giovedì 30 novembre 2017

Romani 10,9-18 e Matteo 4,18-22
Festa di Sant'Andrea, apostolo
Chiamata e risposta!

"Con il cuore infatti si crede ..., e con la bocca si fa la professione di fede ...". Credere e professare la fede in colui che ti chiama a seguirlo. È questa la sintesi tra la prima lettura e il Vangelo di oggi, festa di Andrea, apostolo. Il fascino delle parole del Vangelo di Matteo risulta inalterato dopo duemila anni...
Parole come: "li chiamò ... venite dietro a me ...", risuonano ancora quasi cullate dalle onde del lago di Galilea, in quella spiaggia di Cafarnao, dove la chiamata di Gesù corrisponde all'amicizia che era nata tra di loro.
È in forza dell'amicizia con il Signore che si crede in lui come salvatore; è in forza della amicizia con Gesù che si riesce a dare testimonianza di Fede fino al dono totale di se stessi, diversamente risulterebbe è un gesto eroico di uno squilibrato.
Oggi in queste parole ciascuno di noi è chiamato alla medesima sequela; oggi ciascuno di noi può spingersi oltre la propria ordinaria normalità; oggi è possibile lasciare le reti e seguirlo!

mercoledì 29 novembre 2017

Daniele 5,1-28 e Luca 21,12-19
Saremo odiati da tutti???


Ma chi vuole essere odiato? Nessuno! Anzi ci sforziamo di compiacere gli altri per garantirci una convivenza pacifica e cordiale. Questa pagina di Vangelo, ci fa problema ... Essere odiati ci fa problema!
Ma è su questo equivoco che si gioca la tiepidezza della nostra vita cristiana. Il contenuto del Vangelo, non concorda con un mondo in conflitto con se stesso e preda di una esperienza di male che ormai tutti voterebbero considerare la normalità inevitabile.
Se un credente, un cristiano si abitua alla immoralità gridando scandalo solo per quei fenomeni che i media mettono in risalto come "gravi reati" ma dall'altra parte si compiacciono della decadenza morale, per cui certe devianze morali e inclinazioni soggettive passano come conquista di civiltà, il cristiano (accusato di integralismo) non serve più a nulla, è come sale insipido ... "Verrà gettato e calpestato dagli uomini". Per non essere "odiati" perdiamo, nell'inerzia, il nostro sapore. La testimonianza di Cristo nella vita e di fronte al mondo è il motivo del nostro essere credenti, essere odiati non significa ricambiare l'odio, ma significa amare anche chi ti odia perché sei di Cristo.
Cosa è più necessario evitare di essere "odiati" o testimoniare di essere di Cristo?

martedì 28 novembre 2017

Daniele 2,31-45 e Luca 21,5-11
Il sogno di Nabucodonosor ... la fine è il fine!

Il brano del profeta Daniele, classificato di "genere Apocalittico", in verità presenta quegli accenti profetici per cui le immagini traducono la Parola di Dio, che ora è posta sulla bocca di Daniele per indirizzare il cammino degli uomini verso il compresi della storia. Dio non è escluso dal succedersi delle vicende umane, ma la sua volontà si esprime con potenza, come una "pietra" che rotola,  e che tutto stritola: la nostra storia, la nostra quotidianità; in tal modo diviene capace di "Profezia". Anche Gesù nel suo raccontarsi in relazione al Tempio dispiega nelle immagini la forza di Dio. Non sono immagini ad effetto, o immagini di compimento della realtà. Esse ci collocano in una "distruzione di tutto", che però non è fine a se stessa, ma ci preannuncia che non è quella la fine, ma che c'è un fine. Il fine è rivelare la gloria di Dio, così come le belle pietre del Tempio in quel tempo ne davano testimonianza! Tutto è in cammino per rinascere nella manifestazione gloriosa di Dio, il tempo, lo spazio, le cose, gli uomini: "si in particolare gli uomini!"

lunedì 27 novembre 2017

Daniele 1,1-20 e Luca 21,1-4
Il tesoro del Tempio ...


Il tempio rappresenta per Gesù la sua casa. Nel Tempio, ogni giorno insegnava; è la casa della preghiera; è lo spazio in cui Gesù recupera tutta la sua identità di Figlio. Anche il Tesoro, ha per Gesù un significato particolare esso non è un segno di ricchezza, e neppure una somma di tasse pagate; esso rappresenta la la sintesi della vita dell'intero popolo. Dare il superfluo, non accresce il Tesoro, anzi ...; solo quella vedova, negli occhi di Gesù, entra con tutta se stessa nel "tesoro" del tempio, partecipa pienamente alla sacralità di quel luogo e appartiene al mistero di Dio, che nel Tempio è significato è rappresentato. Ma ora che il tempio non c'è più ... Ma solo Gesù Cristo risorto, nuovo tempio per l'uomo, ogni giorno occorre gettare in quell'immenso tesori quei due soldi che è la nostra vita, così si appartiene, così si impara il mistero di Dio.

domenica 26 novembre 2017

Ezechiele 34,11-17 / Salmo 22 / 1 Corinzi 15,20-26.28 / Matteo 25,31-46
Un giudizio che coinvolge tutti e ci confronta con tutti ...

Ci sono due cose che occorre sapere bene:
- "E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine." Questa frase la ripetiamo ogni volta che facciamo professione di fede.
- Il criterio del discernimento finale è l'amore, che da firma alla nostra umanità, che manifesta il volto di Dio, che si esprime nella misericordia. Tutto questo fa a differenza.
Per ciò, tutto quello che avrai dato gratuitamente e per amore di Cristo a un fratello ti apre, da ora era sempre, la possibilità di regnare con Cristo, nel suo venire per il giudizio finale. Ma questo suo stesso venire sulle nubi del cielo, è un venire che ti precede sempre, proprio quando ci interroghiamo in coscienza:
Ho dato da mangiare (...) Ho dato me stesso come pane spezzato agli altri, alla mia famiglia, alla mia comunità ai miei amici?
Ho dato da bere (...) Ho dissetato con la gioia del Vangelo la sete di vita vera e nuova di tanti miei fratelli? Se Gesù è la mia acqua viva, non potrò accontentarmi di tenerlo chiuso in una borraccia, solo o per me stesso.
Ho accolto (...) Mi sono accorto che profughi, forestiere, stranieri non sono gli unici che chiedono di essere accolti? Esiste una accoglienza che è stile di vita!
Ho vestito (...) Ma vestire è ben di più che portare vestivi vecchi e usati alla Caritas per coprire e difendere gli indigenti dal freddo; vestire è coprire con una dignità vera che non lasci indifesa la nostra natura umana.
Ho visitato (...) Mi viene in mente la mia bis nonna, che ogni giorno per anni sono andato a trovare ... Che gioia per lei!
Ci sono tante piccole cose che mi fanno sentire il regno di Dio parte della quotidianità, è anticipo della venuta nella gloria del figlio dell'uomo con tutti i suoi angeli, ma la cosa più sorprendente è che io stesso preparo con lui la sua venuta.

sabato 25 novembre 2017

1 Maccabei 6,1-13 e Luca 20,27-40
Credo la risurrezione della carne?

Questa affermazione fa parte della nostra professione di fede e per quanto da sempre sia oggetto di diversi modi di accostare il problema del dopo vita terrena, il credente in Gesù si affida a Maestro e Teologo che ci svela l'immagine della vita rispetto all'eternità di Dio. I Sadducei, infatti, in obbedienza a una loro tradizioni non credono alla risurrezione, come molti anche oggi, forse non per scarsa convinzione di fede ma per ignoranza in materia, e soprattutto per indifferenza rispetto alla questione. Una indifferenza che è conseguenza della paura e della scarsissima relazione con Dio.
Ma è proprio attraverso la relazione con il Signore; è attraverso la conoscenza della parola; è mediante una vita cristiana e i sacramenti che si entra progressivamente nel mistero della vita e dell'eternità. Il Maestro, teologo, a partire dalla legge e dalle tradizioni, ci conduce, passo dopo passo, a prendere coscienza di essere figli di Dio, come gli angeli, ma a differenza loro, parte di una creazione corruttibile. Ma ciò che appartiene ai figli è l'eredità del Padre, quindi non "possono più morire e ... Siamo figli della risurrezione". Per noi esiste una promessa fatta ai padri, ad Abramo, ad Isacco e a Giacobbe; confermata a Mosè e realizzata in Gesù: "Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui".

venerdì 24 novembre 2017

1 Maccabei 4,36-59 e Luca 19,45-48
Black friday ... della preghiera!

Chissà se funziona anche per il Signore questo giorno di sconti!
Quello che è certo è un invito a riappropriarsi degli spazi e della relazione con il Signore. Nel libro dei Maccabei, ci viene narrato la vicenda della dedicazione dell'altare e della riedificazione del Tempio. Dopo la profanazione e distruzione, il redente recupera il suo spazio con Yhwh, dopo il "vuoto" di Dio, il popolo non esita a consacrare un luogo, un tempo e se stesso, per la preghiera e la lode al Signore. Lo stesso Gesù recupera quel tempio in Gerusalemme, casa di Dio, come casa di preghiera e non come una spelonca. La cura che noi abbiamo di quello spazio, che è la preghiera, ci attesta e racconta la nostra relazione con il Signore.
In questo Blak friday, tutto ci viene scontato della nostra tiepidezza e della nostra desolante incuria nell'amicizia con il Signore, tutto viene scontato per chi ritorna a Lui con il cuore; per chi abbandona la spelonca del ladro del mistero di Dio, e si prende cura della sua stessa casa di preghiera.

giovedì 23 novembre 2017

1 Maccabei 2,15-29 e Luca 19,42-44
Il giorno che porta alla Pace!


Nelle parole del Vangelo, si rinnova l'eco della distruzione di Gerusalemme dell'anno 70 ad opera di Tito, figlio di Vespasiano. La rilettura che Luca fa del lamento di Gesù su Gerusalemme, diviene sintetico di un periodo convulso e sofferto. Le contrapposizioni all'interno della città di Gerusalemme degli anni della "Prima Guerra Giudaica" si congiungono alle parole di Gesù prossimo alla sua passione ma già consapevole del rinnegamento e del rifiuto delle autorità giudaiche bei suoi confronti. Dio ha visitato il suo popolo, ciò significa che la volontà di Dio si esprime concretamente nella storia e nel tempo attraverso la persona di Gesù. Il giorno della "visita" rappresenta la realtà nuova che porta alla pace. La pace è comunione con Dio, la pace è lo sguardo di Dio sulle vicende umane. La sua Parola che dimora nella vita dei discepoli, crea pace. Il lamento di Gesù, che diviene pianto su Gerusalemme denuncia l'incapacità del cuore umano di accoglie Dio nel suo visitarci, spesso vista come quella di un ospite inopportuno.

mercoledì 22 novembre 2017

2 Maccabei 7,1.20-31 e Luca 19,11-28
Dette queste cose ... Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme

Oggi, vi consiglio di leggere anche la prima lettura, perché lo spirito di cui ci fa partecipe è talmente elevante che non lascia indenne la nostra consuetudine di  vedere e giudicare la realtà.
Quando poi leggeremo il Vangelo, occorre entrare realmente nel racconto parabolico, senza fare parallelismi, cercando di capire quando il Regno di Dio si deve manifestare.
L'intenzione di Gesù, nella parabola, è di introdurci nella dinamica della fruttuosità del tempo presente, nel quale tutto ciò che ci è affidato, che è di Dio, è dato perché produca "frutto", interessi ... Cioè riveli il suo mistero nascosto. Gesù stesso in tutta la sua vita ha rivelato il mistero (ciò che sono le monete d'oro) che lo accompagnava: "essere il messia atteso"; essere l'Emmanuele; essere il Cristo. La scelta della fruttuosità è risolutiva, Gesù stesso, ha indurito il suo volto e si diresse decisamente verso Gerusalemme.

martedì 21 novembre 2017

2 Maccabei 6,18-31 e Luca 19,1-10
Cercare e salvare ...

A Gerico Gesù, risveglia la fede del cieco e si introduce nella vita del capo dei peccatori per riportarlo in una esistenza di grazia.
Ciò che accade a Gerico è ciò che accade nel mondo, dove cecità è peccato rischiano di allontanare continuamente i figli Abramo dalla casa di Dio, dall'esperienza dell'amore del Padre. Gesù a Gerico, mostra semplicemente cosa è venuto a fare il figlio dell'uomo?
Il figlio dell'uomo venendo cerca e salva. Non viene a attrarre semplicemente delle masse di credenti; viene a cercare cercatori di Dio. Ecco è questo che Gesù è venuto a fare, egli è venuto a Gerico ora cercare dei ciechi, dei sordi, degli storpi, dei poveri e soprattutto dei peccatori, per portare tutti oltre il loro limite e mostrare quindi la salvezza, perché tutti sono figli di Abramo: le promesse che Dio ha fatto ad Abramo sono irrevocabili. Ciò che fa Gesù è segno di ciò che deve fare la Chiesa e ogni battezzato; noi quando siamo cristiani siamo luce ai cechi e abbraccio di misericordia ai peccatori. Il cieco iniziò a seguire il Signore lodando Dio; Zaccheo pieno di gioia converte la sua esistenza, recuperando la sua dignità di figlio.

lunedì 20 novembre 2017

1 Maccabei 1,10-64 e Luca 18,35-43
Che cosa vuoi che io faccia per te?


Ci sono cose che proprio, anche volendo non riusciamo a fare e realizzare da noi stessi e soprattutto per noi stessi. "Che io veda di nuovo!"
Ciò significa che quel cieco, non era sempre tanto cieco, ma nella sua vita ha fatto esperienza del vedere, e che di quel vedere a tale nostalgia che tutto sé stesso diventa un grido, diventa espressione della sua fede. Ci sono momenti nella nostra vita, in cui esprimiamo fede al punto di gridare con tutto noi stessi: "Gesù Figlio di Davide abbi pietà di me!"
Qualcuno potrebbe pensare che si tratta solamente della forza della disperazione ...
Ma non è quel "kyrie eleison" - stesse parole della liturgia - la richiesta di misericordia, perdono e pace? Ebbene il cieco di Gerico vuole contemplare di nuovo la misericordia, il perdono e la pace; e se nella vita si fosse distratto o si fosse perso, al punto di essere cieco, la sua fede non si è accecata, la fede è rimasta come invocazione che attrae a sé lo stesso Figlio di Davide. Per cui non disperdiamo delle nostre molte cecità, custodiamo la fede come dono e possibilità di incontrare il Signore ed essere "guariti".

domenica 19 novembre 2017

Proverbi 31,10-31 / Salmo 127 / 1 Tessalonicesi 5,1-6 / Matteo 25,14-30
Ricchi ... Ricchissimi ... Straricchi ... 

Punto di partenza: "Siamo tutti ricchi, possediamo tanto ... Qualcosa di inestimabile". Quali sono questi beni che costituiscono la nostra ricchezza? Quella vera? Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. 
In assoluto il suo corpo e il suo sangue, il pane e il vino, cinque talenti! Poi la sua Parola, due talenti! In ultimo ciascuno di noi, la sua Chiesa, un talento.
Sicuramente sbaglio a interpretare così, ma l'immagine mi piaceva. Ora provo a progredire nella parabola.
Il tuo corpo, la più grande ricchezza affidata alle nostre mani, perché come lui ha fatto, anche noi lo spezziamo e lo condividiamo. Lui il suo corpo lo ha dato, consegnato, spezzato e condiviso ... Moltiplicato ...
“Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”.
Mi ha consegnato il tuo corpo, dono preziosissimo ... L'ho condiviso e moltiplicato con i miei fratelli. L'ho mangiato e ne ho fatto parte con altri, io stesso l'ho offerto perché altri ne avessero parte. ... È vero questo per me?
La tua Parola, la ascoltiamo, ci scalda il cuore, ci rallegra, ci istruisce ci aiuta a pensare come vuoi ti ... La ripetiamo dentro noi stessi per ricordarla e per raccontarla a chi capiterà.
“Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”.
Questa tua Parola narrata è affidata si diffonde nell'ascolto e nella testimonianza, mai è un ascolto nella solitudine. ... È vero questo per me?
Noi, tuoi discepoli, che tu hai fatto figli di Dio, che hai amato a punto che il Padre ti ha dato a noi per renderci solo ricchi di te.
Ed ecco che la parabola interrompe la sua coerenza ... Con me non si moltiplica più nulla, non si condivide, non si risponde a quel gesto in cui il Padre ci affida le cose più belle, quelle più preziose, cioè la nostra vera ricchezza.
Essere ricchi di Dio, di Lui del suo figlio, dello Spirito, dei sacramenti, dell'amore ... Straricchi dei doni di Dio ... Ma sei io li sotterro che cosa faccio ...
Non faccio nulla ... Smetto di essere discepolo del Signore e rinnego la mia vocazione umana: quella di ricevere nella vita il mistero dell'eterno amore.

sabato 18 novembre 2017

Sapienza 18,14-16;19,6-9 e Luca 18,1-8
E noi ci stanchiamo ... Spesso!

Sicuramente redazionale, l'introduzione al racconto del giudice e della vedova, ci fornisce una intenzione del Signore, che lo stesso gruppo dei discepoli ha recepito dal Signore: a pregare ci si stanca, ma è necessaria per la fede.
Si, proprio per la fede! Infatti la vicenda del giudice e della vedova si conclude con questa sottolineatura: "Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?"
La stanchezza progressivamente diviene disimpegno, il quale sfocia nella completa dimenticanza del pregare; avvilisce la nostra vita spirituale al punto di renderla apatica, noiosa. Sembra strano ma la preghiera si mostra attraente e desiderata quando è una esperienza di fedeltà nella giornata e di continuità, giorno dopo giorno. L'insistenza esprime è in realtà un metodo, una "prassi" spirituale buona, che non è lagnanza o bigottismo. È in questa perseveranza che la preghiera mostra la sua possibilità e le sue conseguenze.
In cosa consiste la necessità del pregare? La necessità sta nel fatto che la preghiera modella e predispone la vita dello Spirito in noi. Senza preghiera la vita spirituale muore.
La fede sulla terra ... Bé, è chiaro, dipenderà dalla vita spirituale dei discepoli. Lì dove manca, vediamo già che la fede muore ... si spegne.

venerdì 17 novembre 2017

Sapienza 13,1-9 e Luca 17,26-37
Come avvenne nei giorni di Noè

Ciò che avvenne nei giorni di Noè corrisponde alla quotidianità della vita umana. Ciò che avvenne nei giorni di Lot è la quotidianità, che ben poco si discosta da quanto avviene anche ai nostri giorni.
La conseguenza,  estrema fu con Noè il diluvio, con Lot la distruzione di Sodoma.
Ma alla venuta del "Figlio dell'uomo" la prospettiva non sarà semplicemente una punizione. Ciò che caratterizzerà la sua venuta sarà il giudizio come compimento.
In quel giorno, forse oggi stesso, non saremo giudicati semplicemente rispetto a cio che avremo fatto, ma sul cammino di compimento della nostra vira, sulla relazione esistenziale con il Signore. 

giovedì 16 novembre 2017

Sapienza 7,22-8,1 e Luca 17,20-25
Quando verrà il regno di Dio?

Domanda più che lecita? Dopo tanto parlare del regno di Dio e del regno dei cieli, a qualche giudeo la domanda sorge spontanea. È umanamente comprensibile passare dalle immagini ideali alla concretezza, alla realtà.
La stessa risposta di Gesù non tradisce le aspettative. Usando un linguaggio consono alle immagini, risponde mettendo in chiaro che il regno di Dio è ciò che accade a partire e con il Figlio dell'Uomo, il Cristo, cioè lui stesso. Per cui il regno di Dio resta in mezzo a noi per sempre. Il regno di Dio corrisponde alla salvezza offerta, donata è realizzata anche attraverso il rifiuto e la sofferenza del Figlio dell'uomo: la sua passione, morte e risurrezione non è una immagine ma è concretezza ed efficacia del Dio con noi.
Ogni volta che il discepolo, nella sua vita è fedele al suo Signore, e vive compiendo giorno per giorno la sua parola, lì il "Regno di Dio" è dato e realizzato.
Il "Regno di Dio", quindi, dopo le immagini è il nostro quotidiano progetto di corrispondere al Figlio dell'uomo; nella nostra fedeltà e adesione il Regno si rivela.

mercoledì 15 novembre 2017

Sapienza 6,1-11 e Luca 17,11-19
Vedendosi guarito ...


Quale fede ha avuto il lebbroso Samaritano? La fede che gli ha procurato la salvezza!
Pur essendo uno straniero, un lontano, ha affidato a Gesù la sua vita, una vita malata; per tutti una vita maledetta, di nessun valore. Questo lebbroso non poteva certo affidarsi agli uomini che lo avevano abbandonato e scartato.
Come gli altri lebbrosi, forse, avendo sentito cosa Gesù era capace di fare: "guarire i malati", ha pensato anche lui di provare quella estrema possibilità. Come è piccola la fede, come un seme di senapa che seminato nel giardino diventa una pianta talmente grande che ... È lo stupore del lebbroso Samaritano, è stupore nel vedersi guarito, e vedere come la sua piccola fede, in quel maestro di Galilea, è stata capace di spostare la montagna che ostruiva e copriva la propria vita. Quel segno di purificazione mostra a quell'uomo, ora non più malato, la forza di guarigione che è l'amore di Dio. Ma mostra pure come la nostalgia di Dio, a cui ci rivolgiamo anche con una fede tiepida (come quella degli altri nove lebbrosi) non è da disprezzare, perché rappresenta il piccolo seme che quella grazia fa germinare e crescere in tutta la sua possibilità: diventando santificazione (vedendosi guarito), ringraziamento (gettatosi ai piedi del maestro), e lode a Dio (glorificare), cioè partecipare nella gioia alla medesima gloria.

martedì 14 novembre 2017

Sapienza 2,23-3,9 e Luca 17,7-10
Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio

Questa rivelazione della Sapienza di Dio va oltre il riconoscimento della vita buona del giusto che trova la necessaria e conclusiva ricompensa dalle mani di Dio. Il giusto ai nostri occhi sembra quasi una "mosca bianca" rispetto a una realtà contaminata. Anche se questo è vero, in parte, il giusto è sempre un segno di speranza affinché la realtà non si annulli nel male; la vita del giusto è piena ed è segno di immortalità. Essere giusti, la cui vita è nelle mani di Dio, significa pure essere strumento della Misericordia di Dio che si rivela a tutti gli uomini nel segno della vita del giusto suo servo. Il giusto prefigura ed anticipa il destino di ogni uomo voluto e amato da Dio. Se il giusto fosse solo un richiamo morale, sarebbe solo un segno di condanna per ogni uomo che sperimenta e vive l'ingiustizia; ma se il giusto è segno dell'amore di misericordia, non esiste alcuna pretesa e riconoscimento, ma il giusto si riconosce oggetto di una grazia singolare: "perché Dio li ha trovati degni di sé", essi sono per lui, segno di tutto ciò che è di Dio.

lunedì 13 novembre 2017

Sapienza 1,1-7 e Luca 17,1-6
Dopo la misericordia c'è solo il perdono


Dopo le parabole della Misericordia, il Vangelo di Luca spiazza ogni buonismo, ogni ingenua interpretazione del Vangelo. "... ma guai a colui a causa del quale vengono gli scandali. È meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare, piuttosto che scandalizzare uno di questi piccoli. State attenti a voi stessi!" La misericordia non è una soluzione di de-responsabilità, anzi, la Misericordia che genera il perdono richiede la più esplicita responsabilità.
Un discepolo, non è un uomo perfetto né privo di fragilità; ma il discepolo, se tale, vive il seguire il maestro come atto della Misericordia di Dio stesso verso di lui, da questa coscienza deriva evitare lo scandalo, cioè fare cadere nell'inganno e nel peccato qualsiasi nostro fratello. La Misericordia è medicinale, ma va accolta con piena disponibilità a viverla come dono di amore che ti è affidato per la tua salvezza.

domenica 12 novembre 2017

Sapienza 6,12-16 / Salmo 62 / 1 Tessalonicesi 4,13-18 / Matteo 25,1-15
Dieci vergini attendono lo sposo


La vita cristiana è una vita verginale! "Caspita, don Fabio, cosa dici mai ... Questo non dirlo ..."
E invece è proprio così! La vita di un cristiano è una vita verginale, perché nella nostra vita
 è il regno dei cieli. Non esiste un Regno senza di noi, non esiste un regno dei cieli fatto dalla Trinità insieme alle schiere degli angeli. 
Esiste invece, un regno dei cieli che prende forma attraverso la vita è l'esistenza umana. Perché il regno dei cieli è la nostra storia ma quella salvata, quella che narra la salvezza. Ed è in questa storia che io vivo come cristiano e vivo quindi come vergine.
Cosa voglio dire? Una vergine è una ragazza, giovane e tendenzialmente bella, che passa gran parte del suo tempo e della sua vita a preparare se stessa ad incontrare lo sposo. Lo sposo è colui che da senso alla sua attesa e che da iniziò a quella festa di nozze che supera ogni aspettativa terrena ed eterna. Quale ragazza, infatti non prepara minuziosamente e nei dettagli il proprio matrimonio?
Quella attesa va preparata è custodita, non va dissipata, e neppure presa con disattenzione o sottostimata.
Nell'incontro con Gesù, tutto di noi cambia, diviene pienezza del Regno dei Cieli.
Allora, perché non vedere le come una vergine la mia esistenza, e capire cosa significa preparare l'attesa con le "lampade accese", cercando ogni stimolo e possibilità per non perdere il desiderio di Lui. La Chiesa è la possibilità di un desiderio che non si estingue. 
Il desiderio di lui è l'olio che alimenta la lampada ... Il desiderio di Lui è ciò che ricarica continuamente la batteria della nostra "luce".
Quando non si va più a messa la Domenica, il desiderio l'ho già spento o archiviato nei ricordi passati, magari solo da rispolverare negli anniversari, ogni 25, 50 anni. Quando non si celebrano i sacramenti, cioè non si vivono più; quando essere cristiano è semplicemente un sostantivo; ecco che ho finito l'olio per la mia lampada!
Mi piace moltissimo l'immagine di Fano di questa settimana: una bella ragazza (una vergine) con il cellulare e il trasformatore ... Ma anche con il Vangelo, l'unico indispensabile per ricaricare le batterie del cellulare, che mi collega direttamente con Gesù: unica energia indispensabile, unico vero generatore.
Noi che abbiamo così confidenza col cellulare ... Sappiamo anche quale disagio sia rimanere con le batterie scariche (rimanere senza olio); non possiamo permetterci di scaricare le batterie, perché tutto questo alimenta il desiderio di lui e la festa del Regno dei cieli, cioè la sua concretezza e realtà.

sabato 11 novembre 2017

Romani 16,3-27 e Luca 16,9-15
Il tesoro delle relazioni fra di noi.

I farisei, che erano attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste cose e si facevano beffe di lui. Egli disse loro: «Voi siete quelli che si ritengono giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che fra gli uomini viene esaltato, davanti a Dio è cosa abominevole». La conclusione del Vangelo di oggi chiede una immersione nel modo in cui Dio Padre guarda il nostro cuore, cioè tutto di noi; questa immersine è purificante da ogni falsità e ipocrisia. Ma non si tratta solo di una autocritica, è una immersione che riconosce la novità dei rapporti umani e di affetto, la novità che essere di Gesù è capace di suscitare a partire dal nostro intimo. È bellissimo è consolante il Saluto di Paolo alla comunità di Roma, rileggetelo ... quale profondità e tenerezza per ciascuno così quelli citati. Questa è la comunità Cristiana, quando guarda il proprio cuore con lo sguardo di Dio: le relazioni, gli affetti, l'amicizia, non sono frutto di convenienza, ma espressione di amore, di carità.

venerdì 10 novembre 2017

Romani 15,14-21 e Luca 16,1-8
Scaltrezza e Vangelo

Il Vangelo di Luca ci raggiunge più per le immagini paraboliche che per le parti narrative; dopo le parabole della Misericordia - al capitolo 15 - l'evangelista ci proietta una serie di situazioni che descrivono il cammino dei discepoli nel tempo e nella storia, e le relative difficoltà. La parabola dell'amministratore disonesto, punta direttamente a noi, a ogni discepolo sottoposto alla lontananza del suo Signore, e in balia del proprio modo di interpretare e vivere il Vangelo, al punto di rischiare di "mal amministrare" il dono ricevuto. Oggi la parabola ci mette di fronte, non semplicemente agli stratagemmi che possiamo architettare per giustificarci di fronte a Dio sul nostro operato, ma proprio sulla necessità di rendere conto della nostra "amministrazione". Questo significa prendere coscienza che il Vangelo non è una dottrina, non sono delle regole morali, il Vangelo è un modo di vivere, di esistere. È una esperienza che mette in relazione ciò che è di Dio con ciò che è dell'uomo. Dire che ci è affidato il Vangelo da vivere ogni giorno, significa affermare che ogni discepolo deve attuare la misericordia di Dio narrata nel Vangelo, e la deve attuare con tutta la sua capacità e astuzia umana. 

giovedì 9 novembre 2017

Ezechiele 47,1-12 / 1 Corinzi 3,9-17 / Giovanni 2,13-22
Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui!


Una espressione durissima, di Paolo, ma comprensibile. Neanche a Gesù è stato permesso dai giudei di parlare in modo allusivo del tempio: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?»
Da qui inizia una progressiva ostilità verso il Signore.
Il tempio di Gerusalemme era ben altro che un luogo di culto alla divinità, era la "casa" di Dio in mezzo al suo popolo. La promessa di Dio al Re Davide era proprio in questo senso: «Tu mi costruirai una casa? ... No, Io faro di te un casato, da te nascerà ...»
Ciò che rappresenta il Tempio è molto, molto di più dell'edificio di pietra, esso è il luogo Santo, segno della presenza di Dio, dove il "Cielo" e la "Terra" si incontrano, il tempio è segno efficace della Grazia, della Gloria (Scekiná), della presenza; è la promessa fatta al Re Davide, quella di un casato, di una discendenza del "Dio con noi". Questa comprensione del Tempio di Gerusalemme giustifica la reazione forte e adirata di Gesù.
Ma se tutto questo lo rapportiamo alla nostra natura umana?
L'uomo nuovo, è in Cristo, Tempio di Dio! Spesso ci comportiamo come se fossimo "cose da offrire, monete di scambio, animali da sacrificare a una idea di religiosità", dimenticando la sacralità di ciò che siamo per grazia di Dio: suo Tempio.

mercoledì 8 novembre 2017

Romani 13,8-10 e Luca 15,25-33
Rinunciare ... per essere discepoli!

Nel momento in cui la folla segue Gesù - contraddicendo ogni aspettativa - invece di galvanizzarla e consolidare il suo consenso, il Signore inizia a smantellare gli slanci e gli  entusiasmi proponendo di seguirlo attraverso una scelta di vita a dir poco sconveniente.
"Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo". Che cosa cerca il Signore da chiunque vuole seguirlo?
Cerca un cuore indiviso; il Signore non si accontenta di un ruolo marginale, di una compartecipazione nella vita del discepolo. Per molto questa pretesa del Signore è troppo esigente, per molti è impossibile. Ma è proprio questa condizione che realizza il regno dei cieli senza compromessi e titubanze.
Il coraggio di questa scelta è frutto della fede, non di calcolo e ragionevolezza, seppure questa serva al discernimento. Ma se ti limiti alla ragionevolezza sarai un bravo Architetto che costruisce delle torri, o un buon Re che salvaguarda il proprio regno, ma non sarai mai un discepolo di Gesù. Il coraggio di lasciare i propri averi (sicurezze razionali) è il coraggio della fede.

martedì 7 novembre 2017

Romani 12,5-16a e Luca 14,15-24
Strane feste!

Già ieri, mi era sorta spontaneamente una ironica lettura del Vangelo: "invita sordi, cechi, zoppi, poveri ..." Ma chi sinceramente farebbe una festa per persone così?
La lettura della realtà proposta da Gesù sfugge a qualsiasi interpretazione puramente umana e mondana. Così infatti ci ribadisce la parabola di oggi, dove alla lettura della realtà secondo Dio si aggiunge l'insistenza e il coinvolgimento per vivere secondo il regno dei cieli! Chi prenderà cibo nel Regno dei Cieli?
La cucina del Regno dei Cieli oggi propone un piatto del giorno particolare: "carità per tutti!"
"La carità non sia ipocrita: detestate il male, attaccatevi al bene; amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda. Non siate pigri nel fare il bene, siate invece ferventi nello spirito; servite il Signore. Siate lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera. Condividete le necessità dei santi; siate premurosi nell’ospitalità."
Cibarsi di "carità" significa non cercare altri gusti, esotici o di piacere, altre attrattive finalizzate a se stessi (ho comprato un campo, ho va comprato cinque paia di buoi, ho preso/comprato moglie).

lunedì 6 novembre 2017

Romani 11,29-36 e Luca 14,12-14
Chi ha conosciuto il pensiero del Signore?

"O profondità della ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio! Quanto insondabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie!"
Le scienze, la fisica, la matematica, continuamente ci rinnovano un atto di fede sulla insondabile ricchezza, sapienza e conoscenza del mistero di cui è parte il nostro universo creato. Nel costante progredire nella conoscenza, ci forniscono modelli sempre più completi attraverso i quali rappresentare la realtà; ma proprio questo ci permette di dire che il mistero non è scienza, non è fisica e matematica; il mistero è una ricchezza inesauribile; Dio è altro rispetto alle nostre formule. Ma è proprio questo straordinario mistero che si rende presente nella nostra vita: quando la vita traduce il mistero si libera dai vincoli delle nostre prescrizioni e diviene capace di straordinario: "Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti". Lo "straordinario" sfugge alle nostre strette logiche.

domenica 5 novembre 2017

Malachia 1,14-2,2.8-10 / Salmo 130 / 1 Tessalonicesi 2,7-9.13 / Matteo 23,1-12
Maestro, Padre e Guida: tre "verbi" per la felicità!

Martin Buber, filosofo israeliano scrive: "Servo è la più sorprendente definizione che Gesù ha dato di se stesso: «Io sono in mezzo a voi come colui che serve». Servire vuol dire vivere «a partire da me, ma non per me», secondo la bella espressione di Martin Buber, ci sono nella vita tre verbi mortiferi, maledetti: avere, salire, comandare. Ad essi Gesù oppone tre verbi benedetti: dare, scendere, servire. Se fai così sei felice."
Alla luce di queste parole possiamo rileggere il Vangelo di oggi, e ripensare le parole di Gesù come rivolte alla Chiesa, alla nostra comunità, a noi stessi.
Scribi e farisei siamo tutti noi, nella chiusura dei nostri pensieri; siamo noi quando sostituiamo alla novità del Vangelo e alla sua rivoluzionaria proposta il nostro timore, la nostra paura, i nostri schemi, le nostre leggi.
Ogni giorno occorre dirsi che:
- La nostra comunità non può essere fatta di persone schiacciate, appesantite da una religiosità senza respiro;
- La nostra comunità non può essere fatta in forza di progetti e programmi pastorali;
- La nostra comunità non può essere quella degli obblighi del catechismo;
- La nostra comunità non può essere fatta neppure per gli obblighi verso un Dio pressoché ignoto;
- La nostra comunità non può essere segno di ostentazione, di visibilità per alcuni su altri;
- La nostra comunità non può essere la realtà in cui sentirsi degli "importanti";
- Una comunità così, è una comunità che non ha sguardo, non ha orizzonte, non ha gioia, non ha né il Padre, né il maestro e neppure la guida; è una comunità che non si edifica sul Signore. Ma si costruisce su dei Padroni, Caporali e Schiavi.
Gesù alla nostra comunità, dice che è tramite il servizio umile che si costruisce il regno dei cieli, che si edifica la Chiesa sulla roccia del suo amore, che si dà vita a una comunità di fratelli, che si intraprende un cammino ogni giorno con coraggio e gioia.
Ma forse siamo talmente inquinati nei nostri ragionamenti che l'idea del servizio la intendiamo come:
sciocca in quanto l'umiltà del servire ci sembra da poco furbi (servizio alla gente, ai tuoi fratelli, a coloro che ti sfrutteranno e non ti riconosceranno nulla);
inutile perché insignificante risotto alle esperienze che il mondo oggi propone (vivi per te stesso, vivi facendo ciò che ti piace ... ciò di cui hai voglia!);
- superflua perché non mi fornisce una ricompensa, un tornaconto (il servizio, non è neppure un volontariato che ha diritto al rimborso spese).
Ma perché tutto questo disorientamento, anche tra di noi?
Il SERVIRE, invece, è una fonte di felicità. Servire permette di riscoprir le ragioni profonde del nostro essere Chiesa, comunità, e discepoli.
Siamo Chiesa perché insieme possiamo pronunciare ancora quella parola che Gesù ci ha insegnato con estrema tenerezza, quella parola che lui stesso sussurrava nel pregare e che gridava quando insegnava alle folle, e che ha gridato anche sulla croce: "Padre!"
- Siamo Comunità quando ci  mettiamo alla scuola di quell'unico maestro che è il Cristo, quel maestro capace di insegnarci la libertà dalle schiavitù del peccato, dai vizi della vita di oggi, dalla pesantezza degli obblighi del perbenismo. Un maestro che ti insegna che è l'amore l'unica cosa da imparare; l'unica necessaria per essere vere.
Siamo discepoli quando scopriremo che non è poi così male la guida che è il Cristo, certo è una guida alternativa, è una guida che sorprende nelle prospettive verso cui ci conduce.

sabato 4 novembre 2017

Romani 11,1-2.11-12.25-29 e Luca 14,1.7-11
"... infatti i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili!"


Oggi, la conclusione della lettera ai Romani, permette a ciascuno di fare una straordinaria scoperta: così come per Israele - anche per cuscino di noi - la chiamata e i doni di grazia sono irrevocabili! Cioè, nella nostra vita sempre sarà custodito il mistero di elezione che ci accompagna. Dio stesso, in ogni modo, realizzerà la nostra chiamata, perché questa corrisponde al senso del nostro esistere ai suoi occhi.
Ecco, questo è mistero! È mistero invisibile agli occhi ma visibile al cuore; è visibile con lo sguardo della fede. L'esercizio quotidiano di guardare la realtà con gli occhi della fede, ci permette di giorno in giorno, di acquisire quella prudenza ed umiltà che ci fa stare nel mondo con perseveranza e saggezza. Lo stesso Vangelo, non è la ripresa delle regole di "bon ton" cioè di buone maniere e Galateo, ma è la costante sollecitazione per utilizzare la fede come sguardo sulla realtà: sul senso del Sabbá; sul senso della vita umana; sulla nostra chiamata o vocazione. Lo sguardo di fede non giustifica gli arrivismi, ma infonde la serena umiltà di chi si vuole appagare con i dono di Dio. 

venerdì 3 novembre 2017

Romani 9,1-5 Luca 14,1-6
Prigionieri del sabato


È stranamente normale trasformarsi in uomini e donne religiosi. La religiosità si manifesta con una rigidità normativa, una sorta di chiusura dentro schemi e norme che solo in apparenza sono fonte di spiritualità e di vera fede. Una religiosità comune e condivisa che parla di "cose sacre", ma che nulla a a che vedere con il mistero di ciò che è sacro, Dio. I maestri della legge, risultano maestri pure in questo formalismo e rigidità.
La religiosità di Gesù è invece esperienza viva del mettere il mistero di Dio nella realtà di tutti i giorni: quel giorno è Sabato (Sabbà), e un uomo soffre per la sua malattia. Che cosa è religiosamente giusto fare?
Trasformare la sacralità del sabato in una occasione per mostrare la sacralità dell'uomo. O forse per salvaguardare certe forme di religiosità, siamo anche noi disposti a dare più valore alle bestie che all'uomo. Oppure siamo così maestri da manipolare il sacro, attraverso una religiosità pagana,  solo a nostro vantaggio e convenienza, per cui tutto rischia di essere pura apparenza?

giovedì 2 novembre 2017

Giobbe 19,1.23-27a e Giovanni 6,37-43
Commemorazione di tutti i defunti
"Lo risorgerò nell'ultimo giorno!"

Gesù è risorto dalla morte, "e chiunque vede il Figlio e crede in lui ha la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno", dice il Signore!
Oggi di fronte, in questo cimitero, di fronte a chi ci ha preceduto nella vita terrena, se siamo cristiani, se lo siamo realmente, e questo fa la differenza - per chi non crede, per chi non ha più fede, per i cristiani tiepidi e senza coraggio, tutto questo non ha senso - per chi vuole stare di fronte alla morte e vincerla con Cristo, cosa può scoprire (dice Papa Francesco) nel confronto con la morte e il morire, scopre "che i nostri atti di orgoglio, di ira e di odio erano vanità, pura vanità. Ci accorgiamo con rammarico di non aver amato abbastanza e di non aver cercato ciò che era essenziale. E, al contrario, vediamo quello che di veramente buono abbiamo seminato: gli affetti per i quali ci siamo sacrificati, e che ora ci tengono la mano".
Adesso, "ognuno di noi pensi alla propria morte, e si immagini quel momento che avverrà, quando Gesù ci prenderà per mano e ci dirà: Vieni, vieni con me, alzati. Lì finirà la speranza e sarà la realtà, la realtà della vita. Pensate bene: Gesù stesso verrà da ognuno di noi e ci prenderà per mano, con la sua tenerezza, la sua mitezza, il suo amore. E ognuno ripeta nel suo cuore la parola di Gesù: Alzati, vieni. Alzati, vieni. Alzati, risorgi!"
Gesù ci prenderà per mano, come prese per mano la figlia di Giairo, e ripeterà ancora una volta: “Talità kum”, “Fanciulla, alzati!” (Mc 5,41). Lo dirà a noi, a ciascuno di noi: “Rialzati, risorgi!”.
Forse vi sembrerà strano, ma ora vi invito, a chiudere gli occhi e a pensare a quel momento: quello della nostra morte.
"Siamo tutti piccoli e indifesi davanti al mistero della morte. Però, che grazia se in quel momento custodiamo nel cuore la fiammella della fede!

mercoledì 1 novembre 2017

Apocalisse 7,2-14 / Salmo 23 / 1 Giovanni 3,1-3 / Matteo 5,1-12
Solennità di tutti i Santi
La santità si semina nella terra, germina e cresce verso il cielo!

I santi scelti quest'anno: I coniugi Marten, genitori che generano Santi
Perché questa scelta?
Perché dobbiamo imparare a convertire le nostre famiglie, convertirle al Vangelo, convertirle rispetto una mentalità comune che è di per se anti-famiglia.
Convertire significa prendere coscienza di come sia essere famiglia cristiana.
Distruggere la famiglia significherà distruggere il segno sacro dell'alleanza tra Dio e l'umanità. L'uomo è la donna rappresentano il simbolo del dono di amore che da vita a tutto l'universo, e quell'amore si rivela come amore di Dio per la Chiesa, e come amore di un uomo per una donna. Avere dei santi coniugi come patroni in questo anno significa affidare a loro, ma non delegare, l'iniziativa di mettere attenzione alla vita della famiglia.
Attraverso la preghiera; attraverso lo studio è la formazione; attraverso un agire comunitario volto a valorizzare il Sacramento che genera la famiglia Cristiana; nelle opere di carità e misericordia, cercheremo di valorizzare ciò di cui la famiglia può fare esperienza. Occorrerà che i coniugi, e la famiglia prenda ancor più consapevolezza di cosa rappresentano nella Chiesa, davanti a Dio e davanti agli uomini, in casa e fuori casa

La "questione delle reliquie dei Santi"
Con Sant'Elena, madre dell'imperatore Costantino, la prima vera reliquia dell'antichità, una parte della croce di Cristo, arrivò a Roma, da quel momento inizia la venerazione delle reliquie, anche quelle che noi conosciamo, le reliquie anche quelle dei santi, nonostante tutti gli eccessi e gli abusi accaduti nel periodo crociato e nel tardo medioevo.
Cosa rappresenta la reliquia?
Non è un talismano, e neppure un pezzetto prezioso del corpo di qualche Santo. La reliquia rappresenta il modo attraverso il quale noi onoriamo e veneriamo la santità di Dio nella vita terrena di colui di cui riconosciamo le virtù e i segni straordinari che solo Dio, per quella speciale intercessione può operare.
"Negli Acta del martirio di Policarpo (†155) si trovano espresse la consapevolezza e la cura che cristiani di Smirne rivolgono al martire e alle sue spoglie mortali: « Noi solo più tardi potemmo raccogliere le sue ossa, più preziose delle gemme, più insigni e più stimabili dell’oro, e le collocammo in un luogo conveniente. Quivi, per quanto ci sarà possibile, ci raduneremo nella gioia e nell’allegrezza, per celebrare, con l’aiuto del Signore, il giorno natalizio del suo martirio, per rievocare la memoria di coloro che hanno combattuto prima di noi, e per tenere esercitati e pronti quelli che dovranno affrontare la lotta » (Martirio di s. Policarpo). San Girolamo all’inizio del secolo V, nell’Epistola 109, ricorda che l’onore tributato ai resti dei martiri ha per fine l’adorazione dovuta a Dio."
La reliquia rappresenta una sorta di confronto con mistero della santità.
Cioè quella seminagione umana fatta sulla terra che deve mettere radice, germinare e proiettarci verso il cielo, per raggiungere il compimento.