per il dono della vita; quando con l'amore ai fratelli ricambio l'amore gratuito del Padre per me; quando nella preghiera mi accosto e dimoro nel cuore di Dio; quando il desiderio di infinito dilaga nella mia finitezza di creatura ... Quando tutto questo avviene, è la mia esistenza che si offre insieme a Gesù risorto, Sacerdote e Mediatore del vero ed unico patto tra Dio e l'uomo; patto che si è realizzato è sempre si realizza, nel sacrificio della vita di Gesù e grazie della nuova condizione del risorto: la vita di Dio è unita eternamente alla nostra natura umana.
Ecco che la nostra vita, è un vero cammino di scoperta, ogni giorno posso addentrarmi nella verità della mia esistenza come spazio di relazione con Dio Padre; come risonanza della vita di Gesù uomo-figlio di Dio. Il mediatore è colui che facilita questo cammino di scoperta, questo cammino di fede ... Quale pienezza di cammino scopre che vive nel dono della fede ricevuta. La vita di Gesù ne rivela ogni tappa, ogni possibile sentiero e traccia per giungere alla meta.

domenica 27 gennaio 2019

Ne 8,2-4.5-6.8-10 / Sal 18 / 1Cor 12,12-30 / Lc 1,1-4; 4,14-21
Gesù un rotolo vivente ...

Se Gesù oggi, ci palasse dalle parole della liturgia delle nostre chiese cosa direbbe?
Papa Francesco è a Panama per la 34^ GMG, nonostante il silenzio mediatico che accompagna questo evento, dall'altra parte del mondo, qualche parola e affermazione del pontefice filtra ugualmente: "In particolare ha commentato con un giornalista il fatto che i muri per fermare i migranti a Tijuana, al confine tra Messico e Stati Uniti, arrivino fin dentro l'oceano: «È la paura che ci rende pazzi»."
Di fronte alla sofferenza di troppa parte degli uomini e donne di questo mondo la Chiesa del Signore ancora una volta non tace il perché di tanta sofferenza che "si prolunga a causa di  una società che ha perso la capacità di piangere e di commuoversi di fronte al dolore". Ancora oggi, sottolinea il Papa, "Gesù continua a farsi carico e a soffrire in tutti questi volti mentre il mondo, indifferente, consuma il dramma della propria frivolezza". (...) "Come reagiamo di fronte a Gesù che soffre, cammina, emigra nel volto di tanti nostri amici, di tanti sconosciuti che abbiamo imparato a rendere invisibili?” (...) “vogliamo essere Chiesa che favorisce una cultura capace di accogliere, proteggere, promuovere e integrare; che non stigmatizzi e meno ancora generalizzi con la più assurda e irresponsabile condanna di identificare ogni migrante come portatore di male sociale”.
Quale c'è differenza tra le parole di Gesù e quelle del Papa pronunciate alla Via Crucis, alla GMG a Panama.
Gesù a Nazareth inizia il suo agire pubblicamente così:
"Sono venuto a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore"
Il Vangelo, attraverso la narrazione di fatti, eventi e parole, cessa di essere una cronaca ma divine l'itinerario spirituale e umano, divine vita di chi vuole essere discepolo.
Se siamo disposti a essere discepoli di Gesù, allora dobbiamo mettere in conto un bel cammino per arrivare anche noi a Gerusalemme. Il percorso di idee e di narrazione del Vangelo di Luca; esso è in realtà un grande diario di bordo di Gesù, attraverso il quale ci racconta il suo progetto: quello di narrare come possiamo essere se amiamo come Dio.
Tutto inizia a Nazareth, piccola comunità di origine di Gesù, dove in poche parole "Gesù è la Parola di Dio che si compie". Per cui tutto inizia a partire dalla vita di Gesù. La parola di Dio prende i piedi e inizia un cammino nella persona del Signore. Oggi quel prendere piedi e cammino lo fa insieme a noi che siamo Chiesa in cammino nel tempo.
Queste parole del Signore non trovano forse eco in ciò che la Chiesa si sforza di essere oggi agli occhi del mondo?
Quel giorno a Nazareth, con solennità prese la Profezia, parola data ai Padri, e la svolse, la srotolò ... Forse in un modo che mai era stata aperta, e quelle parole del profeta Isaia, nella sua bocca presero vita nuova, non erano solo parole ripetute ... erano parole che annunciavano la bellezza di un mondo rinnovato; lo stupore di una umanità toccata tutta dallo Spirito di Dio; la certezza di una salvezza universale che non fa distinzione per nessuno.
Gesù riavvolse il rotolo, ma non lo chiuse in se stesso; ma se stesso divenne la pagina, il rotolo sempre aperto, sempre da leggere della parola di Dio Padre per noi, quella parola ora è per sempre: "Oggi, si è compiuta questa Scrittura, nelle vostre orecchie".


sabato 26 gennaio 2019

2 Timoteo 1,1-8 e Luca 10,1-9
Ravvivare il dono di Dio ... = esercizio della vita.

Quale dono abbiamo ricevuto? Diamo per scontato avere ricevuto la testimonianza di qualcuno che parlandoci di Gesù e raccontandoci come Gesù ha vissuto, ha messo in noi il seme della fede, cioè l'intima idea, non nostra, che Gesù è la vita, egli è manifestazione concreta della grazia, della misericordia e della pace di Dio Padre. Quando dico che ho ricevuto il dono della fede, arrivo immediatamente al segno del Battesimo e della Cresima, senza passare attraverso la testimonianza di chi, con la vita, mi ha mostrato la medesima grazia (amore incondizionato che è la vita di Dio); la traboccante misericordia (amore che si rigenera sempre nel perdono); la consolazione della pace ( amore che si fa abbraccio, comunione e accoglienza). La fede trova così la sua dimensione esistenziale, e non solo la traduzione teologica e intellettuale. Questo dono, Tito lo ha ricevuto, attraverso la testimonianza di Paolo e della "nonna Lòide e tua madre Eunìce"; esso va reso vivo, o meglio, va ravvivato, è come brace che non si estingue, ma può nascondersi sotto la cenere dei nostri fallimenti e peccati.
La fede, che per Tito significa anche il ministero sacro ("che è in te per l'imposizione delle mie mani"), si rende viva - dice Paolo - con il coraggio della testimonianza. Tale testimonianza è forza cioè virtù che esprime amore al bene e combatte ogni genere di male; è carità che completa e compensa ogni fragilità della nostra umanità; è prudenza: una strana espressione per dire che la fede non è avventata e impulsiva, essa è forte e stabile della solidità del Signore; la prudenza ce lo ricorda sempre.

venerdì 25 gennaio 2019

Atti 22,3-16 e Marco 16,15-18
Conversione di San Paolo
La vita è uno spazio di conversione

Se avete voglia, tempo e la possibilità di farlo, in questa giornata guardate il film "Paolo Testimone di Cristo", ci aiuterà a comprendere la vita di San Paolo come spazio di conversione, cioè di piena realizzazione attraverso il Vangelo di Gesù.
La vita di Saulo, è nello stesso modo di quella di Paolo, dinamica, avvincente, carica di aspettativa ma progressivamente immersa nella piena cecità. A volte non ci si rende proprio ragione di come la vita si trasforma nella deriva delle scelte e del progressivo inabissarsi in quel groviglio di disperazione e afflizione che è la mancanza di speranza e di mistero.
Il Vangelo, come incontro con Gesù, lacera la cecità, la luce non è causa di cecità, ma è quella "grande luce che sfolgorò attorno a me" ... "E poiché non ci vedevo più, a causa del fulgore di quella luce ..." La luce, Cristo, mette in discussione la tenebra, e lacera il condizionamento della vita. Il Vangelo che è incontro con la persona di Cristo, e non parabole, insegnamenti, istruzioni e morale; nell'incontro con Anania, introduce Saolo alle soglie di "Paolo", a quel battesimo che è essere condotti nella luce della Parola, essere immersi nella vita del Signore. Dice Anania a Saulo: "Il Dio dei nostri padri ti ha predestinato a conoscere la sua volontà, a vedere il Giusto e ad ascoltare una parola dalla sua stessa bocca, perché gli sarai testimone davanti a tutti gli uomini delle cose che hai visto e udito ..."  Ora, Paolo, non rinnega la sua umanità, ma la illumina attraverso il Vangelo; la mette dentro quell'incontro, ed ecco che ne risulta una vita nella conversione, costantemente in conversione, fino alla sua pienezza.
La nostra piena vocazione come Evangelizzatori è annunciare il "Giusto" e dare testimonianza del Cristo; ogni dimenticanza conduce alla tenebra, ogni adesione a questa volontà di Dio è luce che lacera la tenebra e la cecità. Paolo (il discepolo) scopre il gusto della conversione quando si riconosce innamorato di Cristo ... diversamente, al più gli si vuole bene ...

giovedì 24 gennaio 2019

Ebrei 7,25-8,6 e Marco 3,7-12
Sacerdozio di Cristo in ogni Eucaristia

"Egli può salvare perfettamente tutti ..." Il senso profondo di questa verità cioè la salvezza offerta è realizzata attraverso il sacerdozio di Cristo, rappresenta il cuore della memoria passata, della realtà presente e della speranza futura. A cosa serve il Sacerdozio? Se esso è funzionale alla religione per disegnare uno status di rappresentanza al fine di compiere una mediazione tra sacro e profano, esso non soddisferà mai l'esigenza della nostra vita, cioè la felicità eterna. Se invece il sacerdozio, in tutta la sua estensione possibile è battesimale (quindi del popolo tutto); è ministeriale (quindi delegato all'esercizio del culto) ed è anche Messianico, cioè appartiene a Cristo ma non come un qualcosa da fare ma come parte del suo esistere; allora dobbiamo riconoscere le "meravigliose" conseguenze del Sacerdozio.
Ciò che noi chiamiamo salvezza, in realtà è l'eterna felicità, cioè l'esistenza con Dio Padre per sempre. Questo modo di esistere lo traduciamo come esistere nell'amore di Dio, ed essere parte di tale manifestazione. Questo amore trova espressione nel tempo attraverso la vita di Gesù che, come dice Papa Francesco, tratteggia tre meraviglie (23.01.2017):
- in ogni dura Messa, sull’altare si fa la memoria viva, perché Lui sarà presente lì, quando offre la sua vita per noi. Ciò significa che la qualità della mia vita dipende dal fatto che egli mi trasferisce la sua, egli la offre per donarla;
- in ogni Messa c’è anche la memoria viva e presenza di Lui, perché Lui pregherà qui; in particolare con quelle parole che sono il Padre Nostro, la preghiera di Gesù al Padre;
- in ogni Messa si guarda con fiducia al compimento del nostro tempo, quando Lui tornerà e con Lui la speranza legata nostra della glorificazione (risurrezione = felicità eterna).
Occorre esercitare il proprio sacerdozio battesimale ... nella liturgia della vita.
Occorre pure vivere bene il sacerdozio ministeriale, per chi lo possiede ... insieme al popolo di Dio, per santificarlo.
Occorre meravigliarsi di Gesù ... di Lui, della bellezza del sacerdozio al modo di Melchisedec.

mercoledì 23 gennaio 2019

Ebrei 7,1-3.15-17 e Marco 3,1-6
Il sacerdozio e il clericalismo

Il rischio infatti è quello di cadere nella perversione del clericalismo, che nella vita religiosa si manifesta con "atteggiamenti da segregati, con la puzza sotto il naso" tipico di chi vive "una specie di atteggiamento aristocratico rispetto agli altri" (papa Francesco).
L'insistenza della lettera agli Ebrei sulla figura di Melchisedec, re-sacerdote, porta inevitabilmente a capire il senso de sacerdozio riferito a Cristo, non come provilegio e superiorità ma come condizione che pur nella fragilità umana non afferma un ruolo, o una prerogativa funzionale, ma tutt'altro; sono la giustizia e la pace il cardine del ministero sacerdotale, ovvero il senso esistenziale.
Nessuno deve dimenticare che la Lettera agli Ebrei riconosce il sacerdozio a Cristo, nella sua esistenza umana consacrata alla volontà del padre. È nel dare senso alla sua vocazione di Figlio di Dio, che si realizza il sacerdozio secondo Melchisedec "santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori ed elevato sopra i cieli (...)". Questa condizione non può generare o giustificate un'indole clericale ma tutt'altro. La vocazione, o chiamata sacerdotale, dispiega nel tempo la "giustizia" come misericordia di Dio e perdono, non quindi un legalismo; la "pace" come comunione di amore, è abbraccio confidente del Padre. È su questo cardine, contemplato come mistero del Signore, adorato come tesoro prezioso, e amato come compimento della propria vita, che ogni sacerdote rinnova ogni giorno il proprio offrirsi a Dio, nella preghiera personale, nell'offerta del sacrificio, nell'esercizio della carità e della misericordia, nell'essere guida di una porzione del popolo di Dio che gli è affidata. Non il tracotante trionfalismo di chi si sente superiore o parte privilegiata, un appartenente a una casta; tutto questo è clericalismo. Questo clericalismo è la piaga che offusca, cioè mettere tenebra e uccide il Sacerdozio di Cristo: "E i farisei uscirono subito con gli erodiani e tennero consiglio contro di lui per farlo morire". Oggi preghiamo per i sacerdoti, grazie!

martedì 22 gennaio 2019

Ebrei 6,10-20 e Marco 2.23-28
Gli eredi di quali promesse?

La promessa di Dio è un giuramento (patto) che Dio propone ad Abramo, che accoglie, e che insieme si obbligano a rispettare, cioè a vivere in modo operoso attraverso la carità reciproca. Il giuramento è, sotto certi aspetti, il contenitore e la modalità nel quale cresce la fede. Avere fede acquista il sapore di avere parte alla medesima promessa, significa diventare eredi della stessa promessa, quella della benedizione nel segno della paternità e della numerosa discendenza cioè del moltiplicarsi della vita, nella quantità e nella qualità. Di questa promessa di vita, Gesù ne risulta il garante, colui che in ogni circostanza fa in modo che il patto venga rispettato.
Il Vangelo di oggi, nella Parola del Signore, egli si autoafferma "Signore del Sabato", garante del giorno del riposo di Dio, "lo Shabbat", del giorno in cui la vita, il vivere e l'esistere prevale su ogni altra realtà, su ogni legge o precetto religioso e diviene essa stessa contemplazione del mistero.
Seguire Gesù, ha come conseguenza il trasformare il discepolato in figliolanza, per cui si è eredi della promessa e partecipi dell'unico giorno che rimane, quello dello"Shabbat" escatologico di cui il Signore ci è precursore. Ecco perché in lui poniamo la certezza della Fede e ogni nostra speranza.

lunedì 21 gennaio 2019

Ebrei 5,1-10 e Marco 2,18-22
Al modo di Melchisedec

Un nome antico e strano, che descrive il nostro sacerdozio sia battesimale che ministeriale. Melchisedec, citato anche nel Salmo 110 e in Genesi capitolo 19; come pure nel Canone Romano, quando si fa memoria dell'offerta del sacrificio; è il re-sacerdote di Salem (arcaicamente Gerusalemme), sacerdote di El-Elyon [Elyon Elhoym] (il Dio altissimo). Nel libro della Genesi, si narra il patto di alleanza che Abramo stabilisce con questo Re-Sacerdote, sancito dall'offerta del sacrificio del pane e del vino e dal ricambiato dono della decima del bottino di guerra. La qualità sacerdotale di questo re di Gerusalemme risulta diversa da quella del sacerdozio di Aronne, quello Levitico. È questa infatti la chiave di interpretazione del sacerdozio di Melchisedec attribuito a Gesù-Messia. Il Cristo è sacerdote in modo unico e nuovo rispetto all'antico sacerdozio ebraico, pur essendo discendenza davidica, egli è «sacerdote in eterno alla maniera di Melkisedek, cioè capace di offrire il pane e il vino, un simbolo dell'Eucaristia, offerti per servire la causa dei poveri, del popolo di Dio: segno dell'amore fino a donare la sua vita. 
Oggi, ogni discepolo del Signore offre in sacrificio l'amore per il suo Signore. Questa offerta non è privazione, semplice digiuno, ma è immersine e apertura al mondo nuovo che per noi è la vita stessa di Gesù, offerta per amore nostro. Egli è in questo senso lo Sposo atteso da tutti, ma in modo speciale dalla Sua Chiesa. Questa attesa è tutta preparazione all'incontro con il Cristo che assumerà in se stesso il sacrificio di ciascuno, il digiuno di ciascuno come nuovo ed eterno sacrificio con lui, nello stesso modo del sacrificio (offerta) di Melchisedec.
Oggi mi scuserete ... vi tocca studiare un poco ...

domenica 20 gennaio 2019

Is 62,1-5; Sal 95; 1Cor 12,4-11; Giovanni 2,1-12
E che tutta l'acqua diventi ottimo vino

Le nozze di Cana, inizio dei "segni", non dei miracoli, ma del farsi vedere di Dio. Inizio del cammino di fede che attraverso Gesù ci permette di gustare il vino della gioia; anzi ancora di più, questo cammino, fa di noi, servi che portiamo solo acqua, dei ministri/discepoli della gioia, coloro che portano il vino del Regno dei cieli.
Alle molte immagini e spiegazioni di questo Vangelo, il ruolo dei servi/ministri e dei discepoli che credono in Gesù, mi convince nel ricercare in questa parola il senso della missione che riceviamo per il nostro tempo, per il nostro quotidiano: noi, insieme e uniti a Gesù ministri/ servi della gioia.
Io non sono solo uno che crede, io non sono solo un praticante di belle idee e di buone cose ... Insieme all'acqua di Cana io stesso vengo trasformato in servo del vino buono, del vino della gioia di Dio.
Questo permette a tutta la nostra acqua di potere diventare vino. Ecco la novità di cui siamo capaci quando facciamo ciò che ci dice Gesù ... Quando facciamo il Vangelo ...
L'acqua rappresenta la realtà di oggi con tutte le sue verità e contraddizioni. L'acqua è il bisogno di giustizia, di uguaglianza; l'acqua sono le incomprensioni e le divisioni di una comunità; l'acqua sono i bisogni dei poveri e degli scartati; acqua sono il grido e la straziante sofferenza di 117 naufraghi che nelle acque salate e amare del mare, ieri hanno trovato la morte e non l'accoglienza dei fratelli. Acqua sono i migranti, i profughi e coloro che non hanno più patria e casa; sono acqua i nostri progetti e le nostre catechesi che non convincono; acqua è la necessità di comunione e il bisogno di accogliere. L'acqua esprime tutto il nostro vissuto.
La morte di 117 naufraghi (uomini, donne e bambini) è una bestemmia contro il cielo, contro Dio. Oggi la nostra acqua non si è trasformata nel vino della gioia, è rimasta acqua ... salata e amara ... Un'acqua imbevibile ... Acqua di morte. Non può essevi gioia per  nessuno, non può esservi festa per nessuno, quando un uomo muore perché vittima degli egoismi politici e dello scontro tra i potenti del mondo.
La Chiesa, i discepoli di Gesù sono tutti coloro che, oltre ogni speranza, raccolgono l'acqua buona e meno buona e la portano al Signore perché diventata il suo vino possa essere dato a tutti, e così già oggi nel tempo possiamo pregustare, nella bontà del vino, la gioia della festa delle nozze eterne.
Leggevo una cosa che mi ha colpito: "Non è il pane che viene a mancare, non il necessario alla vita, ma il vino, che non è indispensabile, un di più inutile a tutto, eccetto che alla festa o alla qualità della vita".
Come dire che per la gioia della vita occorre il vino di Dio, il vino della gioia che noi ministri/discepoli/ servi possiamo dare al nostro quotidiano, il vino passa anche attraverso di noi! Come dare allora gioia al nostro mondo, al nostro oggi?
Il segno di Cana nasce come risposta di Dio alle nostre mancanze ... è comunque la risposta che tutti si attendono perché ciascuno, in coscienza cercherebbe di risolvere qualsiasi situazione che rischia di precipitare nell'imbarazzo: "non hanno più vino". 
Nel segno di Cana, Gesù si compromette; alla fine mostra la normalità di un Dio che ci è Padre, che ha a cuore la nostra gioia ... e che dona la sua vita per superare il limite insuperabile di ogni uomo: "l'uomo consuma e finisce l'amore, Dio no!"
Se vogliamo essere discepoli di Gesù, dobbiamo anche noi superare ogni riluttanza e titubanza e compiere quei gesti della vita che sono capaci di superare le carenze introducendo la novità della gioia così come Lui ci ha insegnato. Per questo i discepoli oggi sono i portatori/dispensatori/ministri/servi di quella gioia che è la vita di Dio.
Dio è l'unico che può trasformare il nostro "umano" e renderlo capace di un amore grande; trasformare la nostra acqua frustrante, cinica e disumana che sempre trova eco nelle nostre carenze e debolezze, nel vino che è la possibilità di amare e gioire, nella festa di Cana, che è per tutti.

sabato 19 gennaio 2019

Ebrei 4,12-16 e Marco 2,13-17
Gesù non disprezza la nostra debolezza

"... la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore". Ma non è per un giudizio, bensì per suscitare il desiderio di una vita Santa. Persone che vivono una vita Santa ci sono anche oggi, sono i santi della “della porta accanto”;  è la santità di tante persone che abitano vicino a noi, che nel lavoro, nella fatica quotidiana riescono ad essere un riflesso della presenza di Dio e che costituiscono “la classe media della santità” (lo dice Papa Francesco). Pure tra tante fragilità e incoerenze, ci si prova con impegno, ogni giorno, nella vita familiare, sociale e professionale e persino tra le molestie della vita, di fare la volontà del Signore; di concepire e vivere nel mondo e nella Chiesa la vita come una missione speciale affidataci da Dio. La vita da cristiani è la "santità della porta accanto", è la proposta che per primi si sono sentiti rivolgere gli apostoli. La sequela non è mai una elezione clericale, ma una proposta per coinvolgere nell'opera del Regno dei cieli: partecipare al compimento della salvezza. Anche un peccatore come Matteo, con tutta la sua umana debolezza (pubblicano e implicato nella più scandalosa economia), per il Signore, non è uno scarto rispetto alla proposta di seguirlo. Quella chiamata è la proposta alla conversione, ovvero ad accogliere la salvezza, a lasciare se stesso i propri interessi e progetti, per lasciare che Dio Padre si penda cura di lui. Tutto cambia quando sei disposto a dare te stesso per la missione di raccontare ai fratelli la salvezza di Dio.

venerdì 18 gennaio 2019

Ebrei 4, 1-5.11 e Marco 2,1-12
Uscita di sicurezza

Oggi per chi crede è tempo di uscita (di sicurezza) ... Una espressione di Papa  Francesco, per definire lo stato permanentemente missionario della Chiesa e del cristiano. Se non utilizzeremo questa "uscita" resteremo bloccati per sempre!
Uscire, è prima di tutto un incontrare; ma se rimaniamo chiusi in noi stessi e nel nostro piccolo mondo di paure e di presunte sicurezze, l'uscita risulterà sempre una proposta impossibile da vivere. Uscire è anche superamento della rigidità degli schemi; porsi al di fuori dalla convenzione, e osservare e dialogare, mettendosi in ascolto con ciò che non è convenzionale. Gesù è in uscita, cioè aperto alle provocazioni di chi si avvicina, si propone come domanda, attesa e ricerca (il paralitico e i suoi amici, la periferia di quel mondo) ed è quella realtà di Cafarnao, lo spazio in cui Gesù annuncia è opera la salvezza, ovvero la via di uscita: "Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati". 
Nel fare tutto questo, Gesù si pone fuori dagli schemi, dalle convenzioni e dalle aspettative; egli non rompe con le tradizioni, ma si pone al di fuori di esse restando in dialogo. Dialoga con l'uomo paralitico: "... ti ordino - disse al paralitico - alzati, prendi il tuo lettuccio e và a casa tua"; e dialoga con chi resta chiuso negli schemi: "Perché pensate così nei vostri cuori? Che cosa è più facile: dire al paralitico: Ti sono rimessi i peccati, o dire: Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina?"
Le conseguenze dell'uscire di Gesù sono:
"Quegli si alzò, prese il suo lettuccio e se ne andò in presenza di tutti";
- "tutti si meravigliarono e lodavano Dio dicendo: Non abbiamo mai visto nulla di simile!"
Ciò che Gesù immette nella realtà è qualcosa di nuovo che suscita meraviglia ... Il passo dalla meraviglia alla fede può essere breve!
Questo non esclude che in molti non si siano distaccati dalla rigidità del proprio pensiero, restando ancorati alle proprie convinzioni: "Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?"

giovedì 17 gennaio 2019

Ebrei 3,7-14 e Marco 1,40-45
Memoria di Sant'Antonio Abate
Il nuovo modello di vita cristiana ... Il coraggio ...

Leggendo la Lettera agli Ebrei, si potrebbe essere indotti a raccogliere delle esortazioni morali e degli inviti alla perseveranza. In realtà, la Lettera presentando il Messia ne traccia pure l'itinerario umano e la nostra relazione con lui. Per questo ogni esortazione è in realtà una indicazione di cammino, una provocazione a cercare Gesù, prima che ogni regola di vita. Fare memoria dell'inizio della mostra conversione per ravvivare in noi l'appartenenza a Cristo è necessario per mantenere la nostra vita nella disposizione capace di resistere alla tentazione del mondo: l'indurimento perverso del cuore e l'ostinazione nel peccato. Condizioni che rappresentano l'ordinario della vita anche di molti cristiani. La durezza perversa del cuore, snatura la nostra umanità, ed è la gabbia in cui ci si ritrova chiusi senza via di scampo; l'ostinazione nel peccato, è l'esperienza insidiosa del giustificare noi stessi nella nostra fragilità senza mai porvi una azione contrastante. La preghiera di colletta di oggi, cita: "... servirti in un nuovo modello di vita cristiana, (...) superare i nostri egoismi per amare te sopra ogni cosa". Il nuovo modello di vita cristiana, è Cristo in noi. Ciò che genera e alimenta qualsiasi possibile imitazione e adesione è solo l'amore al Signore. Antonio, ha amato il Signore a partire dall'esperienza dell'ascolto della Parola, che si è concretizzata nella scelta di povertà e amore ai poveri; fino poi, a lasciarsi condurre dallo Spirito nel deserto, per gustare quell'intima comunione di vita, che la preghiera rivela, ma ne è anche condizione e possibilità.
La vita di Antonio è un cammino di imitazione della vita in Cristo. Il coraggio di imitare il Signore è evidentemente la conseguente all'incontro con Lui; forse che noi allora confondiamo l'incontro con il Signore, la "didattica proposta" di essere cristiani? 

mercoledì 16 gennaio 2019

Ebrei 2,14-18 e Marco 1,29-39
"... misericordioso e degno di fede nelle cose che riguardano Dio"

Che cosa è umanamente convincente di Dio? 
Parlare di Dio non è questione di precetti, o miracoli; di parole belle da insegnare e di atteggiamenti buoni, ma parlare di Dio è questione di trasversalità, di come il tutto di ciascuno viene coinvolto dalla presenza di un "Altro" a partire da quella esperienza ultima della esistenza che è la prima a mettere in crisi: la morte.
Cosa è umanamente convincente di Dio? Il prendersi cura della nostra natura, partecipando ad essa quella sua stessa vita di Dio, che rappresenta il superamento della nostra morte. La vittoria sul peccato che è la sconfitta della nostra autodeterminazione e autoreferenzialità investe totalmente la nostra natura. A partire dalla moralità, questa vittoria, dilaga rispetto alla possibilità del nostro vivere ed esistere: "Infatti, proprio per essere stato messo alla prova e aver sofferto personalmente, egli è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova".
Non possiamo ascoltare il Vangelo, la Parola di Dio, semplicemente per trarne delle morali, o dei buoni esempi di vita. Attraverso la narrazione del Vangelo ciò che è l"Altro" si rende evidente, e la vita del Figlio di Dio, nella sua natura, esiste insieme alla mia, non solo accanto. Se accolgo questo dialogo di prossimità, dispongo me stesso a quel l'atteggiamento di fede che Gesù ha sempre cercato di suscitare, per cui non è strano che: "Tutti ti cercano!". Ma egli disse anche: "Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!"
Che cosa è convincente di Dio? Credo che ciò che mi convince di più, è il suo venire a cercare proprio me, e a prendersi cura di me! Questo mi convince rispetto alla mia autoreferenzialità ed autonomia umana.

martedì 15 gennaio 2019

Ebrei 2,5-12 e Marco 1,21-28
Tutti provengono dalla stessa origine

All'origine della rivelazione di Dio, la Lettera agli Ebrei, pone questa consapevolezza: tutti noi e Gesù stesso proveniamo dalla medesima origine; il Padre (Dio).
È questa affermazione rivelata che ci serve per ascoltare il Vangelo di oggi. Gesù a Cafarnao, è chiamato il "Santo di Dio". Una rivelazione vera e indiretta da parte di un indemoniato; come dice Ebrei: "Infatti, colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine".
Chi è il santo di Dio? Prima di tutto, il Santo è Gesù, la sua persona, nella sua totalità; poi il Santo è il Signore nella sua Parola (un insegnamento nuovo, con autorità); il Santo è il Signore nel suo agire - scaccia il demonio - ( E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui ...).
Come questa manifestazione di Santità interessa anche noi?
L'indemoniato, non solo rivela l'identità di Gesù ("Segreto Messianico"), ma rivela anche la nostra vocazione, cioè quale sia la volontà di Dio per ciascuno di noi: essere salvati - che, agli occhi dell'indemoniato equivale - : "sei venuto a rovinarci?"
La rovina del maligno è la nostra Santificazione, che equivale alla nostra intima comunione di vita con il Signore.
Ecco che la nostra Santificazione è dono di grazia, ma è pure conseguenza esistenziale del dono. Gesù stesso alimenta la sua Santità attraverso la Santità della sua Parola e delle sue Opere. Anche a noi - "i santificati" -, è proposto di dare alla nostra vita di tutti i giorni la possibilità di essere Santa, attraverso la Parola e attraverso le Opere. Le parole devono "meravigliare", non scandalizzare; le Opere devono essere di bene e misericordia, così scacciano il male.

lunedì 14 gennaio 2019

Ebrei 1,1-6 e Marco 1,14-20
Dio in questi giorni parla a noi per mezzo del Figlio ...

L'inizio della lettera agli Ebrei sembra proprio stato scritto qualche giorno fa. Le parole di Gesù sono le stesse parole del Padre. Gesù stesso è il modo in cui il Padre (Dio) ci raggiunge. Questo inizio della Lettera agli Ebrei ci è occasione per comprendere come la Parola ci riporta alla persona, e la persona di Gesù entra in dialogo e relazione con noi. Infatti nella Lettera agli Ebrei non si dice ciò che è sempre stato detto, cioè di ascoltare la Parola e di metterla in pratica, ma si dice che Dio parla e ci raggiunge oggi, con quella Parola che è del Figlio, il quale "è erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo". Quindi non solo, tutto è stato fatto mediante Lui, ma anche che tutto gli appartiene in quanto erede di tutto, e questa condizione di erede si intende per sempre.
Tutto gli appartiene ... Alla luce di questa appartenenza anche la Parola del Vangelo, esprime ben di più della scelta e chiamata degli apostoli. La nostra struttura mentale, sociale ed Ecclesiale ci impone una rilettura standardizzata ... Ma la Parola sfugge certe rigidità, elude questi stereotipi.
Gesù oggi, si appella alla nostra vita, di "pescatori" e ti chiede se questa vita ci basta, se ci basta l'impegno quotidiano, se ci basta essere utili nelle relazioni strette che abbiamo, se ci basta vivere la fede in un quotidiano "ritagliato". La risposta di Simone, di Andrea, di Giacomo e Giovanni è quindi ben di più di una risposta alla chiamata vocazionale; essa rappresenta la risposta esistenziale. Essi dicono al Signore: "non non ci basta essere come oggi"; la tua proposta "lavorativa ci interessa" ... Ti vogliamo seguire in questo tuo progetto, in questa "pesca di viventi". Infatti la ditta di Gesù mai smette di pescare i viventi; è specializzata in questa pesca!

domenica 13 gennaio 2019

Is 40,1-5.9-11 / Sal 103 / Tt 2,11-14; 3,4-7 / Lc 3,15-6.21-22
Egli ci battezza in Spirito Santo e Fuoco!

Una breve storia di Bruno Ferrero ci può aiutare a capire anche il nostro Battesimo:
Il giorno dopo, il Signore tornò a guardare la sua Creazione. C'era qualche ritocco da fare. C'erano dei bei sassi sui greti dei fiumi, grigi, verdi e picchiettati. Ma sotto terra i sassi erano schiacciati e mortificati. Dio sfiorò quei sassi profondi ed ecco si formarono diamanti e smeraldi e milioni di gemme scintillanti laggiù nelle profondità.
Il Signore vide i fiori, uno più bello dell'altro. Mancava qualcosa, pensò, e posò su di essi un soffio leggero: ed ecco, i fiori si vestirono di profumo.
Un uccellino grigio e triste gli volò sulla mano. Dio gli fischiettò qualcosa. E l'usignolo incominciò a gorgheggiare.
E disse qualcosa al cielo e il cielo arrossì di piacere. Nacque così il tramonto.
Ma che cosa mai avrà bisbigliato il Signore all'orecchio dell'uomo perché egli sia un uomo? Gli bisbigliò, in quel giorno lontano, in quell'alba remota, tre piccole parole: "Ti voglio bene".
Anche noi siamo stati immersi nell'acqua, in cui dimora lo Spirito Santo che soffia queste dolci parole della vita nuova; ma ci passa anche in mezzo al fuoco dell'amore, ci scaldiamo alla fiamma dell'amore del Padre. Questo è il segno efficace nel quale, pure noi, siamo riconosciuti dal Padre come Figli amati di cui egli si compiace : "ci vuole bene"!
Ti voglio bene! Quando un bambino se lo sente dire da sua mamma ... diventa il bambino più felice del mondo!
Ti voglio bene! Se se lo dicono due ragazzi innamorati, tutto diventa euforico e spumeggiante, ci si trasforma, non si mangia più ...
Ti voglio bene! Se se lo dicono due adulti, significa riconoscere che l'altro è la tua stessa vita per sempre.
Ti voglio bene! Se se lo dicono due anziani, fanno memoria di un passato che si traduce in una dolce consolazione presente.
Questo per dire che queste parole sussurrate da Dio al proprio figlio sono quelle capaci di cambiare la realtà ... Sono rivoluzionarie e meritano realmente di essere ascoltate e rese vive, vissute!
Per questo è assurdo dire: "non ti voglio bene!" Non possiamo dirlo per nessuno!

sabato 12 gennaio 2019

1 Giovanni 5,14-21 e Giovanni 3, 22-30
Egli è il vero Dio e la vita eterna!

In questa parte, un po' enigmatica, della prima lettera di Giovanni, emerge la consapevolezza che il Dio vero non è mai una conoscenza superiore, o di un gruppo ristretto. Il vero Dio si rivela attraverso la vita, si rivela nel gusto di vivere, come esperienza esistenziale, non come rassegna di sensazioni. Il compimento del gusto della vita è il percepirne l'essenza di eternità per ogni uomo. Questa essenza è dono di Dio. Come si riconosce in concreto il dono della vita eterna? Dio dona la vita, in ogni espressione di lotta e vittoria rispetto peccato! La vita eterna si rivela nella vita "reale" come verità, come grazia; come lotta contro il Maligno, il quale conduce il mondo nella iniquità, nell'ingiustizia, nell'odio fratricida, nella discordia, nell'invidia ... La prima lettera di Giovanni ci rimanda all'esperienza del Maligno e all'esercizio della nostra libertà. Ma è proprio della libertà non cedere a ciò che ci conduce alla morte (il peccato), e riconoscere in Gesù la rivelazione concreta e possibile del Dio della comunione, dell'amore e della pace. Ecco che la morte non è assenza di vita, ma assenza di eternità in Dio, e partecipazione al mistero della iniquità, cioè avere parte con il male ... 
Il gusto della vita eterna è quotidiana scelta di vivere come Gesù, quasi che la nostra esistenza diventi prolungamento della sua ... Per questo dobbiamo pregare, affinché il desiderio o gusto del male non ci riconduca nella tenebra nell'ombra di morte ... Il che sarebbe tragico!

venerdì 11 gennaio 2019

1 Giovanni 5,5-13 e Luca 5,12-16
Un esempio e la testimonianza!

Oggi come allora, ci è chiesto di avere fede in Gesù, di credere in Lui; oggi come allora, per molti, il dubbio prevale, l'aridità spirituale segna il passo, una razionalità irragionevole mina ogni affidamento ... La nostra natura ferita nella sua identità filiale rivela completamente la condizione mortale: il "peccato originale" si mostra proprio nella comunione spezzata rispetto alla relazione di paternità di Dio.
Il Vangelo, diviene oggi una preziosa indicazione di un itinerario, più che una miniera di notizie circa Gesù. Il Vangelo infatti mi riconduce hai tratti essenziali del figlio di Dio. Come è umanamente possibile "essere" figlio di Dio? Guardiamo la realtà nella quale viviamo mettendo al centro l'uomo, compresa la sua fragilità, anzi a partire dalla sua fragilità (il lebbroso è fulcro di un sano antropocentrismo). Non stupiamoci o scandalizziamoci della compassione che proviamo in noi; essa è espressione di amorevole cura (I care, in opposizione a qualsiasi, passato o moderno "me ne frego"). Custodiamo, difendiamo con determinazione lo spazio della preghiera (rammendiamo la comunione, riallacciamo i fili spezzati): esso non è formalità e precetto, ma divine interiorità immersa nelle esteriorità; spirituale a contatto con il profano; mistero di eternità nella paura della creaturalità. Da questa esperienza si scopre inevitabilmente la testimonianza di Dio rispetto a Gesù stesso. La 1 Giovanni, altro non è infatti che questo itinerario nella fede. Fatta esperienza del "prototipo" Gesù, ci si confronta inevitabilmente con ciò che Gesù rappresenta: egli è il Suo figlio; in lui abbiamo la vita eterna, per la fede in Gesù riempie l'esistenza nel tempo di eternità. Ma è proprio questa eternità, non atea, non astratta, non razionale, ma incarnata che permette di dare senso nuovo al nostro esistere come figli. Questa è la testimonianza del Padre, attraverso lo Spirito (amore), l'acqua (il mistero della rinascita) e il sangue (l'offerta della vita divina).

giovedì 10 gennaio 2019

1 Giovanni 4,19-5,4 e Luca 4,14-22
La fede nell'amore

Non è sufficiente per il discepolo amare Dio, infatti il comandamento dice di amare anche i fratelli: "Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede!"
Da questo "comandamento" comprendiamo il faticoso percorso esistenziale della fede. La nostra esperienza di fede non può limitarsi o fissarsi alla conoscenza teologica del mistero; Dio non lo si ama con la testa, così come anche i fratelli non li amiamo con la testa, ma se li amiamo o se li odiamo, questa percezione/consapevolezza è viscerale, è dal cuore. Ecco che il maturo itinerario della fede è dato nel confluire in unità, della mente e del cuore. Ma anche questo non è frutto dell'intelletto, ma è esperienza della vita. Scrutate, verificare, sperimentare il modo in cui amiamo, ponendolo a confronto e in riflessione con la parola di Dio, rappresenta il continuo percorso di interiorizzazione della fede. Bene dice Giovanni: "Chiunque è stato generato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede". Si è generati da Dio a partire dall'esperienza dell'amore: questo amore diviene criterio della nostra vita, ma anche occasione di testimonianza della nostra fede.
Anche Gesù non si è sottratto a questa logica dell'amare, cercando di esprimere nella vita l'amore a Dio e di esprimere di conseguenza l'amore per i fratelli.
Il Vangelo di Luca ci riporta a un Gesù che torna a Nazareth, uno sperduto villaggio ... perché ...
Perché sono proprio quelli di  Nazareth i fratelli da amare come espressione dell'amore per il Padre che lo genera come suo figlio. Ecco che la Profezia di Isaia per Gesù è ben altro che compimento di una profezia; essa è testimonianza del percorso esistenziale dell'uomo Gesù Cristo figlio di Dio, attraverso il comandamento dell'amore: "... e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio ..." della salvezza, che altro non è che amore.

mercoledì 9 gennaio 2019

1 Giovanni 4,11-18 e Marco 6,45-52
Avevano il cuore indurito ...

È questa espressione di Marco la chiave di ascolto della prima lettura. La durezza del cuore non viene associata a freddezza, o a una cattiveria morale ma allo sconvolgimento e alla fortissima meraviglia che accompagna quel preciso modo di essere di fronte a Gesù, perché "non avevano ancora compreso il fatto dei pani".
Anche il nostro cuore, cioè il nostro modo di essere di fronte a Gesù è troppo spesso espressione di un cuore duro, formale, non coinvolto; un cuore che progressivamente si raffredda; che si accontenta della razionalità e che non si lascia affascinare dal mistero, perché il mistero è turbamento è meraviglia e stupore ...é timore.
Cosa trasforma la durezza del nostro cuore? Solamente l'amore/timore e l'esperienza di essere amati. È questa l'esperienza di 1 Giovanni, essa getta a ciascuno di noi "suadenti provocazioni". Dice un mistico della Chiesa Orientale - Massimo il Confessore - "Esiste un timore di Dio che è compagno inseparabile dell'amore e conserva nel cuore rispetto e affetto". L'immagine del camminare di Gesù sul lago, in quella notte, è espressione del rimanere di Gesù con i discepoli: dopo quei fatti egli prega e vuole rimanere con loro, sulla barca: ecco il compagno inseparabile che si avvicina e porta con sé quella esperienza di timore che pur essendo amore è in noi troppo spesso e arbitrariamente associata a timore paura, ma che in verità nulla a a che vedere con la paura. Il nostro cuore ha bisogno, urgente e continuo di fare esperienza del timore come vicinanza nello Spirito a Gesù. Abbiamo urgenza di ammansire/placare il cuore. Questa esperienza si genera nella preghiera (dopo quei fatti Gesù sali, "solo, sul monte a pregare"); radica nella vicinanza e condivisione della  Sua Parola (disse loro"Coraggio, sono io, non abbiate paura!"); si realizza nell'amarci gli uni gli altri dell'amore con il quale Gesù ci ama e ama il Padre, con lo stesso timore con il quale dispone il suo è nostro cuore all'inseparabile amore, al rispetto e all'affetto!

martedì 8 gennaio 2019

1 Giovanni 4,7-10 e Marco 6,34-44
Dall'amore possibile a quello impossibile?

Amarci gli uni gli altri, non ci appartiene, non è certamente qualcosa di nostro. Per quanto mi sforzi di essere benevolo nei confronti l'altro, che cosa mi porta a relazionarmi con lui? L'altro non è di per se amabile, l'altro è sconosciuto, l'altro non mi appartiene, l'altro è fuori dalla mia vita, per cui l'altro mi risulta alieno. Ma in tutta questa "alterità", non tutti gli altri sono così al di fuori del mio sguardo, alcuni soddisfano la mia empatia, alcuni mi sono addirittura simpatici, alcuni mi corrispondono per affinità di pensiero e gusti, alcuni addirittura mi soddisfano affettivamente, mi piacciono sensibilmente. Ecco che questi non sono gli altri lontano da me, ma sono l'altro che mi è vicino e che mi permette di auto convincermi rispetto all'amore reciproco; con questi mi auto convinco di vivere il comandamento dell'amore. A questo punto mi accorgo come l'amore reciproco lo sperimento e vivo sempre a partire da me stesso, non da Dio; il metro di misura è la mia esperienza, non la fede e non la misura che è Gesù (il figlio mandato da Dio). E se fosse invece che l'amore, quello da Dio, nasce dalla fede e non dalla mia intimità; nasce dalla fede che abita la mia umanità e non dai precetti richiesti dalla religiosità. Il comandamento di amarci non è un compito da eseguire a partire dalle nostre capacità, ma è un comandamento di Dio, uno spazio di libertà umana, che si acquisisce attraverso la fede: "In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati"Questo amore allora, non è una conseguenza morale, ma essendo un comandamento di Dio precede la mia stessa vita. Amare come Dio è impossibile, ma è possibile lasciare che quel Suo amare mi condizioni, mi contagi, mi convinca, mi consoli, mi obblighi a ricollocare e a rieducare il mio amore, da me stesso a lui. Forse questo è la "conversione" che serve per una vita che sia cristiana, forse questo è quanto Gesù stesso a cercato di vivere, ancor prima di insegnarlo. Amare secondo me, alla fine, risulta impossibile; amare come ama Dio è il principio di possibilità.

lunedì 7 gennaio 2019

1 Giovanni 3,22-4,6 e Matteo 4,12-17.23-25
Noi siamo da Dio

Primo giorno dopo l'Epifania, dopo la manifestazione al mondo di Gesù figlio di Dio!
Alla luce di questa realtà che non può essere solo commemorativa e celebrativa, la Parola diviene annuncio, nel Vangelo di Matteo si carica di profezia e si concretizza nelle parole che sono invito alla sequela per ogni uomo. A tutti è chiesto di convertirsi perché la prossimità del Regno pone una condizione nuova nella realtà del tempo e della storia. Nulla è come prima. Negare questa novità è schierarsi apertamente dalla parte dell'anticristo, dalla parte di chi nel mondo nega la venuta di Gesù nella carne.
La Parola di 1 Giovanni, oggi va gustata "goccia a goccia", parola per parola. Credere in Gesù - per 1 Giovanni - si lega a doppio legame al comandamento dell'amore reciproco dei fratelli. È infatti in quesa esperienza di amore che riconosciamo che lo Spirito di Cristo dimora in noi. Come può infatti dimorare in noi lo Spirito di Gesù quando in noi c'è odio, indifferenza, preclusione, giudizio e ogni sorta di complicità col pensiero del mondo? Lo spirito di Gesù non dimora lì dove l'uomo è abitato dallo Spirito del mondo.
Oggi oltretutto, lo Spirito del mondo, non si oppone a Gesù nella carne, ma porta a deviare proprio sulla natura della carne dell'uomo, a discriminare rispetto ai "nostri" e agli "altri". Ma la natura umana esprime il mistero di Dio, in qualunque carne storicamente si concretizzi. Di fronte alla "avversione di un certo mondo", oggi sperimentiamo, finalmente, l'essenzialità dell'annuncio del Vangelo: la conversione è sempre un discernimento esistenziale alla luce dello Spirito di Cristo; conversione significa crescita della fede e crescita in umanità.

domenica 6 gennaio 2019

Isaia 60,1-6 / Salmo 71 / Efesini 3,2-3.5-6 / Matteo 2,1-12
Epifania del Signore: l'Emanuele rimane con noi!

Se oggi siamo venuti qui è per adorarti Signore ...
Se oggi siamo qui è perché abbiamo visto la tua stella ... E vogliamo continuare a vedere!
Se oggi siamo qui è perché abbiamo aperto il cuore ... e non vogliamo chiuderlo!
Se oggi siamo qui è perché qui c'è il nostro amore e le speranze ... Il meglio di noi!
Se oggi siamo qui è perché vogliamo aprirci alla tua luce ... e non vogliamo nasconderci nella tenebra della nostra disumanità.
Ecco allora che siamo qui per adorarti ... (Cfr canto: Siamo venuti qui per adorarti)

Ma se oggi attraverso le pagine del Vangelo di Matteo ricordiamo solo la visita di alcuni saggi d'oriente (tre Magi secondo la tradizione), dopo la nascita di Gesù, cioè la ricerca di un bambino, la cui nascita era stata segnata dal sorgere di un astro luminosissimo; e tutto ciò, per quanto carico di fascino, e anche di fantasia, esaurisce la sua verità nel celebrarla con cortei e sacre rappresentazioni, quella narrazione cessa di essere Epifania della salvezza.
Rivivere l'Epifania del Signore significa riconoscere e attualizzare nella vita di oggi i tratti di quella vicenda raccontata nel Vangelo. Il cammino di ricerca dei Magi, non è un bel lieto fine, ma è una epifania di Dio. Questo non dobbiamo dimenticarlo, diversamente trasformiamo un avvenimento della salvezza in una favola di carattere morale.
Noi oggi siamo gli stessi saggi d'Oriente che hanno sperimentato come quel bambino: "il re gli giudei che è nato" è l'Emanuele, il "Dio con noi", ma questa profezia è attuale sempre, è pienezza del tempo, è eternità nel tempo. La presenza di Gesù non è dissociabile dal tempo, perché il tempo appartiene ora, al mistero di Dio e del suo esistere nel tempo. La meraviglia della Epifania è che  tutto l'umano è abitato da Dio, nel segno adorabile di quel bambino. L'umano, trasfigurato, racconta e testimonia la Sua dimora in mezzo a noi.
La nascita del figlio di Dio trova eco nella nascita di ogni figlio di uomo. Guai a me se negassi il segno del bambino, il segno di Dio che si fa uomo. Negarlo significa maledirlo. Oggi sono qui per adorarti Signore, adorarti in quel bambino, in ogni bambino!
Oggi sono qui perché è da tempo che ti cerco e perché ho visto la tua stella, che brilla della luce della tua parola. Quella luce mi indica in cammino che ora voglio fare fino in fondo; ho intuito come si fa a vedere, e non posso desiderare altro. 
Guai a me se negassi ai miei fratelli di vedere la tua luce, di camminare alla tua luce; se negassi là possibilità di mettersi in viaggio, con coraggio, non per trovare semplicemente qualcosa ma per vivere concretamente la ricerca di Te. Oggi scopro che la mia vita come discepolo, battezzato, non può non essere che "ricerca" del Re dei giudei che è nato! Non è importante arrivare a Betlemme, ma è importante tutto il viaggio per arrivarci. È importante come stiamo è abitiamo nella storia di tutti i giorni, noi che abbiamo ricevuto il suo annuncio. È un cammino nel quale è richiesto di superare tanti limiti, e tanti muri. Oggi i Magi troverebbero un muro a Betlemme che gli impedirebbe di adorare il Bambino, ma non si arrenderebbero, perché i muri sono segno della paura, della segregazione, sono per la divisione: adorare invece significa avvicinare per baciare, significa togliere la distanza per amare.
Oggi sono qui perché ho aperto il cuore e non voglio chiuderlo. Oggi costatiamo con amarezza che il cuore non è tua dimora allo stesso modo. Il cuore di Erode è un cuore malato, un cuore falso, un cuore sterile, un cuore duro, un cuore ambiguo. Il nostro cuore gli è simile quando si ferma alla convenienza, quando non pulsa con il battito del cuore degli altri, delle storie degli altri uomini e donne che incontro ... Ed ecco che il cuore diventa malvagio. Guai a me se il mio cuore diventa freddo, diventa malvagio; se il mio cuore si trasforma nella tenebra dove vi dimora Satana!
Ecco allora che l'epifania è una vera occasione di fede: è dare testimonianza ora della scoperta del Signore, del re che è nato in noi, e che dimora in noi e in ogni uomo.
Che bella la profezia di Isaia, essa non è Antico Testamento, ma è parola irrevocabile di Dio, attraverso i profeti che il Padre ha suscitato a Israele (popolo di Dio, per sempre):"
Alza gli occhi intorno e guarda: tutti costoro si sono radunati, vengono a te. I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio. Allora guarderai e sarai raggiante, palpiterà e si dilaterà il tuo cuore, perché l’abbondanza del mare si riverserà su di te, verrà a te la ricchezza delle genti".

sabato 5 gennaio 2019

1 Giovanni 3,11-21 e Giovanni 1,43-51
Vieni e vedi!

La risposta di Gesù ai due discepoli di Giovanni è la medesima domanda che Filippo consegna a Natanaele. Non siamo difronte a due attività umane ma a una vera provocazione di Dio. Ad ogni uomo, a partire da Gesù, viene proposto di ripercorre il cammino esistenziale che lo porta a Dio. Il tenore di queste due parole non è un comando o una richiesta, ma una proposta ... e perché no, una supplica! Lasciati condurre fino a me, "vieni a me, per seguire me". Il seguire Gesù presuppone un venire a Lui, per dimorare presso di Lui, e Lui con noi. Il vedere è ben di più di una constatazione visiva, si spinge al riconoscere l'amore che sottende ogni nostro moto interiore. Non seguiamo chi non amiamo, non seguiamo nessuno se almeno non c'è una simpatia o una convenienza. Ecco che l'amore che sostiene l'esistenza diventa visibile e riconoscibile nella persona del figlio di Dio, di quel Gesù figlio di Giuseppe di Nazaret ... Ed ecco che tutto diviene visibile nei tratti della storia della salvezza, nei tratti di un amore divino che non ci lascia perdere, non ci abbandona, ma ci attrae a sé.
È l'amore per Cristo che mi chiede di riconoscerlo e accostarmi a Lui, perché il Signore si rivela nell'amore e nell'amare: "In questo abbiamo conosciuto l’amore, nel fatto che egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli". L'attualità di queste parole la lascio giudicare a voi, per cui "se uno ha ricchezze di questo mondo e, vedendo il suo fratello in necessità, gli chiude il proprio cuore, come rimane in lui l’amore di Dio? Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità". Chi ha occhi per vedere "viene e vede"!

venerdì 4 gennaio 2019

1 Giovanni 3,7-10 e Giovanni 1,35-42
Dove dimori?

Domanda di imbarazzo dei due discepoli quando Gesù sentitosi seguito li chiama allo scoperto: "Che cosa cercate?"
Ciascuno di noi, nel momento stesso in cui nasce nel tempo, inizia una ricerca, quasi compulsiva, di sé stesso, della propria identità, del proprio cammino, della propria storia.
È proprio la ricerca di senso ciò che più di tutto caratterizza la nostra natura umana! L'evangelista Giovanni trasfigura le modalità di questo incontro mettendo in rilievo come la ricerca di ciascun uomo, qualsiasi essa sia, è mossa dalla sua originale provenienza da Dio. Di fronte alle parole di Giovanni Battista, Andrea e l'altro discepolo, non rimangono indifferenti; quelle parole sono come "un'esca" che provoca e attrae a sé: la nostra vita non basta mai a se stessa, essa cerca sempre il suo compimento. Ecco allora che la risposta alla domanda dei due discepoli significa ben di più di una indicazione residenziale e di luogo; essa esprime il dove possiamo stare con il Signore, sempre; con la certezza di trovalo e di condividere il tempo, e la storia della nostra vita. In realtà è presso di loro che Gesù vuole prendere dimora: "venite e vendrete!" Vi stupirete che io (il Signore) dimoro in voi e voi in me! Ma se ogni uomo è dimora di Dio, sono inaudite le conseguenze! A scanso di fraintendimenti: Gesù dimora in ogni fratello che è generato da Dio (chi è mio fratello?). Infatti chi è generato da Dio ha in se il "germe divino" inestinguibile, che rimane in lui (egli dimora in noi). Per questo la prima lettura toglie ogni dubbio sulla spregiudicata e falsa giustizia umana: "chi non pratica la giustizia non è da Dio, e neppure lo è chi non ama il suo fratello" (... non amiamo a parole, ma nei fatti e nella verità).

giovedì 3 gennaio 2019

1 Giovanni 2,29-3,6 e Giovanni 1,29-34
Neanche noi lo conosciamo

Che cosa conosciamo noi di Dio? Ben poco! Neanche Giovanni Battista conosceva qualcosa di Dio, fintanto che non è stato sottoposto a quel l'interrogatorio da parte degli inviati dai farisei. È a partire da quelle domande su se stesso che Giovanni comprende chi è Elia, il profeta, il Cristo ... il Messia di Israele.
È così importante conoscere questa verità?
Questa conoscenza comporta l'implicazione del mistero di Dio con la vicenda del tempo e della storia umana. Non è irragionevole giustificare un mondo attraverso l'ateismo e anche interpretare ogni religione come compensazione di bisogni psicologici umani. Giovanni Battista ha di fronte a sé la storia umana e quella di un popolo segnato da un mistero che diventerà sempre più domanda di riconoscimento: Mi vedi? Ti accorgi della mia presenza? Oppure continui a vedere solo te stesso? Giovanni inizia a intuire che tutta la storia del suo popolo rappresenta una traccia esile, discreta ma continua del dimorare di Dio nella stessa umanità (condizione che si spinge fino al Dio con noi: Emanuele). Ed ecco che di fronte all'uomo Gesù, Giovanni percepisce ciò che prima del battesimo non riusciva a riconoscere: "Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! ..." Ma questa apertura e comprensione è sufficiente per precipitarlo nel mistero di Dio Padre: "Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo". A questo punto Giovanni Battista non ha più alcun dubbio: "E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio".
Fintanto che non riconosciamo di essere battezzati, ovvero immersi nello Spirito Santo, e non lasciamo che la Parola ci riporti il soffio dello Spirito di Dio, continueremo a non conoscere e Gesù sarà uno anonimo ebreo nella terra di Palestina. Giovanni si è messo in ascolto della testimonianza del soffio dello Spirito di Dio ... Ma noi che siamo immersi nel medesimo Spirito a partire dal nostro battesimo, che cosa aspettiamo per metterci in ascolto?